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sabato 23 settembre 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei - Col Prof. Mastrolorenzo i limiti della previsione eruttiva... di Malko

 

La Solfatara di Pozzuoli

I Campi Flegrei sono una vasta area calderica ubicata a ovest di Napoli: trattasi di un distretto classificato come sede di un super vulcano; da questo sito infatti, si potrebbero generare eruzioni di modesta intensità, ma anche con indici di esplosività notevoli, pur se quest’ultima eventualità è considerata dai matematici a bassa probabilità di accadimento. Nella fattispecie del discorso, un’eruzione pliniana viene data all'1% di probabilità per il Vesuvio e ai Campi Flegrei arriviamo al 4%...

statistica tipologia eruttiva Campi Flegrei


In seguito ad alcune riflessioni espresse dal Professor Giuseppe Mastrolorenzo su radio radicale, si è acceso sui media un dibattito sul rischio eruttivo nell’area flegrea. Secondo il famoso vulcanologo, non è possibile produrre con certezza una previsione di eruzione, così come non è possibile escludere taglie eruttive superiori agli scenari massimi prospettati (VEI4 n.d.r.), che metterebbero a dura prova la validità dei piani di emergenza. Ai meno esperti ricordiamo che il piano di emergenza vulcanica, nel caso del Vesuvio e dei Campi Flegrei, contempla un solo rischio che è quello eruttivo, con l’unica azione di tutela possibile consistente nell’evacuazione della zona rossa, cioè facendo in modo che si interponga per tempo una certa distanza tra il Pericolo vulcanico e il Valore Esposto. Quanto debba essere questa distanza, dipende dall’indice di esplosività vulcanica (VEI) assegnato all’eruzione di scenario: il piano di emergenza vulcanico allora, si condensa tutto nel piano di evacuazione. Per l’isola d’Ischia, mancano ancora gli scenari di pericolo…


La funzione schematica del piano di evacuazione. (d) dipende dall'indice di esplosività vulcanica (VEI).


La direttrice del dipartimento Vulcani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), con una intervista all'ANSA a proposito dei Campi Flegrei, ha ritenuto opportuno precisare quanto segue: <<...abbiamo potenziato l’infrastruttura di monitoraggio su più parametri… è inoltre costante sia lo sforzo di migliorare la sensibilità degli strumenti, sia il grande lavoro di analisi dei dati generati dagli strumenti, e chiunque abbia la possibilità di studiare i dati, si rende conto che questi danno un quadro reale della situazione>>.

In realtà pensiamo che il quadro non può essere mai reale al cento per cento, perché ci sono chilometri di spessori di crosta insondabili, con strumenti che analizzano fenomeni di superficie ed altri in profondità attraverso prospezioni indirette. L’esempio che meglio chiarisce le cose che vogliamo dire, è che ancora oggi non siamo in grado di distinguere le origini dei terremoti nel flegreo, che prevedono cause riconducibili al magma o agli acquiferi surriscaldati o da entrambi. La discriminazione causale in questo caso sarebbe stata importante... Siamo convinti che la strumentazione multi parametrica installata in loco aiuti molto la conoscenza dei complicati processi naturali che regolano la vita di un vulcano, purtuttavia le apparecchiature ultra tecnologiche sono in grado di garantire un’istantanea precisissima e aggiornatissima dei dati geofisici e geochimici, ma fino allo stop orario corrispondente al momento del clic strumentale. Questi dati poi, presumibilmente vengono cristallizzati per procedere a un’analisi teorica dello stato di turbolenza sotterranea del vulcano, confrontando gli elementi di monitoraggio raccolti con quelli di altre aree calderiche in altre aree geografiche del mondo, che hanno avuto una storia eruttiva recente e soprattutto documentata: da qui e con la comparazione, gli esperti tenterebbero di elaborare delle previsioni comprensibilmente probabilistiche.

La responsabile del dipartimento vulcani continua:<<Sulla base di questi dati, vengono poi elaborati modelli e scenari futuri, a breve, medio e lungo termine… Nei Campi Flegrei è perciò attiva una rete di monitoraggio complessa, affiancata da un sistema di analisi avanzate, tutti elementi che insieme sono fondamentali per individuare eventuali cambiamenti e per fornire gli elementi utili alla realizzazione di scenari di pericolosità>> …Dagli scenari dipendono i piani di evacuazione: questi ultimi sono basati sugli scenari che forniamo al dipartimento della Protezione Civile…>>.

Se non si precisano in mesi e anni i termini a breve, a medio e a lungo termine, non si chiariscono molto le argomentazioni addotte. Analizzando i dati che emergono dai monitoraggi assicurati dalle strumentazioni multi parametriche e dal sistema di analisi avanzate, riteniamo che gli unici scenari utilmente ponderabili e nella migliore delle ipotesi in chiave probabilistica, sono quelli nel breve e brevissimo termine. In altre parole, quello che serve alla popolazione è l’a previsione corta dei tempi d'attesa eruzione, perché potrebbe essere quella statisticamente più attendibile per evitare un falso allarme, o una probabilità d'errore molto alta nel medio periodo.

La storia eruttiva ai Campi Flegrei dovrebbe suggerire al sindaco di Pozzuoli di inibire l’ulteriore antropizzazione della caldera, perché ogni atto di edilizia residenziale, anche in chiave di sanatoria, è una mutua assunzione di responsabilità, perché espone con atto amministrativo un cittadino, una famiglia, all’azzardo vulcanico. Le stesse osservazioni valgono per il sindaco di Napoli (leggi Bagnoli), e dagli altri sindaci flegrei che si sono presentati recentemente dal ministro Nello Musumeci a chiedere fondi, chiamando in causa la sismicità lieve e moderata dettata dal bradisismo nella zona prevalentemente puteolana. Il rischio eruttivo non lo hanno evocato tanto: lo evitano come la dea miseria (Oizys), perché non porta opulenza e non rimpingua le casse…

Per quanto riguarda gli scenari di pericolosità, legati tra l’altro alla taglia eruttiva, proprio per non doverli inseguire attraverso esercizi complessi e complesse analisi puramente teoriche, dovrebbero essere contemplati nei piani di emergenza in una misura cautelativa e non come media mediata della magnitudo d’evento. Da un punto di vista tecnico, cautelativo significa in linea di principio adottare la massima eruzione conosciuta. Diversamente è misura cautelativa anche quella che adotta la massima energia da cui oggi è possibile verosimilmente difendersi. Quindi, in un regime democratico quale il nostro, la popolazione necessariamente dovrebbe essere informata sui limiti della scienza e non sui presunti miracoli della scienza, e ancora conoscere con certezza il livello di protezione garantiti dal mondo istituzionale con annesse impossibilità. Sarebbe auspicabile che le autorità di governo del territorio, in nome di una certa deontologia politica, iniziassero anche in nome dei posteri, a organizzare il territorio con progetti finalizzati a ridurre la presenza abitativa, favorendo poi il riordino urbanistico, soprattutto in chiave di resilienza e di sicurezza di territori invadibili dagli effetti deleteri di una possibile eruzione esplosiva. 

La ex direttrice dell’osservatorio vesuviano, continua la sua intervista chiarendo… :<<… Esiste, perciò, “un sistema organizzato “, nell’ambito del quale “una variazione del livello di allerta viene concordata con la Commissione Grandi Rischi”, in questo caso per il rischio vulcanico. Questo significa che “i piani di emergenza sono basati sull’idea che ci sia un cambio di livello di allerta prima dell’eruzione, conseguenza di una valutazione basata su dati scientifici”.

Leggiamo che i piani di emergenza sono basati sull’idea che ci sia il cambio dei livelli di allerta vulcanica basati su dati scientifici. D’altra parte ci sembra il caso di precisare che la commissione grandi rischi non concorda con terzi ma delibera in ambito assembleare interno il livello di allerta vulcanica da assegnare ai Campi Flegrei, attraverso un parere finale scritto. Il referente di vecchia e nuova nomina della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, è il Prof. Mauro Rosi, già referente del comitato tecnico scientifico del comune di Pozzuoli.  La Dottoressa Francesca Bianco è stata nominata componente della stessa commissione per l’INGV. Il livello di allerta vulcanica che caratterizza la caldera flegrea, nell’attualità è giallo: diciamo pure che è il livello più semplice da determinare e dichiarare.


