Translate

Visualizzazione post con etichetta prefetto gabrielli. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta prefetto gabrielli. Mostra tutti i post

sabato 31 maggio 2014

Rischio Vesuvio: la soap opera del pericolo...di Malko




“Rischio Vesuvio: la soap opera del pericolo… “ di MalKo

La piega che stanno prendendo gli avvenimenti che riguardano il rischio Vesuvio ancora non sembra quella giusta. Il goffo tentativo di far quadrare il cerchio della sicurezza con altri interessi meno nobili, sta esponendo un gran numero di persone a un evento da cigno nero, in modo direttamente proporzionale e nella migliore delle ipotesi al passare dei decenni. Alla base di tutto l’incapacità degli amministratori nel gestire il territorio secondo semplici regole di prevenzione. Giorno dopo giorno la sagra delle zone rosse ad andamento variabile e dei piani d’emergenza a cucù, si arricchisce di nuovi colpi di scena, come la più seguita delle soap opera televisive…
La vecchia zona rossa (Fig.A) composta da 18 comuni, era criticata perché i confini dell’area a maggior rischio seguivano quelli amministrativi comunali.  E’ stata così adottata a cura della commissione grandi rischi, una nuova perimetrazione basata su una soglia scientifica offerta dalla famosa linea nera Gurioli. Un tracciato e non una barriera, che circoscrive un perimetro vulcanico entro il quale bisogna annoverare la possibilità che sia invaso e superato dai flussi piroclastici in caso di eruzione pliniana… solo invaso se l’evento è sub pliniano.
Per tracciare la linea Gurioli sono state eseguite indagini sul campo utili per marcare i punti di massimo scorrimento raggiunti dalle colate piroclastiche staccatesi dal cratere sommitale durante le eruzioni di una certa portata (VEI 4), ma non quelle massime conosciute… I punti di fine corsa sono stati poi uniti sulle mappe, così come si fa con alcuni   passatempi enigmistici,per dare forma a una 


linea e ancora a un’area di massima pericolosità chiamata zona rossa 1, che circoscrive il Vesuvio toccando o tagliando ben 25 comuni della metropoli partenopea. La zona rossa 1 sarebbe quella vermiglio, la più pericolosa, quella dove possono abbattersi i micidiali flussi piroclastici.
La linea Gurioli sovrapponendosi alla vecchia zonazione rossa (fig.B) non ha coinciso ovviamente con i confini amministrativi, creando delle sperequazioni territoriali che non hanno migliorato di molto le discrepanze precedenti, e creandone  addirittura altre di segno opposto…
Per cercare di chiarire al meglio i concetti che riguardano questo guazzabuglio burocratico, bisogna guardare il disegno in (fig. X) che riporta a mo’ d’esempio le aree di due ipotetici comuni (A e B) di fresca nomina toccati o trapassati dalla linea nera Gurioli.  La norma inizialmente prevedeva per tali municipalità la classificazione immediata e totale di tutta la superficie in zona rossa 1, anche per la parte eccedente la black line.  Agli stessi comuni però, è stato poi consentito entro il 31 marzo 2013, di modificare il confine della zona rossa 1 segnato dalla linea nera Gurioli, in modo da evitare che passasse su luoghi anonimi e vaghi preferendo piuttosto elementi noti come strade e canali e acquedotti, per favorire una maggiore riconoscibilità dei limiti d’invasione dei flussi piroclastici. Con tale arbitrio, si offriva ai comuni la possibilità di decidere quali parti di territorio sacrificare alla zona rossa 1. L’unico vincolo per tale rivisitazione ovviamente, consisteva nel presupposto che la linea Gurioli può dilatarsi e ampliarsi (assumendola concettualmente come limite di pericolo e non di deposito) ma non restringersi verso il monte.
Sussiste una differenza però: continuando con l’esempio, guardate la figura Y. I nostri due ipotetici comuni (A) e (B) che potrebbero ad esempio essere Napoli (A) e Poggiomarino (B), sono riusciti in qualche modo, “lucrando” sulla fascia di rispetto, a far coincidere o quasi la zona rossa 1 con la linea nera Gurioli.
Al di là della zona rossa 1 però, il comune (A) vede il proprio territorio in zona gialla e quello del comune (B) in zona rossa 2.
Nello scenario vesuviano tutto quello che è fuori dalla zona rossa o R1, vecchia o nuova che sia, è automaticamente in zona gialla, ad eccezione del settore circolare che in figura definisce appunto l’area R2, posta a est del Vesuvio e su cui dobbiamo concentrare tutta la nostra attenzione.



