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domenica 2 giugno 2013

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la prevenzione delle catastrofi...di Malko

Il Vesuvio visto dalla strada che porta a quota mille
“Il Vesuvio, la linea Gurioli e la prevenzione delle        catastrofi”  di MalKo

Con molta attenzione stiamo valutando le scelte operate dal Dipartimento della ProtezioneCivile a proposito dei nuovi scenari di pericolo assunti per la plaga vesuviana. Tali conclusioni si avvalgono del lavoro scientifico della Dott. Lucia Gurioli e altri ("Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record"), contenente una mappa dove è segnata una linea nera che demarca la porzione di area vulcanica che potrebbe essere invasa, in caso di eruzione del Vesuvio, dai temibilissimi    flussi piroclastici.
nuova zona rossa e linea Gurioli
La linea nera che determina questo confine (fig. a lato), ha un profilo irregolare che comprende, segna o circoscrive, tutti i 18 comuni della vecchia zona rossa, ma anche altri non prima considerati, che si sono ritrovati  all’improvviso inclusi nell’area a maggior pericolo. Ci riferiamo a Scafati, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano, Nola, Palma Campania Napoli e l’enclave di Pomigliano d’Arco che, da un punto di vista tecnico, non può che adeguarsi in termini di piani di evacuazione ai disposti di salvaguardia da stabilire a cura del comune di Sant’Anastasia, cittadina entro cui l'enclave ricade.
Per la maggior parte delle municipalità di fresca nomina si è trattato di un vero dramma. Non già per il rischio di essere investiti da un’ondata piroclastica bollente, bensì dall’essere travolti dalla ben più pericolosa legge regionale 21 del 2003, che vieta qualsiasi pratica di edificazione a scopo residenziale nella zona rossa Vesuvio. La loro ansia, infatti, poi mitigata dalla politica, era tutta lì…
Per rendere più chiaro la nuova scenografia della zona rossa e comprendere anche l’appendice nolana, bisogna capire che il nuovo disposto ha inglobato inizialmente in zona rossa tutti i comuni "toccati" dalla linea nera, anche solo marginalmente. E’ successo per quello di Nola, da qui la strana propaggine; e ancora  Scafati, Poggiomarino, mentre per Napoli il “tocco nero” ha dipinto in rosso non l’intera città ma solo tre quartieri orientali: San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli.
Un aiuto alle ansie della popolazione è arrivato dalla politica e nella fattispecie dal Prof. Edoardo Cosenza della Regione Campania, che ha concluso il suo giro di rassicurazioni, spiegando alle amministrazioni  comunali  new entry che era possibile  ricondurre i confini della zona rossa da quelli puramente amministrativi a quelli prospicienti o contigui alla linea nera ridimensionando il sedime a rischio. La black line  rimane comunque un limite intoccabile e insuperabile.
La clausola per stabilire una diversa linea di demarcazione del pericolo, cioè l’arretramento della linea rossa verso il monte, consisteva nel dichiarare i tetti delle case maggiormente esposti all’eventuale pioggia di prodotti piroclastici di caduta, sufficientemente resistenti all’insolito sovrappeso. Un’assunzione di responsabilità già siglata dai sindaci probabilmente con l’avallo dei dirigenti degli uffici tecnici, concretizzata con la spedizione di note e mappe al dicastero regionale campano. Il limite per tirarsi fuori dalla zona rossa era il 31 marzo 2013. Oltre questa data, infatti, i comuni ritardatari o non interessati a una diversa limitazione del pericolo, si sarebbero ritrovati con l’intero territorio comunale in zona (rossa) inedificabile.
Assumere una linea (black line) sostanzialmente puntiforme per delimitare un settore territoriale che potrebbe essere invaso da colate piroclastiche ci sembra francamente un po’ azzardato. Ancora di più se si considera che tale linea non è stata pensata  e segnata come un limite di pericolo. Un margine che annotiamo è stato ampiamente superato dalle eruzione pliniane le cui colate piroclastiche hanno cozzato a sud contro il baluardo dei Monti Lattari. Le eruzioni pliniane c'è da dire che sono rarissime con tempi di ritorno millenari, ma pur sempre insite nel DNA del Vesuvio. 
zona rossa a rischio vulcanico a ovest e ad est della città di Napoli
Il secondo elemento che vorremmo evidenziare con la cartina a lato, è che la città di Napoli confina con due distretti vulcanici molto importanti che si chiamano Campi Flegrei e Vesuvio.
Un certo numero di quartieri ad ovest e ad est della metropoli si ritrovano quindi in zona rossa. Questo significa che al di là dell’eruzione massima attesa (subpliniana), assunta come tipologia di riferimento negli scenari eruttivi del Vesuvio (quelli flegrei aggiornati sono attesi), la città di Napoli non può considerarsi fuori da certe logiche di prevenzione perché è dentro al problema più di quanto s’immagini, e le sue politiche di sviluppo residenziale devono fare i conti con il rischio di eventi naturali non contenibili come le eruzioni. Il settore case deve svilupparsi verso nord, come le vie di comunicazione che dovranno supportare tale scelta.
D’altra parte incomincia a essere insopportabile il fatto che ci siano ancora amministratori che parlano di lottizzare dei suoli insiti in zone che si gonfiano  addirittura sotto i loro piedi.   Dov’è la prevenzione delle catastrofi? La prevenzione è una disciplina che si accompagna logicamente a chi opera sul pericolo che dottamente in ogni dove disquisisce. I medici danno consigli sulla prevenzione delle malattie. Gli enti di Polizia sul come evitare furti e rapine. La guardia di finanza sui raggiri anche informatici; I vigili del Fuoco sul come allontanare il rischio incendi ecc… Nel campo della geologia e in tema di vulcani occorre che l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), attraverso le sue sezioni periferiche come l’Osservatorio Vesuviano, ricordi agli amministratori pubblici che sarà anche importante la geotermia, ma non si possono poi obliare i temi  che riguardano la  prevenzione delle catastrofi. Una disciplina che opera soprattutto sui tentativi di previsione dei fenomeni altamente energetici. In attesa dei progressi scientifici però, non si può abbandonare la strada maestra della prevenzione che rimane un dato certo per difendersi da eventi naturali come appunto le eruzioni vulcaniche.
L’ente scientifico nazionale indubbiamente si è speso bene in termini informativi per il rischio sismico, tant'è che tutti hanno capito la necessità e l'importanza di costruire gli edifici secondo criteri e norme antisismiche. Non abbiamo notato la stessa efficacia informativa per il rischio vulcanico. Fare opuscoli che dicono cos’è un vulcano senza un costrutto finale che acclari i concetti di prevenzione consistenti nel rispetto delle distanze o dei numeri abitativi è minimale; come parlare di un piano di evacuazione evocato a più non posso ma che ancora non esiste. 
La differenza tra i due pericoli probabilmente sussiste perché c’è una certa fiducia nelle possibilità di previsione utile del fenomeno eruttivo, contrariamente a quello sismico che invece è attualmente imprevedibile.  All’INGV però, non deve sfuggire che la previsione ottimistica del fenomeno eruttivo se non suffragata da dati matematici incontrovertibili sui tempi a disposizione, si offre come sponda all’intraprendente politico di turno che continuerà a urbanizzare nelle zone rosse vulcaniche, sia a est che a ovest di Napoli, ancorchè nella plaga vesuviana. Se dal palco si continua a ripetere che l’eruzione si prevederà mesi se non anni prima,il cementificatore ringrazierà sentitamente… 

martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio e linea nera: Intervista alla Dott. L. Gurioli...di Malko

Area vesuviana - foto aerea  a cura di Andrew Harris

Rischio Vesuvio, zona rossa e linea nera: intervista alla Dott. Lucia Gurioli... di MalKo
I flussi piroclastici rappresentano uno degli effetti più deleteri del risveglio di un vulcano esplosivo. Trattasi di un fenomeno temuto e pericoloso, soprattutto per una zona come quella vesuviana caratterizzata da una conurbazione asfissiante e caotica che ha letteralmente invaso la fascia pedemontana del Vesuvio, per poi spingersi fino alle pendici del monte. Un’urbanizzazione che, per superfici e numeri in gioco, ha portato l’indice di rischio zonale a un valore di inaccettabilità per un Paese che si definisce moderno e garantista.
Il Dipartimento della Protezione Civile, retto dal Prefetto Gabrielli, seguendo le indicazioni pervenute da una commissione incaricata di valutare e definire scenari e livelli di allerta, ha deciso, sentito anche la commissione grandi rischi (CGR), di adottare la pubblicazione scientifica della ricercatrice Dott. Lucia Gurioli per delimitare geograficamente l’area a maggior rischio per gli abitanti del vesuviano,includendo nuovi territori a quelli dei diciotto comuni già classificati in zona rossa. Gli scenari presi a riferimento e da cui bisognerà difendersi, sono quelli ipotizzabili per un’eruzione sub pliniana, accettata statisticamente dagli esperti istituzionali come eruzione di riferimento (EMA) per la stesura dei piani d’emergenza.

La Dott.ssa Lucia Gurioli come detto, è autrice insieme ad altri, di un lavoro scientifico in cui si evidenziano su carta  alcune linee che rappresentano il limite entro cui dilagarono i flussi piroclastici nel corso della plurimillenaria storia eruttiva del Vesuvio. I risultati, frutto di un lavoro campale, sono stati oggetto di un articolo molto interessante dal titolo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record”.
Lo studio geologico basatosi su un’intensa attività all’aperto, è stato suffragato da indagini dirette sui materiali deposti dal Vesuvio nell’arco della sua lunghissima storia eruttiva. Alla gentile Dott. Lucia Gurioli, che vive e lavora in Francia, abbiamo posto alcune domande:
Dott.ssa Gurioli, la mappa che riportiamo è tratta dalla pubblicazione citata in precedenza.  I limiti definiti da un segmento rosso, e poi nero e ancora verde, cosa indicano esattamente?
I limiti riportati sono quelli di depositi messi in posto dai flussi piroclastici durante le maggiori eruzioni del Vesuvio verificatesi negli ultimi 20.000 anni (Pomici di Base, Verdoline, Pomici di Mercato, Pomici di Avellino, Pomici di Pompei, Pollena e 1631). Nella pubblicazione abbiamo elaborato, per ogni singola eruzione, il piano di giacitura dei prodotti rilevati con le attività di campo. 
Sovrapponendo quindi ogni piano, caratterizzato da uno spessore e da una superficie, siamo riusciti a mappare e definire i limiti d’invasione dei flussi piroclastici.