La valutazione circa lo stato di unrest vulcanico, effettuata come detto dall’autorità scientifica attraverso l’analisi strumentale dei fattori geochimici e geofisici rilevati dall’osservatorio vesuviano, potrebbe fornire elementi utili per aggiornare la scala dei livelli di allerta vulcanica: anche in questo caso però, questa scala di sintesi, è di chiara matrice probabilistica. Infatti, attraverso il passaggio da un colore all’altro, si vuole indicare il progressivo acuirsi di fenomeni che, presumibilmente, potrebbero avvicinarsi a una ipotetica soglia preeruttiva ed eruttiva, ma senza alcuna certezza deterministica. Il problema è proprio questo, cioè non si conosce una soglia oltre la quale il vulcano potrebbe dirompere da una o più bocche; non c’è un pregresso ben documentato dei sintomi preeruttivi dei vulcani flegrei, atteso che l’ultima eruzione risale al 1538: un periodo dove le osservazioni erano sostanzialmente limitate al macroscopico e percepite direttamente dai sensi dagli occasionali osservatori. D’altra parte non c’è neanche una soglia fisica oltre la quale il rigonfiamento del bradisismo potrebbe sfociare in una manifestazione eruttiva o freatica. Il bradisismo, da molti inteso come fenomeno a sé stante rispetto al rischio eruttivo, non ha una scala autonoma di pericolosità che accompagni il fenomeno nella sua ascesa o discesa. Il danno statico dettabile dalla micro sismicità in genere è lieve fuori da momenti preeruttivi e eruttivi; con l’attuale equidistanza delle isoipse e la velocità d’innalzamento del terreno, non dovrebbero esserci per il momento complicazioni per l’edificato esistente, soprattutto se non sono edifici di vecchia fattura e mal manutenuti. Una forte e improvvisa accelerazione dei suoli in ascesa, potrebbe far aumentare la pericolosità dell’area non solo dal punto di vista sismico e bradisismico, ma anche e soprattutto vulcanico eruttivo magmatico o freatico.

Per poter passare da un livello di allerta all’altro, sia in forma anterograda che retrograda, non esistono tempi di attesa predefiniti. Se esistessero (e una volta esistevano), avremmo la previsione d’eruzione. In realtà non ci sono neanche valori minimi predefiniti, al cui raggiungimento sarebbe possibile dichiarare lo stato di preallarme o allarme scientifico. Allora lo stato di preallarme o allarme, sono condizioni conclusive a cui pervengono i componenti della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, dopo colloqui e disanima dei dati di monitoraggio e consulenze assicurate dai cosiddetti centri di competenza. Bisogna anche contemplare il possibile salto di allerta da attenzione ad allarme...

livelli di allerta vulcanica


Deve essere anche chiaro che non c’è un automatismo per il quale alla dichiarazione dello stato di preallarme scientifico (livelli), corrisponda immediatamente la fase di preallarme civile (fase). Alla dichiarazione dello stato di preallarme scientifico infatti, dovrà corrispondere una decisione del presidente del consiglio che vaglierà la situazione da tutti i punti di vista prima di dichiarare lo stato di preallarme generalizzato. In linea di principio, anche se venisse sancito a cura della commissione grandi rischi il preallarme, in assenza di una decisione governativa si permarrebbe, nel caso del flegreo, ancora in una condizione di attenzione.

fasi operative


Approfittando della cortese disponibilità del Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’INGV, gli rivolgiamo alcune domande che l'esperto ci ha anticipato che per tempo saranno trattate in modo necessariamente sintetico: Professor Mastrolorenzo, dal flegreo segnale di prossima eruzione

Purtroppo non lo sappiamo, in quanto, eccetto le generiche informazioni riportate nelle cronache storiche sull'eruzione di Monte Nuovo del 1538, non abbiamo alcuna esperienza su come si preannuncia un'eruzione nei Campi Flegrei, e solo qualche debole esperienza ci perviene da eruzioni da caldere in altre aree del pianeta. Ma ogni sistema ha caratteristiche singolari, ed è molto azzardata la comparazione tra aree vulcaniche diverse.

È possibile ritenere che, con strumentazioni sofisticate, sia possibile prevedere eruzioni vulcaniche e conoscere in anticipo la taglia eruttiva?

I limiti nella prevedibilità di una eruzione non sono semplicemente tecnologici, e quindi non possono essere superati semplicemente dal miglioramento delle tecnologie di monitoraggio. Il sistema vulcanico è un sistema complesso con moltissime variabili, tra loro interconnesse, che solo in parte riusciamo a seguire e con relazioni tra loro scarsamente conosciute. In tale sistema, anche la minima variazione di un parametro, magari non rilevabile, può innescare l'eruzione. Di fatto, per la fisica i sistemi complessi sono intrinsecamente imprevedibili, ma al più possono essere descritti nella loro evoluzione attraverso l'osservazione.

Come spesso dico, anche il più avanzato dei sistemi di monitoraggio, può rivelarci le modificazioni dei parametri monitorati fino a una frazione di secondo fa, ma non può consentirci di prevedere quello che avverrà nella prossima frazione di secondo, né quanto siamo prossimi a condizioni critiche del sistema che possono portare ad una eruzione.

L'illusione che non va indotta nella popolazione, è quella che il monitoraggio vulcanico, sia anche lontanamente confrontabile con quello meteorologico, che ci consente di prevedere come sarà il tempo nei prossimi giorni con ragionevole affidabilità. Nel caso del sistema vulcanico, oltre i dati rilevati, si entra nel complesso ambito delle interpretazioni, attraverso modelli e ipotesi, spesso tra loro contrastanti. In linea di massima quello che possono rilevare le strumentazioni sono variazioni drastiche dei parametri monitorati, primi tra tutti, sismicità, deformazioni del suolo e variazione di composizione e flusso di gas alle fumarole. Purtroppo, per i Campi Flegrei, anche eventuali drastiche modificazioni non necessariamente indicano l'imminenza di una eruzione, ma trasferiscono la decisione in merito a valutazioni su base di modelli e soprattutto a scelte politiche in merito alla minimizzazione dei rischi, magari anche assumendosi l'onere di falsi allarmi. La realtà è che non essendo note soglie critiche per il passaggio dallo stato non eruttivo a quello eruttivo, la valutazione sulla possibile imminenza di una eruzione può essere solo basata su valutazioni personali degli scienziati membri della Commissione Grandi Rischi.

Gli strumenti multi parametrici consentono di prevedere una eruzione freatica?

Sulla prevedibilità delle esplosioni freatiche, c'è davvero pochissima esperienza.

È probabile che l'esplosione sia preceduta da modesta deformazione della superficie e/o intensificazione di emissione di fluidi, con modeste manifestazioni di micro sismicità, ma in generale, le esplosioni freatiche sono processi apparentemente improvvisi, dovuti alla più o meno rapida pressurizzazione di fluidi in diversi contesti che comprendono aree geotermiche, condotti vulcanici, in assenza di magma, o zone di contatto fra intrusioni magmatiche e rocce  fratturate e porose più o meno sature di fluidi.

 A quanti chilometri nel sottosuolo c’è il famoso "lago di magma"?

Gli studi condotti da me e da altri colleghi su base magmatologica e petrografica, indicano la presenza di un possibile esteso sill (strato orizzontale di magma), con tetto intorno ai 7 chilometri di profondità. Questa evidenza è in buon accordo con gli studi di tomografia sismica condotti nell'area.

È opportuno precisare che una possibile eruzione non implica la risalita in massa del magma verso la superficie, ma il collegamento fra il magma profondo e la superficie, attraverso un condotto che, almeno nelle fasi iniziali, consisterebbe in una frattura nella crosta della larghezza di pochi metri difficilmente rilevabile dalla superficie. Tale frattura potrebbe non produrre deformazioni significative e la cui sismicità potrebbe essere associata, almeno nei primi momenti, a un'ordinaria fase bradisismica. Solo successivamente questa frattura si evolverebbe in un condotto eruttivo della larghezza di qualche decina di metri.

Nei Campi Flegrei vige il rischio sismico, bradisismico ed eruttivo: quale dobbiamo maggiormente temere?

