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sabato 31 maggio 2014

Rischio Vesuvio: la soap opera del pericolo...di Malko




“Rischio Vesuvio: la soap opera del pericolo… “ di MalKo

La piega che stanno prendendo gli avvenimenti che riguardano il rischio Vesuvio ancora non sembra quella giusta. Il goffo tentativo di far quadrare il cerchio della sicurezza con altri interessi meno nobili, sta esponendo un gran numero di persone a un evento da cigno nero, in modo direttamente proporzionale e nella migliore delle ipotesi al passare dei decenni. Alla base di tutto l’incapacità degli amministratori nel gestire il territorio secondo semplici regole di prevenzione. Giorno dopo giorno la sagra delle zone rosse ad andamento variabile e dei piani d’emergenza a cucù, si arricchisce di nuovi colpi di scena, come la più seguita delle soap opera televisive…
La vecchia zona rossa (Fig.A) composta da 18 comuni, era criticata perché i confini dell’area a maggior rischio seguivano quelli amministrativi comunali.  E’ stata così adottata a cura della commissione grandi rischi, una nuova perimetrazione basata su una soglia scientifica offerta dalla famosa linea nera Gurioli. Un tracciato e non una barriera, che circoscrive un perimetro vulcanico entro il quale bisogna annoverare la possibilità che sia invaso e superato dai flussi piroclastici in caso di eruzione pliniana… solo invaso se l’evento è sub pliniano.
Per tracciare la linea Gurioli sono state eseguite indagini sul campo utili per marcare i punti di massimo scorrimento raggiunti dalle colate piroclastiche staccatesi dal cratere sommitale durante le eruzioni di una certa portata (VEI 4), ma non quelle massime conosciute… I punti di fine corsa sono stati poi uniti sulle mappe, così come si fa con alcuni   passatempi enigmistici,per dare forma a una 


linea e ancora a un’area di massima pericolosità chiamata zona rossa 1, che circoscrive il Vesuvio toccando o tagliando ben 25 comuni della metropoli partenopea. La zona rossa 1 sarebbe quella vermiglio, la più pericolosa, quella dove possono abbattersi i micidiali flussi piroclastici.
La linea Gurioli sovrapponendosi alla vecchia zonazione rossa (fig.B) non ha coinciso ovviamente con i confini amministrativi, creando delle sperequazioni territoriali che non hanno migliorato di molto le discrepanze precedenti, e creandone  addirittura altre di segno opposto…
Per cercare di chiarire al meglio i concetti che riguardano questo guazzabuglio burocratico, bisogna guardare il disegno in (fig. X) che riporta a mo’ d’esempio le aree di due ipotetici comuni (A e B) di fresca nomina toccati o trapassati dalla linea nera Gurioli.  La norma inizialmente prevedeva per tali municipalità la classificazione immediata e totale di tutta la superficie in zona rossa 1, anche per la parte eccedente la black line.  Agli stessi comuni però, è stato poi consentito entro il 31 marzo 2013, di modificare il confine della zona rossa 1 segnato dalla linea nera Gurioli, in modo da evitare che passasse su luoghi anonimi e vaghi preferendo piuttosto elementi noti come strade e canali e acquedotti, per favorire una maggiore riconoscibilità dei limiti d’invasione dei flussi piroclastici. Con tale arbitrio, si offriva ai comuni la possibilità di decidere quali parti di territorio sacrificare alla zona rossa 1. L’unico vincolo per tale rivisitazione ovviamente, consisteva nel presupposto che la linea Gurioli può dilatarsi e ampliarsi (assumendola concettualmente come limite di pericolo e non di deposito) ma non restringersi verso il monte.
Sussiste una differenza però: continuando con l’esempio, guardate la figura Y. I nostri due ipotetici comuni (A) e (B) che potrebbero ad esempio essere Napoli (A) e Poggiomarino (B), sono riusciti in qualche modo, “lucrando” sulla fascia di rispetto, a far coincidere o quasi la zona rossa 1 con la linea nera Gurioli.
Al di là della zona rossa 1 però, il comune (A) vede il proprio territorio in zona gialla e quello del comune (B) in zona rossa 2.
Nello scenario vesuviano tutto quello che è fuori dalla zona rossa o R1, vecchia o nuova che sia, è automaticamente in zona gialla, ad eccezione del settore circolare che in figura definisce appunto l’area R2, posta a est del Vesuvio e su cui dobbiamo concentrare tutta la nostra attenzione.



