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sabato 23 settembre 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei - Col Prof. Mastrolorenzo i limiti della previsione eruttiva... di Malko

 

La Solfatara di Pozzuoli

I Campi Flegrei sono una vasta area calderica ubicata a ovest di Napoli: trattasi di un distretto classificato come sede di un super vulcano; da questo sito infatti, si potrebbero generare eruzioni di modesta intensità, ma anche con indici di esplosività notevoli, pur se quest’ultima eventualità è considerata dai matematici a bassa probabilità di accadimento. Nella fattispecie del discorso, un’eruzione pliniana viene data all'1% di probabilità per il Vesuvio e ai Campi Flegrei arriviamo al 4%...

statistica tipologia eruttiva Campi Flegrei


In seguito ad alcune riflessioni espresse dal Professor Giuseppe Mastrolorenzo su radio radicale, si è acceso sui media un dibattito sul rischio eruttivo nell’area flegrea. Secondo il famoso vulcanologo, non è possibile produrre con certezza una previsione di eruzione, così come non è possibile escludere taglie eruttive superiori agli scenari massimi prospettati (VEI4 n.d.r.), che metterebbero a dura prova la validità dei piani di emergenza. Ai meno esperti ricordiamo che il piano di emergenza vulcanica, nel caso del Vesuvio e dei Campi Flegrei, contempla un solo rischio che è quello eruttivo, con l’unica azione di tutela possibile consistente nell’evacuazione della zona rossa, cioè facendo in modo che si interponga per tempo una certa distanza tra il Pericolo vulcanico e il Valore Esposto. Quanto debba essere questa distanza, dipende dall’indice di esplosività vulcanica (VEI) assegnato all’eruzione di scenario: il piano di emergenza vulcanico allora, si condensa tutto nel piano di evacuazione. Per l’isola d’Ischia, mancano ancora gli scenari di pericolo…


La funzione schematica del piano di evacuazione. (d) dipende dall'indice di esplosività vulcanica (VEI).


La direttrice del dipartimento Vulcani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), con una intervista all'ANSA a proposito dei Campi Flegrei, ha ritenuto opportuno precisare quanto segue: <<...abbiamo potenziato l’infrastruttura di monitoraggio su più parametri… è inoltre costante sia lo sforzo di migliorare la sensibilità degli strumenti, sia il grande lavoro di analisi dei dati generati dagli strumenti, e chiunque abbia la possibilità di studiare i dati, si rende conto che questi danno un quadro reale della situazione>>.

In realtà pensiamo che il quadro non può essere mai reale al cento per cento, perché ci sono chilometri di spessori di crosta insondabili, con strumenti che analizzano fenomeni di superficie ed altri in profondità attraverso prospezioni indirette. L’esempio che meglio chiarisce le cose che vogliamo dire, è che ancora oggi non siamo in grado di distinguere le origini dei terremoti nel flegreo, che prevedono cause riconducibili al magma o agli acquiferi surriscaldati o da entrambi. La discriminazione causale in questo caso sarebbe stata importante... Siamo convinti che la strumentazione multi parametrica installata in loco aiuti molto la conoscenza dei complicati processi naturali che regolano la vita di un vulcano, purtuttavia le apparecchiature ultra tecnologiche sono in grado di garantire un’istantanea precisissima e aggiornatissima dei dati geofisici e geochimici, ma fino allo stop orario corrispondente al momento del clic strumentale. Questi dati poi, presumibilmente vengono cristallizzati per procedere a un’analisi teorica dello stato di turbolenza sotterranea del vulcano, confrontando gli elementi di monitoraggio raccolti con quelli di altre aree calderiche in altre aree geografiche del mondo, che hanno avuto una storia eruttiva recente e soprattutto documentata: da qui e con la comparazione, gli esperti tenterebbero di elaborare delle previsioni comprensibilmente probabilistiche.

La responsabile del dipartimento vulcani continua:<<Sulla base di questi dati, vengono poi elaborati modelli e scenari futuri, a breve, medio e lungo termine… Nei Campi Flegrei è perciò attiva una rete di monitoraggio complessa, affiancata da un sistema di analisi avanzate, tutti elementi che insieme sono fondamentali per individuare eventuali cambiamenti e per fornire gli elementi utili alla realizzazione di scenari di pericolosità>> …Dagli scenari dipendono i piani di evacuazione: questi ultimi sono basati sugli scenari che forniamo al dipartimento della Protezione Civile…>>.

Se non si precisano in mesi e anni i termini a breve, a medio e a lungo termine, non si chiariscono molto le argomentazioni addotte. Analizzando i dati che emergono dai monitoraggi assicurati dalle strumentazioni multi parametriche e dal sistema di analisi avanzate, riteniamo che gli unici scenari utilmente ponderabili e nella migliore delle ipotesi in chiave probabilistica, sono quelli nel breve e brevissimo termine. In altre parole, quello che serve alla popolazione è l’a previsione corta dei tempi d'attesa eruzione, perché potrebbe essere quella statisticamente più attendibile per evitare un falso allarme, o una probabilità d'errore molto alta nel medio periodo.