Certamente il rischio vulcanico è quello più temibile nei Campi Flegrei, e infatti proprio su tale rischio è stato formulato il piano di emergenza nazionale. I Campi Flegrei sono senz'altro l'area vulcanica a più alto rischio al mondo per la possibilità che si possano verificare eruzioni esplosive anche di grande portata in un ambito ad elevatissima urbanizzazione all'interno della caldera, e in una estesa area intorno alla zona di possibile apertura di bocche eruttive. Benché sussista un rischio sismico associato alle crisi bradisismiche, la magnitudo massima attesa è modesta per l'impossibilità del sottosuolo di accumulare elevati livelli di stress, contrariamente a quanto avviene, ad esempio, nella dorsale appenninica. È evidente comunque che scosse della massima magnitudo attesa, verosimilmente di poco superiore al 4 grado Richter, data la bassa profondità ipocentrale possano causare danneggiamento maggiori nell'area epicentrale.

Una evacuazione con eruzione in corso è pura fantascienza o bisogna contemplarla come realpolitik emergenziale?

Nella storia delle comunità residenti in aree vulcaniche attive, l'evacuazione in corso di eruzione è stata la norma, basta pensare a Pompei, dove nell'eruzione pliniana del 79 d.C. pur non sapendo di vivere su un vulcano attivo e pericoloso, riuscì a salvarsi verosimilmente tra l'80 e il 90 ٪ della popolazione residente.

L'eruzione non è un disastro "istantaneo " come un'esplosione nucleare, ma un processo progressivo nel quale, in generale, almeno nelle prime ore, è possibile spostarsi verso zone sicure, in presenza di adeguate vie di fuga e di rapide decisioni operative.

Di fatto, quella dell'evacuazione in corso di eruzione è una eventualità grave, ma assolutamente da contemplare, a causa della possibilità di un mancato allarme, derivante dalla comprensibile sottovalutazione di precursori di modesta entità, o per processi profondi, purtroppo poco rilevabili. Per un'eventuale evacuazione in corso di eruzione, è necessaria la presenza di adeguate via di fuga, sistemi di allertamento, esercitazioni estese a tutta la collettività e informazione continua e dettagliate e aggiornate sui percorsi.

I piani di evacuazione basati sull’idea di una mutazione dei livelli di allerta vulcanica dichiarabili dalla commissione grandi rischi, hanno una loro gradualità che garantisce il preallarme prima dell’eruzione?

L'ipotesi della gradualità del processo di evoluzione da uno stato pre-eruttivo ad uno eruttivo, è senz'altro ragionevole. Restano imprevedibili però, per quanto già detto sui sistemi complessi, i tempi e le modalità di transizione tra i diversi stati. Particolarmente, per una caldera come quella dei Campi Flegrei, nella quale l'esteso sistema idrotermale che costituisce gli ultimi chilometri più superficiali, per certi versi amplifica e per altri maschera la dinamica più profonda.

Di fatto, differentemente dal passaggio al livello giallo, quelli a livello arancione e a livello rosso, proprio per le scarse conoscenze sul sistema vulcanico, non sono basati su soglie ben definite, e saranno decisi sulla base di valutazioni da parte della Commissione Grandi Rischi sulla base dei dati di monitoraggio, e quindi, su un processo di interpretazione basato sulle conoscenze individuali dei singoli membri, su un processo di fatto mai osservato prima e solo qualitativamente comparabile con le scarse esperienze di eruzioni in caldere monitorate, avvenute in altre aree mondiali 

Nel concludere questo articolo ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per la disponibilità assicurataci.

Difficilmente ai cittadini di quest’area possono pervenire messaggi di rassicurazione o di allarme perché non ci sono elementi per acclarare una delle due condizioni. Rubando qualcosa all’emergenza covid, probabilmente bisogna mantenere uno stato di vigile attesa nei momenti topici, avendo ben presente il fatto che i problemi di sicurezza, e quelli operativi e preventivi non si possono risolvere affrontandoli quando il problema o il pericolo si presenta… Certamente non ci si abitua ai sommovimenti sismici, soprattutto perché non si capisce quale piega possono prendere. Neanche la storia pregressa dei Campi Flegrei ci viene in aiuto, perché ci sono state manifestazioni inquadrabili come preeruttive poi scemate, ed altre come quelle del 1538 concretizzatesi con l’eruzione di Monte Nuovo. L’unica certezza che abbiamo è che sono 485 anni che non si verificano eruzioni. Il dato però, anche in questo caso, può essere incoraggiante o scoraggiante…

I piani di evacuazione fin qui elaborati per il rischio eruttivo ai Campi Flegrei, sembrano aritmetici, con un'efficacia difficilmente dimostrabile, soprattutto perché gli strateghi pensano di contare su un’ampia fase di preallarme con buona parte della popolazione che andrebbe via ordinatamente alleggerendo numericamente l'esodo finale. Non è da escludere questa possibilità così come non v'è certezza che tale risultato sia conseguibile...Come ha detto la responsabile del dipartimento vulcani, i piani di emergenza sono basati sull’idea che ci sia un cambio di livello di allerta prima dell’eruzione, da sancire attraverso valutazioni scientifiche. Il nostro pensiero allora torna indietro al 21 agosto 2017, quando col terremoto di Ischia, tra l’altro escluso pochi mesi prima proprio dal mondo scientifico, furono necessarie 96 ore per individuare l’ipocentro esatto del terremoto, con grande ira del fu presidente Boschi che l'ipocentro l'aveva calcolato subito e a mano… il piano di evacuazione del flegreo, è appena il caso di ricordarlo, è tarato su 72 ore.

                                                                di Vincenzo Savarese
                                                             


martedì 10 gennaio 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: in caso di eruzione la Napoli storica attenderà istruzioni ... di MalKo

 
Napoli centro

La caldera flegrea ha un diametro di circa 15 km. Quivi si riconoscono decine di bocche eruttive monogeniche riconducibili alla passata e ultra secolare attività vulcanica fatta anche di eruzioni epocali.  Trattandosi di una zona dove il vulcanesimo è manifestato da una serie di fenomeni collegati direttamente o indirettamente alla presenza di magma nel sottosuolo a profondità chilometriche, un’eruzione rientra nel campo delle possibilità future non quantificabili temporalmente, così come non è possibile neanche definirne in anticipo l’intensità eruttiva. Come se non bastasse, l’indeterminatezza nel flegreo vale anche per il luogo o i luoghi dove l’eruzione potrebbe originarsi.

I flussi piroclastici o le nubi ardenti, sono fenomeni distruttivi insiti nelle eruzioni esplosive, e le zone rosse evidenziano le aree soggette a questo enorme pericolo. Non è dato sapere in anticipo se i flussi che si svilupperebbero nel flegreo riuscirebbero a superare la collina di Posillipo riversandosi sulla Napoli storica. Molto dipenderebbe proprio dalla posizione del centro eruttivo e dall’intensità delle dirompenze: due elementi che di fatto determinerebbero la reale zona rossa oggi misconosciuta.  Da questo punto di vista la peggiore delle ipotesi sarebbe rappresentata da un’eruzione con indice di esplosività vulcanica uguale o maggiore di VEI 4, che andrebbe a concretizzarsi a ridosso dei contrafforti collinari di Napoli, in quartieri come Fuorigrotta o Bagnoli, finitomi ai poggi.

Quindi, se da un lato, a fronte dei flussi piroclastici è lasciata aperta una minima possibilità protettiva della city partenopea affidata alla barriera posillipina, purtroppo non c’è riparo al fenomeno della caduta dei prodotti piroclastici, che non verrebbe influenzato dalla modesta altezza dei rilievi in questione. Quest’ultimo fenomeno poi, si accompagna a molteplici tipologie eruttive: da una ultra stromboliana (VEI3) a una sub pliniana (VEI4) e pliniana (VEI5). Quindi, a meno che non si verifichi un misurato sbuffo, il problema del materiale piroclastico in caduta libera sussisterebbe per una vasta gamma di stili eruttivi.

