Translate

Visualizzazione post con etichetta piano d'emergenza vesuvio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta piano d'emergenza vesuvio. Mostra tutti i post

martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio: zone e pericoli...di Malko



Ad analizzare con attenzione la nuova “scenografia” dell’area vesuviana, si capisce che non c’è stata alcuna rivoluzione copernicana su quello che già si sapeva a proposito del rischio Vesuvio e dei suoi fenomeni. La vera novità è l’introduzione della black line che ha delimitato, bisogna rilevare con grande assunzione di responsabilità, due confini ovvero due zone a diversa pericolosità:
R1 – si estende dal cono vulcanico fino alla linea nera. Il territorio così classificato è quello esposto ai temibili e distruttivi flussi piroclastici con annessa massiccia ricaduta di cenere, lapilli e bombe vulcaniche;
R2 – corona non circolare che si estende oltre la black line e fino ai confini amministrativi dei comuni periferici della nuova zona rossa. Quest’area è soggetta al fenomeno di ricaduta dei prodotti piroclastici in una quantità tale, che in alcuni punti può causare problemi statici alla tenuta dei tetti che potrebbero sprofondare sotto il peso dei materiali accumulati. Il sovraccarico sulle coperture potrebbe rendere le strutture particolarmente vulnerabili alle sollecitazioni sismiche.
Nella zona rossa (R1+R2), ai problemi già accennati in precedenza a proposito delle nubi ardenti, bisognerà  tenere in debito conto anche il problema di ripararsi il capo dai proietti e, a causa di ceneri e polveri in sospensione, affrontare le difficoltà di respirazione e di avanzamento a piedi tra gli ammassi di cenere e lapilli, perché  i motori e anche le apparecchiature elettriche ed elettroniche andrebbero molto probabilmente in tilt.
La pioggia di piroclastiti oltre il confine della R2, cioè in zona gialla (ZG), in figura non definita, pur in una quantità minore rispetto alla zona rossa, potrebbe creare comunque disagi anche di una certa importanza alla popolazione, in una misura però, dipendente dalla distanza dal vulcano e dalla posizione geografica che potrebbe essere in linea con i venti dominanti e sottovento al centro eruttivo.
La zona gialla comprende, stornando le municipalità passate in zona rossa, 89 comuni: 28 della provincia di Napoli; 40 della provincia di Avellino; 20 del salernitano e 1 della provincia di Benevento, esattamente Pannarano.
A nord del Vesuvio, al di là della zona rossa e comunque in zona gialla, abbiamo anche la zona blu, che si riconosce nella cosiddetta conca di Nola, composta da quattordici comuni esposti al rischio non trascurabile di inondazioni e alluvionamenti (ZB).
Le tre zone a rischio Vesuvio: la linea rossa  a ridosso della zona rossa rappresenta l'allargamento attuale della zona rossa
E’ possibile già da questi scenari proposti e relativa mappatura dei territori, procedere con delle riflessioni. Innanzitutto è del tutto evidente che alcuni comuni come quello di PorticiErcolano e Torre del Greco, tanto per focalizzare l’attenzione sulla fascia costiera, a prescindere dal tipo di evento eruttivo, sia esso ad altissima, media o bassa frequenza di accadimento, rientrano comunque e pienamente nel settore a rischio principale (entro la black line).  Quindi, non c’è un solo angolo di questi comuni che possa ritenersi al sicuro dai fenomeni vulcanici ordinari comprese le colate piroclastiche.  Queste cittadine poi, hanno dalla loro la caratteristica di essere strette tra mare e vulcano e di avere territori affollatissimi. Torre del greco a guardare le cifre, ha più abitanti della città di Caserta. Le città di Portici ed Ercolano inoltre, annoverano ognuna quasi lo stesso numero di residenti di Avellino che è un capoluogo di provincia. Portici ha anche il record della densità abitativa che raggiunge le dodicimila unità a chilometro quadrato, costituendo un vero guinness da primato in Italia e piazzandosi tra i primi posti anche nella classifica Europea, seguita subito dopo da San Giorgio a Cremano.
Senza entrare nella paccottiglia di studi accademici sulla viabilità che trovano scarsi riscontri pratici, da notare che in caso di emergenza vulcanica i cittadini di Portici e quelli di Ercolano, dovranno allontanarsi dal vesuviano in contemporanea e attraverso un unico casello disponibile per l’ingresso sull’autostrada A3 Napoli-Salerno. Fino a un anno fa ne erano due e indipendenti.  Immaginate quindi due città come Avellino che imboccano una rotatoria attraverso una carreggiata a due corsie a doppio senso di circolazione con tutta l’adrenalina disponibile in circolo nel corpo …perché in questi casi non contano i tre giorni a disposizione come recitano e assicurano i previsori, ci si muoverà contando i minuti nella gara del chi fa prima a mettersi in salvo.
Il Prefetto Pasquale Manzo, commissario prefettizio di Portici, potrebbe farsi promotore di un appello verso i vertici di Autostrade Meridionali, acchè lascino usufruibile per i soli fini di emergenza il vecchio casello d’ingresso A3 in direzione Napoli, se non già eliminato. Sarebbe un grande passo in avanti verso l’exit strategy dall’agglomerato ultra urbanizzato in favore di una popolazione stipata come sardine.