La figura qui di fianco riporta le zone del vulcano che sono state flagellate dalle colate piroclastiche con un diverso indice di frequenza.
La linea rossa delimita una zona ad alta frequenza d’invasione, che raggruppa le aree colpite da tutte le eruzioni che hanno comportato la formazione di nubi ardenti.  La linea nera invece, delimita un’area leggermente più estesa che comprende una frequenza media di accadimenti invasivi.  La “corona” asimmetrica tra la linea rossa e nera invece, indica una zona, dove almeno due eruzioni hanno lasciato in loco i loro depositi. Infine, si evidenzia l’area gialla, quella più estesa, dove si registrano i depositi da flussi scaturiti dalle imponenti eruzioni di tipo pliniano. Quest’ultime, ricordiamo, sono le più energetiche e distruttive prodotte dal Vesuvio.
La zona gialla che si protende verso sud est é quella che fu colpita dall’eruzione pliniana di Pompei del 79 d.C. Quella orientata a nord invece, fu invasa dai flussi della violenta eruzione di Avellino. Queste due aree racchiuse complessivamente e omogeneamente all’interno della linea verde, furono flagellate da colate piroclastiche molto energetiche, caratterizzate da elevata mobilità. Eventi indubbiamente particolari che si sono manifestati solo due volte nell’arco dei 20.000 anni presi in esame.
I materiali piroclastici visionati e analizzati hanno dato un’idea delle temperature raggiunte dalle colate piroclastiche?
La temperatura media dei depositi di tutte queste eruzioni é di 250-370 °C (Zanella et al. 2013). Questi dati sono stati ottenuti con misure paleomagnetiche condotte sui litici dispersi nei depositi piroclastici.
La linea nera ha un suo logico proseguimento anche sul mare. A volerla tracciare a quanti metri dalla costa bisognerebbe evidenziarla?
La linea nera rappresenta un’indicazione: se si vuole tracciarla sul mare, diventa una linea fantascientifica perché non abbiamo alcun tipo di misura. Comunque, a forzare una risposta su basi analitiche, due chilometri dalla costa potrebbe essere una misura accettabile per disegnare un segmento che unisca le due estremità della linea nera.
I centri urbani con i loro edifici in zona nera costituiscono un serio freno al dilagare dei flussi piroclastici? Un po’ di anni fa c’era chi proponeva una sorta di muraglia cinese per difendere le popolazioni dalle nubi ardenti…
Non mi pronuncio neanche sull’idea originale, ma poco convincente della “muraglia cinese”. Per quanto riguarda la linea dell’edificato invece, dico solo che gli studi fatti nelle aree archeologiche colpite dall’eruzione di Pompei, hanno evidenziato che i flussi, soprattutto quelli più diluiti, interagiscono localmente con la struttura urbana, ma poi il sistema di trasporto della corrente (che può essere spessa anche fino a 200 metri), passa la città indisturbata ancora per chilometri (Gurioli et al. 2005 ; 2007 e Zanella et al. 2007)
- Il limite della black line lo possiamo definire garantista rispetto a quali tipologie eruttive e a quali fenomeni?
La line nera non era assolutamente stata pensata come un limite di rischio. Se io dovessi tracciare un qualcosa, innanzitutto disegnerei una fascia nera piuttosto che una linea. Poi, questo nero é un segmento tracciato e basato su limiti di depositi, e quindi rappresenta un valore minimo di riferimento. Noi non sappiamo con il passare del tempo quello che é stato perso in termini di materiali in sito, e logicamente non abbiamo informazione di quello che si è perso senza lasciare tracce. In questa carta poi, non c’é alcuna indicazione delle aree che potrebbero essere interessate dalla parte più diluita della corrente, che noi chiamiamo ash cloud. Quindi, per me la linea nera non dovrebbe essere utilizzata in termini di tutela, o comunque dovrebbe essere utilizzata come un limite minimo di riferimento. Per tracciare una carta di pericolosità utile per la prevenzione, occorre fare un lavoro più ponderato e finalizzato, ma non era questo lo scopo della pubblicazione. Teniamo presente inoltre, che questa carta deve essere completata con altri elementi di studio che riguardano ad esempio i depositi di caduta, dei quali noi non facciamo alcun cenno nell’articolo scientifico.
- Al di là della black line, nel senso opposto al Vesuvio, cosa è lecito attendersi nel caso dovesse verificarsi un’eruzione sub pliniana del tipo 1631?
Questa é una domanda alla quale non saprei rispondere. Noi sappiamo che i flussi piroclastici del 1631 sono stati delimitati dalla barriera del Somma, ciononostante sono state trovate delle ceneri oltre l’orlo calderico. Dato che le ceneri hanno lasciato uno spessore irrisorio e una dispersione limitata, non sono state prese in esame in questa carta, ma la loro presenza é sufficiente per affermare che porzioni più diluite dei flussi sono andate anche oltre il rilievo del Somma.
- In Francia com’è valutato il rischio Vesuvio?
Per tutti i vulcanologi e non solo francesi, il Vesuvio rappresenta certamente uno dei vulcani più pericolosi al mondo, a causa dell’elevato numero di abitanti che affollano le pendici del vulcano, la base e l’intera plaga vesuviana circostante.
 La redazione di Hyde Park ringrazia la Dott. Lucia Gurioli per la gentile disponibilità a rispondere ad alcune domande particolarmente utili per tenere aggiornati, anzi aggiornatissimi, tutti i temi che riguardano direttamente o indirettamente il Vesuvio. L’opera informativa in questo caso ha una valenza non solo dal punto di vista della ricerca e della prevenzione, ma anche da quello più spigoloso riguardante i piani d’emergenza e d’evacuazione che sono appena in itinere.