La cenere e i lapilli e i brandelli di magma proiettati in atmosfera da una ipotetica eruzione flegrea, cadrebbero al suolo a distanze dipendenti dal peso, a partire dal centro eruttivo con linee di trasporto dei materiali più leggeri verso est, cioè sulla città di Napoli. Questa direzione asseverata statisticamente, e già contemplata nei piani di emergenza, è frutto dello studio dei venti dominanti che sembrano prediligere una direzione orientale. Queste conclusioni sono state adottate anche per il Vesuvio con l’individuazione della zona rossa 2 e di quella gialla. I prodotti più fini dell'eruzione, potrebbero invece essere trasportati dalle correnti in quota per decine se non centinaia di chilometri

La Napoli storica quindi, con molta probabilità, in caso di eruzione verrebbe ricoperta da una coltre di cenere e lapilli, con spessori che potrebbero raggiungere i 300 kg. al mq.; in questo caso sussisterebbe il rischio che i tetti piani potrebbero collassare e cedere con conseguenze rovinose pure per i solai sottostanti. L’aria diverrebbe velocemente insalubre, specialmente in danno di bambini e anziani, che in assenza di protezioni soffrirebbero anche per irritazione e bruciori agli occhi. In tali frangenti calamitosi, la visibilità scenderebbe ai livelli della peggiore nebbia. I motori degli autoveicoli si bloccherebbero per intasamento dei filtri, e le auto che ancora arrancherebbero dovrebbero percorrere strade ricoperte di cenere e lapilli e quindi particolarmente sdrucciolevoli. Le coltri piroclastiche potrebbero mascherare insidie stradali. In ogni caso, con la centrifugazione della cenere in aria dovuta alle ruote slittanti degli autoveicoli, l’indice di vivibilità all'aperto sulle strade, peggiorerebbe in modo insostenibile. La situazione diventerebbe velocemente apocalittica soprattutto nelle viuzze strettissime che caratterizzano il centro storico partenopeo. Qui sussistono spesso dei bassi: abitazioni di pochi metri quadrati con accessi diretti sulla strada, luogo da dove occorrerebbe cogliere luce e aria.

Basso napoletano

Secondo il piano di evacuazione messo a punto dalla protezione civile nazionale e regionale, l’evacuazione dei cittadini dalla zona gialla, quella in figura sottostante contigua alla zona rossa, avverrebbe solo ad eruzione in corso e solo parzialmente sulla base della maggiore vulnerabilità dettata dai depositi piroclastici. In tali frangenti, gli strateghi pensano di definire quale parte della zona gialla sarà necessario evacuare. Una strategia che forse richiederebbe l'imprescindibile condizione di preventiva e totale evacuazione dei residenti dalla zona rossa. Infatti, sarebbe oltremodo problematico gestire zona rossa e zona gialla contemporaneamente, tra l’altro con i puteolani orbitanti al centro della zona rossa, e che dovrebbero evacuare verso la stazione ferroviaria centrale, ubicata nel cuore della zona gialla a Napoli - piazza Garibaldi.

Zona rossa e gialla Campi Flegrei

La statistica prevede per la zona gialla flegrea, così come dicevamo, l’accentuato fenomeno della caduta di cenere e lapilli in modo inversamente proporzionale alla distanza dal centro eruttivo, che può essere anche plurimo. Fin dall’inizio dell’eruzione, sarebbero probabilmente messe in ginocchio sia le operazioni di volo dall’aeroporto di Capodichino, ma anche quelle dalla stazione ferroviaria di Napoli centrale.

Con il particolato vulcanico dai differenti diametri diffuso in aria, non sarebbe possibile neanche volare con elicotteri, perché i prodotti silicei dispersi in atmosfera, creerebbero gravi problemi alle turbine che si ritroverebbero con le palette erose e con profili aerodinamici magari sfalsati per effetto della vetrificazione dovuta alle elevate temperature. Ovviamente anche le carlinghe trasparenti verrebbero abrase dalla cenere con una perdita totale della visibilità al parabrezza.

Per visualizzare al meglio le problematiche, torna allora utile lo schema sottostante puramente teorico e non contemplato dalle disposizioni governative. Nella zona rossa 1 il pericolo predominante sono le colate piroclastiche che si caratterizzano per furore distruttivo ed elevate temperature non compatibili con la vita umana. Nella zona rossa 2, nell'odierno non prevista dalle autorità competenti, il principale fenomeno vulcanico da cui e all'occorrenza bisognerà difendersi fin dai primi momenti dell’eruzione, è la massiccia pioggia di cenere e lapilli. In tali circostanze gli accumuli più pericolosi si riscontrerebbero sull’edificato e sulle strade del centro cittadino di Napoli, al punto da lasciar temere il collasso delle coperture dei fabbricati a pianta piana. Nella zona rossa 2 e alla stregua di quanto pianificato per il Vesuvio, dovrebbero valere le stesse regole di evacuazione preventiva previste per la zona rossa 1. Nella zona gialla periferica invece, enormi disagi permarrebbero ugualmente per la pioggia di piroclastiti, magari non intensissima a chilometri di distanza, ma continua, in una misura probabilmente di minore intensità rispetto alla zona rossa 1 e 2, e quindi magari con maggiori possibilità di resilienza o di allontanamento successivo della popolazione dai settori interessati.

Schematizzazione delle zone di pericolo che contraddistinguo il rischio eruttivo ai Campi Flegrei

Se dovessero formalizzare la zona rossa 2 come si auspica, sussisterebbero tra le altre tante necessità, quella di evacuare nella fase di preallarme tutti i pazienti dalle case di cura e dagli ospedali della fascia collinare e centrale, delocalizzandoli verso strutture sanitarie fuori dalle zone a rischio.  Classificare zona rossa 2 ad esempio, quella parte di territorio che dalla linea d'impluvio collinare si estende verso est inglobando alcuni quartieri come Mercato e da lì verso nord fino a Piscinola, consentirebbe nella fase di preallarme l'evacuazione spontanea dei cittadini che per una serie di fattori potrebbero sentirsi maggiormente esposti al rischio vulcanico (case fatiscenti; infermi; bambini; vecchi; malati ecc.). Certamente coinvolgere Napoli centro con procedure emergenziali di ampia portata è forse il più grande problema di protezione civile che abbiamo in Italia e in Europa: d'altro canto difficile ignorarlo...

                                                            di Vincenzo Savarese




domenica 12 settembre 2021

Rischio Vesuvio: in fila per due.

 



Il Vesuvio non esiste più. Ovvero non esiste più il rischio eruttivo che è proprio di questo monte, perché lo scuro ammasso roccioso sorto a strati, è sempre lì con la sua forma conica che svetta e si palesa dalla asimmetrica caldera del possente Somma.  Nelle viscere c’è sempre fuoco magmatico, ma sul vulcano e sul pericolo a cui dovrebbe rimandare, è sceso l’oblio, dovuto innanzitutto all’emergenza pandemica che cattura la totale attenzione dei media e delle popolazioni. La paura dominante in questo periodo, e di finire a pancia sotto nelle terapie intensive. Essendo che la natura umana a fronte della minaccia alla sopravvivenza parte dalle priorità temporali e dalla tangibilità dei fenomeni deleteri, sia nella zona rossa Vesuvio che in quella ancora più enigmatica dei Campi Flegrei, i discorsi dei cittadini e delle autorità cosiddette competenti, scivolano prioritariamente sul virus, sulle vaccinazioni e sul green pass. A dirla tutta, non è che in tempi pre pandemici l’attenzione sull’argomento Vesuvio fosse stata molto più alta…

Molte volte il popolo vulcanico viene spinto a manifestare tutto il suo ottimismo contro i cosiddetti profeti di sventura, alla stregua dei nostalgici emigranti che si ritirano nei loro luoghi natii cantando prose di conforto come quelle:<< basta che ci sta o cielo, basta che ci sta il mare…(Simm'e Napule Paisà)>>. Questo modus pensandi  ben rappresentato nel film pane e cioccolato, non genera alcuna sicurezza dal rischio vulcanico: anzi, lo aggrava.

Certamente un aiuto all’ottimismo lo hanno offerto varie istituzioni come quella universitaria (Federico II) e l’Osservatorio Vesuviano: la prima ha prodotto di recente una video conferenza in cui si annunciava che il pericolo vulcanico è in decrescita, mentre la struttura periferica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia  (INGV) ha sancito addirittura che non c’è un nesso tra tempi di quiescenza e l’intensità eruttiva, aggiungendo  che la strumentazione disseminata nel flegreo e sul Vesuvio consentirà agli esperti di monitorare all’occorrenza e in tempi utili la risalita del magma in superficie. Queste novità assolute nel panorama vulcanologico, hanno consentito alla dirigente dell’Osservatorio Vesuviano di sottintendere marcatamente che una eruzione nei Campi Flegrei o nel vesuviano non potrà mai cogliere alla sprovvista la popolazione: la previsione quindi, è cosa fatta. Bisognerebbe dirlo pure al presidente della regione Campania, che affermò molto pragmaticamente, che i tempi a disposizione per evacuare potrebbero esserci e potrebbero non esserci...