Il settore circolare R2 (colorato in marrone), identifica la zona che in caso di eruzione può essere soggetta a una considerevole pioggia di cenere e lapilli che potrebbe raggiungere intensità tali da rendere impossibile la permanenza dei cittadini in loco e già nelle prime fasi dell’eruzione. Crollo dei tetti, amplificazione degli effetti sismici dovuti all’innaturale peso sulle coperture e fastidi anche serissimi alla respirazione e alla vista, non consentirebbero infatti di “imbastire” un’evacuazione sul momento e in un contesto di panico diffuso. Già il panico: quello che i pianificatori non trattano nelle loro dotte disquisizioni. Quando il Vesuvio incomincerà a vibrare anche tra un secolo o due, ci sarà una ressa infernale e le statistiche serviranno a poco, perché tutti vorranno mettere quanta più distanza è possibile tra loro e l’incognita (VEI 3,4,5…?) che sarà svelata solo a eruzione fatta.
Il settore circolare R2 è quello dove statisticamente il fenomeno della pioggia di prodotti piroclastici potrebbe abbattersi pericolosamente, in ragione dei venti stratosferici dominanti. Non è un caso, infatti, che nei primi anni ’90 il comune di Poggiomarino era già contemplato tra i comuni a rischio vulcanico da zona rossa: lo dicevano e lo dicono le spesse coltri di lapillo nelle campagne… Per quanto riguarda le sperequazioni territoriali, non è assurda  l’ipotesi che anche il  comune di Striano dovrebbe entrare in zona rossa 2 così come una parte di Sarno.
Le zone pericolose sono diventate due: la zona rossa 1 e la zona rossa 2. Questo spiega perché il piano d’evacuazione dovrà essere esteso ai 25 comuni della zona rossa totale, così come previsto dagli atti ufficiali. Quindi non già un'estensione della tradizionale zona rossa ma l'inserimento di un ulteriore settore a rischio.


Per capire meglio il bailamme delle zone e le varie furberie che accompagnano le scelte e le non scelte di una certa classe politica, è necessario ripartire dalla legge Regionale Campania N° 21 del 10/12/2003, che proibisce qualsiasi attività edile per uso residenziale nei territori a maggior rischio vulcanico.
Nella figura Y, si apprezza la zona rossa 1 (R1) che è quella come detto d’inedificabilità totale. La zona rossa 2 (R2) compresa nel settore circolare invece, è stata classificata meno pericolosa... Non tanto, però, da non sancirne l’evacuazione in caso di allarme vulcanico. Ovviamente tutto questo architettismo zonale è stato elucubrato per evitare la mannaia della legge sull’inedificabilità residenziale preventiva almeno nella zona Rossa 2, dove  si può allegramente continuare a fabbricare a ridosso della linea Gurioli, magari con lo spiovente, e con un'anta della finestra che all'apertura supera la linea nera...



Ciò che lascia veramente perplessi è la totale assenza di politiche di prevenzione. Se la comunità scientifica ha sancito che nel breve - medio termine eventuali flussi piroclastici statisticamente e non matematicamente non dovrebbero dilagare oltre la linea nera Gurioli, ciò non vale per gli anni a venire. Secondo alcune logiche commisurate ai tempi di quiescenza, la linea Gurioli che non è un limite di pericolo ma è stata utilizzata come tale, si sposterà in avanti col passare degli anni. E I decenni, si badi bene, non sono eternità…
Se da un lato discutiamo sulla perimetrazione della zona rossa 2, d’altra parte ci sono popolosi comuni come Portici, Ercolano o Torre del Greco che sono ubicati e per tutto il perimetro amministrativo in zona a totale invasione dei flussi piroclastici. Per loro l’unica chance di salvezza è un efficace piano d’evacuazione che al momento non c'è.
La recentissima sentenza del TAR che da ragione al comune di Boscoreale che vuole metà territorio in zona rossa 2, ha determinato un precedente che sarà seguito da altre municipalità portando a un restringimento della zona rossa. Ovviamente i giudici non sono esperti di vulcani e di emergenza e di pianificazione del territorio, e quindi non potevano sentenziare diversamente.
Pensate però, che mentre la zona Rossa 1 diventa micidiale con eruzioni di tipo VEI 4 e VEI 5 (indice di esplosività vulcanica), la zona Rossa 2 diventa pericolosa e,quindi, da evacuare già a un livello eruttivo minore (VEI 3). Un’intensità  ritenuta tra l’altro come la più probabile nel  medio termine…
 
Il Prefetto Gabrielli ha presentato in commissione ambiente al senato una buona relazione sullo stato dell’arte a proposito del rischio vulcanico in Campania e sui fondali tirrenici. Il capo dipartimento alla fine delle sue disquisizioni, sembra che abbia lasciato intendere con qualche misuratissima parola, che le amministrazioni locali forse non fanno per intero il loro dovere. Un modo per dire che le inefficienze non possono essere imputate solo allo Stato centrale. Il nostro pensiero è completamente diverso e riteniamo il Dipartimento della Protezione Civile responsabile della mancanza di sicurezza in area vesuviana e non da oggi.  Il ruolo di centralità che compete al noto dicastero nella stesura del piano di emergenza nazionale Vesuvio, che doveva comprendere anche quello di evacuazione, è difficilissimo scaricarlo  altrove. 

