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martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio: work in progress... di Malko



Il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) ha reso noto i territori dell’area vesuviana che potrebbero essere colpiti dagli effetti più deleteri di un’eruzione esplosiva dell’arcinoto Vesuvio. In tal caso sono state definite delle aree che abbiamo schematizzato concettualmente nel disegno di figura 1.
Zona nera (R1) : Interessa la parte montana e pedemontana del Vesuvio con un limite verso il basso segnato sulle mappe ufficiali da una linea nera asimmetrica (black line). In questa zona il pericolo maggiore è dettato dai flussi piroclastici che potrebbero interessare qualsiasi versante del vulcano. Entro tale circonferenza, oltre alle nubi ardenti il pericolo potrebbe provenire anche dalla copiosa caduta di cenere, lapilli e bombe vulcaniche.
Zona rossa (R2): in quest’area la pioggia di materiale piroclastico potrebbe assumere intensità tale da costituire comunque un problema per le persone e per la statica delle coperture in piano dei palazzi, che potrebbero sprofondare sotto il peso di cenere e lapillo. Gli accumuli dei prodotti eruttati renderebbe i fabbricati più vulnerabili anche alle scosse sismiche che, probabilmente, accompagnerebbero le fenomenologie vulcaniche durante le varie fasi parossistiche.



nuovi scenari pubblicati dal dipartimento della protezione civile, contengono alcune note per consentire ai comuni di fresca nomina (Scafati, Poggiomarino, Nola, San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Pomigliano d’Arco e Napoli con i quartieri di Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio), di modificare il tracciato della linea rossa portandola a ridosso della linea nera.
Per operare in tal senso, i comuni indicati dovranno dimostrare che i tetti sono stati rinforzati e possono reggere al sovrappeso dei prodotti piroclastici, e ancora che sono stati predisposti piani zonali intercomunali di evacuazione (???). I sindaci interessati dovranno quindi dimostrare carte (calcoli) alla mano, il requisito di resistenza statica delle coperture, e non il <<basta la parola!>> come recitava una famosa e storica propaganda del “Carosello” televisivo.
Il comune di Poggiomarino evidentemente questi calcoli li ha già fatti. Infatti, qualche giorno fa ha licenziato un documento contenente la nuova perimetrazione. Il consiglio comunale all’unanimità ha proposto di spostare i confini della zona rossa ai limiti della linea nera. Gli amministratori poggiomarinesi hanno varato la loro idea di demarcazione, precisando che hanno dovuto lavorare non poco per estrapolare quanta più terra possibile dalla tenaglia della legge regionale 21 del 2003, che proibisce l’edificazione residenziale nella zona rossa e nera. Il risultato è stato ottenuto non sposando la tesi di assumere strade e canali come cippi di confine, ma molto più proficuamente con i segmenti delle particelle catastali… si è operato al metro se non al centimetro insomma.
Per capire in pratica cosa significa l’addossamento della linea rossa alla black line, dobbiamo tener conto che, se tutti i comuni della zona rossa (R1 – R2) applicassero il modello Poggiomarino, nella figura 1 scomparirebbe la zona rossa (R2) e rimarrebbe solo quella nera, blu e una gialla; quest’ultima molto più vasta, ma svincolata dai disposti di assoluta inedificabilità residenziale.
La Zona gialla è da ridefinire completamente anche sulla scorta del rimodellamento perimetrale della linea rossa tuttora in corso. Il settore ha un indice di pericolosità non valutabile puntualmente e a priori, perché legato alla caduta di materiale piroclastico un po’ più leggero rispetto alle zone interne (nera e rossa). Il pericolo maggiore in questo caso sarebbe a carico degli agglomerati urbani posti sottovento e in linea col centro eruttivo e con la direzione dei refoli. La fig. 2 rende bene l’idea. E’ ovvio poi, che l’ellisse gialla sarà proporzionalmente più allungata e più stretta in ragione dell’intensità del vento. Un effetto similare ma più contenuto si riscontrerebbe pure nella zona rossa per i proietti più piccoli espulsi dal vulcano. In caso di eruzione possono riscontrarsi sostanziali variazioni della protuberanza gialla, il cui orientamento sarà dettato dalla direzione di provenienza dei venti stratosferici dominanti. Statisticamente però, pare che questi il più delle volte provengono da occidente. Nulla cambierebbe invece per le zone nera e rossa che mantengono intattoil loro indice di massima pericolosità, a prescindere dai fattori esterni all’area… escamotage amministrativi compresi.

