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mercoledì 7 giugno 2017

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: eruzione work in progress?... di MalKo



La Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei

A ovest della città di Napoli sorge il distretto vulcanico dei Campi Flegrei. Dall’altro lato, ad est, capeggia invece il Vesuvio. I due vulcani sono in vista l’uno dell’altro e ricadono geograficamente sullo stesso parallelo a 40° e 49’ di latitudine. La città di Napoli è posta quindi al centro di queste due aree vulcaniche che sono accomunate da un’unica grande camera magmatica che si sviluppa anche sotto la metropoli partenopea…

I Campi Flegrei non hanno un apparato montuoso ma solo brandelli collinari e semi collinari a volte rotondeggianti, che delimitano e punteggiano l’estensione geografica di un territorio forse sede del mitico vulcano Archiflegreo, sbriciolato nell’antichità da immani eruzioni fino alla condizione di caldera depressa, poi riempita da decine di bocche monogeniche che hanno proposto il loro vagito eruttivo molto spesso esplosivo respingendo in parte il mare.

Nell’arco di tre periodi diversi, sono stati espulsi da questo singolare distretto grandi quantità di materiale piroclastico anche a grandi distanze. L’ultima eruzione del 1538 ha segnato la quiescenza macroscopica dell’area, segnata comunque dal fenomeno anche recente e perdurante del bradisismo flegreo, che non sembra mettere tutti gli scienziati d’accordo circa la genesi di un suolo particolarmente irrequieto. In tutti i casi appare inoppugnabile il collegamento con la fonte energetica rappresentata dal calore magmatico sottostante…

Pochi giorni fa è stata formulata una teoria circa le intrusioni magmatiche che caratterizzano l’area flegrea; una tesi secondo la quale il magma insinuatosi fino a pochi chilometri dalla superficie si sia raffreddato dopo aver dato “spettacolo” e apprensione col suo calore oggi disperso…

Macellum - Pozzuoli - Campi Flegrei
Il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, è tra i massimi conoscitori della geochimica dei Campi Flegrei.

Dott. Chiodini, secondo una recente tesi il magma che sembra si sia infiltrato fino a basse profondità nel sottosuolo flegreo, pare possa datarsi e ascriversi alle crisi bradisismiche degli anni 70’ e 80’: è così?

C’è dibattito su questo. Io sono d’accordo con questa interpretazione: altri autori affermano che quel magma si sia già solidificato….

Che ci sia stata un’intrusione magmatica sembra un dato su cui concorrono con qualche distinguo un po’ tutte le tesi. Nel merito possiamo confermarlo questo dato ed ancora conosciamo l’estensione, ovvero le dimensioni di questa protuberanza magmatica insinuatasi nei territori flegrei?

Che nel 1983/1984 ci sia stata una intrusione di magma è un dato su cui concordano la maggior parte dei ricercatori (se non tutti). Si pensa ad un volume di magma relativamente piccolo, dell’ordine di 0,1 Km3.

Dott. Chiodini, se di intrusione magmatica si tratta, il fenomeno è da attribuirsi prevalentemente alla possente spinta magmatica o a una scarsa resistenza della coltre crostale che in questi luoghi è aggredita da una chimica e da una temperatura che ne minano la resistenza? Una Sua recente teoria…

Immagino che la recente teoria a cui fa riferimento sia il lavoro pubblicato nel Dicembre 2016 nella rivista Nature Communications. In quel lavoro consideriamo quanto è avvenuto dopo il 2000. Per quello che riguarda, la crisi del 1983/1984 e la intrusione magmatica che l’ha causata, posso solo dirle come elemento di riflessione che a quelle profondità (4 km) la temperatura è molto elevata. D’altra parte nella zona di massima deformazione non si osservano terremoti a profondità più grandi. E’ la stessa zona dove si ipotizza una intrusione datata di alcuni secoli, quella che ha generato probabilmente e in qualche modo l’evento eruttivo di Monte Nuovo (1538). Ne sappiamo poco, ma in quella zona e a quelle profondità le rocce potrebbero avere un comportamento ‘plastico’ e non rigido.

Se la caldera flegrea è stata sede di alcune decine di bocche eruttive monogeniche, quest’intrusione potrebbe corrispondere a una nuova bocca o a una bocca eruttiva precedente…

Credo che la zona di Pozzuoli col tratto di mare adiacente sia una zona di accumulo di magma… Nel 1538 la deformazione inizialmente era su questa zona, poi si spostò prima dell’eruzione verso ovest, dando così origine all’ultimo evento riscontrato nei Campi Flegrei: quello appunto di Monte Nuovo.