Nella commissione al senato il Prefetto Gabrielli avrebbe dovuto togliersi la scarpa e batterla sul tavolo, per dire che il primo anello della sicurezza è la prevenzione, e non può esserci gioco o indifferenza politica  in un contesto areale dove ogni malaccorta mossa può rivelarsi un azzardo per migliaia e migliaia di persone... 


mercoledì 30 ottobre 2013

Rischio Vesuvio: alcuni cittadini ricorrono alla corte di Strasburgo sui diritti dell'uomo...di Malko

L'esercitazione di Protezione Civile denominata Twist. In primo piano il Prefetto Gabrielli

“I rischi Vesuvio e Campi Flegrei approdano alla corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo …” di MalKo

L’esercitazione di protezione civile denominata Twist, si è svolta a Salerno dove si sono prefigurati scenari calamitosi dovuti a un maremoto provocato da una frana staccatasi dal vulcano sommerso Palinuro. Il momento esercitativo ha consentito al Prefetto Franco Gabrielli di esprimere, e forse per la prima volta in modo chiaro, il suo pensiero e tutta la sua preoccupazione a proposito della minaccia rappresentata non solo dai seamount tirrenici, ma piuttosto dal Vesuvio e dalla caldera Flegrea. <<Manca consapevolezza, afferma il Capo Dipartimento, in zone dove tutti aspettano i piani nazionali tollerando intanto l’inurbazione che rende complicata qualsiasi pianificazione. In questi luoghi si è molto propensi a chiedere e poco propensi a fare…>>.
E’ vero!L’area vesuviana è un coacervo d’interessi e disinteressi. Gli amministratori del vesuviano, generalizzando, non usano o non osano trascrivere nelle loro agende il rischio Vesuvio, che menzionano poco o niente se non nelle manifestazioni pubbliche o in modo strumentale, perché altrimenti diverrebbero immediatamente sgraditi a una certa parte della popolazione.
Non dimentichiamo che i sindaci della zona rossa erano sul piede di guerra alcuni mesi fa, addirittura per valutare insieme a un supervisor regionale, le azioni necessarie per garantire un po’ di cemento “ristoratore” nell’area pericolosa sottoposta a una legge restrittiva (l.rg. 21/2003) in tema di edilizia residenziale. Alcune adunanze sono servite pure per tracciare una linea comune atta ad affrontare il problema dell’abusivismo edilizio, in altre parole dei condoni, di cui si chiedevano valutazioni bonarie almeno fino all’annata del 2003.
La maggior parte dei cittadini vesuviani invece, vorrebbero semplicemente avere la certezza che, se dovessero presentarsi segnali di pericolo da quel cono vulcanico così vicino, una qualche pianificazione di emergenza, che non osano pensare che non esista, consentirà di portare in salvo innanzitutto i loro figli.
La solerzia delle municipalità sui doveri d’ufficio che riguardano la vigilanza sull’edilizia abusiva, sulla valutazione dei condoni e degli abbattimenti, sono misurate anche sulla base dell’efficienza delle forze dell’ordine che operano in loco e che dovrebbero assicurare il controllo del territorio. C’è disinteresse… Eppure parliamo di un rischio che ha connotazioni mondiali di allarme. Bisogna anche dire però, che mancano buoni esempi legislativi, poiché ancora adesso costruiscono in zona rossa con i soldi pubblici (legge 219/81- terremoto '80), con tanto di cartello autorizzativo dell’ufficio tecnico comunale affisso sul cemento ancora fresco. Il pericolo c’è o non c’è?
Le forze dell’ordine sono immerse in questo agone di contraddizioni perché non hanno una preparazione professionale sul rischio vulcanico e sull’analisi del territorio per esercitare un ruolo proficuo di attenti osservatori non neutrali. Che cosa sia realmente un vulcano esplosivo, con le sue colate piroclastiche e la caduta di bombe e cenere vulcanica, lo percepiscono, generalizzando, solo attraverso aneddoti e discorsi correnti e spesso inesatti captati qua e là in giro per il paese, facendosi parte diligente solo su input delle procure e mai per motu proprio. Anche il cosiddetto abuso di necessità andava fermato sul nascere, senza tentennamenti, in modo da non farlo diventare un fenomeno dai numeri inapprocciabili e di difficile risoluzione. Si tenga presente che non c’è uomo o sanatoria o legge dello Stato, che possa, attraverso atti amministrativi, condonare il pericolo che incombe sulla plaga vesuviana.
Per sradicare il fenomeno dell’abusivismo edilizio basta visionare ogni quindici giorni qualche filmato effettuato da un drone o una fotografia satellitare comparandola con le precedenti. Se la procedura è troppo “moderna”, allora bisogna seguire i camion che trasportano calcestruzzo o terra appena sterrata. Oppure bussare alla porta di quello che ha improvvisamente innalzato lamiere o teli intorno al suo podere nascondendosi alla vista.