Altri comuni ancora sono tagliuzzati dalla linea nera con differenziazione del pericolo nello stesso ambito comunale; succede principalmente a Somma VesuvianaSant’AnastasiaBoscorealePompei Torre Annunziata.
Napoli, ScafatiPoggiomarino,Palma Campania, San Gennaro Vesuviano e Nola invece, in via del tutto eccezionale e con placet regionale, possono rimaneggiare la linea rossa, cioè spostarla dai confini amministrativi…passarsela sul capo e  riportarla addirittura a  ridosso della black line.  Entro il 31 marzo2013 queste amministrazioni new entry per chiedere la riperimetrazione della zona rossa dovranno dimostrare di avere tetti rinforzati o a spiovente nei settori indicati a rischio di accumulo dei prodotti eruttati. Dovranno pure presentare un piano di evacuazione zonale per far scavalcare a un po’ di residenti la linea nera e rossa così modificata. Almeno così ci è sembrato di capire dall’escamotage tutto politico e poco tecnico messo in campo dagli esperti non solo regionali riuniti in conclave.
Che succederà se non saranno dimostrati e rispettate entro tale data le due clausole per la ridefinizione della linea rossa? L’Ing. Edoardo Cosenza consentirà a questi comuni lo spostamento della perimetrazione sulla parola? E i cittadini che hanno i tetti resistenti o a spiovente in zona R2, che dovranno fare con precisione: spostarsi un po’ più lontano in caso di eruzione o andare via dall’area vulcanica? Lo sapremo presto… Intanto e per inciso, dai cassetti del dipartimento della protezione civile ancora non salta fuori il piano d’emergenza Vesuvio che tutti cercano ma nessuno trova.
Nella conta dei problemi bisogna annoverare come detto pure quattordici comuni dell’hinterland partenopeo, a iniziare da Nola e Acerra che dovrebbero organizzarsi soprattutto in termini di prevenzione, per adeguare il loro territorio al rischio non solo di precipitazioni piroclastiche, ma anche a quello di alluvionamento, per le copiose piogge che potrebbero scatenarsi in seno all’eruzione, con possibili formazioni di torrenti di fango. Narrano le cronache, che nel corso dell’eruzione del 1631 (EMA), in quel di MariglianoCicciano e Cisterna, le acque dilagarono oltre i tre metri d’altezza…non senza danno per la vita umana.
Tra le curiosità di questa mappatura risalta il comune di Nola, che dalla sua ha la caratteristica di presentare un territorio flagellabile da tutti e quattro i rischi legati alle fenomenologie eruttive del Vesuvio. Infatti, i suoli comunali si dividono e si classificano in termini di rischio in zone R1R2Zona Gialla e Zona Blu. Quest’ultima, nota nella nota, con il “vulcano buono” (centro commerciale in foto d’apertura), che pare segni la massima depressione della fossa nolana.
La nostra impressione è sempre la stessa, cioè che si voglia quadrare il cerchio dell’edilizia e del piano casa regionale, trascurando le regole della sicurezza viste come un freno allo sviluppo e non come una forma di tutela per l’imponderabile. Il problema che si pongono taluni amministratori è solo quello di non far trasparire il loro bisogno viscerale di cemento, seguendo alcune regole: <<non bisogna dare l’impressione di sottostimare il pericolo vulcanico, perché a tratti torna utile e fa tanto fashion. …>>.