La Zona blu è legata in termini di pericolosità alle curve di livello del terreno. Le copiose acque piovane che caratterizzano spesso le eruzioni, scorrerebbero in direzione della Conca di Nola allagandola. Problemi anche molto seri si riscontrerebbero in modo direttamente proporzionale alla quantità d’acqua che precipiterebbe e si riverserebbe dai rilievi circostanti, e dai suoli la cui permeabilità potrebbe essere compromessa dall’effetto sigillante delle ceneri sottili asperse dal vulcano. La zona blu non dovrebbe subire modifiche particolari per il futuro, se non alla luce d’importanti opere artificiali di drenaggio delle acque superficiali.

Il Dipartimento della Protezione Civile, sulla scorta del parere favorevole della commissione grandi rischi (CGR), ha ritenuto il lavoro della ricercatrice Lucia Gurioli valido per la definizione della zona rossa 1, adottando la black line ivi riportata sulla carta a tema, per delimitare l’area (nera) a maggior pericolo.
Fra un po’ di tempo,comuni permettendo, avremo un quadro preciso delle zone su cui potrebbero abbattersi gli effetti dirompenti di un’eruzione sub pliniana, che è quella massima attesa (E.M.A.) e assunta come intensità di riferimento dagli esperti.
Stabilito l’evento eruttivo da tenere in debito conto e le aree a differente pericolosità, bisognerà poi modulare la strategia operativa e poi quella organizzativa e poi attendere che i 25 comuni dell’area rossa elaborino i loro piani di evacuazione che, messi insieme come un enorme puzzle, daranno origine a un unicum che si chiamerà piano d’emergenza Vesuvio, contenente in allegato e in primogenitura il piano d’evacuazione areale.
Indi, a ogni singola famiglia del vesuviano dovrà essere consegnato un vademecum contenente poche note introduttive e organizzative del piano, per dare spazio alle istruzioni sui modi di sfollamento, arricchite da cartine con i percorsi da impegnare all’occorrenza, in ragione dei vettori pubblici o privati previsti o disponibili. Anni di lavoro…
Stampa e televisioni solo di recente e in assenza <<del rischio di querela per procurato allarme>>, hanno un po’ invertito la tendenza ottimistica sul problema Vesuvio, iniziando a profferire timidamente parole come piano d’emergenza sottostimato. In realtà, e come più volte è stato scritto, la bozza di piano esistente come anche l’attuale revisione degli scenari, non tratta in alcun modo i “sentieri” da percorrere per mettersi in salvo. Quindi, questo famoso piano Vesuvio in passato iperpubblicizzato, in termini di salvaguardia non è inadeguato, bensì semplicemente inesistente… Confondere le due cose non aiuta a inquadrare i due problemi che sono scientifici per gli aspetti attinenti gli scenari eruttivi e i livelli di allarme, e tecnici per quanto riguarda i piani d’evacuazione. Però, giacché la scienza, quella di ogni ordine e grado,dipartimentale, istituzionale e universitaria, asserisce in modo sostanzialmente concordante che non è possibile prevedere quando un’eruzione accadrà e di che tipo sarà, le istituzioni che hanno competenze per il soccorso tecnico urgente, dovranno ad un certo punto prendere atto di questo limite, uscendo dall’empasse in cui si trovano, e muoversi anche con motu proprio per mettere in campo tutte le iniziative possibili a tutela della distratta popolazione vesuviana.