Rischio Vesuvio: work in progress... di Malko



Il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) ha reso noto i territori dell’area vesuviana che potrebbero essere colpiti dagli effetti più deleteri di un’eruzione esplosiva dell’arcinoto Vesuvio. In tal caso sono state definite delle aree che abbiamo schematizzato concettualmente nel disegno di figura 1.
Zona nera (R1) : Interessa la parte montana e pedemontana del Vesuvio con un limite verso il basso segnato sulle mappe ufficiali da una linea nera asimmetrica (black line). In questa zona il pericolo maggiore è dettato dai flussi piroclastici che potrebbero interessare qualsiasi versante del vulcano. Entro tale circonferenza, oltre alle nubi ardenti il pericolo potrebbe provenire anche dalla copiosa caduta di cenere, lapilli e bombe vulcaniche.
Zona rossa (R2): in quest’area la pioggia di materiale piroclastico potrebbe assumere intensità tale da costituire comunque un problema per le persone e per la statica delle coperture in piano dei palazzi, che potrebbero sprofondare sotto il peso di cenere e lapillo. Gli accumuli dei prodotti eruttati renderebbe i fabbricati più vulnerabili anche alle scosse sismiche che, probabilmente, accompagnerebbero le fenomenologie vulcaniche durante le varie fasi parossistiche.



nuovi scenari pubblicati dal dipartimento della protezione civile, contengono alcune note per consentire ai comuni di fresca nomina (Scafati, Poggiomarino, Nola, San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Pomigliano d’Arco e Napoli con i quartieri di Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio), di modificare il tracciato della linea rossa portandola a ridosso della linea nera.
Per operare in tal senso, i comuni indicati dovranno dimostrare che i tetti sono stati rinforzati e possono reggere al sovrappeso dei prodotti piroclastici, e ancora che sono stati predisposti piani zonali intercomunali di evacuazione (???). I sindaci interessati dovranno quindi dimostrare carte (calcoli) alla mano, il requisito di resistenza statica delle coperture, e non il <<basta la parola!>> come recitava una famosa e storica propaganda del “Carosello” televisivo.
Il comune di Poggiomarino evidentemente questi calcoli li ha già fatti. Infatti, qualche giorno fa ha licenziato un documento contenente la nuova perimetrazione. Il consiglio comunale all’unanimità ha proposto di spostare i confini della zona rossa ai limiti della linea nera. Gli amministratori poggiomarinesi hanno varato la loro idea di demarcazione, precisando che hanno dovuto lavorare non poco per estrapolare quanta più terra possibile dalla tenaglia della legge regionale 21 del 2003, che proibisce l’edificazione residenziale nella zona rossa e nera. Il risultato è stato ottenuto non sposando la tesi di assumere strade e canali come cippi di confine, ma molto più proficuamente con i segmenti delle particelle catastali… si è operato al metro se non al centimetro insomma.
Per capire in pratica cosa significa l’addossamento della linea rossa alla black line, dobbiamo tener conto che, se tutti i comuni della zona rossa (R1 – R2) applicassero il modello Poggiomarino, nella figura 1 scomparirebbe la zona rossa (R2) e rimarrebbe solo quella nera, blu e una gialla; quest’ultima molto più vasta, ma svincolata dai disposti di assoluta inedificabilità residenziale.
La Zona gialla è da ridefinire completamente anche sulla scorta del rimodellamento perimetrale della linea rossa tuttora in corso. Il settore ha un indice di pericolosità non valutabile puntualmente e a priori, perché legato alla caduta di materiale piroclastico un po’ più leggero rispetto alle zone interne (nera e rossa). Il pericolo maggiore in questo caso sarebbe a carico degli agglomerati urbani posti sottovento e in linea col centro eruttivo e con la direzione dei refoli. La fig. 2 rende bene l’idea. E’ ovvio poi, che l’ellisse gialla sarà proporzionalmente più allungata e più stretta in ragione dell’intensità del vento. Un effetto similare ma più contenuto si riscontrerebbe pure nella zona rossa per i proietti più piccoli espulsi dal vulcano. In caso di eruzione possono riscontrarsi sostanziali variazioni della protuberanza gialla, il cui orientamento sarà dettato dalla direzione di provenienza dei venti stratosferici dominanti. Statisticamente però, pare che questi il più delle volte provengono da occidente. Nulla cambierebbe invece per le zone nera e rossa che mantengono intattoil loro indice di massima pericolosità, a prescindere dai fattori esterni all’area… escamotage amministrativi compresi.

La Zona blu è legata in termini di pericolosità alle curve di livello del terreno. Le copiose acque piovane che caratterizzano spesso le eruzioni, scorrerebbero in direzione della Conca di Nola allagandola. Problemi anche molto seri si riscontrerebbero in modo direttamente proporzionale alla quantità d’acqua che precipiterebbe e si riverserebbe dai rilievi circostanti, e dai suoli la cui permeabilità potrebbe essere compromessa dall’effetto sigillante delle ceneri sottili asperse dal vulcano. La zona blu non dovrebbe subire modifiche particolari per il futuro, se non alla luce d’importanti opere artificiali di drenaggio delle acque superficiali.