Rischio Vesuvio:eutanasia della sicurezza


"Rischio Vesuvio:eutanasia della sicurezza" di MalKo
Il sindaco di San Giorgio a Cremano qualche giorno fa, durante una conferenza stampa, ha lanciato un appello affinché si rimetta mano al piano d’emergenza Vesuvio e al suo fantomatico aggiornamento, perché in caso di eruzione sarà il caos totale…  Nel frattempo il vice sindaco, nello stesso giorno e alla stessa ora, presenziava ad una riunione alla Regione Campania indetta dal primo cittadino di Sant’Anastasia, Carmine Esposito, per avere rassicurazioni dall’assessore regionale Taglialatela, che il cemento prestissimo ritornerà in auge nella zona rossa Vesuvio insieme ai condoni.
Il firmatario del piano paesaggistico (Taglialatela) che introduce il risanamento residenziale e forse amministrativo nel settore a rischio eruzione, ha assicurato che nella prima seduta consiliare regionale di settembre, si darà il giro di chiave alle betoniere …
Il comune di San Giorgio a Cremano con Giorgiano e Zinno, hanno mostrato come siano controverse le anime dei comuni vesuviani: Hyde e Jekyll. Bisogna dire però, che anche il commissario prefettizio di Boscoreale Michele Capomacchia non scherza: ha inviato nel gruppo pro cemento, il sub commissario Augusto Polito. Anche lo Stato evidentemente è interessato a sanare gli abusi che a Boscoreale si contano a moltissime cifre. Un modus operandi che è “fulgido esempio di elette virtù amministrative”, a proposito di come vanno le cose nel comprensorio vesuviano a rischio…
Ci sorge il dubbio che nessuna legge regionale o nazionale può rilasciare un condono edilizio in zona rossa vulcanica, visto che lo stesso Stato ha scritto e sancito che in caso di eruzione del Vesuvio la zona rossa verrà probabilmente distrutta. Condonare significa, secondo il principio giuridico noto come dolo eventuale e colpa cosciente, assumersi la responsabilità che la zona dichiarata a rischio vulcanico dall’autorità scientifica nazionale e internazionale, in realtà non sia così pericolosa e, quindi, non siano necessari atti di tutela particolari come ad esempio il divieto di favorire gli insediamenti abitativi in zona rossa. Condonare allora, potrebbe essere un’assunzione di responsabilità penale per le zone a rischio, per non parlare del principio giuridico di precauzione, che è letteralmente obliato in questa pratica annunciata di riattamento degli edifici “spenti” e inagibili e inabitati.
Cosa c’entri la zona rossa Vesuvio poi, con i piani paesaggistici non si capisce. Che c’entra Amalfi, i Monti Lattari e gli scavi di Velia con il rischio Vesuvio? La zona rossa non deve essere confusa con gli scempi al paesaggio e alle zone di particolare valenza paesistica che pure sono un delitto. La zona rossa è un’area dove potrebbero riversarsi colate piroclastiche dall’inaudita potenza distruttiva. E poi lava e bombe vulcaniche e cenere e lapillo in quantità tali da sprofondare i solai e seppellire le mura. Qui non è in gioco il panorama… ma la pelle.
Chi decide cosa si può fare nella zona rossa dovrà essere lo stesso che dovrà mettere su il piano d’emergenza Vesuvio. Ne siamo convinti. In modo che la mano destra sappia cosa fa la mano sinistra, senza alibi o scusanti.
Il piano d’emergenza Vesuvio è a cura dello Stato. Sia lo Stato allora a decidere se è possibile favorire nuovi insediamenti nella zona rossa. Se così non è, si rimandi alla Regione Campania la stesura del piano d’evacuazione, così vediamo come concilierà le due cose il presidente Stefano Caldoro e l’invisibile assessore alla protezione civile Prof. Edoardo Cosenza.
Gli abitanti insediati nella zona rossa all’ombra dello sterminator vesevo, sono numerosi quanto quelli che affollano la città di Genova. Lo sapevate? Un dato non da poco per chi doveva assicurare il diritto alla sicurezza a quei cittadini troppo spesso ciechi in loro danno sulle necessità di tutela, che utilizzano un sistema amministrativo, generalizzando, un tantino marcio, che si presta a soddisfare richieste eufemisticamente classificabili come irragionevoli.
Il piano d’emergenza Vesuvio è sempre stato una fonte di lavoro per moltissimi esperti o presunti tali che, asservendosi alle cosiddette istituzioni competenti, hanno ricavato qualche soldo senza per questo districare una matassa ingarbugliatissima relativa alla sicurezza di un comprensorio da seicentomila abitanti disseminati su di una superficie di circa 200 Km2, tutta vulcanica. La loro giustificazione che poi non giustifica un bel niente, è che l’humus in cui ci si muoveva, non riconosce il pericolo Vesuvio, la zona rossa e il piano d’emergenza ed è ostile alle istituzioni. Un piano per niente  richiesto dalle masse, che rifuggono dal concetto stesso di esposizione al rischio, al punto da evitare di chiamare il Vesuvio vulcano, bensì  montagna…
Come abbiamo più volte scritto, agli abitanti del vesuviano manca la percezione del pericolo vulcanico perché mancano segnali percepibili con uno dei cinque sensi. Sono i sensi che captano il pericolo. Il famoso pennacchio che si alzava dal cono era un segnale importante, simbolo di un fuoco vulcanico ancora ardente che lasciava temere quel monte carico di allume e bitume e ferro… come recita l’inutile epitaffio posto nella città di Portici, ad ammonimento, un anno dopo l’eruzione del Vesuvio nel 1631.
Il presidente dell Repubblica Giorgio Napolitano recentemente ha detto parole molto importanti sulla sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Ci aspettiamo parole ugualmente decise sulla sicurezza di un territorio a rischio vulcanico come quello vesuviano, la cui pericolosità il presidente l’ha raccolta direttamente dalle parole del Professor Annibale Mottana, all’adunanza di chiusura dell’anno accademico dei Lincei a Roma.
L’emerito Presidente concorderà con noi che un aumento degli abitanti nella zona rossa Vesuvio, comporterà automaticamente l’eutanasia di qualsiasi pratica di salvaguardia. Siamo ancora in tempo per fermare un processo altrimenti irreversibile.
Nell’area vesuviana sono tutti riqualificatori del territorio. Tutti progressisti ispirati e rimodellatori di una società in rapida evoluzione. Nessuno pensa al Vesuvio e alla necessità di dar corso alla politica degli spazi… neanche nei comuni di Portici e San Giorgio a Cremano che occupano rispettivamente il primo e il secondo posto nella classifica dei comuni italiani più densamente abitati. Un vero paradosso suicida…