A volerla dire tutta, un vigile urbano là dove c’è dovere, volontà politica e istituzionale, con un semplice motorino poteva e può tenere sotto controllo tutto il territorio di pertinenza…
L’area vesuviana allora è un cane che si morde la coda. Non c’è via d’uscita. Anche il Dipartimento della Protezione Civile che da Salerno con le parole del prefetto Gabrielli si lancia in un j’accuse più che condivisibile contro l’inerzia dei vesuviani, ha forse qualche pecca nel dipartimentale curriculum, passato e recente, in termini di modus operandi. Non sono, infatti, lontanissimi i tempi in cui si reclamizzavano in molte trasmissioni televisive e sui giornali i piani di emergenza Vesuvio come strumento di tutela invidiatici nientemeno che dal mondo intero… così dicevano, dimenticando o forse ignorando, che senza piano d’evacuazione quello d’emergenza è carta straccia. Bisognava dire a chiare lettere poi, e già un bel po’ di tempo fa, che non c’è un’organizzazione o una pianificazione adeguata per la tutela della popolazione vesuviana, e, quindi, chi s’insedia nella zona rossa lecitamente o abusivamente, lo fa a suo rischio e pericolo. Avremmo così almeno assicurato il diritto all’informazione che è il primo anello della prevenzione. Certo, di rimando occorreva poi spiegare venti anni di commissioni e sottocommissioni per il ciarliero piano annunciato  e mai materializzato e mai uscito dai cassetti...ma questa è un’altra storia che pure un giorno dovrà essere raccontata, perché i protagonisti con qualche giravolta sono sempre gli stessi. Per non parlare delle esercitazioni di protezione civile che sono state fatte calandole letteralmente dall’alto con un indice di difficoltà inferiore alla gita scolastica; oppure assegnando enfasi di esagerata importanza a eventi come la Mesimex (Major Emergency Simulation Exercise), che in realtà non ha cambiato o migliorato il mondo del rischio vulcanico e neanche quello delle emergenze in genere.
E ancora il Dipartimento avrà pure qualche responsabilità nella recente rivisitazione dei nuovi confini della zona rossa, che in realtà hanno peggiorato la classificazione del territorio, con zone nere a distruzione totale che terminano a un passo da dove è possibile fabbricare con licenza edilizia, con norme che valgono per un comune ma non per l’altro. Una vera mestizia resa possibile da un escamotage forse della Regione Campania, chissà, che si è inventata la zona rossa ad andamento variabile.
In questo bailamme, state pur certi che alcuni dei vecchi diciotto comuni della vecchia classificazione esclusi dalle provvidenziali postille contenute nei nuovi scenari, si faranno sentire a colpi di ricorsi amministrativi, specialmente le municipalità di Boscoreale, Pompei, Torre Annunziata, Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, su cui è stata fatta una disparità di trattamento a proposito dei territori da classificare in zona gialla di là della linea Gurioli.
Su tutto emerge il dato che lascia veramente perplessi, che è quello della misura percettiva molto ottimistica del rischio Vesuvio da parte della gente, che invece di inalberarsi pretendendo uno straccio di piano d’evacuazione che ancora non c’è, asseconda l’andazzo omissivo premiando gli amministratori che tacciono sul pericolo, come se bastasse il silenzio per esorcizzarlo…
Dodici cittadini della zona rossa Vesuvio guidati da Rodolfo Viviani dell’associazione radicale per la grande Napoli, hanno presentato alla corte europea di Strasburgo una denuncia contro lo Stato italiano che non assicura la tutela dei cittadini esposti al rischio eruzione con appositi ed efficienti piani d’evacuazione. Il rappresentante dei verdi ecologisti Francesco Emilio Borrelli ha parimenti presentato analoga denuncia per la zona dei Campi Flegrei, sede delle supereruzioni e del deep drilling project. Sarà interessante il trattamento che la corte di Strasburgo riserverà alle denunce italiane, soprattutto in capo al soggetto su cui affibbiare la responsabilità di tali inadempienze.
Anche la stampa dovrebbe informarsi di più su questi rischi che mantengono sulla graticola migliaia e migliaia di persone, valutando attentamente ciò che succede nelle interazioni tra politica e mondo scientifico e mondo istituzionale.
Anche noi abbiamo provato a denunciare alle istituzioni competenti, e non solo dalle pagine del giornale, il grave rischio che corrono gli abitanti della zona rossa Vesuvio per l’assenza di un piano di evacuazione: non è mai arrivata alcuna risposta. Allora decidemmo di presentare una denuncia alla Procura della Repubblica di Torre Annunziata che ha ricevuto l’atto il 14 settembre del 2011. Siamo in attesa di sviluppi… Ovviamente ogni strada è utile e da percorrere senza indugio se serve a raggiungere l’ambito risultato di una maggiore tutela della vita umana all’ombra del Vesuvio.