L’organizzazione operativa dei soccorsi dovrà evolversi: occorre un salto di qualità, perché altrimenti i Vigili del Fuoco corrono il rischio d’intervenire alla cieca in caso di eruzione, senza produrre un’efficace azione di protezione. Si pensi al massimo operativo e non all’intervento da tarare sulla media statistica e probabilistica eruttiva. Un’eruzione tipo 1944 sarebbe già sufficientemente drammatica e sarebbe già un successo operativo possedere un piano per fronteggiarla.
Riesce difficile far comprendere ai non tecnici che il rischio è una cosa che va al di là del pericolo, superandolo…. Se in uno stadio di calcio qualcuno lancia l’allarme bomba, ci saranno grossi problemi e danni alle persone per la fuga disordinata a cui si aggiungeranno quelli meccanici letali provocati dallo scoppio. Se l’allarme bomba è infondato, ci saranno solo danni alle persone per la fuga disordinata… in entrambi i casi però, pericolo o non pericolo, nelle prime file ci saranno problemi… Necessita architettare quindi un piano d’evacuazione semplice ma efficace, in surroga a quello d’emergenza che è ancora in una fase iniziale di concepimento.
La più protettiva delle formule di tutela consisterebbe nel prendere a riferimento l’evento eruttivo massimo conosciuto (E.M.C.) che, nel nostro caso, è assimilabile a un’eruzione pliniana di tipo Avellino. Questa scelta implicherebbe probabilmente e indirettamente una conclamata impossibilità di mettere a punto un piano di evacuazione per tre milioni di persone: i numeri in gioco che superano il concetto di esodo biblico, farebbero decadere immediatamente l’attenzione al problema.
Quando il cataclisma ipotizzato nella sua forma massima lascia poco spazio alla tutela per una complessità di fattori geografici e antropici, lo stratega opererà al massimo delle possibilità che gli sono offerte, senza “consumarsi” nell’attesa di risposte previsionali attualmente impossibili e controverse. Pianificherà il soccorso come detto, sfruttando tutte le risorse umane e materiali e infrastrutturali disponibili sul territorio che va coinvolto in primis, rimandando alla politica il compito di far quadrare i conti che non tornano in termini di numero di abitanti esposti al pericolo.
Questi nuovi scenari made in DPC , hanno introdotto limiti ma anche possibilità. Non è da escludere che ci sarà baraonda nel prossimo futuro. Perché Pompei e Torre Annunziata e Boscoreale e Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, probabilmente qualche discriminazione la lamenteranno quando capiranno la sperequazione che è stata attuata in loro danno da scenari contenenti alchimie che rischiano addirittura di restringere (amministrativamente) la zona rossa (R1+R2) piuttosto che allargarla…
I pompeiani non sapevano che il Vesuvio fosse un vulcano e in tanti perirono per la novità. I vesuviani sanno perfettamente cos’è quel monte grigio, eppure ne affollano anche i più piccoli meandri e anfratti montani e pedemontani, lasciando alle pratiche scongiuristiche (corna) e poi religiose (San Gennaro), il compito di proteggerli.
In questa plaga sussistono troppe commistioni pubbliche e private deleterie per la sicurezza. Il fatto che i palazzi in R1 freneranno le colate piroclastiche, non dovrebbe essere motivo per autorizzare deregolamentazioni edilizie nelle zone contigue a quella nera.
La nostra impressione è che nel vesuviano ci sia un Work in Progress, ma in direzione del caos…


Rischio Vesuvio: zone e pericoli...di Malko



Ad analizzare con attenzione la nuova “scenografia” dell’area vesuviana, si capisce che non c’è stata alcuna rivoluzione copernicana su quello che già si sapeva a proposito del rischio Vesuvio e dei suoi fenomeni. La vera novità è l’introduzione della black line che ha delimitato, bisogna rilevare con grande assunzione di responsabilità, due confini ovvero due zone a diversa pericolosità:
R1 – si estende dal cono vulcanico fino alla linea nera. Il territorio così classificato è quello esposto ai temibili e distruttivi flussi piroclastici con annessa massiccia ricaduta di cenere, lapilli e bombe vulcaniche;
R2 – corona non circolare che si estende oltre la black line e fino ai confini amministrativi dei comuni periferici della nuova zona rossa. Quest’area è soggetta al fenomeno di ricaduta dei prodotti piroclastici in una quantità tale, che in alcuni punti può causare problemi statici alla tenuta dei tetti che potrebbero sprofondare sotto il peso dei materiali accumulati. Il sovraccarico sulle coperture potrebbe rendere le strutture particolarmente vulnerabili alle sollecitazioni sismiche.