Il settore circolare R2 (colorato in marrone), identifica la zona che in caso di eruzione può essere soggetta a una considerevole pioggia di cenere e lapilli che potrebbe raggiungere intensità tali da rendere impossibile la permanenza dei cittadini in loco e già nelle prime fasi dell’eruzione. Crollo dei tetti, amplificazione degli effetti sismici dovuti all’innaturale peso sulle coperture e fastidi anche serissimi alla respirazione e alla vista, non consentirebbero infatti di “imbastire” un’evacuazione sul momento e in un contesto di panico diffuso. Già il panico: quello che i pianificatori non trattano nelle loro dotte disquisizioni. Quando il Vesuvio incomincerà a vibrare anche tra un secolo o due, ci sarà una ressa infernale e le statistiche serviranno a poco, perché tutti vorranno mettere quanta più distanza è possibile tra loro e l’incognita (VEI 3,4,5…?) che sarà svelata solo a eruzione fatta.
Il settore circolare R2 è quello dove statisticamente il fenomeno della pioggia di prodotti piroclastici potrebbe abbattersi pericolosamente, in ragione dei venti stratosferici dominanti. Non è un caso, infatti, che nei primi anni ’90 il comune di Poggiomarino era già contemplato tra i comuni a rischio vulcanico da zona rossa: lo dicevano e lo dicono le spesse coltri di lapillo nelle campagne… Per quanto riguarda le sperequazioni territoriali, non è assurda  l’ipotesi che anche il  comune di Striano dovrebbe entrare in zona rossa 2 così come una parte di Sarno.
Le zone pericolose sono diventate due: la zona rossa 1 e la zona rossa 2. Questo spiega perché il piano d’evacuazione dovrà essere esteso ai 25 comuni della zona rossa totale, così come previsto dagli atti ufficiali. Quindi non già un'estensione della tradizionale zona rossa ma l'inserimento di un ulteriore settore a rischio.


Per capire meglio il bailamme delle zone e le varie furberie che accompagnano le scelte e le non scelte di una certa classe politica, è necessario ripartire dalla legge Regionale Campania N° 21 del 10/12/2003, che proibisce qualsiasi attività edile per uso residenziale nei territori a maggior rischio vulcanico.
Nella figura Y, si apprezza la zona rossa 1 (R1) che è quella come detto d’inedificabilità totale. La zona rossa 2 (R2) compresa nel settore circolare invece, è stata classificata meno pericolosa... Non tanto, però, da non sancirne l’evacuazione in caso di allarme vulcanico. Ovviamente tutto questo architettismo zonale è stato elucubrato per evitare la mannaia della legge sull’inedificabilità residenziale preventiva almeno nella zona Rossa 2, dove  si può allegramente continuare a fabbricare a ridosso della linea Gurioli, magari con lo spiovente, e con un'anta della finestra che all'apertura supera la linea nera...



