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martedì 7 gennaio 2014

Rischio Vesuvio: supervulcani e Asteroidi...di Malko


Il Vesuvio. Foto di Andrew Harris


“Rischio Vesuvio e Campi Flegrei e asteroidi” di MalKo

Tra le varie disquisizioni che si leggono sul web, a proposito del rischio rappresentato dal supervulcano dei Campi Flegrei, ci siamo imbattuti in alcuni commenti che forzano il concetto di popolazione indifendibile in caso di eruzione esplosiva del supervulcano flegreo. L’impotenza difensiva, secondo il commentatore, sarebbe molto simile a quella che si presenterebbe in caso d’impatto di un asteroide sulla superficie terrestre.
Il commento sembra attingere all’imperiosa necessità di sfogarsi, e sostanzialmente così potremmo riassumerlo: se si parla di piani di emergenza da mettere a punto per difendersi dalla massima eruzione conosciuta del vulcano flegreo, allora per la provincia di Napoli non c’è niente da fare, perché se accade un evento pari a quello che caratterizzò 39.000 anni fa l’eruzione dell’ignimbrite campana, non c’è scampo, non solo per i puteolani e i napoletani, ma addirittura per l’intero sud Italia che verrebbe coperto da metrate di cenere. E poi, visto che non ci si può difendere da un asteroide o da una super eruzione del supervulcano flegreo, entrambi eventi più che remoti, è inutile arrovellarsi in cerca di piani d’emergenza impossibili: meglio abbassare il tiro sull’entità del pericolo e su quello lavorare, dice…

In un precedente articolo già replicammo ad affermazioni simili che chiamavano in causa i meteoriti e il piano d’emergenza Vesuvio. In effetti, le argomentazioni sono le stesse. Giacché il nostro commentatore cita anch’esso corpi celesti, possiamo ancora una volta rimarcare il concetto che la differenza fondamentale tra un asteroide e un supervulcano, è che quest’ultimo è georeferenziato, cioè si conosce esattamente la posizione geografica sul globo terrestre, mentre per un asteroide non è dato sapere in anticipo il luogo dell’impatto sulla Terra. Quindi, a prescindere dall’energia che potrebbe sviluppare un asteroide, che può essere minore o di gran lunga maggiore di un’eruzione ad alta intensità, il dato pregnante è che non c’è grande possibilità di difendersi dai massi che piovono dal cielo. Infatti, in questo caso tutto il Pianeta rientra in zona rossa, e il rischio di vedersi coinvolti in una vampata d’energia prodotta da un corpo celeste in caduta parabolica non cambia con la località. Da un supervulcano invece, è possibile distanziarsi precauzionalmente già oggi per sottrarsi agli effetti più deleteri di un’eruzione, anche se non si può escludere poi, che in qualche parte del mondo toccherà patire il freddo e la penombra.

Pur tuttavia, anche per difendersi dal poco probabile asteroide, sono in corso programmi spaziali soprattutto di mappatura dei grossi massi che orbitano tra Marte e Giove per tenerli sotto controllo e valutarne l’eventuale deragliamento verso la Terra. Sapere con mesi di anticipo che un corpo celeste è in rotta di collisione con il nostro Pianeta, potrebbe dar corso a pratiche difensive di deflessione dell’oggetto in corsa, o di frantumazione attraverso sistemi che presumibilmente esulano dalle possibilità tecnologiche nostrane, ma che probabilmente sono risorse nelle disponibilità delle superpotenze.  
D’altra parte se non sarà possibile schivare un masso spaziale dalle notevoli dimensioni, un preallertamento di diversi mesi consentirebbe comunque di evacuare, rimanendo nell’esempio iniziale, l’intera Campania o anche l'Italia meridionale.
Entro certi limiti quindi, a patto cioè, che il corpo celeste non sia di dimensioni tali da vanificare qualsiasi intervento sulla traiettoria, o che in caso d’impatto non distrugga l’intera vita sul Pianeta, c’è sempre un margine d’intervento per tentare di salvare vite umane. E il nostro obiettivo dovrebbe essere appunto quello.
La fuga dal pericolo è certamente un atto di disperazione. In una necessità del genere appena prefigurata, sarebbe addirittura possibile che i barconi degli immigrati invertano la loro rotta per dirigersi verso la Libia o la Tunisia con i nostri connazionali a bordo… Un domani si procederà con le arche spaziali.
E l’Europa dei popoli? In caso di evacuazione preventiva ospiterebbe 20 o 30 milioni di profughi italiani? Sarebbe particolarmente interessante saperlo… Anzi, bisognerebbe proprio chiederlo ai nostri partner comunitari, sfruttando qualche tavolo congressuale internazionale di protezione civile.