sabato 25 maggio 2013

Rischio Vesuvio parte quinta.



"Rischio Vesuvio parte quinta" di MalKo
Il piano d’emergenza a fronte del rischio Vesuvio, di fatto dovrebbe tradursi in un piano d’evacuazione che scatterebbe nel momento in cui il vulcano incomincerebbe a manifestare incontrovertibili segnali di pericolo.
La necessità che fosse redatto un piano d’emergenza venne fuori un bel po’ di anni fa. Esattamente nel 1986, data in cui la Prefettura di Napoli sulla base di una relazione del direttore dell’Osservatorio Vesuviano, evidenziava alla Presidenza del Consiglio dei Ministri DPC e al Ministero dell’Interno, la urgenza  di predisporre  appunto un piano d’evacuazione.
La pianificazione compete al dipartimento della protezione civile, poiché quello del Vesuvio è un piano di livello nazionale. Nell’evenienza, infatti, la complessità delle azioni di difesa e di assistenza alla popolazione sarebbero veramente di portata storica.
Per avere un’idea precisa della situazione dei piani d’emergenza Vesuvio, potremmo approfittare di un interrogativo parlamentare presentato nel 2007. La relativa risposta del Ministro per i rapporti con il parlamento comprendeva un excursus, che qui riassumiamo e solo per la parte che ci interessa.
1)… nel settembre 1995 a seguito di approfonditi studi e confronti con gli enti locali, è stato presentato il piano nazionale d’emergenza dell’area vesuviana.
2) …e alle variazioni urbanistiche e antropiche sono stati messi a punto gli aggiornamenti del 1996 e del 2001.
3)… successivamente nel marzo 2003, è stata attivata la commissione nazionale per l’aggiornamento del piano d’emergenza dell’area vesuviana e dei Campi Flegrei, tuttora in carica, con il compito di aggiornare lo scenario e i dispositivi operativi del piano stesso, e, per i Campi Flegrei, di realizzare il piano d’emergenza completo.
4)… la comunità scientifica internazionale ha partecipato attivamente all’esercitazione europea Mesimex (Napoli ottobre 2006) e l rappresentanti del dipartimento della protezione civile sono stati più volte invitati a presentare il piano Vesuvio in consessi internazionali.
Si evince quindi, che il piano d’emergenza è datato 1995, con aggiornamenti successivi nel 1996 e nel 2001. Quest’ultimo è tuttora vigente, in attesa che la commissione in carica produca le variazioni definitive al piano; cosa tra l’altro annunciata dalle autorità regionali della protezione civile campana, anche recentemente, nell’ambito di un incontro pubblico sul rischio Vesuvio tenutosi a Torre del Greco.
Tutto molto rassicurante ma qualche motivo di apprensione comunque permane.
Come ben sanno i tecnici, un piano d’emergenza intanto rappresenta l’extrema ratio a fronte di un pericolo su cui, per limiti oggettivi o soggettivi, poco si è inciso in termini di prevenzione. Il segreto del successo di un piano d’evacuazione è racchiuso nell’opera di divulgazione  del medesimo che deve essere capillare e dettagliata.
Anche il migliore dei piani d’emergenza, infatti, sarebbe “carta straccia” se non fosse conosciuto dagli utenti. Questo spiega perché ad esempio, nelle scuole, negli alberghi, nelle fabbriche, sulle navi, ecc… è obbligatoria l’esposizione dei cartelli indicanti i percorsi di fuga. Un tragitto quest’ultimo che bisogna “appuntarselo” mentalmente al primo ingresso in cabina o in camera, e non da leggere all’occorrenza, perché non avremmo il tempo materiale e la lucidità per interpretarlo e seguirne i disposti. Esponendo il piano d’evacuazione si garantisce anche all’utente occasionale il diritto alla sicurezza.
I cittadini utenti inoltre, devono avere la possibilità di segnalare incongruenze ma anche il dovere di partecipare alle esercitazioni che si fanno appunto per verificare la funzionalità delle procedure adottate in via analitica.
Questo compito di divulgazione che in alcune strutture confinate è curato dal datore di lavoro, in un ambito areale è sicuramente una prerogativa dei sindaci, che, nel nostro sistema di protezione civile, rivestono un ruolo di primaria importanza, potendosi addossare per disposto legislativo il titolo tutt’altro secondario di autorità di protezione civile.