Ciò che lascia veramente perplessi è la totale assenza di politiche di prevenzione. Se la comunità scientifica ha sancito che nel breve - medio termine eventuali flussi piroclastici statisticamente e non matematicamente non dovrebbero dilagare oltre la linea nera Gurioli, ciò non vale per gli anni a venire. Secondo alcune logiche commisurate ai tempi di quiescenza, la linea Gurioli che non è un limite di pericolo ma è stata utilizzata come tale, si sposterà in avanti col passare degli anni. E I decenni, si badi bene, non sono eternità…
Se da un lato discutiamo sulla perimetrazione della zona rossa 2, d’altra parte ci sono popolosi comuni come Portici, Ercolano o Torre del Greco che sono ubicati e per tutto il perimetro amministrativo in zona a totale invasione dei flussi piroclastici. Per loro l’unica chance di salvezza è un efficace piano d’evacuazione che al momento non c'è.
La recentissima sentenza del TAR che da ragione al comune di Boscoreale che vuole metà territorio in zona rossa 2, ha determinato un precedente che sarà seguito da altre municipalità portando a un restringimento della zona rossa. Ovviamente i giudici non sono esperti di vulcani e di emergenza e di pianificazione del territorio, e quindi non potevano sentenziare diversamente.
Pensate però, che mentre la zona Rossa 1 diventa micidiale con eruzioni di tipo VEI 4 e VEI 5 (indice di esplosività vulcanica), la zona Rossa 2 diventa pericolosa e,quindi, da evacuare già a un livello eruttivo minore (VEI 3). Un’intensità  ritenuta tra l’altro come la più probabile nel  medio termine…
 
Il Prefetto Gabrielli ha presentato in commissione ambiente al senato una buona relazione sullo stato dell’arte a proposito del rischio vulcanico in Campania e sui fondali tirrenici. Il capo dipartimento alla fine delle sue disquisizioni, sembra che abbia lasciato intendere con qualche misuratissima parola, che le amministrazioni locali forse non fanno per intero il loro dovere. Un modo per dire che le inefficienze non possono essere imputate solo allo Stato centrale. Il nostro pensiero è completamente diverso e riteniamo il Dipartimento della Protezione Civile responsabile della mancanza di sicurezza in area vesuviana e non da oggi.  Il ruolo di centralità che compete al noto dicastero nella stesura del piano di emergenza nazionale Vesuvio, che doveva comprendere anche quello di evacuazione, è difficilissimo scaricarlo  altrove. 

Nella commissione al senato il Prefetto Gabrielli avrebbe dovuto togliersi la scarpa e batterla sul tavolo, per dire che il primo anello della sicurezza è la prevenzione, e non può esserci gioco o indifferenza politica  in un contesto areale dove ogni malaccorta mossa può rivelarsi un azzardo per migliaia e migliaia di persone... 


martedì 7 gennaio 2014

Rischio Vesuvio: supervulcani e Asteroidi...di Malko


Il Vesuvio. Foto di Andrew Harris


“Rischio Vesuvio e Campi Flegrei e asteroidi” di MalKo

Tra le varie disquisizioni che si leggono sul web, a proposito del rischio rappresentato dal supervulcano dei Campi Flegrei, ci siamo imbattuti in alcuni commenti che forzano il concetto di popolazione indifendibile in caso di eruzione esplosiva del supervulcano flegreo. L’impotenza difensiva, secondo il commentatore, sarebbe molto simile a quella che si presenterebbe in caso d’impatto di un asteroide sulla superficie terrestre.
Il commento sembra attingere all’imperiosa necessità di sfogarsi, e sostanzialmente così potremmo riassumerlo: se si parla di piani di emergenza da mettere a punto per difendersi dalla massima eruzione conosciuta del vulcano flegreo, allora per la provincia di Napoli non c’è niente da fare, perché se accade un evento pari a quello che caratterizzò 39.000 anni fa l’eruzione dell’ignimbrite campana, non c’è scampo, non solo per i puteolani e i napoletani, ma addirittura per l’intero sud Italia che verrebbe coperto da metrate di cenere. E poi, visto che non ci si può difendere da un asteroide o da una super eruzione del supervulcano flegreo, entrambi eventi più che remoti, è inutile arrovellarsi in cerca di piani d’emergenza impossibili: meglio abbassare il tiro sull’entità del pericolo e su quello lavorare, dice…