La Solfatara e la fumarola di Pisciarelli con i suoi possenti sintomi di degassazione non è detto che sia la parte più vulnerabile all’ascesa del magma in superficie. La Solfatara è una sorta di camino, una specie di collettore zonale, ma il magma non è certo che segua la strada dei vapori.


Porto di  Pozzuoli (Campi Flegrei) - L'agglomerato del Rione Terra
La geochimica fino a che punto riesce a dare risposte sulle dinamiche magmatiche che interessano un fondo calderico come i flegrei?

Noi abbiamo interpretato le variazioni osservate alle fumarole della Solfatara come un processo di depressurizzazione del magma. Ora, secondo me, il magma sta rilasciando fluidi in maggiore quantità ed arricchiti in H2O perché si sta appunto depressurizzando. Penso che l’evento che ha causato questo processo sia in realtà collegabile alle migliaia di terremoti registrati nel 1983/1984 che hanno in qualche modo aperto il sistema alla risalita dei fluidi che, rilasciati dal magma, starebbero riscaldando le parti più superficiali della caldera.

Dott. Chiodini, i dati geochimici e geofisici flegrei cosa segnalano… cosa raccontano nell’odierno?

In sintesi e nell’insieme uno spostamento della crisi verso le zone più superficiali della caldera.

Un po’ di anni fa effettuammo un lavoro ad oggetto i dissesti statici nel napoletano infiltrandoci nei condotti acquedotto del sottosuolo di Napoli. Dissesti molto spesso originati dalle caratteristiche del tufo giallo che perde la sua resistenza statica fino al 40% una volta imbibito… La possente struttura tufacea su cui poggia la città di Napoli trova pari caratterizzazione nell’area flegrea?

Il sottosuolo di Napoli - Centro storico -  San Carlo all'Arena
Quello che diciamo nel lavoro che citava prima, riferendoci a lavori specifici fatti da colleghi stranieri, è che il tufo giallo se sottoposto a riscaldamento diminuisce la sua resistenza meccanica.

Un sottosuolo anche profondo rimaneggiato dalla chimica delle acque e dalle temperatura elevate potrebbe consentire una rapida risalita del magma, magari senza acquistare una veemenza particolarmente dirompente? In altre parole, un’eruzione nel flegreo può essere anche rapida ma contenuta negli effetti? 

A questa domanda è difficile dare una risposta. Credo che nel caso di una futura eruzione l’attuale fase di elevato degassamento possa attenuarne gli effetti dirompenti. Ma gli effetti comunque bisogna relazionarli anche e in gran parte alle quantità totali di magma coinvolgibili in un’eventuale eruzione….

In che modo si può migliorare la sorveglianza vulcanica dell’area flegrea?

La sorveglianza che viene fatta oggi è già a un ottimo livello. Quello che manca non è la sorveglianza ma la ricerca. La gente spesso sopravvaluta le nostre capacità di ‘sorvegliare’ un vulcano. Nel caso dei Campi Flegrei, ad esempio, bisogna tenere presente che non abbiamo mai misurato quello che accade prima di una eruzione.

L’unico modo per cercare di capire cosa potrà succedere e quali sono i processi in corso, è quello di assicurare una interazione tra il sistema di sorveglianza con delle ricerche scientifiche mirate. Penso che servono più cervelli che studiano il problema, piuttosto che ulteriori strumenti di monitoraggio del vulcano.

 
Strumentazione scientifica di monitoraggio - Vulcano Solfatara - Pozzuoli

L’Osservatorio Vesuviano sarebbe saggio che spostasse la collocazione dei suoi uffici e sala di monitoraggio nelle retrovie del fronte vulcanico? 

Secondo me sì. Sarebbe opportuno che la struttura che sorveglia e gestisce la rete dei sensori posti sul vulcano sia ubicata al di fuori di quelle zone che verrebbero evacuate qualora dovesse rendersi necessario diramare un allarme vulcanico….

Ringraziamo il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per averci illustrato con chiarezza la situazione attuale dei Campi Flegrei.