Bisogna anche precisare che il piano d’evacuazione è una parte del piano d’emergenza, e che questi possono coincidere nella misura in cui si ritiene assolutamente ingovernabile  o fronteggiabile il pericolo analizzato. Il piano d’evacuazione quindi, è qualcosa di maledettamente serio a prescindere dal contesto in cui viene  elaborato.
Intanto si legge nell’ultima bozza del piano Vesuvio che i cittadini di Boscoreale, paese della zona rossa tra i più esposti, dovranno abbandonare (in caso di allarme) la loro cittadina utilizzando i treni dalla locale stazione ferroviaria Fs.  Ebbene, la linea Fs in questo caso è stata dismessa da alcuni anni. L’azienda ferroviaria statale ha rimosso anche i fili della tratta aerea elettrificata, così come le barriere ai passaggi a livello. La stazione è stata adibita a pub e sui binari parcheggiano le auto. Questo pressapochismo non ha suscitato indignazione nella popolazione, perché gli abitanti di Boscoreale non sapevano prima e non sanno oggi  che la pianificazione prevedeva per  questa cittadina   l’esodo via treno.
Per chi conosce il territorio, sa che la fascia costiera vesuviana ospita la maggior parte di quei seicentomila abitanti che popolano la zona rossa, con un indice di densità abitativa inusitato. La zona costiera, infatti, è il nocciolo, lo zoccolo duro su cui dovranno scontrarsi tutte le politiche di prevenzione e le strategie operative di allontanamento. Il motivo è abbastanza semplice: i residenti della fascia costiera sono accalcati in una porzione di territorio stretto fra mare e vulcano. Quindi, mancano spazi vitali e  adeguate vie di comunicazioni .
Per Il comune di Portici e per quello di Ercolano, l’autostrada A3 Napoli – Salerno rappresenta l’arteria stradale fondamentale per il traffico su gomma. Entrambi i comuni allo scopo utilizzano caselli indipendenti l’uno dall’altro. In breve, ognuno ha il suo ingresso autonomo sull’A3. La realizzazione della terza corsia però, ha dato corso a una serie di modifiche strutturali che hanno comportato l’eliminazione del casello porticese.  Quello di Ercolano quindi, dovrà essere utilizzato anche da Portici o se volete viceversa. Il risultato finale comprende e comporta per i veicoli che vogliono immettersi in autostrada, da entrambe le città, di incolonnarsi sulla nuova rampa e utilizzare l’unica stazione d’ingresso.
Per raggiungere il nuovo e unico casello, i residenti di Portici dovranno impegnare un raccordo, tuttora in fase di costruzione, di oltre un chilometro. Su questo tratto bisognerà superare ben tre incroci a rotatoria e una galleria di oltre duecento metri, realizzata in sotterranea per salvaguardare, pare, il giardino sovrastante.
Questa bretella che collega la città al casello autostradale è stata realizzata con due corsie complessive per entrambi i sensi di marcia. Ne consegue che gli automobilisti avranno una sola corsia disponibile, che dovrà essere condivisa all’altezza del terzo incrocio con il traffico proveniente da Ercolano.  Un vero budello. Non bisogna essere profeti per prevedere che il traffico impazzirebbe su questo raccordo e collasserebbe dopo pochi minuti in una situazione di diffuso allarme. Tocca sperare al riguardo e come soluzione, che sia accettato l’appello che è stato comunque lanciato, acchè le Autostrade Meridionali Spa ripensino al tracciato e individuino alternative valide per mantenere in vita il vecchio varco di via Libertà. Questo potrebbe essere transennato e utilizzato esclusivamente in caso di pericolo.
Purtroppo, bisogna anche registrare che il costruendo nuovo raccordo pare abbia inglobato pure lo spazio vincolato nel piano regolatore quale area atterraggio elicotteri per finalità di protezione civile. Come dire: al danno la beffa!
Intanto importantissime trasmissioni televisive condotte da rinomati professionisti dell’informazione  hanno pubblicizzato questi piani, senza accennare ai contenuti però, che al momento non sono conosciuti dalla popolazione vesuviana. Domani chissà, forse l’informazione sarà più capillare. Che i piani non siano di dominio pubblico lo dice un’importante libro di testo: l’elenco telefonico!
(continua…)

giovedì 23 maggio 2013

Rischio Vesuvio parte terza.



