Il Vesuvio. Foto di Andrew Harris |
“Rischio Vesuvio e Campi Flegrei e
asteroidi” di MalKo
Tra
le varie disquisizioni che si leggono sul web, a proposito del rischio rappresentato
dal supervulcano dei Campi Flegrei,
ci siamo imbattuti in alcuni commenti che forzano il concetto di popolazione
indifendibile in caso di eruzione esplosiva del supervulcano flegreo. L’impotenza
difensiva, secondo il commentatore, sarebbe molto simile a quella che si presenterebbe
in caso d’impatto di un asteroide sulla superficie terrestre.
Il
commento sembra attingere all’imperiosa necessità di sfogarsi, e sostanzialmente
così potremmo riassumerlo: se si parla di piani di emergenza da mettere a punto
per difendersi dalla massima eruzione conosciuta del vulcano flegreo, allora
per la provincia di Napoli non c’è niente da fare, perché se accade un evento
pari a quello che caratterizzò 39.000 anni fa l’eruzione dell’ignimbrite campana, non c’è scampo, non
solo per i puteolani e i napoletani, ma addirittura per l’intero sud Italia che
verrebbe coperto da metrate di cenere.
E poi, visto che non ci si può difendere da un asteroide o da una super eruzione
del supervulcano flegreo, entrambi eventi più che remoti, è inutile
arrovellarsi in cerca di piani d’emergenza impossibili: meglio abbassare il
tiro sull’entità del pericolo e su quello lavorare, dice…
In
un precedente articolo già replicammo ad affermazioni simili che chiamavano in
causa i meteoriti e il piano d’emergenza Vesuvio. In effetti, le argomentazioni
sono le stesse. Giacché il nostro commentatore cita anch’esso corpi celesti, possiamo
ancora una volta rimarcare il concetto che la differenza fondamentale tra un
asteroide e un supervulcano, è che quest’ultimo è georeferenziato, cioè si
conosce esattamente la posizione geografica sul globo terrestre, mentre per un
asteroide non è dato sapere in anticipo il luogo dell’impatto sulla Terra.
Quindi, a prescindere dall’energia che potrebbe sviluppare un asteroide, che
può essere minore o di gran lunga maggiore di un’eruzione ad alta intensità, il
dato pregnante è che non c’è grande possibilità di difendersi dai massi che
piovono dal cielo. Infatti, in questo caso tutto il Pianeta rientra in zona rossa, e il rischio di vedersi
coinvolti in una vampata d’energia prodotta da un corpo celeste in caduta parabolica
non cambia con la località. Da un supervulcano invece, è possibile distanziarsi
precauzionalmente già oggi per sottrarsi agli effetti più deleteri di
un’eruzione, anche se non si può escludere poi, che in qualche parte del mondo toccherà
patire il freddo e la penombra.
Pur
tuttavia, anche per difendersi dal poco probabile asteroide, sono in corso
programmi spaziali soprattutto di mappatura dei grossi massi che orbitano tra
Marte e Giove per tenerli sotto controllo e valutarne l’eventuale deragliamento verso la Terra. Sapere con
mesi di anticipo che un corpo celeste è in rotta di collisione con il nostro
Pianeta, potrebbe dar corso a pratiche difensive di deflessione dell’oggetto in
corsa, o di frantumazione attraverso sistemi che presumibilmente esulano dalle
possibilità tecnologiche nostrane, ma che probabilmente sono risorse nelle
disponibilità delle superpotenze.
D’altra
parte se non sarà possibile schivare un masso spaziale dalle notevoli
dimensioni, un preallertamento di diversi mesi consentirebbe comunque di
evacuare, rimanendo nell’esempio iniziale, l’intera Campania o anche l'Italia
meridionale.
Entro
certi limiti quindi, a patto cioè, che il corpo celeste non sia di dimensioni
tali da vanificare qualsiasi intervento sulla traiettoria, o che in caso d’impatto
non distrugga l’intera vita sul Pianeta, c’è sempre un margine d’intervento per
tentare di salvare vite umane. E il nostro obiettivo dovrebbe essere appunto quello.
La
fuga dal pericolo è certamente un atto di disperazione. In una necessità del genere
appena prefigurata, sarebbe addirittura possibile che i barconi degli immigrati
invertano la loro rotta per dirigersi verso la Libia o la Tunisia con i nostri
connazionali a bordo… Un domani si procederà con le arche spaziali.
E
l’Europa dei popoli? In caso di evacuazione preventiva ospiterebbe 20 o 30
milioni di profughi italiani? Sarebbe particolarmente interessante saperlo…
Anzi, bisognerebbe proprio chiederlo ai nostri partner comunitari, sfruttando
qualche tavolo congressuale internazionale di protezione civile.