La storia eruttiva ai Campi Flegrei dovrebbe suggerire al sindaco di Pozzuoli di inibire l’ulteriore antropizzazione della caldera, perché ogni atto di edilizia residenziale, anche in chiave di sanatoria, è una mutua assunzione di responsabilità, perché espone con atto amministrativo un cittadino, una famiglia, all’azzardo vulcanico. Le stesse osservazioni valgono per il sindaco di Napoli (leggi Bagnoli), e dagli altri sindaci flegrei che si sono presentati recentemente dal ministro Nello Musumeci a chiedere fondi, chiamando in causa la sismicità lieve e moderata dettata dal bradisismo nella zona prevalentemente puteolana. Il rischio eruttivo non lo hanno evocato tanto: lo evitano come la dea miseria (Oizys), perché non porta opulenza e non rimpingua le casse…

Per quanto riguarda gli scenari di pericolosità, legati tra l’altro alla taglia eruttiva, proprio per non doverli inseguire attraverso esercizi complessi e complesse analisi puramente teoriche, dovrebbero essere contemplati nei piani di emergenza in una misura cautelativa e non come media mediata della magnitudo d’evento. Da un punto di vista tecnico, cautelativo significa in linea di principio adottare la massima eruzione conosciuta. Diversamente è misura cautelativa anche quella che adotta la massima energia da cui oggi è possibile verosimilmente difendersi. Quindi, in un regime democratico quale il nostro, la popolazione necessariamente dovrebbe essere informata sui limiti della scienza e non sui presunti miracoli della scienza, e ancora conoscere con certezza il livello di protezione garantiti dal mondo istituzionale con annesse impossibilità. Sarebbe auspicabile che le autorità di governo del territorio, in nome di una certa deontologia politica, iniziassero anche in nome dei posteri, a organizzare il territorio con progetti finalizzati a ridurre la presenza abitativa, favorendo poi il riordino urbanistico, soprattutto in chiave di resilienza e di sicurezza di territori invadibili dagli effetti deleteri di una possibile eruzione esplosiva. 

La ex direttrice dell’osservatorio vesuviano, continua la sua intervista chiarendo… :<<… Esiste, perciò, “un sistema organizzato “, nell’ambito del quale “una variazione del livello di allerta viene concordata con la Commissione Grandi Rischi”, in questo caso per il rischio vulcanico. Questo significa che “i piani di emergenza sono basati sull’idea che ci sia un cambio di livello di allerta prima dell’eruzione, conseguenza di una valutazione basata su dati scientifici”.

Leggiamo che i piani di emergenza sono basati sull’idea che ci sia il cambio dei livelli di allerta vulcanica basati su dati scientifici. D’altra parte ci sembra il caso di precisare che la commissione grandi rischi non concorda con terzi ma delibera in ambito assembleare interno il livello di allerta vulcanica da assegnare ai Campi Flegrei, attraverso un parere finale scritto. Il referente di vecchia e nuova nomina della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, è il Prof. Mauro Rosi, già referente del comitato tecnico scientifico del comune di Pozzuoli.  La Dottoressa Francesca Bianco è stata nominata componente della stessa commissione per l’INGV. Il livello di allerta vulcanica che caratterizza la caldera flegrea, nell’attualità è giallo: diciamo pure che è il livello più semplice da determinare e dichiarare.


La valutazione circa lo stato di unrest vulcanico, effettuata come detto dall’autorità scientifica attraverso l’analisi strumentale dei fattori geochimici e geofisici rilevati dall’osservatorio vesuviano, potrebbe fornire elementi utili per aggiornare la scala dei livelli di allerta vulcanica: anche in questo caso però, questa scala di sintesi, è di chiara matrice probabilistica. Infatti, attraverso il passaggio da un colore all’altro, si vuole indicare il progressivo acuirsi di fenomeni che, presumibilmente, potrebbero avvicinarsi a una ipotetica soglia preeruttiva ed eruttiva, ma senza alcuna certezza deterministica. Il problema è proprio questo, cioè non si conosce una soglia oltre la quale il vulcano potrebbe dirompere da una o più bocche; non c’è un pregresso ben documentato dei sintomi preeruttivi dei vulcani flegrei, atteso che l’ultima eruzione risale al 1538: un periodo dove le osservazioni erano sostanzialmente limitate al macroscopico e percepite direttamente dai sensi dagli occasionali osservatori. D’altra parte non c’è neanche una soglia fisica oltre la quale il rigonfiamento del bradisismo potrebbe sfociare in una manifestazione eruttiva o freatica. Il bradisismo, da molti inteso come fenomeno a sé stante rispetto al rischio eruttivo, non ha una scala autonoma di pericolosità che accompagni il fenomeno nella sua ascesa o discesa. Il danno statico dettabile dalla micro sismicità in genere è lieve fuori da momenti preeruttivi e eruttivi; con l’attuale equidistanza delle isoipse e la velocità d’innalzamento del terreno, non dovrebbero esserci per il momento complicazioni per l’edificato esistente, soprattutto se non sono edifici di vecchia fattura e mal manutenuti. Una forte e improvvisa accelerazione dei suoli in ascesa, potrebbe far aumentare la pericolosità dell’area non solo dal punto di vista sismico e bradisismico, ma anche e soprattutto vulcanico eruttivo magmatico o freatico.