"Rischio Vesuvio parte terza" di MalKo
Nella prima e seconda parte riguardante il rischio Vesuvio, abbiamo tracciato un’analisi del pericolo (P) perché è la conoscenza di questa fattore a determinare le misure consequenziali necessarie per la tutela dei cittadini.
Per meglio aiutarci in questo excursus informativo, richiamiamo una formula veramente semplificata che ci faciliterà la comprensione dei vari aspetti che vogliamo sviluppare analiticamente sul rischio e poi sul piano d’emergenza. Che cos’è il rischio… Il rischio (R) è la possibilità che un potenziale fattore di pericolo (P) si scarichi negativamente su di un valore esposto (VE), che nella sua forma massima è rappresentato dalla vita umana (R=PxVE).  Affinché ci sia rischio è necessario che i fattori (P) e (VE) abbiano un valore diverso da zero. Quantizzare il pericolo in energia (magnitudo), poteva essere poco chiaro, allora è stata individuata l’eruzione equivalente che è quella tipo 1631. Si è così favorita la conoscenza tanto del fenomeno quanto dei territori che sarebbero eventualmente coinvolti.
Abbiamo poi assodato che (P) non è un valore statico ma dinamico, giacché può mutare nel tempo (T), e cambiare radicalmente per effetto di nuove conoscenze scientifiche che potrebbero variare i livelli di pericolo in positivo o negativo fin qui ipotizzati.
Il ragionamento successivo su cui si arrovellerà il pianificatore riguarda la previsione. Siamo in grado di prevedere un’eruzione? La scienza dice che prima che questa avvenga (speriamo mai), è possibile cogliere quei segnali premonitori che accompagnano di solito la risalita del magma in superficie. Questi indicatori di pericolo potrebbero anche presentarsi molto tempo prima, ma con indici d’incertezza troppo ampi perché non si può escludere una regressione dei fenomeni inizialmente allarmanti. La previsione del fenomeno eruttivo dovrebbe pertanto inquadrarsi in un margine di tempo utile (TU) per l’evacuazione degli abitanti dalla plaga, ed essere nel frattempo attendibile al punto da lasciare poco margine alla possibilità di imbattersi in un falso allarme, perché le conseguenze potrebbero essere cosa di non poco conto oltreché di futura sfiducia nel sistema di allerta. Questo significa che il confronto scientifico e la ricerca in questo campo sono importantissimi. Lo studio dei fenomeni vulcanici deve continuare incessantemente e necessariamente bisogna confrontarsi nei consessi internazionali.
Il valore esposto (VE) invece, come detto è rappresentato nella sua forma massima dai circa seicentomila abitanti che vivono a ridosso del vulcano. Anche questo fattore è variabile nel tempo perché il numero di residenti può aumentare o diminuire col passare degli anni. Quindi,  (VE) presenta parimenti a (P) la variabile tempo(T). Mentre sul pericolo vulcanico non abbiamo, almeno a oggi, strumenti per “disinnescarlo”, qualcosa si potrebbe fare ed è stato fatto per il valore esposto (VE). La legge regionale (Campania) N° 21 del 2003, infatti, vieta la realizzazione di nuove costruzioni (a uso abitativo) e le variazioni di destinazioni d’uso dei fabbricati esistenti nella zona rossa. Teoricamente quindi, la percentuale di abitanti in quest’area dovrebbe rimanere sostanzialmente stabile. Usiamo il condizionale perché l’abusivismo inficia e aggira questo principio base di tutela generale. Da qui un’esigenza particolare di monitorare il fenomeno anche e soprattutto attraverso sistemi innovativi come le rilevazioni periodiche via satellite o l’aerofotogrammetria. L’esclusione della zona rossa da benefici legati a condoni edilizi ci sembra quantomeno opportuno (lo Stato condonerebbe il rischio?).