Il quadro complessivo che possiamo farci nelle conclusioni circa la situazione di pericolosità vulcanica esistente ai Campi Flegrei, è quello di una condizione complessiva che suggerisce grande attenzione ai processi magmatici che avvengono nel comprensorio terracqueo di Pozzuoli e per largo raggio. Qualche nodo scientifico incomincia a sciogliersi ma rimane una situazione molto complessa dettata anche dalla mancanza di comparazione scientifica con gli eventi eruttivi e pre eruttivi del passato.

Nei Campi Flegrei la popolazione esposta al pericolo vulcanico conta 550.000 abitanti. Nella caldera flegrea l’organizzazione della sicurezza dovrebbe avere precise strategie e idee molto chiare sul da farsi all’occorrenza. Non è sufficiente dare visibilità e risalto a chi rassicura oltre misura: le popolazioni non necessitano di massicce dosi di valeriana mediatica. Alle popolazioni bisogna assicurare il diritto all’informazione, perché la democrazia passa anche attraverso la conoscenza della realtà che ci circonda.

Alle incertezze della previsione vulcanica, si potrebbero contrapporre le certezze della prevenzione come metodo per mitigare le catastrofi: disciplina che nessuno persegue e che molti eludono. Mentre gli scienziati si confrontano con qualche distinguo sui temi vulcanici, la politica e le amministrazioni locali e nazionali sono invece concentrate sulle cubature cementizie da calare sulla ex spianata industriale di Bagnoli (Campi Flegrei), attraverso una cabina di regia che tutti reclamano. C’è pure chi appalesa in quest’area geologicamente attenzionata la possibilità di accedere all’affare energetico trivellando per il geotermico lì dove la crosta è più gonfia e satura di fluidi caldi…

La parola d’ordine allora è il business, in barba a tutti i gufi catastrofisti che pensano di vivere nell’epoca dei dinosauri coi vulcani  sbuffanti ed eruttanti…