domenica 23 giugno 2013

Rischio Vesuvio: alcuni eventi sismici allarmano la popolazione...di Malko

Il Vesuvio da quota 1000
“Terremoto al Vesuvio” di MalKo

I recenti eventi sismici che hanno interessato l’area vesuviana hanno ridestato la paura atavica degli abitanti dell’omonima plaga su questi scuotimenti che qualche ansioso interpreta come sintomi premonitori di una possibile variazione dello stato di quiete del Vesuvio. In realtà anche i terremoti di origine vulcanica per essere considerati sintomi pre eruttivi necessitano generalmente di un incremento, cioè un incalzare del fenomeno sismico, accompagnato dalla variazione di altri parametri fisici e chimici che la geologia prende a riferimento come possibili indicatori di rischio vulcanico.
L’Osservatorio Vesuviano ma più ancora l’autorità scientifica, ha sancito in tempi non sospetti e alla stregua di quanto già è avvenuto per i Campi Flegrei, che per far spostare il livello di allerta vulcanica da base a quello di attenzione, sono necessarie variazioni significative dei parametri controllati (si noti il plurale). Cioè, più di uno dei valori base di riferimento dovrebbe cambiare e non unicamente il fattore sismico ancorché si presenti con scosse isolate o sequenze distanziate nel tempo.
I vesuviani devono avere la consapevolezza che, anche se dovessero cambiare questi famosi parametri base di riferimento per il Vesuvio, e si passasse quindi al livello di attenzione, ciò non significherebbe automaticamente una condizione di

allarme rosso con relativa e precipitosa fuga verso la salvezza.
Lo stato di attenzione è una sorta di attesa che è comunicata dal mondo scientifico alla popolazione (tramite Dipartimento Protezione Civile), per renderla consapevole che qualcosa è cambiato all’interno e nel sottosuolo del vulcano o della caldera, e che sono in corso approfondimenti per capire se i parametri misurati abbiano una tendenza verso livelli critici pre eruttivi o rappresentano semplicemente un’anomalia momentanea.
Ovviamente così com’è successo per il passato nella zona di Pozzuoli con il bradisismo, i parametri controllati potrebbero regredire e riportarsi nella normalità, e il livello di allerta vulcanica ritornerebbe allora su valori base.
Il livello di attenzione presenta purtroppo delle incertezze circa i tempi di attesa. A esser chiari, il “semaforo” giallo potrebbe permanere in questo stato per mesi o anni, così come nel giro di poco tempo la variazione dei parametri controllati potrebbe subire delle impennate in direzione del preallarme. Meno veloce sarebbe invece il ripristino della normalità (base).
Il sindaco di San Giorgio a Cremano preme perché si stabilisca un contatto diretto con la Protezione Civile, gestita dal Prefetto Gabrielli, per affrontare il problema dei piani di evacuazione che non esistono.  Il secondo problema da mettere in evidenza è come mai l’assenza di questo fondamentale strumento di tutela sia stato sottaciuto per anni.
I sindaci di altri comuni non hanno questa urgente necessità perché in capo alle loro attenzioni c’è il problema ben più grave dei condoni edilizi che mal si sposano con la necessità di tutela che, nel caso del rischio Vesuvio, dovrebbe incentrarsi sulla prevenzione.  Un problema nel problema quello dei condoni, che alla fine dovrà essere affrontato senza tentennamenti attraverso un tavolo di lavoro probabilmente sovra comunale.

Ai nostri lettori che risiedono nella zona rossa Vesuvio possiamo dire che il loro riferimento per quanto riguarda il diritto alla sicurezza non può che essere  il  sindaco. Per chi non lo sapesse la legge 225/92 individua proprio nel primo cittadino l’autorità locale di protezione civile. Cioè il soggetto giuridico su cui ricadono le responsabilità della prevenzione e del primo soccorso in caso di necessità. Anche della previsione se il dato dovesse rientrare nelle capacità di calcolo e di analisi del comune. Ovviamente i piani di emergenza e di evacuazione rispondono e rientrano nelle logiche della prevenzione delle catastrofi. Così come l’informazione corretta, puntuale e istituzionale, rientra nei compiti precipui del sindaco e non può essere delegata a terzi neanche se trattasi d’istituti o eminenze scientifiche (L'Aquila docet!).
Le responsabilità del mancato piano d'evacuazione sia per il Vesuvio che per i Campi Flegrei sarà una querelle fra dipartimento della protezione civile, trattandosi di una pianificazione di livello nazionale, e i comuni che hanno una gran coda di paglia.  
Se nei Campi Flegrei il livello di allerta dovesse passare da attenzione a pre allarme, cosa succederà in assenza di piani d'evacuazione? L'esodo in questa fase si ipotizza già spontaneo... come e verso dove? 

lunedì 27 maggio 2013

Rischio Vesuvio ipse dixit.