Ai commenti iniziali che stiamo analizzando, c’è anche quello polemico riguardante l’ospedale del mare. Per chi non conosce la questione, trattasi del più grande nosocomio dell’Italia meridionale in corso di ultimazione e che, con la nuova perimetrazione del rischio Vesuvio, si ritrova adesso in zona rossa. Da qui le critiche… Il nostro chiosatore afferma: dove avrebbero dovuto costruirlo, se tutta la provincia di Napoli in caso di catastrofiche eruzioni flegree o vesuviane è in zona rossa? Forse che non dobbiamo più curarci?
In realtà le costruzioni molto strategiche, come può essere un grande ospedale, dovrebbero nascere lontano dalle zone a rischio. Non solo perché potrebbe presentarsi il problema dell’evacuazione della struttura in caso di segnali pre eruttivi, ma anche perché il presidio abbandonato non erogherebbe prestazioni particolarmente necessarie in un momento drammatico per la popolazione.
La contraddizione però, è racchiusa nel fatto che quell’ospedale è stato concepito in un contesto progettuale non da eruzione massima conosciuta, ma da eruzione massima statisticamente attesa. Con questa premessa forse non era difficilissimo individuare un sito appena diverso dall’attuale. Riteniamo invece, che i pianificatori del territorio probabilmente abbiano collocato l’ospedale del mare in quella posizione su decisione politica e non su meditati aspetti vulcanologici. Anzi, proprio la prima perimetrazione a rischio, cioè la vecchia zona rossa comprendente i diciotto comuni vesuviani, ha offerto probabilmente l’alibi a una siffatta sistemazione nella zona di Ponticelli che in quel periodo corrispondeva alla zona gialla mai regolamentata.
Come abbiamo scritto in altre parti, effettivamente pianificare l’evacuazione della popolazione rispetto a scenari pliniani è particolarmente complicato soprattutto se occorre partire da zero come nel nostro caso.
La caldera e il parco Yellowstone
Intanto non dobbiamo confondere le problematiche vulcaniche con gli asteroidi, i supervulcani e i piani di emergenza: non aiutiano il discorso.  Difendersi da una super eruzione significa necessariamente prevederla un bel po’ di giorni prima, incanalando il maggior numero possibile di persone in direzione della salvezza. Ovviamente il rischio vulcanico è racchiuso proprio lì, negli attuali limiti della previsione che non contiene certezze, se non il labile concetto del: si prevede di prevedere… Cosa fare allora? La caldera dello Yellowstone intanto è protetta da un grande parco  che la circonda e la contiene completamente nonostante la più che chilometrica estensione. All’interno della riserva non è consentito neanche procedere con la costruzione d’impianti geotermici per non alterare i luoghi e la circolazione delle acque sotterranee: il territorio insomma, è off limits!
Dovremmo procedere allo stesso modo per diradare con gli anni la morsa demografica. Bisogna inventarsi un parco flegreo che contenga l’intera caldera, isole comprese, per evitare lo scempio edilizio che fin qui è stato commesso storpiando il territorio in nome di necessità e affari in una misura certamente e non da poco colma. S’interromperebbe così quella spirale contorta fatta di sotterfugi e grandi interessi politici ed economici con personaggi arlecchini e camaleontici sempre infilati tra le pieghe del potere anche istituzionale come cangurini nel marsupio.
Lo stesso dicasi del Vesuvio, attraverso l’estensione degli attuali confini del parco che dovrebbero corrispondere almeno coi limiti di prima perimetrazione della zona rossa: il nuovo edificato, piaccia o non piaccia, deve svilupparsi a nord di Napoli, prendendo come faro di riferimento il camino dell’inceneritore di Acerra.

Per quanto riguarda i piani d’emergenza e di evacuazione da prepararsi per il rischio asteroidi e meteoroidi, per conoscenze e capacità d’intervento attuale sono inascrivibili. Non è così per le supereruzioni, perché i danni irreparabili sono direttamente proporzionali alla distanza dalla sorgente eruttiva che può essere una misura già oggi concretamente aumentabile da chi non vuole convivere con il rischio vulcanico.
Si garantisca allora il diritto all’informazione dichiarando in ogni conferenza o articolo di stampa o vetrina televisiva che riguarda il Vesuvio o i Campi Flegrei, che:<<i piani di emergenza e di evacuazione saranno tarati rispetto all’evento massimo atteso e non all’evento massimo conosciuto, anche se quest’ultimo ha basse probabilità d’accadimento>>.
Nel sistema di monitoraggio vulcanico americano in seno all’USGS, vige il concetto che la loro opera deve essere in grado di evitare che un processo naturale si trasformi in una catastrofe naturale. Gran bella frase!


martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio e linea nera: Intervista alla Dott. L. Gurioli...di Malko

Area vesuviana - foto aerea  a cura di Andrew Harris

Rischio Vesuvio, zona rossa e linea nera: intervista alla Dott. Lucia Gurioli... di MalKo
I flussi piroclastici rappresentano uno degli effetti più deleteri del risveglio di un vulcano esplosivo. Trattasi di un fenomeno temuto e pericoloso, soprattutto per una zona come quella vesuviana caratterizzata da una conurbazione asfissiante e caotica che ha letteralmente invaso la fascia pedemontana del Vesuvio, per poi spingersi fino alle pendici del monte. Un’urbanizzazione che, per superfici e numeri in gioco, ha portato l’indice di rischio zonale a un valore di inaccettabilità per un Paese che si definisce moderno e garantista.
Il Dipartimento della Protezione Civile, retto dal Prefetto Gabrielli, seguendo le indicazioni pervenute da una commissione incaricata di valutare e definire scenari e livelli di allerta, ha deciso, sentito anche la commissione grandi rischi (CGR), di adottare la pubblicazione scientifica della ricercatrice Dott. Lucia Gurioli per delimitare geograficamente l’area a maggior rischio per gli abitanti del vesuviano,includendo nuovi territori a quelli dei diciotto comuni già classificati in zona rossa. Gli scenari presi a riferimento e da cui bisognerà difendersi, sono quelli ipotizzabili per un’eruzione sub pliniana, accettata statisticamente dagli esperti istituzionali come eruzione di riferimento (EMA) per la stesura dei piani d’emergenza.

La Dott.ssa Lucia Gurioli come detto, è autrice insieme ad altri, di un lavoro scientifico in cui si evidenziano su carta  alcune linee che rappresentano il limite entro cui dilagarono i flussi piroclastici nel corso della plurimillenaria storia eruttiva del Vesuvio. I risultati, frutto di un lavoro campale, sono stati oggetto di un articolo molto interessante dal titolo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record”.
Lo studio geologico basatosi su un’intensa attività all’aperto, è stato suffragato da indagini dirette sui materiali deposti dal Vesuvio nell’arco della sua lunghissima storia eruttiva. Alla gentile Dott. Lucia Gurioli, che vive e lavora in Francia, abbiamo posto alcune domande:
Dott.ssa Gurioli, la mappa che riportiamo è tratta dalla pubblicazione citata in precedenza.  I limiti definiti da un segmento rosso, e poi nero e ancora verde, cosa indicano esattamente?
I limiti riportati sono quelli di depositi messi in posto dai flussi piroclastici durante le maggiori eruzioni del Vesuvio verificatesi negli ultimi 20.000 anni (Pomici di Base, Verdoline, Pomici di Mercato, Pomici di Avellino, Pomici di Pompei, Pollena e 1631). Nella pubblicazione abbiamo elaborato, per ogni singola eruzione, il piano di giacitura dei prodotti rilevati con le attività di campo. 
Sovrapponendo quindi ogni piano, caratterizzato da uno spessore e da una superficie, siamo riusciti a mappare e definire i limiti d’invasione dei flussi piroclastici.