Per poter passare da un livello di allerta all’altro, sia in forma anterograda che retrograda, non esistono tempi di attesa predefiniti. Se esistessero (e una volta esistevano), avremmo la previsione d’eruzione. In realtà non ci sono neanche valori minimi predefiniti, al cui raggiungimento sarebbe possibile dichiarare lo stato di preallarme o allarme scientifico. Allora lo stato di preallarme o allarme, sono condizioni conclusive a cui pervengono i componenti della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, dopo colloqui e disanima dei dati di monitoraggio e consulenze assicurate dai cosiddetti centri di competenza. Bisogna anche contemplare il possibile salto di allerta da attenzione ad allarme...

livelli di allerta vulcanica


Deve essere anche chiaro che non c’è un automatismo per il quale alla dichiarazione dello stato di preallarme scientifico (livelli), corrisponda immediatamente la fase di preallarme civile (fase). Alla dichiarazione dello stato di preallarme scientifico infatti, dovrà corrispondere una decisione del presidente del consiglio che vaglierà la situazione da tutti i punti di vista prima di dichiarare lo stato di preallarme generalizzato. In linea di principio, anche se venisse sancito a cura della commissione grandi rischi il preallarme, in assenza di una decisione governativa si permarrebbe, nel caso del flegreo, ancora in una condizione di attenzione.

fasi operative


Approfittando della cortese disponibilità del Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’INGV, gli rivolgiamo alcune domande che l'esperto ci ha anticipato che per tempo saranno trattate in modo necessariamente sintetico: Professor Mastrolorenzo, dal flegreo segnale di prossima eruzione

Purtroppo non lo sappiamo, in quanto, eccetto le generiche informazioni riportate nelle cronache storiche sull'eruzione di Monte Nuovo del 1538, non abbiamo alcuna esperienza su come si preannuncia un'eruzione nei Campi Flegrei, e solo qualche debole esperienza ci perviene da eruzioni da caldere in altre aree del pianeta. Ma ogni sistema ha caratteristiche singolari, ed è molto azzardata la comparazione tra aree vulcaniche diverse.

È possibile ritenere che, con strumentazioni sofisticate, sia possibile prevedere eruzioni vulcaniche e conoscere in anticipo la taglia eruttiva?

I limiti nella prevedibilità di una eruzione non sono semplicemente tecnologici, e quindi non possono essere superati semplicemente dal miglioramento delle tecnologie di monitoraggio. Il sistema vulcanico è un sistema complesso con moltissime variabili, tra loro interconnesse, che solo in parte riusciamo a seguire e con relazioni tra loro scarsamente conosciute. In tale sistema, anche la minima variazione di un parametro, magari non rilevabile, può innescare l'eruzione. Di fatto, per la fisica i sistemi complessi sono intrinsecamente imprevedibili, ma al più possono essere descritti nella loro evoluzione attraverso l'osservazione.

Come spesso dico, anche il più avanzato dei sistemi di monitoraggio, può rivelarci le modificazioni dei parametri monitorati fino a una frazione di secondo fa, ma non può consentirci di prevedere quello che avverrà nella prossima frazione di secondo, né quanto siamo prossimi a condizioni critiche del sistema che possono portare ad una eruzione.

L'illusione che non va indotta nella popolazione, è quella che il monitoraggio vulcanico, sia anche lontanamente confrontabile con quello meteorologico, che ci consente di prevedere come sarà il tempo nei prossimi giorni con ragionevole affidabilità. Nel caso del sistema vulcanico, oltre i dati rilevati, si entra nel complesso ambito delle interpretazioni, attraverso modelli e ipotesi, spesso tra loro contrastanti. In linea di massima quello che possono rilevare le strumentazioni sono variazioni drastiche dei parametri monitorati, primi tra tutti, sismicità, deformazioni del suolo e variazione di composizione e flusso di gas alle fumarole. Purtroppo, per i Campi Flegrei, anche eventuali drastiche modificazioni non necessariamente indicano l'imminenza di una eruzione, ma trasferiscono la decisione in merito a valutazioni su base di modelli e soprattutto a scelte politiche in merito alla minimizzazione dei rischi, magari anche assumendosi l'onere di falsi allarmi. La realtà è che non essendo note soglie critiche per il passaggio dallo stato non eruttivo a quello eruttivo, la valutazione sulla possibile imminenza di una eruzione può essere solo basata su valutazioni personali degli scienziati membri della Commissione Grandi Rischi.