Nella zona rossa (R1+R2), ai problemi già accennati in precedenza a proposito delle nubi ardenti, bisognerà  tenere in debito conto anche il problema di ripararsi il capo dai proietti e, a causa di ceneri e polveri in sospensione, affrontare le difficoltà di respirazione e di avanzamento a piedi tra gli ammassi di cenere e lapilli, perché  i motori e anche le apparecchiature elettriche ed elettroniche andrebbero molto probabilmente in tilt.
La pioggia di piroclastiti oltre il confine della R2, cioè in zona gialla (ZG), in figura non definita, pur in una quantità minore rispetto alla zona rossa, potrebbe creare comunque disagi anche di una certa importanza alla popolazione, in una misura però, dipendente dalla distanza dal vulcano e dalla posizione geografica che potrebbe essere in linea con i venti dominanti e sottovento al centro eruttivo.
La zona gialla comprende, stornando le municipalità passate in zona rossa, 89 comuni: 28 della provincia di Napoli; 40 della provincia di Avellino; 20 del salernitano e 1 della provincia di Benevento, esattamente Pannarano.
A nord del Vesuvio, al di là della zona rossa e comunque in zona gialla, abbiamo anche la zona blu, che si riconosce nella cosiddetta conca di Nola, composta da quattordici comuni esposti al rischio non trascurabile di inondazioni e alluvionamenti (ZB).
Le tre zone a rischio Vesuvio: la linea rossa  a ridosso della zona rossa rappresenta l'allargamento attuale della zona rossa
E’ possibile già da questi scenari proposti e relativa mappatura dei territori, procedere con delle riflessioni. Innanzitutto è del tutto evidente che alcuni comuni come quello di PorticiErcolano e Torre del Greco, tanto per focalizzare l’attenzione sulla fascia costiera, a prescindere dal tipo di evento eruttivo, sia esso ad altissima, media o bassa frequenza di accadimento, rientrano comunque e pienamente nel settore a rischio principale (entro la black line).  Quindi, non c’è un solo angolo di questi comuni che possa ritenersi al sicuro dai fenomeni vulcanici ordinari comprese le colate piroclastiche.  Queste cittadine poi, hanno dalla loro la caratteristica di essere strette tra mare e vulcano e di avere territori affollatissimi. Torre del greco a guardare le cifre, ha più abitanti della città di Caserta. Le città di Portici ed Ercolano inoltre, annoverano ognuna quasi lo stesso numero di residenti di Avellino che è un capoluogo di provincia. Portici ha anche il record della densità abitativa che raggiunge le dodicimila unità a chilometro quadrato, costituendo un vero guinness da primato in Italia e piazzandosi tra i primi posti anche nella classifica Europea, seguita subito dopo da San Giorgio a Cremano.
Senza entrare nella paccottiglia di studi accademici sulla viabilità che trovano scarsi riscontri pratici, da notare che in caso di emergenza vulcanica i cittadini di Portici e quelli di Ercolano, dovranno allontanarsi dal vesuviano in contemporanea e attraverso un unico casello disponibile per l’ingresso sull’autostrada A3 Napoli-Salerno. Fino a un anno fa ne erano due e indipendenti.  Immaginate quindi due città come Avellino che imboccano una rotatoria attraverso una carreggiata a due corsie a doppio senso di circolazione con tutta l’adrenalina disponibile in circolo nel corpo …perché in questi casi non contano i tre giorni a disposizione come recitano e assicurano i previsori, ci si muoverà contando i minuti nella gara del chi fa prima a mettersi in salvo.