"Ipse dixit: il rischio Vesuvio non ha nulla a che vedere con la vita quotidiana" di MalKo
L’approvazione qualche giorno fa del piano paesaggistico regionale, varato dalla giunta Caldoro, porta la firma e la zampata dell’assessore all’urbanistica Marcello Taglialatela. Il piano sarà riproposto in consiglio regionale per essere approvato in via definitiva. La legge Taglialatela, ahinoi, attenuerà anche i rigidi vincoli all’edilizia previsti dalla legge regionale 21 del 2003 nella zona rossa vesuviana.
Il simpaticissimo sindaco Carmine Esposito di Sant’Anastasia, esulta per il grandissimo risultato “politico” che ha raggiunto per interposta persona col disposto regionale, perché così si ridanno toni e muscoli alle betoniere che rischiavano di arrugginirsi con la legge varata da quel “semplicista” di Marco Di Lello nel 2003.
Il sindaco degli anastasiani avvilisce il rischio Vesuvio ma è un grande sostenitore delle ristrutturazioni via abbattimento e rifacimento per contrastare il suo pericolo preferito: quello sismico. << Il rischio Vesuvio non ha nulla a che vedere con la vita quotidiana…>>. Così afferma con sapienza il Mayor Esposito. E’ opinione di molti invece, che forse tutta questa bagarre che di politica non ha niente, sia stata architettata per dare risposte alla viscerale voglia di condoni edilizi.
Chissà come saranno interpretate dalla nuova normativa le case bloccate allo stato di rustico, cioè pilastri e solai in bella mostra senza pareti. Abbattibili, condonabili o fatiscenti da recuperare? Oggi ci passa il vento in quei palazzi senza infissi e senza intonaco. Un venticello che scendendo dal monte reca con sé un penetrante odore di ginestre racimolato lungo il cammino da zefiro, di fiore in fiore, tra gli ammassi di cenere e lapillo che lambiscono e sovrastano le costruzioni disabitate ancora per poco…
I sostenitori di Carmine Esposito e degli altri 13 primi cittadini della zona rossa che si sono riuniti nel feudo del sindaco esultante, saranno contenti di un agire volto a dare un “solido” tetto ai propri figli e nipoti e parenti e amici, aggiungendo solo un po’ di gente alla gente già ammonticchiata sul vulcano dormiente.
Il rischio sismico comunque sarà domo, alla faccia dei Soloni e dei menagramo dell’eruzione! Per quanto riguarda l’incondonabile nube ardente a ottocento gradi di temperatura che potrebbe precipitare in caso di eruzione giù dai declivi sommesi e vesuviani spazzando tutto, ci sarà tempo per pensarci e si farà affidamento al calcestruzzo soprattutto quello armato da opporre inutilmente a mo’ di scudo alla coltre plumbea infuocata…
<< Il rischio legato alle abitazioni nell’area del Vesuvio è un problema di coscienza, non solo di tecnici e geologi… >>. Il Professore Annibale Mottana così ha concluso la sua relazione a Roma il 22 giugno 2012 al termine dell’anno accademico dei Lincei: presente anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
In una relazione non certo rassicurante, Mottana in qualità di geologo ha ricordato come il Vesuvio sarà inesorabilmente destinato a una nuova eruzione. Allora, ha detto: <<saremo di fronte ad un problema sociale immane e insolubile, una situazione impensabile in un Paese civile>>. Una situazione, rileva l’esperto, dove le autorità ”tacciono e lasciano correre, quando non deliberano addirittura deroghe alle norme di sicurezza o condoni.
Ai cittadini e alle associazioni che sentono forte il bisogno di sicurezza e di giustizia sociale e d’istituzioni che funzionano e di esempi da seguire, invitiamo a una maggiore partecipazione anche se fatta di sola consapevolezza. Bisogna rinascere ideologicamente: cambiare cioè, stile di vita.
Il consiglio regionale dovrà riunirsi per approvare definitivamente la legge Taglialatela che rimette,come detto, mano al cemento nella zona rossa Vesuvio. I voti come diceva Annibale Mottana, devono essere dettati in questo caso dalla coscienza. Seguiremo quindi con attenzione gli interventi, gli emendamenti proposti e il voto finale.
Intanto fotografate i famosi rustici presenti nelle vostre zone. Metteteci la data. Li rifotograferemo tra qualche tempo. Se sono rimasti nello stesso stato faremo ammenda pubblica per aver dubitato della buona politica. Viceversa, confezioneremo un album fotografico da inviare al Prof. Edoardo Cosenza, che forse c’è ancora alla Regione Campania, quale assessore ai lavori pubblici e capo del servizio prevenzione e previsione della protezione civile regionale. Esattamente quello che concordò il 18 febbraio del 2011 e senza mezzi termini col Prefetto Gabrielli capo dipartimento della protezione civile in visita a Napoli, che:<< il rischio si misura anche sull’antropizzazione dei territori…>>.
Già sul finire del 2010 si notavano i preamboli all’odierna notizia cementiera. Un emendamento alla legge regionale numero 1 del 2011 (piano casa) presentata da un consigliere regionale del Pdl di Somma Vesuviana, comportò nei disposti la possibilità per i residenti della zona rossa di dar corso a interventi di ristrutturazione edilizia anche mediante demolizione e ricostruzione in altro sito.
Il responsabile della protezione civile regionale, appunto il Prof. Edoardo Cosenza, dichiarò nel merito quanto segue:<< Lo prometto! Neanche un cittadino in più dovrà entrare nella zona rossa (“Corriere della Sera” 12/01/2011)>>.
Il sindaco Esposito intanto ha riferito che utilizzerà il satellite per braccare gli abusivi. Da oggi in poi però. Intanto vuole sapere dalla Regione se ci sono soldi per le vie di fuga (in realtà il terremoto non prevede vie di fuga ma l’individuazione di aree sicure).
Che dire. Quest’articolo proveremo a tradurlo in inglese in modo che all’estero si sappia cosa succede all’ombra del vulcano più famoso del mondo, che ascrive nella sua storia formidabili “terremoti” pliniani e sub pliniani avvenuti nel 79 dopo Cristo, nel 1631,nel 1906 e l’ultima scossa si ebbe nel 1944. Da allora non si avverte più niente. Qualcuno dice che il terremoto più intenso avvenne circa duemila anni prima di Cristo e si chiamò il terremoto pliniana di Avellino. Sulla polvere ancora i segni dei piedi dei fuggitivi… eruzioni? No!no! Terremoti, da quelli dobbiamo difenderci; parola di sindaco, abbattendo case fatiscenti da ricostruire sempre in loco con ferro zigrinato e zelo cementizio…