Gli strumenti multi parametrici consentono di prevedere una eruzione freatica?

Sulla prevedibilità delle esplosioni freatiche, c'è davvero pochissima esperienza.

È probabile che l'esplosione sia preceduta da modesta deformazione della superficie e/o intensificazione di emissione di fluidi, con modeste manifestazioni di micro sismicità, ma in generale, le esplosioni freatiche sono processi apparentemente improvvisi, dovuti alla più o meno rapida pressurizzazione di fluidi in diversi contesti che comprendono aree geotermiche, condotti vulcanici, in assenza di magma, o zone di contatto fra intrusioni magmatiche e rocce  fratturate e porose più o meno sature di fluidi.

 A quanti chilometri nel sottosuolo c’è il famoso "lago di magma"?

Gli studi condotti da me e da altri colleghi su base magmatologica e petrografica, indicano la presenza di un possibile esteso sill (strato orizzontale di magma), con tetto intorno ai 7 chilometri di profondità. Questa evidenza è in buon accordo con gli studi di tomografia sismica condotti nell'area.

È opportuno precisare che una possibile eruzione non implica la risalita in massa del magma verso la superficie, ma il collegamento fra il magma profondo e la superficie, attraverso un condotto che, almeno nelle fasi iniziali, consisterebbe in una frattura nella crosta della larghezza di pochi metri difficilmente rilevabile dalla superficie. Tale frattura potrebbe non produrre deformazioni significative e la cui sismicità potrebbe essere associata, almeno nei primi momenti, a un'ordinaria fase bradisismica. Solo successivamente questa frattura si evolverebbe in un condotto eruttivo della larghezza di qualche decina di metri.

Nei Campi Flegrei vige il rischio sismico, bradisismico ed eruttivo: quale dobbiamo maggiormente temere?

Certamente il rischio vulcanico è quello più temibile nei Campi Flegrei, e infatti proprio su tale rischio è stato formulato il piano di emergenza nazionale. I Campi Flegrei sono senz'altro l'area vulcanica a più alto rischio al mondo per la possibilità che si possano verificare eruzioni esplosive anche di grande portata in un ambito ad elevatissima urbanizzazione all'interno della caldera, e in una estesa area intorno alla zona di possibile apertura di bocche eruttive. Benché sussista un rischio sismico associato alle crisi bradisismiche, la magnitudo massima attesa è modesta per l'impossibilità del sottosuolo di accumulare elevati livelli di stress, contrariamente a quanto avviene, ad esempio, nella dorsale appenninica. È evidente comunque che scosse della massima magnitudo attesa, verosimilmente di poco superiore al 4 grado Richter, data la bassa profondità ipocentrale possano causare danneggiamento maggiori nell'area epicentrale.

Una evacuazione con eruzione in corso è pura fantascienza o bisogna contemplarla come realpolitik emergenziale?

Nella storia delle comunità residenti in aree vulcaniche attive, l'evacuazione in corso di eruzione è stata la norma, basta pensare a Pompei, dove nell'eruzione pliniana del 79 d.C. pur non sapendo di vivere su un vulcano attivo e pericoloso, riuscì a salvarsi verosimilmente tra l'80 e il 90 ٪ della popolazione residente.

L'eruzione non è un disastro "istantaneo " come un'esplosione nucleare, ma un processo progressivo nel quale, in generale, almeno nelle prime ore, è possibile spostarsi verso zone sicure, in presenza di adeguate vie di fuga e di rapide decisioni operative.

Di fatto, quella dell'evacuazione in corso di eruzione è una eventualità grave, ma assolutamente da contemplare, a causa della possibilità di un mancato allarme, derivante dalla comprensibile sottovalutazione di precursori di modesta entità, o per processi profondi, purtroppo poco rilevabili. Per un'eventuale evacuazione in corso di eruzione, è necessaria la presenza di adeguate via di fuga, sistemi di allertamento, esercitazioni estese a tutta la collettività e informazione continua e dettagliate e aggiornate sui percorsi.

I piani di evacuazione basati sull’idea di una mutazione dei livelli di allerta vulcanica dichiarabili dalla commissione grandi rischi, hanno una loro gradualità che garantisce il preallarme prima dell’eruzione?

L'ipotesi della gradualità del processo di evoluzione da uno stato pre-eruttivo ad uno eruttivo, è senz'altro ragionevole. Restano imprevedibili però, per quanto già detto sui sistemi complessi, i tempi e le modalità di transizione tra i diversi stati. Particolarmente, per una caldera come quella dei Campi Flegrei, nella quale l'esteso sistema idrotermale che costituisce gli ultimi chilometri più superficiali, per certi versi amplifica e per altri maschera la dinamica più profonda.