Il Dipartimento della Protezione Civile, sulla scorta del parere favorevole della commissione grandi rischi (CGR), ha ritenuto il lavoro della ricercatrice Lucia Gurioli valido per la definizione della zona rossa 1, adottando la black line ivi riportata sulla carta a tema, per delimitare l’area (nera) a maggior pericolo.
Fra un po’ di tempo,comuni permettendo, avremo un quadro preciso delle zone su cui potrebbero abbattersi gli effetti dirompenti di un’eruzione sub pliniana, che è quella massima attesa (E.M.A.) e assunta come intensità di riferimento dagli esperti.
Stabilito l’evento eruttivo da tenere in debito conto e le aree a differente pericolosità, bisognerà poi modulare la strategia operativa e poi quella organizzativa e poi attendere che i 25 comuni dell’area rossa elaborino i loro piani di evacuazione che, messi insieme come un enorme puzzle, daranno origine a un unicum che si chiamerà piano d’emergenza Vesuvio, contenente in allegato e in primogenitura il piano d’evacuazione areale.
Indi, a ogni singola famiglia del vesuviano dovrà essere consegnato un vademecum contenente poche note introduttive e organizzative del piano, per dare spazio alle istruzioni sui modi di sfollamento, arricchite da cartine con i percorsi da impegnare all’occorrenza, in ragione dei vettori pubblici o privati previsti o disponibili. Anni di lavoro…
Stampa e televisioni solo di recente e in assenza <<del rischio di querela per procurato allarme>>, hanno un po’ invertito la tendenza ottimistica sul problema Vesuvio, iniziando a profferire timidamente parole come piano d’emergenza sottostimato. In realtà, e come più volte è stato scritto, la bozza di piano esistente come anche l’attuale revisione degli scenari, non tratta in alcun modo i “sentieri” da percorrere per mettersi in salvo. Quindi, questo famoso piano Vesuvio in passato iperpubblicizzato, in termini di salvaguardia non è inadeguato, bensì semplicemente inesistente… Confondere le due cose non aiuta a inquadrare i due problemi che sono scientifici per gli aspetti attinenti gli scenari eruttivi e i livelli di allarme, e tecnici per quanto riguarda i piani d’evacuazione. Però, giacché la scienza, quella di ogni ordine e grado,dipartimentale, istituzionale e universitaria, asserisce in modo sostanzialmente concordante che non è possibile prevedere quando un’eruzione accadrà e di che tipo sarà, le istituzioni che hanno competenze per il soccorso tecnico urgente, dovranno ad un certo punto prendere atto di questo limite, uscendo dall’empasse in cui si trovano, e muoversi anche con motu proprio per mettere in campo tutte le iniziative possibili a tutela della distratta popolazione vesuviana.
L’organizzazione operativa dei soccorsi dovrà evolversi: occorre un salto di qualità, perché altrimenti i Vigili del Fuoco corrono il rischio d’intervenire alla cieca in caso di eruzione, senza produrre un’efficace azione di protezione. Si pensi al massimo operativo e non all’intervento da tarare sulla media statistica e probabilistica eruttiva. Un’eruzione tipo 1944 sarebbe già sufficientemente drammatica e sarebbe già un successo operativo possedere un piano per fronteggiarla.
Riesce difficile far comprendere ai non tecnici che il rischio è una cosa che va al di là del pericolo, superandolo…. Se in uno stadio di calcio qualcuno lancia l’allarme bomba, ci saranno grossi problemi e danni alle persone per la fuga disordinata a cui si aggiungeranno quelli meccanici letali provocati dallo scoppio. Se l’allarme bomba è infondato, ci saranno solo danni alle persone per la fuga disordinata… in entrambi i casi però, pericolo o non pericolo, nelle prime file ci saranno problemi… Necessita architettare quindi un piano d’evacuazione semplice ma efficace, in surroga a quello d’emergenza che è ancora in una fase iniziale di concepimento.
La più protettiva delle formule di tutela consisterebbe nel prendere a riferimento l’evento eruttivo massimo conosciuto (E.M.C.) che, nel nostro caso, è assimilabile a un’eruzione pliniana di tipo Avellino. Questa scelta implicherebbe probabilmente e indirettamente una conclamata impossibilità di mettere a punto un piano di evacuazione per tre milioni di persone: i numeri in gioco che superano il concetto di esodo biblico, farebbero decadere immediatamente l’attenzione al problema.
Quando il cataclisma ipotizzato nella sua forma massima lascia poco spazio alla tutela per una complessità di fattori geografici e antropici, lo stratega opererà al massimo delle possibilità che gli sono offerte, senza “consumarsi” nell’attesa di risposte previsionali attualmente impossibili e controverse. Pianificherà il soccorso come detto, sfruttando tutte le risorse umane e materiali e infrastrutturali disponibili sul territorio che va coinvolto in primis, rimandando alla politica il compito di far quadrare i conti che non tornano in termini di numero di abitanti esposti al pericolo.
Questi nuovi scenari made in DPC , hanno introdotto limiti ma anche possibilità. Non è da escludere che ci sarà baraonda nel prossimo futuro. Perché Pompei e Torre Annunziata e Boscoreale e Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, probabilmente qualche discriminazione la lamenteranno quando capiranno la sperequazione che è stata attuata in loro danno da scenari contenenti alchimie che rischiano addirittura di restringere (amministrativamente) la zona rossa (R1+R2) piuttosto che allargarla…
I pompeiani non sapevano che il Vesuvio fosse un vulcano e in tanti perirono per la novità. I vesuviani sanno perfettamente cos’è quel monte grigio, eppure ne affollano anche i più piccoli meandri e anfratti montani e pedemontani, lasciando alle pratiche scongiuristiche (corna) e poi religiose (San Gennaro), il compito di proteggerli.
In questa plaga sussistono troppe commistioni pubbliche e private deleterie per la sicurezza. Il fatto che i palazzi in R1 freneranno le colate piroclastiche, non dovrebbe essere motivo per autorizzare deregolamentazioni edilizie nelle zone contigue a quella nera.
La nostra impressione è che nel vesuviano ci sia un Work in Progress, ma in direzione del caos…