Nel 2003 fu varata la campagna “Vesuvia” che, nei propositi, si prefiggeva di spostare verso luoghi meno rischiosi un certo numero di abitanti dalla zona rossa, in modo assolutamente consensuale, assicurando un bonus di 30.000 euro a quelle famiglie che avessero accettato di andarsene. Un sistema incentivante si diceva, per ridurre la pressione demografica in quell’area. Il progetto che pare sia stato sospeso, era indirizzato ai soli residenti affittuari dell’area rossa dimoranti in loco da almeno cinque anni.  Un po’ di soldi sono stati effettivamente elargiti inizialmente e con grandi clamori e pubblicità.  Il problema principale di questa iniziativa che in definitiva non ha avuto un particolare successo, è che nessuna legge dello Stato sembra che vieti o vietava di riaffittare l’appartamento appena lasciato dalla famiglia beneficiata in euro. Questi nuclei familiari tuttavia sono stati ben pochi.
Il progetto avrebbe avuto un’efficacia ben diversa se la proposta di andare via fosse stata fatta ai proprietari d’immobili, che tra l’altro hanno economicamente ben più da rischiare rispetto a chi sta in affitto. Costatiamo però, che a un proprietario trentamila euro non sarebbero stati in termini d’indennizzo significativamente risarcitori.  I numeri quindi, giocavano contro. L’iniziativa potrebbe essere riproposta  nella direzione di  dedicare risorse  esclusivamente all’acquisto di immobili assolutamente strategici per la pianificazione d’emergenza (ad esempio per allargare una strada).  Si opererebbe in questo modo, secondo un principio che dovrebbe essere sovrano e ispiratore per la futura sicurezza dell’area vesuviana: IL PIANO D’EMERGENZA DEVE CONDIZIONARE IL TERRITORIO E NON ESSERNE CONDIZIONATO
Proseguendo nella nostra disquisizione, se da un lato abbiamo chiarito gli aspetti attinenti pericolo e valore esposto, dobbiamo altresì segnalare che anche il rischio (R) è un valore non stabile nel tempo. Il rischio è anche l’accettazione presumibilmente meditata di un pericolo incombente per quanto potenziale. Ma  il  rischio può assumere valori accettabili o inaccettabili che possono variare anch’essi nel tempo. Mentre il pericolo (P) e il Valore Esposto (VE) sono dati tutto sommato oggettivi (scientifici), il rischio (R) presenta molti elementi di soggettività. Infatti, l’accettazione di un grande rischio se dovesse basarsi semplicemente sugli aspetti tecnico – scientifici sarebbe implacabilmente di insostenibilità. Ma esiste poi il rischio reale, che  è condizionato da scelte politiche, economiche, culturali, sociali, ecc… Ad esempio, in alcuni paesi poveri  ci sono dei bambini che si procurano il cibo rovistando tra i rifiuti. Scientificamente non è accettabile ma neanche il nostro modello di civiltà lo ritiene lecito perché il rischio di ammalarsi è altissimo. Per loro invece, è accettabilissimo perché l’alternativa è morire di fame. Il rischio dell’utilizzo dell’energia nucleare l’abbiamo considerato inaccettabile e, quindi, ricusato. Ma se dovesse finire il petrolio e prodotti affini e non avessimo energie alternative, quel rischio diverrebbe miracolosamente accettabile a meno che non si preferisca  scivolare nel medioevo. Come dire: tutto è relativo. Il fattore decisionale che entra in queste dinamiche allora è uno: l’alternativa.
Avrete sicuramente intuito che il prossimo capitolo tratterà, sempre dal nostro punto di vista, il valore esposto (VE), cioè i vesuviani, che non devono essere confusi con i napoletani, e vedremo perché…
(continua)