martedì 3 settembre 2013

Rischio vulcanico Campi Flegrei: il Deep Drilling Project (CFDDP)...di Malko

La spianata di Bagnoli (Campi Flegrei) sede del CFDDP

“Campi Flegrei: quale futuro per il Deep Drilling Project?”
di MalKo

ll famoso Deep Drilling Project dei Campi Flegrei (CFDDP), cioè il progetto di perforazione profonda avviato nel sottosuolo di Bagnoli (NA), è passato un po’ nella sordina mediatica probabilmente perché la trivella ha cessato di ruotare da dicembre 2012, dopo aver raggiunto come da programma quota meno cinquecentodue metri.
Lo scalpello litosferico con tutte le polemiche che hanno accompagnato la prima fase di perforazione del pozzo pilota, dovrà essere latore di ben altre autorizzazioni prima di continuare la sua corsa nelle profondità calderiche del supervulcano flegreo, per raggiungere i circa quattromila metri di profondità.
Il piano di scavo inizialmente pubblicizzava un tornaconto geotermico che sarebbe scaturito dal foro di Bagnoli e dall’acqua calda sottostante. L’insistente propaganda iniziale sull’energia pulita e a basso costo, scemò a seguito delle proteste di alcuni comitati cittadini che vedevano nella geotermia in loco profitti tuttalpiù per le industrie del ramo, ma non per la popolazione a cui toccavano solo i rischi dell’operazione.
La pubblicità allora dirottò sulla previsione delle catastrofi. Il Deep Drilling Project divenne quindi un’opera fondamentale per monitorare con tecniche di previsione l’area vulcanica flegrea, con strumentazioni ad alta tecnologia ubicate sul fondo del pozzo pilota, pronte a cogliere sul nascere qualsiasi indizio foriero di eruzioni, come i sollevamenti, che in verità lì si contano a metri.
La trivella di Bagnoli dovrebbe ripartire al termine della valutazione dei dati fin qui raccolti, per inoltrarsi poi chilometricamente nel cuore calderico del supervulcano, con il fine di scandagliare scientificamente le coltri di materiali e investigare sulla genesi del bradisismo. L’interesse della cittadinanza non è stato catturato da quest’argomentazione, perché gli abitanti non reputano necessario indagare il sottosuolo se questo comporta un pur piccolo rischio ancorché se tali dati già esistono grazie alle numerose prospezioni profonde che si fecero negli anni ’80. L’Agip, infatti, scandagliò il sottosuolo puteolano e quello dei laghi d’Averno e di Licola e le contrade di Mofete e Cigliano, con pozzi come quello di S. Vito, che si spinse fino a 3.038 metri di profondità. Fu anche tentata una sortita nella parte pedemontana del Vesuvio, a Trecase, con una trivellazione da 2.064 metri senza alcun esito produttivo.
L’Osservatorio Vesuviano (INGV) in simbiosi con il comitato CFDDP e il Comune di Napoli, si sono spesi moltissimo nell’ambito di convegni e interviste su quest’iniziativa internazionale, dichiarando in tutte le sedi che il progetto è assolutamente innocuo, soprattutto per il sistema di perforazione provvisto di congegni innovativi che lo rendono  più sicuro di altri.
Il ruolo dell’Osservatorio Vesuviano nell’intera vicenda del Deep Drilling Project ai Campi Flegrei però ci sembra un tantino di parte. Se le operazioni di perforazione profonda in area calderica sono o non sono pericolose, non lo dovrebbe dire chi ha correlazioni con la proposta e il coordinamento e lo sviluppo dell’opera. Altrimenti si corre il rischio, secondo la metafora tutta napoletana, che lo storico ente faccia la parte dell’acquaiolo e l’opinione pubblica quella del cliente a proposito dell’acqua fresca come la neve…>>.
Intanto Il 21 luglio 2013 il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo dal titolo: “La perforazione geotermica scatena il terremoto: stop al progetto”. Nel pezzo si racconta di un sisma di 3,6 della scala Richter verificatosi a San Gallo, nella zona del Lago di Costanza in Svizzera. La scossa è stata provocata dai lavori di perforazione per la realizzazione di una centrale geotermica.
Il direttore del cantiere, ha spiegato che era stata scoperta una fuga di gas ad alta pressione nel foro di trivellazione. Per arginare il pericolo era stata pompata acqua e fango nel condotto. L’operazione di pompaggio si era resa necessaria, spiega il dirigente, per evitare guai peggiori. A Basilea un progetto simile era già stato abbandonato nel 2006 sempre per l’innescarsi di scosse sismiche. Il caso svizzero destò apprensioni pure nel governo americano che bloccò per precauzione i progetti di perforazione geotermica della AltaRock Energia sulle colline a nord di San Francisco, per timore che si innescassero terremoti.
Sul giornale online Avvenire invece, nell’articolo datato 12 agosto 2013 si legge: <<All’indomani del terremoto di Modena, l’assessore alle attività produttive dell’Emilia-Romagna ha sospeso l’iter di ogni nuova concessione nei comuni del cratere. «…Non so se le attività di perforazione – ha spiegato Gian Carlo Muzzarelli – possano essere messe in relazione con la sismicità di un’area, saranno gli scienziati a dirmelo, ma fino ad allora si aspetta».. 
<< …Si delibererà solo quando si sarà fatta chiarezza: è un atto di responsabilità verso il territorio e le popolazioni». <<… Usiamo il principio di precauzione e il buon senso: il sottosuolo non è un limone da spremere».
Sono interessanti anche gli articoli pubblicati a proposito del vulcano Lusi in Indonesia, da sette anni in attività. Ubicato a Sidoarjo nella parte orientale dell’isola di Giava, è il più grande vulcano di fango al mondo. Le sue origini sono da ascriversi con tutta probabilità a una trivellazione esplorativa petrolifera.
Uno studio dell’Università di Bonn pubblicato su Nature Geoscience, sostiene la stessa tesi della società responsabile della perforazione, la Lapindo Brantas, cioè che fu il terremoto che occorse a Yogyakarta qualche giorno prima del 29 maggio 2006 a causare l’eruzione.Di tutt’altro avviso la relazione scientifica dell'Università di Durham (Inghilterra), pubblicata sulla rivista Geological Society of America, dove le responsabilità dell’innaturale eruzione si accollano unicamente alla società petrolifera e alle sue pratiche perforative poco accorte.
Sul piano internazionale si è un po’ scettici sulla possibilità che una scossa di terremoto con ipocentro a 280 km. di distanza da Sidoarjopossa aver movimentato il fango in superficie, perché in quella zona altri terremoti ben più forti hanno scosso la litosfera e mai si erano ravvisati indizi di squilibrio nel sottosuolo.
Intanto sono anni che dal profondo del Lusi sgorga fango caldo. Si contano decine di migliaia di sfollati, molti villaggi distrutti e un’economia praticamente in ginocchio.  A sette anni di distanza, l'eruzione di fango bollente è ancora pimpante e non si sa quando terminerà. La terra rigurgita melma fumante che a impulsi risale in superficie appesantendo suoli destinati a sprofondare.