In un precedente articolo già replicammo ad affermazioni simili che chiamavano in causa i meteoriti e il piano d’emergenza Vesuvio. In effetti, le argomentazioni sono le stesse. Giacché il nostro commentatore cita anch’esso corpi celesti, possiamo ancora una volta rimarcare il concetto che la differenza fondamentale tra un asteroide e un supervulcano, è che quest’ultimo è georeferenziato, cioè si conosce esattamente la posizione geografica sul globo terrestre, mentre per un asteroide non è dato sapere in anticipo il luogo dell’impatto sulla Terra. Quindi, a prescindere dall’energia che potrebbe sviluppare un asteroide, che può essere minore o di gran lunga maggiore di un’eruzione ad alta intensità, il dato pregnante è che non c’è grande possibilità di difendersi dai massi che piovono dal cielo. Infatti, in questo caso tutto il Pianeta rientra in zona rossa, e il rischio di vedersi coinvolti in una vampata d’energia prodotta da un corpo celeste in caduta parabolica non cambia con la località. Da un supervulcano invece, è possibile distanziarsi precauzionalmente già oggi per sottrarsi agli effetti più deleteri di un’eruzione, anche se non si può escludere poi, che in qualche parte del mondo toccherà patire il freddo e la penombra.

Pur tuttavia, anche per difendersi dal poco probabile asteroide, sono in corso programmi spaziali soprattutto di mappatura dei grossi massi che orbitano tra Marte e Giove per tenerli sotto controllo e valutarne l’eventuale deragliamento verso la Terra. Sapere con mesi di anticipo che un corpo celeste è in rotta di collisione con il nostro Pianeta, potrebbe dar corso a pratiche difensive di deflessione dell’oggetto in corsa, o di frantumazione attraverso sistemi che presumibilmente esulano dalle possibilità tecnologiche nostrane, ma che probabilmente sono risorse nelle disponibilità delle superpotenze.  
D’altra parte se non sarà possibile schivare un masso spaziale dalle notevoli dimensioni, un preallertamento di diversi mesi consentirebbe comunque di evacuare, rimanendo nell’esempio iniziale, l’intera Campania o anche l'Italia meridionale.
Entro certi limiti quindi, a patto cioè, che il corpo celeste non sia di dimensioni tali da vanificare qualsiasi intervento sulla traiettoria, o che in caso d’impatto non distrugga l’intera vita sul Pianeta, c’è sempre un margine d’intervento per tentare di salvare vite umane. E il nostro obiettivo dovrebbe essere appunto quello.
La fuga dal pericolo è certamente un atto di disperazione. In una necessità del genere appena prefigurata, sarebbe addirittura possibile che i barconi degli immigrati invertano la loro rotta per dirigersi verso la Libia o la Tunisia con i nostri connazionali a bordo… Un domani si procederà con le arche spaziali.
E l’Europa dei popoli? In caso di evacuazione preventiva ospiterebbe 20 o 30 milioni di profughi italiani? Sarebbe particolarmente interessante saperlo… Anzi, bisognerebbe proprio chiederlo ai nostri partner comunitari, sfruttando qualche tavolo congressuale internazionale di protezione civile.