Rischio Vesuvio: la zona rossa e la black line...di Malko



"Rischio Vesuvio: la black line segna la nuova zona rossa" di MalKo
La black line riportata dagli scienziati sulla mappa della macro zona rossa Vesuvio, dovrà alla fine e in ogni comune a rischio tradursi in qualcosa di necessariamente operativo, nel senso che dovrà avere una sua posizione georeferenziata sul territorio, senza alcuna lacuna o titubanza interpretativa.
Potrebbero usarsi pietre miliari, capisaldi, obelischi, oppure paletti o addirittura stele a confine, o altri strumenti ancora che in modo visivo e speditivo lascino capire il settore dove è possibile l’invasione delle colate piroclastiche in caso di eruzione.
Per fare questo probabilmente bisognerà assicurare agli uffici tecnici comunali un largo numero di coordinate geografiche, assolute o UTM, in modo che si possa tracciare con certezza la linea nera di demarcazione del pericolo. Altrimenti bisognerà dare ai medesimi direttamente le mappe comunali con il predetto limite già tracciato nei dettagli.
Per i comuni di fresca nomina il segmento nero che s’insinua sul loro territorio, rappresenta per i settori comunali ubicati a monte della line, una vera iattura perché segna o dovrebbe segnare la fine del provvido cemento. Occorre anche dire che dall’analisi delle mappe tali porzioni di territorio sono sostanzialmente residuali. Il problema principale probabilmente riguarda la città di Napoli, perché la black line passa in alcuni punti dei quartieri di Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio. Zone notoriamente con un notevole indice di affollamento comprendenti strutture importanti e forse anche qualche impianto con un rischio industriale che dovrebbe essere oggetto di attente valutazioni.
Intanto invitiamo il ricercatore L. Gurioli, autore del testo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma–Vesuvius based on the geological record” a tracciare la black line anche sul mare pur se a poca distanza dal litorale. Infatti, la linea nera che delimita la zona a maggiore rischio chiamata R1, sarà assunta, anzi è già stata assunta dagli abitanti del vesuviano, come una sorta di confine da tenere in debito conto (l’asimmetricità la rende importante e referenziata) e da superare, ovviamente nel senso diametralmente opposto al Vesuvio in caso di eruzione.
Chi abita in uno dei paesi costieri invece, potrebbe fare lo stesso ragionamento, individuando nella black line on the sea, il traguardo per mettersi al riparo dai flussi piroclastici, che sono il pericolo principale di cui tener conto nelle eruzioni esplosive.
D’altra parte la linea nera che si dovrà tracciare sul mare dovrebbe avere un’importanza anche strategica per i nuclei operativi preposti al soccorso.
I sindaci e gli abitanti delle zone rosse di recente individuazione, hanno avuto momenti di panico all’uscita della nuova demarcazione pubblicata dal Dipartimento della Protezione Civile. Per capire il dramma già accennato in precedenza, è utile riprendere una dichiarazione del sindaco di Palma Campania a proposito dei nuovi scenari: <<… sembra che abbiano creato un falso allarmismo sull’argomento, in quanto si tratta di adeguare i piani comunali di protezione civile o di crearli nei comuni dove non ci sono, e non di limitazioni sul piano dell’urbanistica>>.
Sulla scorta di un contributo alla chiarezza offerto dall’assessore regionale all’urbanistica Marcello Taglialatela, il sindaco di Poggiomarino pure rassicura i propri cittadini: <<il Comune verrà suddiviso in due zone rosse e la seconda non sarà soggetta ai vincoli previsti dalla legge regionale n. 21 del 2003>>.
Il polso della situazione è esattamente questo. Nessun dramma. A far paura non sono le nubi ardenti o la rovinosa pioggia di cenere e lapilli, ma l’impossibilità di mettere mano al cemento intorno al “placido” monte…
Questi nuovi limiti hanno portato una sperequazione in termini territoriali evincibili dalla figura in basso, in cui abbiamo simulato l’arretramento della linea rossa a ridosso di quella nera (possibilità prevista dal disposto del DPC) per i comuni di Scafati, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano, Nola, Palma Campania e Napoli. Per i restanti comuni della vecchia zona rossa, questa chiamiamola opportunità non è concessa. Ergo, si è ricreata un’incongruenza territoriale in termini di esposizione al pericolo, con anse e penisole, alla stregua delle vecchie demarcazioni oggetto di vecchie polemiche.
rischio vesuvio
Non escludiamo che comitati e associazioni e partiti politici dei comuni di Torre Annunziata, Pompei, Boscoreale, Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, faranno sentire la loro voce per la palese discriminazione subita. Se non lo fanno sbagliano! L’elasticità della linea rossa deve essere una possibilità per tutti come fatto di principio, di serietà, ancorché come concreta possibilità di interventi nella direzione dello sviluppo. Siamo sicuri che un ricorso al tribunale amministrativo darebbe ragione agli esclusi.
Secondo la vecchia classificazione, nella zona rossa possono abbattersi flussi piroclastici oltre che prodotti di ricaduta. La mappa di L. Gurioli accettata dalla Commissione Grandi Rischi, sancisce quindi una diversa rideterminazione dei settori a rischio, stabilendo un perimetro per la parte ad altissimo pericolo (nube ardente), evincibile appunto dalla Black line. Nell’insieme allora, si rideterminino i confini con la linea di pericolo e non con i limiti amministrativi secondo una logica che deve valere per tutti i comuni esposti senza differenziazioni alcuna tra i nuovi e i vecchi classificati. Se occorrerà modificare leggi regionali come quella 21/2003 sul divieto di edificare per scopi residenziali, si proceda pure in tal senso senza esitazione.
Molte sono le perplessità circa i nuovi limiti assegnati alle aree esposte al rischio Vesuvio; intanto, però, sta ritornando in auge il progetto di geotermia per la spianata di Bagnoli. Il Deep Drilling Project (CFDDP), non sappiamo quanto sia correlato alla fame di energia e alla vocazione industriale della classe politica locale.
bagnoli MalKo
Agli amministratori della metropoli ma anche alla comunità scientifica partenopea, suggeriamo di evitare assunzioni di impegni e di decisioni in merito a scavi profondi e a insediamenti residenziali e industriali, fino a quando non siano stati presentati gli scenari eruttivi per i Campi Flegreila pianificazione del territorio infatti, dovrà avere quel documento come nastro di partenza. Sarà quel documento ufficiale a definire e a quantificare il pericolo. Sarà quel documento a tracciare una linea nera, una rossa e una gialla, secondo ipotesi che saranno interessantissime da consultare, visto che parliamo di area calderica e supervulcano con annesso bradisismo. Solo in seguito, il sindaco Luigi De Magistris o anche il suo vice Tommaso Sodano che non ci sembra marginale al discorso, sommando altri elementi ai dati che gli saranno consegnati dalla Commissione Grandi Rischi (CGR), valuterà in che modo bisognerà pianificare lo sviluppo sostenibile nell’area flegrea, ovviamente con una particolare propensione alla prevenzione che non può in alcun caso essere subalterna alle pur comprensibili necessità di battere cassa.