In Italia si è aperta una vera corsa alle perforazioni a caccia dell’oro nero e del metano e dell’acqua calda. Le torri di scavo incominciano a essere malviste dai cittadini e, quindi, comitati locali stanno sorgendo un po’ dappertutto per contrastare questo incalzare di trivelle che potrebbero generare, seppur remotamente, sgradite sorprese sia in mare sia in terra.
In Trinacria una grandinata di autorizzazioni per la trivellazione dei fondali marini nel canale di Sicilia sta suscitando grandi preoccupazioni. Un incidente alla stregua di quello che occorse nel Golfo del Messico nel 2010 sarebbe sufficiente a stroncare per molti anni le risorse più importanti dell’isola, come la pesca e il turismo.
Anche i progetti di perforazione a uso geotermico del vulcano sottomarino Marsili affascinano ma inducono perplessità, perché la faccenda dovrà svilupparsi in alto mare, zona disabitata e, quindi, ritenuta per antonomasia sicura.
Posto nei fondali del Tirreno meridionale, il complesso vulcanico sommerso dista oltre cento chilometri dalla linea di costa più vicina. Un luminare di tutto rispetto avvertì alcuni anni fa del pericolo potenziale derivante dai fragili fianchi del vulcano. Una frana sottomarina, profferì lo scienziato, potrebbe essere all’origine della formazione di un’onda micidiale che si potrebbe infrangere con gravi danni sui litorali esposti. Fu allarmismo a tutto spiano, e si avanzarono costosissime proposte di monitoraggio del silente vulcano, mentre qualcuno vide addirittura nell’allarme scientifico un terribile presagio Maya da fine del mondo ...
La società privata EuroBuilding spa, dovrebbe perforare i fianchi “flaccidi” del vulcano Marsili per prelevare e utilizzare a uso geotermico i fluidi caldi che circolano a profondità utili nei contrafforti dell’edificio vulcanico. La trasformazione del calore in energia avverrebbe direttamente in superficie. Una gran bella cosa… bisognerebbe escludere però, che la trivellazione del monte e la penetrazione meccanica negli acquiferi bollenti, non inducano anche remotamente sollecitazioni indesiderate negli ammassi rocciosi che potrebbero staccarsi in quota con un effetto domino.
Uno dei responsabili del Marsili project, Diego Paltrinieri, ha chiarito che la sicurezza è garantita da tutte le verifiche del caso fatte dai ricercatori dell’INGV. Per questo motivo abbiamo girato la domanda sull’interazione fra trivella e fianchi del vulcano direttamente all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che ci ha rimandato a una prossima risposta, che ancora non arriva, a cura del Prof. Giuseppe D’Anna. Aspettiamo…
La geotermia sostanzialmente è un’invenzione italiana e, quindi, si capisce una certa propensione a utilizzare il calore terrestre per produrre energia soprattutto in questa viscerale corsa alle risorse rinnovabili, per compensare quelle fossili che non dureranno in eterno. I Campi Flegrei poi, sono il luogo dove in rapporto alle profondità, le temperature dei fluidi sono molto elevate: il pozzo di S. Vito è quello che ha lasciato registrare valori di 400°C ..
Gli scavi passati, come detto, hanno consentito di cogliere dati sulla stratigrafia che caratterizza la caldera e sulla qualità dei fluidi caldi posti in profondità: quelli bollenti ubicati a tremila metri, si rivelarono ipersalini e antieconomici all’uso.  
Questo primo intoppo sulla natura del prodotto da utilizzare, fu seguito dalla constatazione un po’ tardiva che le superfici interessate al progetto geotermico erano eccessivamente e anche abusivamente antropizzate. I fenomeni sismici e bradisismici che caratterizzano l’area poi, furono ritenuti oggettivamente in contrasto con le esigenze di sicurezza che dovrebbe invece avere una struttura industriale collegata al sottosuolo.
L’energia geotermica bisogna pure sottolinearlo per dovere di cronaca, non è che sia totalmente esente da processi inquinanti, perché le acque calde circolanti nel sottosuolo e risucchiate in superficie, spesso contengono una significativa percentuale di sostanze molto aggressive e tossiche. Tant’è che in molti casi si ripompano dabbasso per non inquinare i terreni e le acque superficiali.  Anche le volute di vapore acqueo rilasciate dalle ciminiere, dovrebbero essere il prodotto finale di un’accurata filtrazione.
Il dirigente dell’ufficio sismico svizzero che ha seguito gli eventi di San Gallo accennati in precedenza, ha detto che non bisogna abbandonare la strada del geotermico, bensì semplicemente evitare attività a ridosso dei centri abitati. Una risposta lapalissiana ma di estrema efficacia. Per consentire il connubio tra urbanizzazione e geotermia, ci sembra di capire che la strada maestra sia per ora quella di accontentarsi di temperature minori a minore profondità, con impianti a basso impatto ambientale gestibili localmente.  
A proposito d’impatto ambientale, registriamo che Il Prof.Mario Dall’Aglio, esperto di geochimica e geotermia, affermò in seno a un convegno organizzato dalla società UGI (Unione Geotermica Italia), che in Italia a proposito degli impianti di produzione o uso delle energie rinnovabili non ci sono serie procedure di valutazione d’impatto ambientale (VIA). Ovviamente gli organizzatori si sono fatti in quattro per dissociarsi…
Che ci siano già state delle perforazioni profonde nell’area flegrea segnano un punto a favore dei sostenitori dell’esperimento internazionale. Qualche pozzo però, l’Agip sembra che lo dovette chiudere precipitosamente, ma potrebbe essere leggenda. I pro e i contro allora, devono essere vagliati molto seriamente dalla commissione grandi rischi (CGR) per un discorso di terzietà sull’argomento.  Quest’organo dovrà essere chiamato in causa da una delle autorità previste dal sistema nazionale della protezione civile. Ad esempio dal Capo Dipartimento Pref. Gabrielli, oppure dal Sindaco De Magistris quale autorità locale, o dal presidente della Regione Campania Stefano Caldoro che ha competenze sulle licenze di scavo, o anche dal Prefetto di Napoli Musolino, se ritiene che la perforazione sia portatrice di allarme sociale.
Il fatto che i promotori del deep drilling project ai Campi Flegrei siano rinomati scienziati internazionali non toglie la sensazione che si sia usata molta disinvoltura sulla scelta del sito tutto urbano da perforare. Lo stesso dicasi della proposta di una centrale geotermica posta nel bel mezzo dei palazzi e dei rioni del quartiere metropolitano napoletano di Bagnoli…