 

Rischio Vesuvio parte prima: ...di Malko



"Rischio Vesuvio parte prima" di MalKo 

Nel mese di ottobre 2008, due jet militari attraversarono il cielo di Napoli superando la barriera del suono. Procurarono un “bang” che preoccupò non poco gli abitanti dell’area vesuviana. Come si sa, infatti, in questi luoghi sussiste un rischio tutt'altro secondario dettato dall’arcinoto vulcano Vesuvio. Nell’agosto 2007 si agitò invece il mondo istituzionale e scientifico per un articolo apparso sulla nota rivista National Geographic. Sull’importante mensile furono riportate le conclusioni di uno studio condotto da alcuni ricercatori italiani e stranieri, tra cui il prof. Giuseppe Mastrolorenzo dell’Osservatorio Vesuviano (INGV).
Gli autori nel pubblicare i risultati delle ricerche, evidenziarono che un’eventuale ripresa eruttiva del Vesuvio poteva anche presentarsi con una tipologia pliniana di tipo Avellino. In questo casola città di Napoli non poteva ritenersi indenne e al riparo da ogni sorta di pericolo proveniente dal vulcano.
E’ chiaro che chi sostiene questa tesi indirettamente e a tergo della disquisizione scientifica, mette in discussione la presunta pianificazione nazionale delle emergenze, che non ha mai considerato la metropoli partenopea come un possibile bersaglio di un’eruzione, se non marginalmente.
Il Dipartimento della Protezione Civile reagì piccatamente all’articolo, perché lo scenario eruttivo adottato dal medesimo dicastero per la stesura dei piani d’emergenza, è di tipo subpliniano (1631): intenso negli effetti con sconvolgimenti notevoli della plaga vesuviana, ma senza interessare l’area cittadina di Napoli.
Il Vesuvio, lo ricordiamo, nella sua storia geologica annovera manifestazioni di vario tipo, oscillanti tra la colata di lava pittoresca e l’eruzione catastrofica caratterizzata dalle temibili nubi ardenti.
Purtroppo non sempre è possibile prevedere con larghissimo anticipo il momento del risveglio di un vulcano quiescente, così come il tipo di eruzione che, nel caso del Vesuvio, potrebbe variare di molto con sostanziali differenze energetiche e quindi di pericolo.
I vulcani in genere manifestano tutta una serie di sintomi prima di produrre un’eruzione, e questi sintomi riescono il più delle volte a essere colti sul nascere, specialmente se la vigilanza è effettuata continuamente e con moderne tecnologie, come nel nostro caso.
Nel merito delle ipotesi che si formulano sul Vesuvio, su quella che potrebbe essere la prossima eruzione, tutte le tesi che a più riprese si prospettano, trovano alla fine uguale dignità, perché non esistono certezze matematiche e incontrovertibili in materia.
Sarà la stessa eruzione (chissà quando), che dirà chi ha ragione dal punto di vista statistico/previsionistico. Un noto vulcanologo in un’intervista, saggiamente affermò che i segni premonitori di un’eruzione del Vesuvio si riconosceranno e si coglieranno tutti, ma dopo l’eruzione…
La disputa scientifica è principalmente sul tipo d’eruzione, perché quando questa si manifesterà (previsione lunga), nessuno è in gradi di dirlo.
Nella pianificazione (bozza) nazionale d’emergenza dell’area vesuviana pubblicata nel 1995, si rimarcava un notevole ottimismo circa la previsione corta (avvisaglia) del fenomeno. Sette giorni di tempo per allontanarsi, su un totale di venti a disposizione. Nella revisione del piano datata 2001 si conferma la settimana. Oggi, alcune anticipazioni di stampa riferiscono che il piano d’emergenza in corso di elaborazione sancisce l’evacuazione complessiva della zona rossa in tre giorni. Nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 20 del 26 aprile 2004, si auspica un’evacuazione in quarantotto ore.
Il direttore della scuola regionale di protezione civile della Campania, in un articolo pubblicato sul corriere del mezzogiorno del 9 ottobre 2008, ebbe a dire che nel giro di due mesi il nuovo e definitivo piano d’emergenza per l’area vesuviana, messo a punto con i tecnici del dipartimento della protezione civile, vedrà finalmente la luce. Al momento si costata un anno di ritardo nella pubblicazione. Un ritardo relativo in verità, perché non è di mesi che si parla ma di anni, visto che la commissione incaricata di redigere questo famoso piano si insediò nel 1993. Dopo sedici anni quindi, siamo ancora fermi sui propositi e in attesa di una programmazione d’emergenza che abbia una valenza operativa.
E’ abbastanza chiaro alla fine, che, qualsiasi piano d’emergenza per l’area vesuviana, dovrà essere elaborato sulla scorta della previsione corta del fenomeno. Ed è proprio qui il problema, perché non è possibile eludere il limite: si pianifica prevedendo di prevedere… I piani di emergenza pertanto, dovranno basarsi sulla previsione della previsione. Non è un demerito nostrano, ma un limite oggettivo della ricerca in questo campo.
Il piano d’emergenza (evacuazione) da mettere a punto per fronteggiare il rischio Vesuvio, in termini di prevenzione rappresenta la mediazione tra due impossibilità: una è quella di spostare il Vesuvio (pericolo) o renderlo perennemente quiescente, e l’altra di spostare i seicentomila abitanti (valore esposto) dalla zona rossa. La seconda via, come s’intuisce, potrebbe essere maggiormente percorribile soprattutto se parliamo di una sostanziale riduzione del numero di abitanti (non occorre desertificare l’area); è inteso in questo caso, che l’attuazione di un siffatto piano di delocalizzazione probabilmente contemplerà tempi lunghissimi misurabili in molti decenni. Il problema grosso però, è trovare accordi politici e amministratori capaci di pianificare ben oltre il loro mandato elettorale…
(continua…)