Il Prefetto Pasquale Manzo, commissario prefettizio di Portici, potrebbe farsi promotore di un appello verso i vertici di Autostrade Meridionali, acchè lascino usufruibile per i soli fini di emergenza il vecchio casello d’ingresso A3 in direzione Napoli, se non già eliminato. Sarebbe un grande passo in avanti verso l’exit strategy dall’agglomerato ultra urbanizzato in favore di una popolazione stipata come sardine.

Altri comuni ancora sono tagliuzzati dalla linea nera con differenziazione del pericolo nello stesso ambito comunale; succede principalmente a Somma VesuvianaSant’AnastasiaBoscorealePompei Torre Annunziata.
Napoli, ScafatiPoggiomarino,Palma Campania, San Gennaro Vesuviano e Nola invece, in via del tutto eccezionale e con placet regionale, possono rimaneggiare la linea rossa, cioè spostarla dai confini amministrativi…passarsela sul capo e  riportarla addirittura a  ridosso della black line.  Entro il 31 marzo2013 queste amministrazioni new entry per chiedere la riperimetrazione della zona rossa dovranno dimostrare di avere tetti rinforzati o a spiovente nei settori indicati a rischio di accumulo dei prodotti eruttati. Dovranno pure presentare un piano di evacuazione zonale per far scavalcare a un po’ di residenti la linea nera e rossa così modificata. Almeno così ci è sembrato di capire dall’escamotage tutto politico e poco tecnico messo in campo dagli esperti non solo regionali riuniti in conclave.
Che succederà se non saranno dimostrati e rispettate entro tale data le due clausole per la ridefinizione della linea rossa? L’Ing. Edoardo Cosenza consentirà a questi comuni lo spostamento della perimetrazione sulla parola? E i cittadini che hanno i tetti resistenti o a spiovente in zona R2, che dovranno fare con precisione: spostarsi un po’ più lontano in caso di eruzione o andare via dall’area vulcanica? Lo sapremo presto… Intanto e per inciso, dai cassetti del dipartimento della protezione civile ancora non salta fuori il piano d’emergenza Vesuvio che tutti cercano ma nessuno trova.
Nella conta dei problemi bisogna annoverare come detto pure quattordici comuni dell’hinterland partenopeo, a iniziare da Nola e Acerra che dovrebbero organizzarsi soprattutto in termini di prevenzione, per adeguare il loro territorio al rischio non solo di precipitazioni piroclastiche, ma anche a quello di alluvionamento, per le copiose piogge che potrebbero scatenarsi in seno all’eruzione, con possibili formazioni di torrenti di fango. Narrano le cronache, che nel corso dell’eruzione del 1631 (EMA), in quel di MariglianoCicciano e Cisterna, le acque dilagarono oltre i tre metri d’altezza…non senza danno per la vita umana.
Tra le curiosità di questa mappatura risalta il comune di Nola, che dalla sua ha la caratteristica di presentare un territorio flagellabile da tutti e quattro i rischi legati alle fenomenologie eruttive del Vesuvio. Infatti, i suoli comunali si dividono e si classificano in termini di rischio in zone R1R2Zona Gialla e Zona Blu. Quest’ultima, nota nella nota, con il “vulcano buono” (centro commerciale in foto d’apertura), che pare segni la massima depressione della fossa nolana.
La nostra impressione è sempre la stessa, cioè che si voglia quadrare il cerchio dell’edilizia e del piano casa regionale, trascurando le regole della sicurezza viste come un freno allo sviluppo e non come una forma di tutela per l’imponderabile. Il problema che si pongono taluni amministratori è solo quello di non far trasparire il loro bisogno viscerale di cemento, seguendo alcune regole: <<non bisogna dare l’impressione di sottostimare il pericolo vulcanico, perché a tratti torna utile e fa tanto fashion. …>>.