domenica 23 giugno 2013

Rischio Vesuvio: alcuni eventi sismici allarmano la popolazione...di Malko

Il Vesuvio da quota 1000
“Terremoto al Vesuvio” di MalKo

I recenti eventi sismici che hanno interessato l’area vesuviana hanno ridestato la paura atavica degli abitanti dell’omonima plaga su questi scuotimenti che qualche ansioso interpreta come sintomi premonitori di una possibile variazione dello stato di quiete del Vesuvio. In realtà anche i terremoti di origine vulcanica per essere considerati sintomi pre eruttivi necessitano generalmente di un incremento, cioè un incalzare del fenomeno sismico, accompagnato dalla variazione di altri parametri fisici e chimici che la geologia prende a riferimento come possibili indicatori di rischio vulcanico.
L’Osservatorio Vesuviano ma più ancora l’autorità scientifica, ha sancito in tempi non sospetti e alla stregua di quanto già è avvenuto per i Campi Flegrei, che per far spostare il livello di allerta vulcanica da base a quello di attenzione, sono necessarie variazioni significative dei parametri controllati (si noti il plurale). Cioè, più di uno dei valori base di riferimento dovrebbe cambiare e non unicamente il fattore sismico ancorché si presenti con scosse isolate o sequenze distanziate nel tempo.
I vesuviani devono avere la consapevolezza che, anche se dovessero cambiare questi famosi parametri base di riferimento per il Vesuvio, e si passasse quindi al livello di attenzione, ciò non significherebbe automaticamente una condizione di