La figura qui di fianco riporta le zone del vulcano che sono state flagellate dalle colate piroclastiche con un diverso indice di frequenza.
La linea rossa delimita una zona ad alta frequenza d’invasione, che raggruppa le aree colpite da tutte le eruzioni che hanno comportato la formazione di nubi ardenti.  La linea nera invece, delimita un’area leggermente più estesa che comprende una frequenza media di accadimenti invasivi.  La “corona” asimmetrica tra la linea rossa e nera invece, indica una zona, dove almeno due eruzioni hanno lasciato in loco i loro depositi. Infine, si evidenzia l’area gialla, quella più estesa, dove si registrano i depositi da flussi scaturiti dalle imponenti eruzioni di tipo pliniano. Quest’ultime, ricordiamo, sono le più energetiche e distruttive prodotte dal Vesuvio.
La zona gialla che si protende verso sud est é quella che fu colpita dall’eruzione pliniana di Pompei del 79 d.C. Quella orientata a nord invece, fu invasa dai flussi della violenta eruzione di Avellino. Queste due aree racchiuse complessivamente e omogeneamente all’interno della linea verde, furono flagellate da colate piroclastiche molto energetiche, caratterizzate da elevata mobilità. Eventi indubbiamente particolari che si sono manifestati solo due volte nell’arco dei 20.000 anni presi in esame.
I materiali piroclastici visionati e analizzati hanno dato un’idea delle temperature raggiunte dalle colate piroclastiche?
La temperatura media dei depositi di tutte queste eruzioni é di 250-370 °C (Zanella et al. 2013). Questi dati sono stati ottenuti con misure paleomagnetiche condotte sui litici dispersi nei depositi piroclastici.
La linea nera ha un suo logico proseguimento anche sul mare. A volerla tracciare a quanti metri dalla costa bisognerebbe evidenziarla?
La linea nera rappresenta un’indicazione: se si vuole tracciarla sul mare, diventa una linea fantascientifica perché non abbiamo alcun tipo di misura. Comunque, a forzare una risposta su basi analitiche, due chilometri dalla costa potrebbe essere una misura accettabile per disegnare un segmento che unisca le due estremità della linea nera.
I centri urbani con i loro edifici in zona nera costituiscono un serio freno al dilagare dei flussi piroclastici? Un po’ di anni fa c’era chi proponeva una sorta di muraglia cinese per difendere le popolazioni dalle nubi ardenti…
Non mi pronuncio neanche sull’idea originale, ma poco convincente della “muraglia cinese”. Per quanto riguarda la linea dell’edificato invece, dico solo che gli studi fatti nelle aree archeologiche colpite dall’eruzione di Pompei, hanno evidenziato che i flussi, soprattutto quelli più diluiti, interagiscono localmente con la struttura urbana, ma poi il sistema di trasporto della corrente (che può essere spessa anche fino a 200 metri), passa la città indisturbata ancora per chilometri (Gurioli et al. 2005 ; 2007 e Zanella et al. 2007)
- Il limite della black line lo possiamo definire garantista rispetto a quali tipologie eruttive e a quali fenomeni?
La line nera non era assolutamente stata pensata come un limite di rischio. Se io dovessi tracciare un qualcosa, innanzitutto disegnerei una fascia nera piuttosto che una linea. Poi, questo nero é un segmento tracciato e basato su limiti di depositi, e quindi rappresenta un valore minimo di riferimento. Noi non sappiamo con il passare del tempo quello che é stato perso in termini di materiali in sito, e logicamente non abbiamo informazione di quello che si è perso senza lasciare tracce. In questa carta poi, non c’é alcuna indicazione delle aree che potrebbero essere interessate dalla parte più diluita della corrente, che noi chiamiamo ash cloud. Quindi, per me la linea nera non dovrebbe essere utilizzata in termini di tutela, o comunque dovrebbe essere utilizzata come un limite minimo di riferimento. Per tracciare una carta di pericolosità utile per la prevenzione, occorre fare un lavoro più ponderato e finalizzato, ma non era questo lo scopo della pubblicazione. Teniamo presente inoltre, che questa carta deve essere completata con altri elementi di studio che riguardano ad esempio i depositi di caduta, dei quali noi non facciamo alcun cenno nell’articolo scientifico.
- Al di là della black line, nel senso opposto al Vesuvio, cosa è lecito attendersi nel caso dovesse verificarsi un’eruzione sub pliniana del tipo 1631?
Questa é una domanda alla quale non saprei rispondere. Noi sappiamo che i flussi piroclastici del 1631 sono stati delimitati dalla barriera del Somma, ciononostante sono state trovate delle ceneri oltre l’orlo calderico. Dato che le ceneri hanno lasciato uno spessore irrisorio e una dispersione limitata, non sono state prese in esame in questa carta, ma la loro presenza é sufficiente per affermare che porzioni più diluite dei flussi sono andate anche oltre il rilievo del Somma.
- In Francia com’è valutato il rischio Vesuvio?
Per tutti i vulcanologi e non solo francesi, il Vesuvio rappresenta certamente uno dei vulcani più pericolosi al mondo, a causa dell’elevato numero di abitanti che affollano le pendici del vulcano, la base e l’intera plaga vesuviana circostante.
 La redazione di Hyde Park ringrazia la Dott. Lucia Gurioli per la gentile disponibilità a rispondere ad alcune domande particolarmente utili per tenere aggiornati, anzi aggiornatissimi, tutti i temi che riguardano direttamente o indirettamente il Vesuvio. L’opera informativa in questo caso ha una valenza non solo dal punto di vista della ricerca e della prevenzione, ma anche da quello più spigoloso riguardante i piani d’emergenza e d’evacuazione che sono appena in itinere.