Di fatto, differentemente dal passaggio al livello giallo, quelli a livello arancione e a livello rosso, proprio per le scarse conoscenze sul sistema vulcanico, non sono basati su soglie ben definite, e saranno decisi sulla base di valutazioni da parte della Commissione Grandi Rischi sulla base dei dati di monitoraggio, e quindi, su un processo di interpretazione basato sulle conoscenze individuali dei singoli membri, su un processo di fatto mai osservato prima e solo qualitativamente comparabile con le scarse esperienze di eruzioni in caldere monitorate, avvenute in altre aree mondiali 

Nel concludere questo articolo ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per la disponibilità assicurataci.

Difficilmente ai cittadini di quest’area possono pervenire messaggi di rassicurazione o di allarme perché non ci sono elementi per acclarare una delle due condizioni. Rubando qualcosa all’emergenza covid, probabilmente bisogna mantenere uno stato di vigile attesa nei momenti topici, avendo ben presente il fatto che i problemi di sicurezza, e quelli operativi e preventivi non si possono risolvere affrontandoli quando il problema o il pericolo si presenta… Certamente non ci si abitua ai sommovimenti sismici, soprattutto perché non si capisce quale piega possono prendere. Neanche la storia pregressa dei Campi Flegrei ci viene in aiuto, perché ci sono state manifestazioni inquadrabili come preeruttive poi scemate, ed altre come quelle del 1538 concretizzatesi con l’eruzione di Monte Nuovo. L’unica certezza che abbiamo è che sono 485 anni che non si verificano eruzioni. Il dato però, anche in questo caso, può essere incoraggiante o scoraggiante…

I piani di evacuazione fin qui elaborati per il rischio eruttivo ai Campi Flegrei, sembrano aritmetici, con un'efficacia difficilmente dimostrabile, soprattutto perché gli strateghi pensano di contare su un’ampia fase di preallarme con buona parte della popolazione che andrebbe via ordinatamente alleggerendo numericamente l'esodo finale. Non è da escludere questa possibilità così come non v'è certezza che tale risultato sia conseguibile...Come ha detto la responsabile del dipartimento vulcani, i piani di emergenza sono basati sull’idea che ci sia un cambio di livello di allerta prima dell’eruzione, da sancire attraverso valutazioni scientifiche. Il nostro pensiero allora torna indietro al 21 agosto 2017, quando col terremoto di Ischia, tra l’altro escluso pochi mesi prima proprio dal mondo scientifico, furono necessarie 96 ore per individuare l’ipocentro esatto del terremoto, con grande ira del fu presidente Boschi che l'ipocentro l'aveva calcolato subito e a mano… il piano di evacuazione del flegreo, è appena il caso di ricordarlo, è tarato su 72 ore.



mercoledì 10 maggio 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la caldera dei forse... di Malko

 

Nisida

Nei Campi Flegrei c’è timore per un certo intensificarsi degli eventi bradisismici e sismici con qualche evento in più e più avvertibile dalla popolazione, soprattutto nel comune di Pozzuoli che rimane il fulcro dell’unrest vulcanico. I responsabili regionali e nazionali della protezione civile, hanno sempre detto che non bisogna mai immaginare una situazione in cui si fugge con alle spalle l’eruzione che ci insegue… Premesso che i medesimi accedono alle notizie oltre “porte chiuse” rilasciate dalla commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, bisognerà, a prescindere, dargli credito. D’altra parte l’alternativa che rimane è avere una borsa pronta dietro la porta, in modo da prendere il largo nel momento in cui la nostra percezione segnala pericolo, con o senza il parere illuminato delle istituzioni competenti. Questo vale soprattutto per chi ha una casa grande o piccola al mare o in montagna o in campagna. Diversamente, bisognerà attendere la prima chiama del pre - allarme, dove lo Stato, per chi decide di andarsene prima dell'allarme generale, assicurerebbe con una tempistica sconosciuta, un contributo di autonoma sistemazione.

Il dato che purtroppo regna inequivocabilmente sovrano, è che siamo di fronte alla geologia dei forse… Forse il bradisismo è l’antefatto dell’eruzione; forse il sollevamento del suolo è strettamente legato agli acquiferi surriscaldati; forse è il magma che sale; forse la verità sta nel mezzo col magma che s’intrufola verso l’alto e l’acqua che scende in abundantia sfruttando le nuove fratturazioni nel basamento crostale locale: tutto è possibile, quindi nulla è certo.

A fronte dei forse, c’è la certezza che bisognerà fare il possibile per andare via prima dell’eruzione, magari improvvidamente rimanendo impegolati in un falso allarme. Guai a criticare il falso allarme però, perché è sempre meglio del mancato allarme. L’ideale sarebbe una previsione che anticipi almeno di tre giorni l’insorgenza di una eruzione: nulla ci porta ad escludere questo tipo di successo previsionale che all’occorrenza si auspica.