Uno dei problemi di comunicazione che riguardano questi argomenti nell’odierno declassati all’ultima pagina, e la correlazione tra azione amministrativa e affermazioni scientifiche. Infatti, sancire come ha fatto la responsabile dell’Osservatorio Vesuviano, che il trascorrere dei decenni e dei secoli e fino a quando la ricerca scientifica non sia di diverso avviso, non influisce sulla determinazione energetica dell’eruzione massima attesa, produce accidia nell'azione di governo del territorio. Affermazione quindi non da poco, che consente, generalizzando, agli amministratori pubblici, il cui mandato elettorale generalmente è misurabile in anni e sulle dita di una mano, di tenere manica largo sull'uso espansionistico del territorio da urbanizzare anche in area storicamente vulcanica, declinando così ogni azione utile alla prevenzione del disastro vulcanico, soprattutto in favore dei posteri. Pare che si prediligano invece gli aspetti economici legati al riciclo delle cose che spostano capitali... le case si ricostruiscono. Per comprare una casa in questi settori vulcanici, occorrerebbe avere rassicurazioni per almeno 30 anni di pace geologica: un tempo veramente minimo per recuperare il capitale iniziale investito nell'acquisto di un alloggio, soprattutto se le risorse economiche sono misurate

La classe politica preferisce circuire e rimuginare sui limiti della iniziale e vecchia zona rossa Vesuvio, artefattamente dichiarata allargata, preferendo adoperarsi per rodere i limiti di questo settore dal 2003 inibito all’edilizia residenziale. Una zona questa, permanentemente sotto attacco ad opera degli speculatori dell’edilizia e dei cacciatori di condono. Nei Campi Flegrei poi, non si riesce a varare uno straccio di norma che, alla stregua dell’area vesuviana, vieti le costruzioni finalizzate ad insediare nuove famiglie nella caldera vulcanica, con la conseguenza che lievita  il rischio già oggi insopportabile. Alcuni politici premono per le piste ciclabili, ma molto meno per istituire un vincolo di salvaguardia dal fuoco astenosferico... Nell'imminenza delle elezioni, i candidati a sindaco di Napoli, dovrebbero dichiarare in anteprima nei loro comizi elettorali, quali iniziative intendono porre in campo per affrontare il rischio vulcanico nel vesuviano e nel flegreo e alla stregua nell'ischitano. Magari la stampa potrebbe concorrere con domande appropriate, in quella che potrebbe essere un'opera di chiarezza per favorire l'informazione come strumento assolutamente necessario per l'esercizio della democrazia. 

Stando a quanto si legge è in produzione il film -  in fila per due -, del regista Bruno De Paola, che per un mese si girerà all’ombra del Vesuvio. La trama del film riguarda un paesino alle falde del Vesuvio dove, in seguito a una scossa di terremoto di origine vulcanica, viene attivato il piano di evacuazione col trasferimento degli abitanti del paese verso un altro Comune gemellato. Il protagonista vede l’evacuazione come un’ottima opportunità per allontanarsi dalla gelosissima fidanzata che lo perseguita. Sarà interessante vedere come il mondo cinematografico rappresenterà l’evacuazione dalla zona rossa.

I problemi legati al rischio vulcanico nell’area metropolitana di Napoli sono incentrati innanzitutto sulla impossibilità di determinare il momento eruttivo e l’intensità eruttiva. In quest'ultimo caso capirete che anche se si riesce a prevedere il momento dell'eruzione, il dubbio sulle distanze coperte dagli effetti deleteri delle dirompenze geologiche può essere il principio della catastrofe o della salvezza. D’altra parte molte incongruenze che riguardano i piani di evacuazione, potrebbero prestare il fianco al caos comportamentale dei cittadini che, generalizzando, a volte  sottovalutano interesse e partecipazione, salvo inveire inutilmente a posteriori contro il governo inadempiente... 

venerdì 26 febbraio 2021

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: speriamo nel falso allarme... di MalKo

 



Il capo dipartimento della protezione civile, Angelo Borrelli, insieme al capo delle emergenze Luigi D’Angelo, e al responsabile della protezione civile regionale Italo Giulivo e della direttrice Francesca Bianco dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), il 10 febbraio 2021 hanno tenuto a Pozzuoli, ospiti del sindaco Figliolia, una sorta di conferenza aperta al pubblico e alle domande del pubblico.

L’assise è servita per fare il punto sulla situazione del rischio vulcanico nei Campi Flegrei: i fenomeni geologici che si registrano nell’area infatti, in qualche misura allertano la popolazione. La direttrice Bianco ha riferito che la sorgente che produce il bradisismo è posta a qualche centinaio di metri a sud del Rione Terra, in mare a una profondità di 3- 4 Km.  A 7-8 km. invece, la medesima accenna a un magma primitivo che degassa in modo massivo generando anomalie geochimiche. Alla domanda del pubblico se è possibile verificare la migrazione del magma verso la superficie, la dirigente ha risposto che grazie al sistema di monitoraggio multi parametrico gestito dall’Osservatorio Vesuviano, c’è una buona probabilità che tali movimenti ascensionali ove si presentassero verrebbero colti. In realtà l’affermazione della direttrice sembra ottimistica, perché le eruzioni avvengono all’interno di processi  complessi e caotici. Quale sarà la goccia geochimica o geofisica che farà traboccare gli equilibri sotterranei è difficile prevederlo. D’altra parte se nell’area napoletana l’autorità scientifica ha trovato un sistema per monitorare il cammino del magma con una sufficiente precisione e in tempi utili, il protocollo di prevenzione anti catastrofe vulcanica napoletano dovrebbe essere subito esportato.

La realtà, e non la verità che non la conosce nessuno, temiamo sia quella che vivere in quest’area calderica costellata da bocche eruttive e ammollata dalla circolazione idrotermale, dal bradisismo e dalle intrusioni magmatiche, rappresenta un rischio che qui più che altrove, ogni singolo cittadino deve valutare se ritenerlo accettabile o meno, e se lasciarlo in eredità a figli e nipoti. Il filo conduttore dei dialoghi tra istituzioni e popolazione, dovrebbe essere improntato alla prudenza e al pragmatismo. Invece, la nostra impressione è quella che ci sia una necessità non dichiarata di tranquillizzare a prescindere i cittadini. 

D’altra parte anche l’ing. D’angelo avrà scoperto e apprezzato il progresso della ricerca scientifica, tant’è che ha assicurato che occorre rimandare indietro l’immagine di una evacuazione con l’eruzione alle calcagna. Infatti, forse azzardando una previsione poco memore dei fatti legati al terremoto dell’Aquila, ha precisato che l’allontanamento dalla zona rossa avverrà molto prima dell’eruzione. Ovviamente una tale precisazione impone che sia scontata che il medesimo quando sarà avrà la previsione dell’eruzione in tasca. Diversamente, tentando un esercizio di interpolazione, potrebbe essere che il dirigente dell’ufficio emergenze volesse dire che in nome della salvaguardia lui e i suoi si muoveranno con scelte, misure e tempi, all’interno dell’alveo del falso allarme piuttosto che del mancato allarme. D’altra parte chiamare un piano di evacuazione piano di allontanamento dipana già il quadro delle intenzioni di chi lo propone.  Occorre solo che la natura sia d’accordo e che l'Osservatorio Vesuviano ben la interpreti…

Una delle perplessità espresse dai cittadini nell’ambito di questo consesso seguito sui social, riguarda la decisione adottata nei piani di evacuazione di trasportare la popolazione puteolana, sprovvista di mezzo di locomozione, dalle aree di attesa comunale direttamente all’area d’incontro localizzata alla stazione ferroviaria di Piazza Garibaldi (Napoli). In questo luogo infatti, avverrebbe poi l’imbarco degli sfollati sui treni in direzione di Milano. Nel merito di questa strategia operativa, l’esperto regionale ha chiarito che la scelta di una siffatta modalità evacuativa è stata elaborata strategicamente dalla Regione Campania e poi sottoposta alla società ACAMIR, l’agenzia campana per la mobilità regionale, che l’ha ritenuta materialmente fattibile; poi, è stata testata sul campo con l’esercitazione Campi Flegrei EXE 2019 ed è stato ritenuto superato lo stress test.  