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la geotermia democratica...di Malko


"Campi Flegrei Deep Drilling Project e la geotermia democratica" 
    di MalKo


Antonio Luongo, consigliere delegato dal sindaco di Napoli De Magistris ai problemi dell’energia, durante un convegno ha chiarito pochi giorni fa che, con una geotermia “democratica” di superficie, non invasiva e con impianti di nuova generazione a reiniezione, potremmo aprire un nuovo futuro per la città di Napoli (Ansa med).
Il consigliere pare abbia precisato che l’intendimento dell’amministrazione partenopea è quello di installare nell’area flegrea, ma non sui suoli di Bagnoli Futura (foto), un impianto geotermico supportato da altre fonti energetiche come il solare termodinamico e l’utilizzo di biomasse consistenti in oli vegetali e alghe.
In realtà, e non traspare bene nelle interviste, per utilizzare oli vegetali e oli prodotti dalla spremitura di alghe, temiamo sia necessario un bruciatore, anche se c’è da dire che brucerebbe una sorta di carburante oleoso, in termini di emanazioni però,  alquanto rispettoso dell’ambiente.
Inizialmente, afferma sempre il consigliere Luongo, il geotermico sarà utilizzato per il teleriscaldamento (calore nelle case) e in seguito anche per la generazione di energia elettrica.
L’individuazione del sito ove ubicare l’impianto, dovrà probabilmente tenere in debito conto prevalentemente le caratteristiche del sottosuolo, perché per le altre forme di energia, quali il solare e il biodiesel, la scelta del luogo dovrebbe presentare minori difficoltà per le opzioni tutte di superficie. Ovviamente il sito non potrà ricadere a ridosso o all’interno di aree urbanizzate, ma forse neanche dove si prevedono sommovimenti dei suoli dovuti al bradisismo flegreo.
Da questo punto di vista riteniamo che qualsiasi progettazione e pianificazione dello sviluppo nell’area Flegrea, debba essere momentaneamente sospesa, fino a quando non siano resi pubblici gli scenari eruttivi ipotizzati per la caldera flegrea con la definizione delle aree a differente pericolosità.
Infatti, sarebbe oltremodo sgradevole, dopo il paradosso dell’Ospedale del Mare costruito in zona rossa Vesuvio, proporre qualcosa di simile in quel di Bagnoli o PozzuoliFuorigrotta o Bacoli.  Peggio ancora varare un piano di insediamento residenziale in un’area a rischio di distruzione totale, delimitata dalla linea nera (black line) come al Vesuvio.
Intanto, con la storia della geotermia è entrato di nuovo negli interessi della popolazione, ma in modo più contenuto rispetto al recente passato, la querelle che riguarda il famoso Campi Flegrei Deep Drilling Project (CFDDP), cioè la perforazione profonda in area calderica.
Il pozzo pilota ha raggiunto sul finire del 2012 i cinquecento metri di profondità. A questo livello saranno collocate le attrezzature con dei sensori, particolarmente sensibili e precisi, al punto da captare sul nascere dicono, e con una precisione mai prima raggiunta, le eventuali variazioni di alcuni parametri geofisici e geochimici del supevulcano, quali precursori per la previsione dei fenomeni eruttivi nella caldera flegrea.
La trivella, in assenza di cambiamenti progettuali, riprenderà probabilmente la sua marcia per raggiungere nel 2014 i tremila e ottocento metri di profondità, proseguendo con una certa inclinazione in direzione di Pozzuoli.
A tali quote nel profondo, ci si dovrebbe imbattere in acque molto calde; superati gli acquiferi, ci s’incanalerebbe nel mezzo di rocce calde. Per interpolazioni che si riferiscono alla trasmissione del calore per conduzione, si potrebbe a questo punto stimare a che profondità sono ubicate le sacche magmatiche superficiali.
 All’inizio dei lavori di scavo le inquietudini della popolazione locale erano concentrate sui rischi in generale che le operazioni di perforazione comportano, stante alcuni episodi di pericolo verificatisi qua e là nel mondo, ampiamente  reclamizzati da articoli di stampa e anche dal nostro giornale.