Il piano di emergenza e quindi di evacuazione, è stato da qualche mese aggiornato e le autorità di protezione civile si sono assunte l’impegno di spiegare alle popolazioni insediate nella caldera, cosa è cambiato di questo piano, e quali sono le istruzioni attuali per allontanarsi dal pericolo eruttivo attraverso nuovi percorsi.

I dirigenti Luigi D'angelo del DPC e Italo Giulivo della Regione Campania 

Quello che invece ci sembra strano da parte della commissione grandi rischi, e che, pur costituita da scienziati di alto livello, pur avendo per funzioni competenze anche dal punto di vista della prevenzione delle catastrofi, nessuno di loro apre bocca sulla mancata istituzione del divieto di costruire in senso residenziale nella zona rossa dei Campi Flegrei. Nel vesuviano si ebbe il coraggio di varare una legge anti cemento: la legge regionale 21/2003 a firma di Bassolino, che vieta qualsiasi costruzione ad uso abitativo nella zona rossa, per non incrementare il valore esposto in un ambito territoriale ad alta pericolosità vulcanica. Fu chiaro sull’argomento un ex assessore regionale alla protezione civile, noto ingegnere, che seguì l'asimmetrico allargamento amministrativo della zona rossa Vesuvio, che non ci sembra di totale garanzia per tutti. Questi disse che per rendere applicabili nei Campi Flegrei i disposti già varati per la zona rossa Vesuvio con la legge 21/2003, non bastava agire richiamando per similitudine la classificazione di territori ad alta pericolosità vulcanica per imporre divieti, bensì occorreva una legge ex novo mirata e ad vulcano… Nel frattempo, nel comune di Pozzuoli pare si licenzino sanatorie edilizie corredate dalle ricevute degli oboli versati, e da perizie tecniche attestanti che la costruzione da sanare non guasta il panorama ed è antisismica.  Una bella garanzia quella ottenuta con ferro e calcestruzzo, che non soddisfa però, tutte le esigenze di protezione connesse ad una zona vulcanica con abitati che saranno pure antisismici, ma posizionati all’interno della caldera del super vulcano, in mezzo a una quarantina di bocche monogeniche.

Occorre dire che la resistenza strutturale dei fabbricati alle sollecitazioni orizzontali e verticali provenienti dal sottosuolo, è molto importante in un’area sismica, ma la loro utilità non è onnicomprensiva, e cessa nel momento in cui si presenta l'evento eruttivo. Infatti, nei Campi Flegrei si temono, nel corso di una possibile eruzione, la formazione di nubi ardenti. Questo fenomeno insito nelle eruzioni esplosive, consiste in un flusso di gas e materiale magmatico di svariate misure espulse dal vulcano, che avanza anche per chilometri con una temperatura globale dell’ammasso che oscilla intorno ai 500° Celsius. Di conseguenza, la costruzione antisismica ci difende sì dalle scosse litosferiche, ma non da quei fattori dinamici e termici che rappresentano il pericolo principale legato alle nubi ardenti.  I trecento ercolanesi che trovarono rifugio in un magazzeno sulla spiaggia per proteggersi dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. furono raggiunti dalle nubi ardenti, che determinarono l’immediata evaporazione dei fluidi corporei e in più di qualche caso l’esplosione dei crani.

In caso di minaccia eruttiva allora, occorrerebbe proteggersi allontanandosi dall'area in anticipo sulle dirompenze ed è la migliore delle soluzioni; nell'impossibilità, occorrerebbe proteggersi in un bunker dal profilo aerodinamico arrotondato e chiuso sul fronte vulcano: una piccola apertura dal lato opposto per verificare se sussistono le condizioni per un cessato allarme. Fu proprio una costruzione simile, una prigione semi interrata, che salvò dagli effetti delle colate piroclastiche del vulcano la Pelèe in Martinica, il condannato Augusto Ciparis, anche se si ustionò gravemente.  I suoi 30.000 concittadini morirono tutti. Intanto pur volendo non possiamo cogliere il suggerimento che ci proviene dalla storia di Ciparis, in quanto non siamo in grado di determinare in anticipo che orientamento dare al bunker, perché nella caldera flegrea non c’è la certezza sul dove possa generarsi il punto eruttivo. Circa 3800 anni fa, in questo distretto, e non è stata l'unica volta, si aprirono due bocche eruttive a 5,4 chilometri di distanza l’una dall’altra: una pluralità che assomma i problemi ai forse.

I vulnus che accompagnano il piano di emergenza vulcanica ai Campi Flegrei, sono da ricercarsi pure nella mancata determinazione della zona rossa 2, cioè quella fuori portata delle nubi ardenti, ma in piena vulnerabilità alla pioggia di cenere e lapilli.