Il Vesuvio e la nuova zona rossa


"Rischio Vesuvio: nuovi scenari e nuova zona rossa..." di MalKo
Sono stati aggiornati i piani d’emergenza! Con l’ennesima confusione che caratterizza sempre la disquisizione di argomenti tecnici che si mescolano a quelli scientifici, fa titolo di testa questa notizia. In realtà l’aggiornamento riguarda solo gli scenari eruttivi con riclassificazione delle zone a maggior rischio.
Nelle passate edizioni, la relazione finale prodotta a proposito dello “Scenario eruttivo dell’eruzione massima attesa al Vesuvio” (E.M.A.), individuava le fenomenologie da attendersi nell’area vesuviana, qualora il vulcano avesse posto fine alla sua annosa quiescenza. Secondo i ricercatori, nel breve medio termine la massima manifestazione possibile al Vesuvio non dovrebbe superare in termini d’intensità eruttiva le energie e le superfici della plaga vesuviana coinvolte durante l’eruzione del 1631. L’evento fu riportato negli annali come una sub pliniana e nelle premesse del piano d’emergenza come evento di riferimento.
I ricercatori di ieri e di oggi indicano in un rischio statisticamente accettabile questa determinazione, anche se poi precisano che allo stato attuale delle conoscenze non è possibile prevedere che tipo di eruzione il vulcano abbia  in serbo. Non si capisce se al ribasso rispetto alle loro stime o al rialzo.
I dati attuali poggiano tutti sulla pubblicazione della ricercatrice L. Gurioli e altri, dal titolo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record”.
Questa ricerca ha introdotto più che nuovi scenari nuovi limiti per quanto riguarda la zona rossa, includendo ai diciotto comuni già conosciuti, pure quelli di Scafati (SA), Pomigliano d’Arco, Nola, San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e i tre quartieri napoletani: Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio. I nuovi scenari quindi, hanno evidenziato una superficie territoriale definibile macro zona rossa (vedi figura A), con una perimetrazione delimitata dalla black line.



All’interno di questa traccia, chiamata zona rosso 1 in direzione del Vesuvio, potrebbero abbattersi i fenomeni più distruttivi come i  temibili flussi piroclastici. La linea nera è stata tracciata tenendo conto di indagini sul campo, analizzando eventi passati a media e alta probabilità di accadimento, dove le nubi ardenti potrebbero dilagare, secondo le previsioni, dal cono vulcanico fino alla linea nera (black line) segnata in figura. Nell’area pedemontana e montana così delimitata (R1), oltre alle colate bisognerà tenere in debito conto anche il problema della massiccia ricaduta di materiale piroclastico: una somma di effetti molto distruttivi.
Oltre la black line si estende la zona rossa 2 (R2), comprendente porzioni di territorio sia dei 18 comuni in precedenza già classificati a rischio che quelli di fresca nomina. L’area a valle della black line potrebbe essere interessata, dicono, solo dalla ricaduta di materiale piroclastico in una misura tale da rendere probabile il cedimento strutturale dei tetti per accumulo di materiale, soprattutto nei settori quadrettati a tinte scure (fig.B).


La black line ha alcune caratteristiche. Intanto segna l’entrata nella zona rossa a maggiore pericolosità (R1), anche se per piccole porzioni di territorio, dei comuni di Poggiomarino, Palma Campania, San Gennaro Vesuviano, Nola e i quartieri napoletani di Barra, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli.
La line poi, risulta sostanzialmente tangente ai comuni di Scafati e Volla che sarebbero solo lambiti dai possibili flussi, mentre “taglia” letteralmente (fig.B) alcuni territori della tradizionale zona rossa. Questi sono: Torre Annunziata, Pompei, Boscoreale, Somma Vesuviana, Sant’Anastasia e minimamente Cercola.
Questa riproposizione dei limiti rispetto ai due temibilissimi fenomeni vulcanici, innescherà polemiche e guazzabugli che finiranno probabilmente con ricorsi ai tribunali amministrativi. In effetti, sussistono dinieghi e possibilità che hanno operato, di fatto, una suddivisione della plaga vesuviana addirittura in tre zone (fig.B).  Una è la R1 il cui margine è la black line. La zona che noi abbiamo chiamato R invece, fa capo ai territori oltre linea facenti parte della vecchia zona rossa. Con R2 indichiamo la nuova zona rossa, al di là della oramai famosa linea.  In realtà c’è una differenza tra i differenti settori rossi appena indicati: i nuovi comuni e i tre quartieri partenopei possono rivedere e modificare il percorso della linea rossa evidenziata in grassetto, con un andamento diverso dal profilo amministrativo. Questa possibilità è invece negata ad alcuni dei diciotto comuni della vecchia perimetrazione che hanno la linea nera secante. Una disparità di trattamento probabilmente causata dai temuti vincoli legislativi della legge regionale 21/2003 che stabiliscono l’inedificabilità assoluta nell’area rossa per scopi residenziali.
Guardando la propaggine di Nola si capisce che un rimaneggiamento della linea rossa è comunque auspicabile per quel comune.
La postilla che consente alle municipalità in ingresso di riscrivere i confini del pericolo (zona rossa), premette come condizione di fattibilità esecutiva la redazione di un piano d’evacuazione a gestione parziale della popolazione (???) e applicazione di tecniche di difesa passiva degli edifici segnalati a maggior rischio di crollo dai quadretti colorati.