Ai commenti iniziali che stiamo analizzando, c’è anche quello polemico riguardante l’ospedale del mare. Per chi non conosce la questione, trattasi del più grande nosocomio dell’Italia meridionale in corso di ultimazione e che, con la nuova perimetrazione del rischio Vesuvio, si ritrova adesso in zona rossa. Da qui le critiche… Il nostro chiosatore afferma: dove avrebbero dovuto costruirlo, se tutta la provincia di Napoli in caso di catastrofiche eruzioni flegree o vesuviane è in zona rossa? Forse che non dobbiamo più curarci?
In realtà le costruzioni molto strategiche, come può essere un grande ospedale, dovrebbero nascere lontano dalle zone a rischio. Non solo perché potrebbe presentarsi il problema dell’evacuazione della struttura in caso di segnali pre eruttivi, ma anche perché il presidio abbandonato non erogherebbe prestazioni particolarmente necessarie in un momento drammatico per la popolazione.
La contraddizione però, è racchiusa nel fatto che quell’ospedale è stato concepito in un contesto progettuale non da eruzione massima conosciuta, ma da eruzione massima statisticamente attesa. Con questa premessa forse non era difficilissimo individuare un sito appena diverso dall’attuale. Riteniamo invece, che i pianificatori del territorio probabilmente abbiano collocato l’ospedale del mare in quella posizione su decisione politica e non su meditati aspetti vulcanologici. Anzi, proprio la prima perimetrazione a rischio, cioè la vecchia zona rossa comprendente i diciotto comuni vesuviani, ha offerto probabilmente l’alibi a una siffatta sistemazione nella zona di Ponticelli che in quel periodo corrispondeva alla zona gialla mai regolamentata.
Come abbiamo scritto in altre parti, effettivamente pianificare l’evacuazione della popolazione rispetto a scenari pliniani è particolarmente complicato soprattutto se occorre partire da zero come nel nostro caso.
La caldera e il parco Yellowstone
Intanto non dobbiamo confondere le problematiche vulcaniche con gli asteroidi, i supervulcani e i piani di emergenza: non aiutiano il discorso.  Difendersi da una super eruzione significa necessariamente prevederla un bel po’ di giorni prima, incanalando il maggior numero possibile di persone in direzione della salvezza. Ovviamente il rischio vulcanico è racchiuso proprio lì, negli attuali limiti della previsione che non contiene certezze, se non il labile concetto del: si prevede di prevedere… Cosa fare allora? La caldera dello Yellowstone intanto è protetta da un grande parco  che la circonda e la contiene completamente nonostante la più che chilometrica estensione. All’interno della riserva non è consentito neanche procedere con la costruzione d’impianti geotermici per non alterare i luoghi e la circolazione delle acque sotterranee: il territorio insomma, è off limits!
Dovremmo procedere allo stesso modo per diradare con gli anni la morsa demografica. Bisogna inventarsi un parco flegreo che contenga l’intera caldera, isole comprese, per evitare lo scempio edilizio che fin qui è stato commesso storpiando il territorio in nome di necessità e affari in una misura certamente e non da poco colma. S’interromperebbe così quella spirale contorta fatta di sotterfugi e grandi interessi politici ed economici con personaggi arlecchini e camaleontici sempre infilati tra le pieghe del potere anche istituzionale come cangurini nel marsupio.
Lo stesso dicasi del Vesuvio, attraverso l’estensione degli attuali confini del parco che dovrebbero corrispondere almeno coi limiti di prima perimetrazione della zona rossa: il nuovo edificato, piaccia o non piaccia, deve svilupparsi a nord di Napoli, prendendo come faro di riferimento il camino dell’inceneritore di Acerra.

Per quanto riguarda i piani d’emergenza e di evacuazione da prepararsi per il rischio asteroidi e meteoroidi, per conoscenze e capacità d’intervento attuale sono inascrivibili. Non è così per le supereruzioni, perché i danni irreparabili sono direttamente proporzionali alla distanza dalla sorgente eruttiva che può essere una misura già oggi concretamente aumentabile da chi non vuole convivere con il rischio vulcanico.
Si garantisca allora il diritto all’informazione dichiarando in ogni conferenza o articolo di stampa o vetrina televisiva che riguarda il Vesuvio o i Campi Flegrei, che:<<i piani di emergenza e di evacuazione saranno tarati rispetto all’evento massimo atteso e non all’evento massimo conosciuto, anche se quest’ultimo ha basse probabilità d’accadimento>>.
Nel sistema di monitoraggio vulcanico americano in seno all’USGS, vige il concetto che la loro opera deve essere in grado di evitare che un processo naturale si trasformi in una catastrofe naturale. Gran bella frase!