Zona Rossa 1: Nubi ardenti - Zona rossa 2: pioggia intensa cenere e lapilli -
Zona gialla: pioggia di cenere e lapilli.

Premesso che anche per i Campi Flegrei i venti dominanti in quota spirano generalmente verso est, tutto ciò che sta oltre la collina di Posillipo e per diversi chilometri, quindi parliamo di alcuni quartieri storici di Napoli, potrebbero essere "bombardati" massicciamente dai prodotti piroclastici sciolti emessi dalla o dalle bocche eruttive. I problemi dettati dalla cenere e dai lapilli, potrebbero essere molto seri intanto per i cittadini esposti che avrebbero necessità di ripararsi subito, e poi per alcune infrastrutture come il porto e la stazione ferroviaria centrale e l'aeroporto di Capodichino per dirne qualcuna, che andrebbero in tilt. Anche i palazzi sarebbero pericolosamente esposti, soprattutto quelli con carenze strutturali e tetti piani. Il pericolo avrebbe una sua intensità rapportata alla posizione del punto eruttivo e dalla taglia del fenomeno così come la direzione dei venti predominanti che soffieranno sui Campi Flegrei nel momento dell’insorgere del fenomeno, segnando i territori a rischio.

Ci sembra opportuno chiedere un parere al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore all'Osservatorio Vesuviano, che ringraziamo per il contributo.
Professore: il sottosuolo Flegreo è un concentrato di forse?

E' proprio così! Come evidenzio da anni, a fronte di raffinati modelli e interpretazione dei dati rilevati dai sistemi di monitoraggio e dagli studi vulcanologici e magmatologici, non disponiamo di alcuna certezza sull'assetto profondo e superficiale del sistema vulcanico dei Campi Flegrei, sulla sua possibile evoluzione e sui processi che possono condurre ad una eruzione. Il sistema vulcanico è intrinsecamente un sistema complesso, e come tale è un sistema imprevedibile.

Di fatto, anche se conoscessimo i valori di tutte le possibili variabili responsabili dell'evoluzione del sistema, non saremmo comunque in grado di prevedere un'eruzione; in realtà, a fronte dei notevoli sviluppi della ricerca, le nostre conoscenze sono ancora estremamente limitate, e la comunità scientifica dovrebbe segnalarlo.

I limiti della scienza dovrebbero essere sempre dichiarati alle collettività esposte a rischi, nel nostro caso eruttivo, per non indurle nell'infondata e pericolosa convinzione, che i vulcanologi conoscano adeguatamente lo stato del sistema e le sue modalità di evoluzione verso un'eruzione, analogamente a quello che succede in meteorologia, con gli esperti  che riescono il più delle volte a descrivere e prevedere il tempo atmosferico.

Per i Campi Flegrei, a parte le generiche descrizioni dell'eruzione del Monte Nuovo del 1538, non disponiamo di alcuna esperienza riguardo gli eventi eruttivi ed i fenomeni che li hanno preceduti, contrariamente ad altri contesti vulcanici come l'Etna o lo Stromboli.

Per l'estrema, possibile variabilità dei processi responsabili di un evento eruttivo, anche se disponessimo di dettagliate osservazioni su decine di eventi, la previsione risulterebbe comunque inaffidabile. Di fatto, come osservato in numerose eruzioni verificatesi nel mondo negli ultimi decenni, i successi nella previsione degli eventi, sia in termini temporali di tipologia e di scala, così come gli effetti associati, sono risultati scarsi. Le conseguenze sono state fughe disperate ed estensione delle zone rosse in corso di eruzione, come successe durante l'eruzione del Monte Merapi nel 2010. Piani di emergenza accurati ed esercitazioni con il coinvolgimento della popolazione, ci sembra al momento la strada da perseguire  per mitigare il rischio.

Ringraziamo il Professor Mastrolorenzo. 