Ovviamente e per molti versi, ha un valore di rischio diverso trapanare nella caldera poco abitata dello Yellowstone (Stati Uniti) piuttosto che in quella calderica di un quartiere metropolitano napoletano come Bagnoli. Così come uno scavo infracalderico a cinquecento metri di profondità ha un margine di rischio anche statistico molto diverso da una perforazione chilometrica profonda realizzata direttamente nella bocca del vulcano quiescente.
Nelle profondità calderiche si stimano temperature dell’ordine dei cinquecento gradi; imbattersi in una sacca di vapore surriscaldato o altro potrebbe non essere un fatto remoto. Comunque, il sistema a tenuta della trivella e i doppi sistemi di sicurezza, pare siano sufficienti a mitigare qualsiasi pericolo che possa presentarsi dal fondo.
In termini di autorizzazioni però, pensiamo che non possa procedersi oltre nello scavo senza il preventivo parere della commissione grandi rischi (CGR). Dovrebbe essere questo consesso di esperti, di cui fa parte anche l’Osservatorio Vesuviano come centro di competenza, a esprimersi sulla reale portata del pericolo insito in una perforazione infra calderica. Se il parere non sarà chiesto d’ufficio dal capo dipartimento della protezione civile Franco Gabrielli, dovrebbe essere sollecitato dal sindaco o, in surroga, dai comitati locali attraverso una petizione popolare.
Il mayor Luigi De Magistris dovrà analizzare il parere della commissione grandi rischi e pronunciarsi sulla fattibilità dell’esperimento, riservandosi nell’analisi del rischio, la valutazione di fattori che potrebbero anche non essere pertinenti al mondo scientifico e tecnico. Ad esempio potrebbero frapporsi ostacoli di ordine   sociale o di indice di affollamento ma anche di semplice opportunità, mettendo in conto pure i falsi allarmi che potrebbero scatenare panico soprattutto per una  mancata percezione del pericolo da parte di cittadini che solo oggi, recitano gli organi di stampa dipartimentale, sembrano scoprire il supervulcano quiescente.
Nel mondo s’inizia a discutere sui reali rischi che comporta lo sfruttamento della geotermia che, specie per la produzione di elettricità, richiede lo scavo di pozzi un tantino profondi e a volte tecniche di reiniezione o di emungimento dei fluidi.
In un recentissimo comunicato dell’INGV si mette in guardia sulle pratiche di pompaggio o di estrazione di fluidi geotermali sotterranei, per la possibilità che si verifichino  terremoti medio-piccoli (Vincenzo Convertito). Questo potrebbe spiegare una dichiarazione sibillina del Direttore dell’Osservatorio Vesuviano,Marcello Martini, rilasciata in un recente convegno sulla geotermia a proposito dei rischi:<<bisogna sempre rapportarli agli impieghi…ovviamente per tutte le cose umane, l’uso che se ne fa determina anche le condizioni di sicurezza>>.
comitati flegrei non devono schierarsi e manifestare simpatie nel senso della trivella si, trivella no. Devono molto più semplicemente chiedere che siano applicate le prassi di tutela previste dal nostro ordinamento anche in termini di cautela.  Le associazioni di cittadini possono pure esprimere un parere profondamente diverso dalle istituzioni: è lecito. In tal caso il problema diventerebbe non di contrapposizione tecnico scientifica, ma squisitamente di natura politica che, com’è noto, è l’arte della mediazione dei bisogni sociali.
La vocazione geotermica del comune di Napoli sia oggetto di valutazioni e non di speculazioni. La priorità che deve avere l’amministrazione comunale non è l’estrazione dei fluidi energetici dal sottosuolo o l’urbanizzazione della spianata ex italsider di Bagnoli, bensì mettere in sicurezza dal rischio sismico e vulcanico, chi nei Campi Flegrei ci vive o ci lavora.