Il test si è avvalso di alcuni autobus, tra l’altro scortati, e di un numero di partecipanti numericamente ben inferiore alla normale e ordinaria capacità di carico dei pochi pullman utilizzati. Una prova esercitativa di evacuazione rapida e massiva che prevede il trasporto di una parte della popolazione dalla periferia occidentale di Napoli e fino al centro dell’area metropolitana partenopea, difficilmente con i numeri messi in gioco potrebbe essere di conforto per le scelte operate. D’altra parte l’allontanamento avverrebbe in una zona centrale partenopea, che non potranno tardare molto a doverla classificare zona rossa 2. Ergo, non si esclude che dovrà essere evacuata con la stessa tempistica adottata per i Campi Flegrei, cioè contemporaneamente e prima dell’eruzione.

Il dirigente regionale campano Italo Giulivo, in linea col collega dipartimentale, ha dichiarato che il problema vulcanico c’è ma è sotto monitoraggio, e che occorre valorizzare il sistema protezione civile nella sua interezza, rifuggendo dall’idea di un campanello di allarme che trilla e tutti scapperanno contemporaneamente. Già nella fase di pre-allarme, afferma, scatterà il piano nazionale di evacuazione, e quindi si insedierà una direzione di comando e controllo che gestirà le operazioni di spostamento della popolazione flegrea. Allontanare 550.000 persone dalla zona rossa, dice Giulivo, è una sfida sostenibile, ma occorre consapevolezza e ruolo attivo dei cittadini.

Il sindaco Figliolia nelle sue brochure pubblicate online, in ossequio alla calma istituzionale dei colleghi e delle pianificate operazioni di esodo che saranno effettuate con largo anticipo sull’eruzione, ha previsto per i non motorizzati addirittura un allontanamento su prenotazione, sconsigliando i cittadini di presentarsi con largo anticipo alla fermata, rispetto all’ora assegnata. Un po’ i conti non tornano, perché il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ebbe a sostenere proprio nell’ambito dell’esercitazione EXE 2019, che le 72 ore necessarie per portare a termine le operazioni di “allontanamento” <<…potrebbero esserci, ma potrebbero anche non esserci…>>. De Luca incallito eleatico?

L’assise tecnico scientifica come sempre è ruotata intorno all’Osservatorio Vesuviano che, ricordiamolo, è struttura periferica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.  I cittadini sperano sempre da questi incontri, di ricevere e cogliere segnali rassicuranti o contradditori su cui indagare, perché sull’efficacia dei piani di emergenza e di evacuazione nutrono non pochi dubbi, e quindi ambiscono a non misurarsi con le deficienze del sistema, ma piuttosto di andarsene all’occorrenza, in autonomia, con qualche soldo in tasca e ben prima che gli eventi precipitino. In questo schema abbiamo riassunto  le fasi del piano.


Il dibattito recentemente ha avuto qualche momento di riflessione sui limiti e le possibilità offerte da un ipotetico passaggio di fase da attenzione a pre-allarme: da giallo ad arancione per intenderci. Questo nuovo momento operativo potrà essere sancito solo dal presidente del consiglio dei ministri, presumibilmente dopo aver sentito la commissione grandi rischi e riunito il comitato operativo nazionale della protezione civile.

Questo passaggio di colore prevede l’allontanamento su base volontaria dei cittadini residenti in zona rossa, secondo modalità e schemi fissati dalla autorità comunale e regionale. In questo caso è previsto pure un contributo per i cittadini che se ne vanno, ma senza che questi possano avere la possibilità teorica di poter fare marcia indietro e tornarsene a casa. La Direzione di comando e controllo infatti, sarebbe insediata ed entrerebbero in azione i cancelli ai varchi d’uscita. Durante il pre allarme verrebbero svuotati ospedali e case di cura e carceri, così come i beni culturali (quadri, statue, arazzi, libri, ecc.) sarebbero impacchettati e trasportati in luogo sicuro fuori dal perimetro a rischio.

Nelle mappe presentate dalla comunità scientifica, la zona di Agnano e dintorni, per una serie di motivi (ipotesi), è stata adottata come possibile luogo di apertura di una bocca eruttiva. Quindi, hanno calcolato che eventuali flussi piroclastici difficilmente scavalcherebbero la collina di Posillipo e ancora meno quella dei Camaldoli. Un po' più difficile sarà valutare la zona rossa 2, quella della ricaduta massiccia di cenere e lapilli, perché i prodotti piroclastici scaraventati in alto non verrebbero fermati dalle creste collinari e si andrebbero a depositare, secondo calcoli statistici, probabilmente a est del flegreo, quindi in pieno centro cittadino partenopeo. Ne conseguirebbe che la Prefettura di Napoli potrebbe risultare vulnerabile così come la Questura il Municipio ed altri importanti uffici e strutture pubbliche cittadine.

Quello che ci lascia sempre alquanto attoniti, è l’incapacità della politica che non riesce ad imporre un secco divieto anti cemento che inibisca la costruzione di nuovi insediamenti residenziali all’interno della zona rossa flegrea, esattamente come è stato fatto da Bassolino nel 2003 per la plaga vesuviana. In quest’area, a volte percorsa da olezzi di zolfo che come monito ricordano dove ci si trovi, occorrerebbero politiche degli spazi e infrastrutture viarie capaci di indirizzare, all'occorrenza, il maggior numero possibile di veicoli  in direzione nord e nord est, onde offrire elementi di rapido collegamento con l’autostrada Napoli-Roma.

Qualora esista davvero questa possibilità geo operativa da stargate vulcanico offertaci dalla fase di pre allarme, sarebbe utile che si sfruttasse d'appieno, e se ne andassero dalla zona rossa le persone vulnerabili, cioè quelle con patologie che non consentono deambulazione o indipendenza, ed ancora vecchi e bambini che non è il caso di coinvolgerli in una situazione di stress evacuativo. Per quanto tempo starebbero lontani? Gli strumenti non lo dicono... Purtroppo, in assenza di misure di prevenzione delle catastrofi, la sicurezza dei 550.000 del flegreo, pare che sia affidata alla capacità delle istituzioni di diramare un falso allarme…ma anche per quello, credeteci, ci vogliono veramente grandi competenze. Strano vero?



venerdì 23 ottobre 2020

Rischio Vesuvio: la zona rossa è di garanzia?

 


Per chi segue le vicende del rischio Vesuvio, occorre dire che nell’attualità il dibattito scientifico e giornalistico che ruota intorno al famoso vulcano è totalmente assente, perché tutta l’attenzione dei media è concentrata sul Covid 19, la pandemia che sta fustigando il mondo intero con le strutture sanitarie in ginocchio e la popolazione mondiale allarmata e disorientata.

L’apparato vulcanico del Vesuvio, come si evince dai tracciati sismici, di tanto in tanto subisce scuotimenti dovuti a terremoti a bassa e bassissima magnitudo con il rilascio di energia equivalente inferiore a una tonnellata di tritolo: valori, generalizzando, che non cagionano danni. Di contro però, attestano ineluttabilmente che il Vesuvio è ubicato su una vasta camera magmatica che ricordiamo non è un bacino chiuso. Questo significa che i contenuti di magma incassati nelle profondità chilometriche dell’apparato vulcanico, presumibilmente dovrebbero variare con il tempo. Intanto nessuna ricerca fino ad oggi è riuscita a dare un preciso rilievo tridimensionale alle sostanze incandescenti presenti nelle viscere del monte, onde consentire con precisione di valutare con quanti chilometri cubici di materiale magmatico potremmo avere a che fare un domani. Questo significa che non è possibile pronunciarsi sulla misura energetica della prossima eruzione, che non sappiamo se sarà esplosiva e soprattutto quanto esplosiva; e poi non sappiamo se riusciremo a cogliere con netto anticipo i prodromi pre eruttivi che non siano un falso allarme, e se il traffico stradale ci consentirà di allontanarci velocemente dal pericolo. Ed ancora non sappiamo se il piano di evacuazione quando sarà completato riuscirà a soddisfare d’appieno le necessità di sicurezza dell’area vesuviana. Queste sono solo alcune delle domande che un giorno cattureranno la nostra attenzione o quella dei posteri, che si scontreranno, statene certi, contro un muro di dubbi a fronte delle impellenti necessità del sopravvivere.