giovedì 23 maggio 2013

Rischio Vesuvio parte prima: ...di Malko



"Rischio Vesuvio parte prima" di MalKo 

Nel mese di ottobre 2008, due jet militari attraversarono il cielo di Napoli superando la barriera del suono. Procurarono un “bang” che preoccupò non poco gli abitanti dell’area vesuviana. Come si sa, infatti, in questi luoghi sussiste un rischio tutt'altro secondario dettato dall’arcinoto vulcano Vesuvio. Nell’agosto 2007 si agitò invece il mondo istituzionale e scientifico per un articolo apparso sulla nota rivista National Geographic. Sull’importante mensile furono riportate le conclusioni di uno studio condotto da alcuni ricercatori italiani e stranieri, tra cui il prof. Giuseppe Mastrolorenzo dell’Osservatorio Vesuviano (INGV).
Gli autori nel pubblicare i risultati delle ricerche, evidenziarono che un’eventuale ripresa eruttiva del Vesuvio poteva anche presentarsi con una tipologia pliniana di tipo Avellino. In questo casola città di Napoli non poteva ritenersi indenne e al riparo da ogni sorta di pericolo proveniente dal vulcano.
E’ chiaro che chi sostiene questa tesi indirettamente e a tergo della disquisizione scientifica, mette in discussione la presunta pianificazione nazionale delle emergenze, che non ha mai considerato la metropoli partenopea come un possibile bersaglio di un’eruzione, se non marginalmente.
Il Dipartimento della Protezione Civile reagì piccatamente all’articolo, perché lo scenario eruttivo adottato dal medesimo dicastero per la stesura dei piani d’emergenza, è di tipo subpliniano (1631): intenso negli effetti con sconvolgimenti notevoli della plaga vesuviana, ma senza interessare l’area cittadina di Napoli.
Il Vesuvio, lo ricordiamo, nella sua storia geologica annovera manifestazioni di vario tipo, oscillanti tra la colata di lava pittoresca e l’eruzione catastrofica caratterizzata dalle temibili nubi ardenti.
Purtroppo non sempre è possibile prevedere con larghissimo anticipo il momento del risveglio di un vulcano quiescente, così come il tipo di eruzione che, nel caso del Vesuvio, potrebbe variare di molto con sostanziali differenze energetiche e quindi di pericolo.
I vulcani in genere manifestano tutta una serie di sintomi prima di produrre un’eruzione, e questi sintomi riescono il più delle volte a essere colti sul nascere, specialmente se la vigilanza è effettuata continuamente e con moderne tecnologie, come nel nostro caso.
Nel merito delle ipotesi che si formulano sul Vesuvio, su quella che potrebbe essere la prossima eruzione, tutte le tesi che a più riprese si prospettano, trovano alla fine uguale dignità, perché non esistono certezze matematiche e incontrovertibili in materia.
Sarà la stessa eruzione (chissà quando), che dirà chi ha ragione dal punto di vista statistico/previsionistico. Un noto vulcanologo in un’intervista, saggiamente affermò che i segni premonitori di un’eruzione del Vesuvio si riconosceranno e si coglieranno tutti, ma dopo l’eruzione…
La disputa scientifica è principalmente sul tipo d’eruzione, perché quando questa si manifesterà (previsione lunga), nessuno è in gradi di dirlo.
Nella pianificazione (bozza) nazionale d’emergenza dell’area vesuviana pubblicata nel 1995, si rimarcava un notevole ottimismo circa la previsione corta (avvisaglia) del fenomeno. Sette giorni di tempo per allontanarsi, su un totale di venti a disposizione. Nella revisione del piano datata 2001 si conferma la settimana. Oggi, alcune anticipazioni di stampa riferiscono che il piano d’emergenza in corso di elaborazione sancisce l’evacuazione complessiva della zona rossa in tre giorni. Nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 20 del 26 aprile 2004, si auspica un’evacuazione in quarantotto ore.
Il direttore della scuola regionale di protezione civile della Campania, in un articolo pubblicato sul corriere del mezzogiorno del 9 ottobre 2008, ebbe a dire che nel giro di due mesi il nuovo e definitivo piano d’emergenza per l’area vesuviana, messo a punto con i tecnici del dipartimento della protezione civile, vedrà finalmente la luce. Al momento si costata un anno di ritardo nella pubblicazione. Un ritardo relativo in verità, perché non è di mesi che si parla ma di anni, visto che la commissione incaricata di redigere questo famoso piano si insediò nel 1993. Dopo sedici anni quindi, siamo ancora fermi sui propositi e in attesa di una programmazione d’emergenza che abbia una valenza operativa.
E’ abbastanza chiaro alla fine, che, qualsiasi piano d’emergenza per l’area vesuviana, dovrà essere elaborato sulla scorta della previsione corta del fenomeno. Ed è proprio qui il problema, perché non è possibile eludere il limite: si pianifica prevedendo di prevedere… I piani di emergenza pertanto, dovranno basarsi sulla previsione della previsione. Non è un demerito nostrano, ma un limite oggettivo della ricerca in questo campo.
Il piano d’emergenza (evacuazione) da mettere a punto per fronteggiare il rischio Vesuvio, in termini di prevenzione rappresenta la mediazione tra due impossibilità: una è quella di spostare il Vesuvio (pericolo) o renderlo perennemente quiescente, e l’altra di spostare i seicentomila abitanti (valore esposto) dalla zona rossa. La seconda via, come s’intuisce, potrebbe essere maggiormente percorribile soprattutto se parliamo di una sostanziale riduzione del numero di abitanti (non occorre desertificare l’area); è inteso in questo caso, che l’attuazione di un siffatto piano di delocalizzazione probabilmente contemplerà tempi lunghissimi misurabili in molti decenni. Il problema grosso però, è trovare accordi politici e amministratori capaci di pianificare ben oltre il loro mandato elettorale…
(continua…)