Ai
commenti iniziali che stiamo analizzando, c’è anche quello polemico riguardante
l’ospedale del mare. Per chi non conosce la questione, trattasi del più grande
nosocomio dell’Italia meridionale in corso di ultimazione e che, con la nuova perimetrazione
del rischio Vesuvio, si ritrova adesso in zona rossa. Da qui le critiche… Il
nostro chiosatore afferma: dove avrebbero dovuto costruirlo, se tutta la
provincia di Napoli in caso di catastrofiche eruzioni flegree o vesuviane è in
zona rossa? Forse che non dobbiamo più curarci?
In
realtà le costruzioni molto strategiche, come può essere un grande ospedale,
dovrebbero nascere lontano dalle zone a rischio. Non solo perché potrebbe
presentarsi il problema dell’evacuazione della struttura in caso di segnali pre
eruttivi, ma anche perché il presidio abbandonato non erogherebbe prestazioni
particolarmente necessarie in un momento drammatico per la popolazione.
La
contraddizione però, è racchiusa nel fatto che quell’ospedale è stato concepito
in un contesto progettuale non da eruzione massima conosciuta, ma da eruzione massima
statisticamente attesa. Con questa premessa forse non era difficilissimo
individuare un sito appena diverso dall’attuale. Riteniamo invece, che i
pianificatori del territorio probabilmente abbiano collocato l’ospedale del
mare in quella posizione su decisione politica e non su meditati aspetti
vulcanologici. Anzi, proprio la prima perimetrazione a rischio, cioè la vecchia
zona rossa comprendente i diciotto comuni vesuviani, ha offerto probabilmente
l’alibi a una siffatta sistemazione nella zona di Ponticelli che in quel
periodo corrispondeva alla zona gialla mai regolamentata.
Come
abbiamo scritto in altre parti, effettivamente pianificare l’evacuazione della
popolazione rispetto a scenari pliniani è particolarmente complicato
soprattutto se occorre partire da zero come nel nostro caso.
La caldera e il parco Yellowstone |
Intanto non dobbiamo confondere le problematiche vulcaniche con gli asteroidi,
i supervulcani e i piani di emergenza: non aiutiano il discorso. Difendersi da una super eruzione significa necessariamente
prevederla un bel po’ di giorni prima, incanalando il maggior numero possibile di
persone in direzione della salvezza. Ovviamente il rischio vulcanico è
racchiuso proprio lì, negli attuali limiti della previsione che non contiene
certezze, se non il labile concetto del: si prevede di prevedere… Cosa fare
allora? La caldera dello Yellowstone intanto
è protetta da un grande parco che la circonda e la contiene completamente
nonostante la più che chilometrica estensione. All’interno della riserva non è
consentito neanche procedere con la costruzione d’impianti geotermici per non
alterare i luoghi e la circolazione delle acque sotterranee: il territorio insomma,
è off limits!
Dovremmo
procedere allo stesso modo per diradare con gli anni la morsa demografica.
Bisogna inventarsi un parco flegreo che contenga l’intera caldera, isole
comprese, per evitare lo scempio edilizio che fin qui è stato commesso
storpiando il territorio in nome di necessità e affari in una misura certamente
e non da poco colma. S’interromperebbe così quella spirale contorta fatta di
sotterfugi e grandi interessi politici ed economici con personaggi arlecchini e
camaleontici sempre infilati tra le pieghe del potere anche istituzionale come
cangurini nel marsupio.
Lo
stesso dicasi del Vesuvio, attraverso l’estensione degli attuali confini del parco
che dovrebbero corrispondere almeno coi limiti di prima perimetrazione della
zona rossa: il nuovo edificato, piaccia o non piaccia, deve svilupparsi a nord
di Napoli, prendendo come faro di
riferimento il camino dell’inceneritore di Acerra.
Per
quanto riguarda i piani d’emergenza e di evacuazione da prepararsi per il
rischio asteroidi e meteoroidi, per conoscenze e capacità d’intervento attuale
sono inascrivibili. Non è così per le supereruzioni, perché i danni
irreparabili sono direttamente proporzionali alla distanza dalla sorgente
eruttiva che può essere una misura già oggi concretamente aumentabile da chi
non vuole convivere con il rischio vulcanico.
Si
garantisca allora il diritto all’informazione dichiarando in ogni conferenza o
articolo di stampa o vetrina televisiva che riguarda il Vesuvio o i Campi
Flegrei, che:<<i piani di emergenza e di evacuazione saranno tarati rispetto
all’evento massimo atteso e non all’evento massimo conosciuto, anche se quest’ultimo ha basse
probabilità d’accadimento>>.
Nel
sistema di monitoraggio vulcanico americano in seno all’USGS, vige il concetto
che la loro opera deve essere in grado di evitare che un processo naturale si trasformi in una catastrofe naturale. Gran bella frase!
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