Riallacciandoci con qualche analogia alle problematiche da Covid 19, sembra che nessun governo nazionale e mondiale abbia mai stilato un piano per fronteggiare una pandemia seria come questa. Il Covid 19, dopo una prima ondata di aggressività sugli anziani, ha diviso gli scienziati che si sono espressi sulla letalità dell’epidemia. Alle porte dell’estate, secondo alcuni luminari il virus era morto e sepolto; altri lo definivano oramai cambiato e quindi innocuo come un raffreddore, ma c’è stato pure chi ha avvertito di una recrudescenza dei contagi con modalità particolarmente pervasive da attendersi in autunno. In effetti mentre il mondo cinematografico aveva largamente previsto la drammaticità di una minaccia pandemica, il mondo reale, quello fatto di politici e scienziati ed esperti e opinion leader, neanche avevano lontanamente immaginato che potesse verificarsi un incubo simile: da ciò ne è derivato una impreparazione pressochè totale. 

Un’esplosione pliniana del Vesuvio, evento raro ma non escludibile dagli annali del possibile, è un argomento in questo caso poco dibattuto fra gli scienziati, con prese di posizione fatte di farfugliamenti a bassissima voce. La classe degli esperti istituzionali preferisce infatti parlare a voce alta per esprimersi sui sistemi di monitoraggio sempre più tecnologici e da finanziare, e sui piani di emergenza e di evacuazione, dando in pasto all’opinione pubblica indizi di certezze sulla previsione dell’evento, offrendo poi esercitazioni di protezione civile che hanno la stessa utilità di una lampada abbronzante ai tropici.  I dati geologici ci provengono dall’organo istituzionalmente competente che è senza ombra di dubbio l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), mentre per la parte tecnica e politica le indicazioni sono tutte del Dipartimento della Protezione Civile e della Regione Campania. L’INGV, anche attraverso la sua diramazione scientifica costituita dall’Osservatorio Vesuviano, ha concluso che la massima eruzione attendibile al Vesuvio è tuttalpiù di taglia sub pliniana, mentre quella più probabile è di tipo ultra stromboliana (VEI3). La pliniana è innominabile, perché, sussurrano, ha un indice di probabilità di accadimento praticamente zero. Stranamente un documento firmato da due ex direttori dell'Osservatorio Vesuviano davano una probabilità eruttiva VEI 5 all'11%.


Per quanto riguarda la possibilità che con i decenni e poi con le decine di decenni e poi secoli, il Vesuvio possa aumentare la sua latente energia eruttiva e distruttiva, la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) ebbe a precisare qualche anno fa, che non è il trascorrere del tempo che rende più pericoloso un vulcano come il Vesuvio, bensì solo nuove scoperte capaci di modificare quelle conoscenze scientifiche che hanno consentito nell’odierno di classificare l’eruzione  di tipo sub pliniana (VEI4) come l’eruzione massima di riferimento per i piani di emergenza.  Se per nuove scoperte s'intende la precisa calibrazione della massa magmatica in aspettativa nell'omonima camera, come già anticipato prima, non c'è una tale inappuntabile quantificazione, ma di certo l'eruzione pliniana del 79 d.C. pescò magma dalla camera superficiale (4-5 Km.), ma soprattutto da quella profonda (8-10 Km.) poco perscrutabile... Il dibattito scientifico dovrebbe incominciare a chiarire l’importanza di queste due camere nelle dinamiche magmatiche esplosive, che forse hanno ruoli diversi nelle diverse tipologie eruttive.

È nella normalità delle cose che se il mondo scientifico certifica addirittura come deterministica una previsione di eruzione massima attesa non superiore a un indice di esplosività vulcanica VEI 4, i tecnici del dipartimento della protezione civile e della Regione Campania hanno impostato le bozze dei piani di emergenza, tenendo in debito conto questa discutibile classificazione per circoscrivere la zona rossa da evacuare. Per meglio inquadrare il problema, si tenga presente che l’estensione della zona rossa ha un raggio correlato all’indice di esplosività vulcanica. Quindi: circa 10 chilometri per una VEI 4, e quasi 20 per una eruzione pliniana VEI5. Occorre anche comprendere che, come i termometri, anche le energie eruttive possono manifestarsi con valori intermedi che nel nostro caso creerebbero problemi, soprattutto se la zona rossa non ha un contorno maggiorato di sicurezza. Da questo punto di vista il caso di Volla è emblematico.


Assumendo per il Vesuvio una zona rossa VEI 4, in pratica si è tenuto fuori dai piani di evacuazione buona parte della città di Napoli ad eccezione dei quartieri orientali (Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio). Questa storia di Napoli centro storico invulnerabile alle dinamiche eruttive vesuviane e flegree ci lascia perplessi. Infatti, la zona rossa del super vulcano non comprende come è stato fatto col Vesuvio una zona rossa 2 (R2).  La zona rossa 2 ricordiamolo, è quella parte di territorio che per lontananza sarebbe risparmiata dalle colate piroclastiche sub pliniane ma non dalla massiccia pioggia di cenere e lapilli. La caduta di materiale piroclastico renderebbe impossibile la permanenza in loco per l’immediatezza dell’insorgere dei problemi alla respirazione. E poi ci sarebbero dopo qualche ora criticità alla circolazione dei veicoli, e poi serie complicanze statiche alle coperture dei fabbricati per il sovrappeso di cenere e pomici e lapilli. Questo significa che la zona rossa 2 ha le stesse regole e tempi di evacuazione della zona rossa ordinaria, e che intanto non è stata indicata per la zona rossa flegrea.

Considerato che i venti predominanti soffiano prevalentemente verso est, pur comprendendo che non c’è l’indicazione di un preciso centro eruttivo nella caldera dei Campi Flegrei, riteniamo che una media mediata non possa non comprendere la necessità, all’occorrenza, di un allontanamento preventivo di tutti gli abitanti che affollano il centro storico di Napoli. 

I rischi che si corrono col Vesuvio è quello che anche una riuscitissima previsione dell’evento vulcanico con una efficace evacuazione della zona rossa, possa comportare una catastrofe se l’intensità eruttiva che non è possibile cogliere in anticipo, vada ad assumere i caratteri di una pliniana o similmente pliniana, con le colate piroclastiche che andrebbero ad espandersi ben oltre i limiti attuali della zona rossa cogliendo non pochi spettatori immoti. Anche nel flegreo persiste un problema, e anche qui in caso di allarme, pur se si dovesse raggiungere l’auspicato successo evacuativo, il centro storico di Napoli rischierebbe di essere bombardato dai prodotti piroclastici di caduta che renderebbero dopo qualche ora inutilizzabile la stazione centrale, mentre i marittimi dovrebbero spalare cenere dai ponti dei traghetti e gli snodi stradali e autostradali rischierebbero dopo qualche ora il blocco totale della circolazione.

Alcune diatribe interne all’Osservatorio Vesuviano, così come la querelle sull’epicentro del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017, la cui localizzazione venne fatta a distanza di giorni; ed ancora il gioco del sapevo e non sapevo sulla trivellazione operata nella zona di Agnano nel giugno 2020, portano a ritenere che la richiesta di alcuni senatori sull’opportunità di commissariare l’INGV per riorganizzare i vertici, sia un'assoluta necessità per riportare il ruolo della scienza lontano dai bisogni non confessati della politica. Le istituzioni non sono meno responsabili però, soprattutto quando si arrogano il diritto di nascondere la verità per non allarmare, mentre in realtà la cautela serve esclusivamente per non rispondere...














domenica 22 aprile 2018

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: il dovere di interrogarsi... di MalKo


Lago d'Averno - Campi Flegrei


Alcuni lettori manifestano la loro paura nel vivere all’interno della caldera flegrea, il distretto vulcanico che caratterizza l’area occidentale della metropoli napoletana. Una paura dettata dall’acuirsi di segnali poco rassicuranti provenienti dal profondo… 
In questa zona le recenti teorie ipotizzano che sussiste uno stress nella crosta calderica, dovuto prevalentemente all’azione del calore diffuso dalla circolazione di fluidi caldissimi e da quella meccanica dettata dai processi di innalzamento e abbassamento dei suoli. A immettere calore e acque juvenili nel sottosuolo flegreo, sarebbero state intrusioni magmatiche spintesi fino ad alcuni chilometri dalla superficie…


Qualora le dinamiche nel sottosuolo dovessero eccedere la resistenza statica della coltre litoidea, non è possibile definire in anticipo quale punto o punti della caldera flegrea, dall’Averno ai contrafforti di Posillipo, potrebbero cedere e dar vita a bocche eruttive. Tutta la zona rossa flegrea da questo punto di vista è a rischio, anche se il comune di Pozzuoli per estensione e centralità e numero di abitanti e fragilità del centro storico agli eventi sismici, presenta forse qualche indice di vulnerabilità più ampio. Tant’è che ancora oggi la cittadina puteolana è associata per antonomasia ai movimenti bradisismici, platealmente evidenti sulle colonne del macellum, un sito archeologico che finisce sott’acqua o al di sopra a seconda delle ascese o discese dei suoli rispetto al livello medio del mare.

il Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Che prima o poi ci sarà un’eruzione nei Campi Flegrei purtroppo è indiscutibile, ma occorre precisare che nessuno è in grado di prevedere quando questa manifestazione dirompente ci sarà: potrebbero passare giorni, anni o secoli… Occorre poi aggiungere nel quadro delle incertezze, che la previsione dell’evento vulcanico non è una scienza deterministica, soprattutto perché bisogna mettere insieme una serie di dati offerti dal monitoraggio continuo, congiuntamente a osservazioni sul campo ma anche satellitari, che gli scienziati dovranno interpretare e confrontare con le esperienze più varie e senza grandi database a disposizione. I Campi Flegrei non eruttano dal 1538, e ogni eruzione non è mai un clone di quella precedente…  A dirla tutta quindi, non ci sono degli automatismi legati a valori di soglia strumentale, da carpire e validare per pigiare senza indugi il pulsante arancione o quello rosso di allarme.

Quindi non c’è certezza matematica sui tempi di preavviso eruttivo. Purtuttavia la maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che difficilmente un tale evento ultra dinamico, foriero di dirompenze, possa manifestarsi all’improvviso. Qualcuno intuisce però, che forse il coperchio magmatico flegreo stressato dal calore e dai movimenti verticali alternati, è un po’ meno resistente staticamente, più vulnerabile e forse con una maggiore cedevolezza anche alle eruzioni freatiche (vapore) che potrebbero scatenare il panico. Che qualche cittadino manifesti paura, riteniamo che sia una risposta comprensibile e tutta umana a questa sequela di incertezze.

Non ci sono molte alternative per sottrarsi al risiko eruttivo finché si dimora in un distretto vulcanico esplosivo attivo, e questo a prescindere dal nome del comune o della municipalità: quello che vale è l’ubicazione interna alla caldera flegrea, dove la resilienza comporta, e gioco forza, a vivere bene o male su una depressione che grava sul calore magmatico.

L’alternativa alla delocalizzazione preventiva, cioè all’andarsene per motivi di sicurezza personale già da adesso, consiste unicamente nell’accettare il brivido di essere utenti di un piano di evacuazione che dovrebbe avere la potenzialità strategica di spostare 550.000 abitanti dalla zona rossa flegrea verso mete più sicure nel giro di 72 ore. Uno spostamento massivo che si renderebbe necessario alla diramazione dell’allarme, per anteporre un congruo numero di chilometri tra la vita umana e il fuoco astenosferico, che potrebbe intrufolarsi fino alla superficie per poi dilatarsi sotto forma di colate piroclastiche e caduta di  cenere e lapilli.

Campi Flegrei: zona rossa e gialla.

Un problema serio quello della previsione dell’evento eruttivo, in quanto c’è la necessità tutta operativa di evitare un falso allarme ma più ancora un mancato allarme. Quindi non si può né anticipare e né ritardare lo start evacuativo: bisognerà muoversi al momento giusto… Questo significa che l’ente di sorveglianza, l’Osservatorio Vesuviano, deve operare in chiave sì scientifica ma con un management di taglio operativo, spiccatamente operativo, cioè senza défaillance o incertezze come è successo con la localizzazione del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017. Quattro giorni sono un tempo insopportabile per avere la giusta localizzazione dell’epicentro di un sisma… Che questa sezione periferica dell’INGV cerchi casa per sloggiare dalla zona rossa flegrea e un prima segnale di management operativo ma non basta. Si auspica che la prossima sede abbia una ubicazione maggiormente consona alle funzioni dell’ente e soprattutto alla carta di pericolosità regionale che è necessario valutare in anticipo. 

Nell’area flegrea attualmente vige la fase di attenzione. Un’attenzione che riguarda il mondo scientifico ma anche i cittadini che dovrebbero organizzarsi in senso familiare qualora gli eventi dovessero rendere necessario il passaggio alla fase di preallarme. Una fase operativa dove i cittadini sono i protagonisti ma non lo sanno…

I livelli di allerta vulcanica

Durante il preallarme infatti, la zona rossa verrebbe progressivamente presidiata dai soccorritori. Si provvederebbe poi alla evacuazione degli ospedali, delle case di cura, delle case circondariali e delle opere d’arti che verrebbero trasportate in luogo sicuro. In questa fase le famiglie che dispongono di una casa altrove e fuori dal perimetro a rischio, possono allontanarsi volontariamente, dopo aver comunicato alle autorità comunali il luogo di destinazione. In questo caso dovrebbero poter usufruire di un contributo di autonoma sistemazione. Chi va via però, non può ritornare nella zona rossa flegrea finché il livello di allerta non ritorni su attenzione. Questo vuol dire che potrebbero passare giorni, mesi se non anni: elemento non di poco conto da tenere in debita considerazione se ci si appoggia a parenti o amici.

Le uscite dalla zona rossa verrebbero regolamentate dai cancelli, che sono una sorta di posti di blocco. Lo stesso dicasi per gli ingressi, che sarebbero consentiti agli evacuati del preallarme solo in casi di effettiva necessità, avallati presumibilmente e in anticipo dagli uffici prefettizi in seno alla direzione di comando.

Chi all'occorrenza gradirà allontanarsi dalla zona rossa già nella fase arancione di preallarme, nel comune di domiciliazione dovrebbe poter ricevere tutta l’assistenza necessaria per gli adempimenti scolastici e anche sanitari e amministrativi e anagrafici e bancari o postali in ragione delle incertezze temporali legate proprio alla fase di preallarme. Per questo motivo si parla di opzione riservata soprattutto a chi ha la seconda casa… Tutto risolto? No! C’è un altro problema: cinque mesi fa il sindaco di Pozzuoli, Figliolia, organizzò una riunione con il capo dipartimento della protezione civile Angelo Borrelli. Tutti si aspettavano le solite rassicurazioni e le prese di distanza dagli allarmisti. Ebbene, Borrelli prese le distanze questa volta dai rassicuratori di professione… In merito all’incontro informativo sullo stato di attività dei Campi Flegrei, avvenuto martedì scorso, 15 novembre, a Pozzuoli presso la sede del Centro Operativo di protezione civile del Comune, è necessario sottolineare che i messaggi chiave emersi dalla riunione sono lontani dalla semplificazione “non ci sono rischi, rassicurata la popolazione”, così come riportato da alcuni organi di stampa. Perché questa precisazione? Lo si capisce al termine del comunicato: A questo proposito è utile sottolineare che, per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste.

Che significano queste parole? Intanto che la previsione dell’evento vulcanico nel flegreo come nel vesuviano e come a Ischia non ha certezze deterministiche nonostante che si dica che queste zone siano le più monitorate del mondo. Una teoria che è innanzitutto una verità, ed è anche la tesi sostenuta dal Prof. Mastrolorenzo (INGV-OV), che da anni sposa la linea di informare correttamente i cittadini pure se sussiste il blando rischio di allarmare. E poi con quest’affermazione cambiano i termini di responsabilità circa la tutela dei cittadini, responsabilità che passano dal mondo scientifico a quello amministrativo, e soprattutto in capo ai Sindaci che sono autorità locali di protezione civile.

Il Sindaco Figliolia ma anche De Magistris, dovrebbero confrontarsi con i cittadini nell’ambito di tavole rotonde sulla bontà dei piani di evacuazione, senza bisogno di interventi da parte di terzi, che servono poco fino a quando non ci saranno novità di ordine scientifico sulla previsione degli eventi vulcanici o sulle variazioni delle zone rosse.
In assenza di previsione infatti, la sicurezza a fronte delle catastrofi ricade in capo alle competenze dei primi cittadini, perché il pericolo eruttivo è ben localizzato e conosciuto negli effetti, come le zone rosse dove potrebbero abbattersi le fenomenologie vulcaniche più devastanti. La ricetta è andarsene via all’occorrenza gambe in spalla: siamo pronti con i piani di emergenza e di evacuazione? No! Con i gemellaggi? Neanche...
Zona rossa Campi Flegrei: carta dei gemellaggi