Campi Flegrei, il Deep Drilling Project è un problema?


"Campi Flegrei e Deep Drlling Project: un problema nazionale" di MalKo
Attraverso le problematiche attinenti il famoso progetto di perforazione profonda nei Campi Flegrei (Deep Drilling Project), un certo numero di cittadini ha memorizzato che nel nostro sistema nazionale di protezione civile il Sindaco (legge 225/92) assume il titolo di autorità.
Autorità, ricordiamo, è chi decide ed emana disposizioni vincolanti per i destinatari. L’articolo 12 della legge 03-08-1999 n° 265 poi, ha trasferito sempre al primo cittadino, anche le competenze che una volta erano del Prefetto a proposito dell’informazione da dare alla popolazione su situazioni di pericolo.
Il Sindaco quindi, non è un terminale passivo, ma è il fulcro di un sistema di tutela per molti versi complesso, perché rientrano nelle competenze della protezione civile non solo il soccorso e il ripristino della normalità post catastrofe, ma anche la previsione e la prevenzione delle calamità tanto naturali quanto antropiche.
Per previsione s’intendono tutte quelle attività capaci di prevedere l’insorgere di un pericolo, generalmente inquadrabile come calamità, e le zone su cui questo può abbattersi con violenza.
La prevenzione invece, si compone di più discipline capaci di valutare e adottare misure idonee a mitigare gli effetti e le conseguenze delle calamità preventivabili oppure non prevedibili come i terremoti. Queste misure comprendono tra l’altro la stesura dei piani d’emergenza e d’evacuazione ove occorra.
Nella legge di istituzione del sistema nazionale di protezione civile (225/92), all’art. 2 sono distinti gli eventi calamitosi in tre categorie:
a) eventi naturali o connessi con l’attività’ dell’uomo che
possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
b) eventi naturali o connessi con l’attività’ dell’uomo che per loro natura ed estensione comportano l’intervento coordinato di più enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
Gli eventi di tipo (a) sono generalmente affrontati in ambito comunale, intercomunale e provinciale col supporto delle istituzioni competenti.
Quelli di tipo (b) afferiscono invece, a eventi calamitosi naturali o antropici di una certa importanza, che implicano e chiamano in causa più comuni e province con responsabilità di coordinamento e d’intervento su scala comunale e regionale.
Gli interventi di tipo (c) riguardano calamità naturali o catastrofi che, per intensità, estensione e importanza, diventano un problema nazionale.
Questo breve excursus serve per inquadrare alcuni aspetti e spunti alquanto interessanti emersi proprio dalle disquisizioni che stanno accompagnando il progetto di perforazione profonda (deep drilling project) da avviarsi, almeno così sembra e a breve, nel quartiere napoletano di Bagnoli.
Esperti e cittadini hanno chiamato in causa il Sindaco De Magistris che in realtà non appare e non commenta.
Le ipotesi di rischio fin qui formulate dai vari geologi e ricercatori ancorché emerse come dibattito su molte riviste nazionali e straniere, si dividono in contrari e favorevoli al deep drilling. Per capire il livello di responsabilità decisionale del sindaco su questo argomento, dobbiamo avere le idee più chiare circa le ipotesi di rischio che sono emerse nei vari dibattiti scientifici. In altre parole il pericolo insito nella perforazione profonda, se c’è deve essere quantificato.
Secondo le opinioni più allarmistiche, il progetto di trivellazione andrebbe a intaccare un sottosuolo che, per effetto delle sollecitazioni perforanti, potrebbe innescare terremoti, esplosioni ed eruzioni con implicazioni anche di carattere ambientale perché smuoverebbe terreni e fanghi particolarmente inquinati dalle precedenti attività siderurgiche.
Occorrerebbe quindi sapere con quale intensità e con quale estensione s’ipotizzano questi pericoli. I sismi che potrebbero generarsi avrebbero un’incidenza in un ambito territoriale particolarmente ristretto (quartieri)? E il rischio eruttivo che s’ipotizza, anche se come ipotesi remota,  sarebbe anch’esso limitato a un fatto locale? Dire che potrebbe innescarsi un’eruzione in piena regola è un’esagerazione della stampa per fare notizia? Domande tutt’altro che ingenue…