La nota recita inoltre, che questo rifacimento della mappa può avvenire previo accordo con la Regione Campania ma con una precisazione: la linea rossa rimaneggiata non può andare oltre la linea neraGuardando la figura a lato, noterete una certa incongruenza: al comune di Scafati potrebbe essere consentito di riportare la linea rossa contigua a quella nera scorporando così un po’ di problemi al catasto, mentre ai limitrofi comuni di Pompei e Boscoreale questa possibilità è da escludere. L’eventuale territorio scafatese liberato dai laccioli di zona rossa, presumibilmente riacquisterebbe il titolo di zona gialla: in concreto priva di regole particolari. Boscoreale e Pompei invece non potranno liberarsi dalla demarcazione dei vecchi confini a rischio. O forse sì… se, rivisitando il tutto, attraverso corsi e ricorsi, si dichiarerà zona rossa quella circoscritta dalla black line e zona gialla le restanti appendici. Bisognerà poi riparlare della tradizionale zona gialla che può essere a questo punto assottigliata e qualche parola bisognerà spenderla pure  per l’obliata zona blu soggetta ad allagamenti.
Ritornando agli aspetti di tutela, siamo ancora una volta costretti a ripetere che il piano di evacuazione non esiste. Per impostare una tale futura e faraonica pianificazione, bisognerà attendere intanto la rimodulazione della nuova zona rossa secondo accordi che si stipuleranno tra comuni e regione. L’Ing. Edoardo Cosenza fa sapere che già sono in corso accordi con il comune di Napoli, che dalla sua ha la delicata situazione dell’ospedale del mare. Non sappiamo se il pregevole nosocomio ricada all’interno della black line o fuori. La differenza consisterebbe, nella peggiore delle ipotesi, in una diversa destinazione d’uso della struttura. Nella migliore, cioè oltre line, occorrerebbe un adeguamento strutturale a fronte delle ricadute di materiali vulcanici e un piano di evacuazione a gestione parziale della popolazione (???).
Per quanto riguarda le difese passive degli edifici, i famosi spioventi di cui dovrebbero essere dotati i tetti indicati a maggiore accumulo di cenere e lapillo, consigliamo una valutazione sull’utilizzo di strutture prefabbricate. A nostro giudizio andrebbero bene quelle a lamelle, senza ricorrere alle murature, che appesantirebbero strutture non collaudate per pesi maggiori. Le opere metalliche prefabbricate in molti casi potrebbero semplificare gli interventi di prevenzione con una riduzione dei costi scacciando il rischio di un aumento del numero di abitanti.
Summit si stanno svolgendo intanto nei comuni dalla line modificabile con qualche partecipazione dell’assessore regionale Taglialatela. Tra questi Poggiomarino. Nessuno vuole la mannaia della legge regionale 21/2003 che impedisce di edificare.
Il sindaco di Sant’Anastasia, Carmine Esposito, farà sentire probabilmente la sua voce, e questa volta giustamente, a proposito della discriminazione che si perpetua in danno della vecchia zona rossa. Come si farà a dargli torto con questa linea rossa rigida da una parte e elastica dall’altra? Due pesi e due misure… I comuni tagliati in due dalla black line riscopriranno un nuovo mercato delle case che saliranno di numero e di prezzo dal lato a valle della linea nera. Ritornerà poi in auge il problema condoni che sarà alla fine riproposto oltre la frontiera di demarcazione del pericolo principale.
Consigliamo agli organi preposti al soccorso, in questo marasma, di mettere nel frattempo mano a un piano d’evacuazione d’emergenza per operare in caso di necessità in surroga al piano d’emergenza che è in alto mare. Qualcosa si può fare…

Questi nuovi scenari, che in realtà sono solo dei limiti, provengono da summit scientifici, cui converrebbe assicurare la partecipazione pure di un politico di lungo corso fuori ruolo e di provata capacità, che spieghi cosa significhino certe decisioni e quali stravolgimenti portano al famelico territorio.
Per completezza informativa riportiamo in basso la mappa a colori estratta dalla pubblicazione dalla ricercatrice Lucia Gurioli e altri, dal titolo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record”.
Si notino, per avere un’idea globale del rischio, le linee di demarcazione delle aree soggette ai flussi, in seno ad eruzioni stimate a media e ad alta probabilità di accadimento. In caso di eruzione, se il pronostico statistico dovesse fallire, la black line sarebbe sostituita dalla green line che si evince bene in figura.
Sempre per completezza informativa, è necessario precisare che le mappe in precedenza visualizzate sono state estrapolate dal sito del Dipartimento della Protezione Civile e modificate (fig.B) per motivazioni prettamente giornalistiche. Ritorneremo sull’argomento… Intanto e tra l’altro stiamo aspettando gli scenari eruttivi proposti per i Campi Flegrei, per avere un quadro completo della pericolosità vulcanica nel napoletano che, necessariamente, dovrà alla fine arricchirsi anche degli scenari probabilistici che riguardano l’isola d’Ischia.