Dalle ipotesi di rischio che si ventilano, ovviamente ne discenderà una competenza in termini di responsabilità decisionale: se gli effetti dannosi della perforazione si stimano e s’ipotizzano che rimangano circoscritti a un livello locale, il Sindaco in questo caso rappresenterebbe la figura di riferimento.
Se il deep drilling racchiude in se uno o più rischi che potrebbero assurgere per intensità a problema regionale o nazionale, seppure in percentuali minime, allora il discorso cambia completamente. In questo caso dovrebbe esprimersi sulla fattibilità del progetto la commissione grandi rischi del dipartimento della protezione civile, organo scientifico per eccellenza e istituzionalmente competente. Ovviamente la commissione non potrebbe omettere di sentire comunque anche il parere del sindaco o dei sindaci interessati prima di assumere decisioni importanti.
In tema di piani d’emergenza si tenga presente che il dipartimento della protezione civile il 7 maggio 2003 varò un’altra commissione nazionale per l’aggiornamento dei piani d’emergenza dell’area vesuviana e dell’area flegrea per il rischio vulcanico. Una sorta di annosa continuità pianificatrice per quanto riguarda il Vesuvio, e una new entry che sancì l’ingresso dell’area flegrea nella classifica delle maggiori aree a rischio vulcanico. Presidente della commissione Guido Bertolaso. Per l’Osservatorio Vesuviano Giovanni Macedonio e per la regione Campania Franco Barberi.
La pianificazione nazionale d’emergenza per l’area vesuviana e flegrea per il rischio vulcanico, era ed è gestita dal dipartimento della protezione civile, perché un evento eruttivo del Vesuvio o dei Campi Flegrei, diventerebbe immediatamente un evento di tipo (c), cioè d’importanza nazionale.
Se così non fosse, a furor di logica la commissione nazionale per l’aggiornamento dei piani d’emergenza Vesuvio e Campi Flegrei, perderebbe l’altisonante titolo di nazionale per assumere quello più modesto di comunale o regionale.
Vorremmo chiarire ancora una volta il motivo per il quale dalle nostre pagine si ripete spesso che non esiste nessun piano d’emergenza, tanto per il Vesuvio quanto per i Campi Flegrei. In realtà i piani d’emergenzasono stati redatti anche se con molte incongruità e lacune gravi che ci piacerebbe discutere. Il problema principale però, consiste nella mancata pianificazione dei piani d’evacuazione che sono una cosa diversa dai piani d’emergenza e che invece tutti analogicamente accomunano. In sintesi, sostanzialmente sappiamo quali sono i vari livelli di pericolo, l’organizzazione da mettere in campo, le regioni di gemellaggio, ecc… non sappiamo però in che modo metterci in salvo. Ergo, manca lo strumento di reale tutela…il foglio dietro la porta!
Al Prefetto Gabrielli quindi, rinnoviamo la necessità che si realizzino i piani d’evacuazione, operando in surroga per i comuni inadempienti.
Ai cittadini che si stanno organizzando in comitati nel comprensorio di Bagnoli, suggeriamo di pretendere ovviamente chiarezza in tutti i sensi ma senza pregiudizi di partenza. L’ultima decisione spetta al sindacoDe Magistris, che dovrà comunque spiegare come si conciliano certi programmi di prevenzione “spinta”, con altri di rivalutazione nel senso della lottizzazione e urbanizzazione del settore a rischio ancorché sede dei sondaggi.
Il geologo Annibale Mottana dell’accademia dei lincei, il 22 giugno scorso in occasione della chiusura dell’anno accademico, alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, nella sua relazione finale ha mantenuto un taglio molto critico sulle amministrazioni che concedono troppe deroghe in tema di edificazioni e condoni anche in area vulcanica. Un problema, ha detto, non più tecnico o scientifico ma di coscienza, con amministratori che non prendono in considerazione i rischi naturali anche sulla scorta di una sorta di complicità semi-istituzionale forte di un credo assurdo che non lancia allarmi per non scatenare panico. Nel caso del Vesuvio poi, ha affermato che un eventuale eruzione sarebbe una catastrofe inaccettabile. Che dire: complimenti al cattedratico che ha riassunto molto bene i problemi irrisolti, anche se, queste parole, forse doveva pronunciarle qualche autorevole rappresentante che nell’area flegrea e sul Vesuvio ha importanti sedi istituzionali.