allarme rosso con relativa e precipitosa fuga verso la salvezza.
Lo stato di attenzione è una sorta di attesa che è comunicata dal mondo scientifico alla popolazione (tramite Dipartimento Protezione Civile), per renderla consapevole che qualcosa è cambiato all’interno e nel sottosuolo del vulcano o della caldera, e che sono in corso approfondimenti per capire se i parametri misurati abbiano una tendenza verso livelli critici pre eruttivi o rappresentano semplicemente un’anomalia momentanea.
Ovviamente così com’è successo per il passato nella zona di Pozzuoli con il bradisismo, i parametri controllati potrebbero regredire e riportarsi nella normalità, e il livello di allerta vulcanica ritornerebbe allora su valori base.
Il livello di attenzione presenta purtroppo delle incertezze circa i tempi di attesa. A esser chiari, il “semaforo” giallo potrebbe permanere in questo stato per mesi o anni, così come nel giro di poco tempo la variazione dei parametri controllati potrebbe subire delle impennate in direzione del preallarme. Meno veloce sarebbe invece il ripristino della normalità (base).
Il sindaco di San Giorgio a Cremano preme perché si stabilisca un contatto diretto con la Protezione Civile, gestita dal Prefetto Gabrielli, per affrontare il problema dei piani di evacuazione che non esistono.  Il secondo problema da mettere in evidenza è come mai l’assenza di questo fondamentale strumento di tutela sia stato sottaciuto per anni.
I sindaci di altri comuni non hanno questa urgente necessità perché in capo alle loro attenzioni c’è il problema ben più grave dei condoni edilizi che mal si sposano con la necessità di tutela che, nel caso del rischio Vesuvio, dovrebbe incentrarsi sulla prevenzione.  Un problema nel problema quello dei condoni, che alla fine dovrà essere affrontato senza tentennamenti attraverso un tavolo di lavoro probabilmente sovra comunale.

Ai nostri lettori che risiedono nella zona rossa Vesuvio possiamo dire che il loro riferimento per quanto riguarda il diritto alla sicurezza non può che essere  il  sindaco. Per chi non lo sapesse la legge 225/92 individua proprio nel primo cittadino l’autorità locale di protezione civile. Cioè il soggetto giuridico su cui ricadono le responsabilità della prevenzione e del primo soccorso in caso di necessità. Anche della previsione se il dato dovesse rientrare nelle capacità di calcolo e di analisi del comune. Ovviamente i piani di emergenza e di evacuazione rispondono e rientrano nelle logiche della prevenzione delle catastrofi. Così come l’informazione corretta, puntuale e istituzionale, rientra nei compiti precipui del sindaco e non può essere delegata a terzi neanche se trattasi d’istituti o eminenze scientifiche (L'Aquila docet!).
Le responsabilità del mancato piano d'evacuazione sia per il Vesuvio che per i Campi Flegrei sarà una querelle fra dipartimento della protezione civile, trattandosi di una pianificazione di livello nazionale, e i comuni che hanno una gran coda di paglia.  
Se nei Campi Flegrei il livello di allerta dovesse passare da attenzione a pre allarme, cosa succederà in assenza di piani d'evacuazione? L'esodo in questa fase si ipotizza già spontaneo... come e verso dove? 

lunedì 27 maggio 2013

Campi Flegrei: a Bagnoli il deep drilling project


"Campi Flegrei: Deep Drilling Project e Bagnoli Futura" di MalKo

Luigi De Magistris, sindaco del comune di Napoli, ha espresso il proprio consenso acchè si dia corso al progetto di perforazione profonda dei Campi Flegrei (deep drilling), esattamente nell’area della spianata dell’ex italsider di Bagnoli.
Esplorare il sottosuolo anche attraverso la trivellazione, è sempre scientificamente significativo e interessante e aggiungeremmo affascinante, e non si dovrebbe perdere occasione per farlo, purché non si incida sulla sicurezza dei cittadini.
In virtù di questo principio, infatti, è stato sancito dal diritto il dovere della precauzione di fronte a pericoli anche solo ipotizzati, remoti o da quantificare in termini percentuale di accadimento.
Gli scienziati con enfasi parlano dell’importanza di conoscere ai fini della previsione e della prevenzione delle catastrofi, che cosa nasconde la caldera flegrea. Un problema diremmo tutto scientifico, perché sappiamo perfettamente cosa nasconde il Vesuvio, e pur tuttavia non è stato prodotto un solo grammo di prevenzione, pianificazione o di organizzazione del territorio o di delocalizzazione di una parte degli abitanti, utile per scemare il valore esposto. Eppure ci troviamo di fronte a un arcinoto e ben documentato rischio tutt’altro da trapanare…
Addirittura alcuni sindaci del comprensorio vesuviano, sfidando il buon senso, si sono armati di populismo per tentare di strappare alle autorità regionali e nazionali un condono edilizio da lanciare lì sulle piazze vesuviane in pasto ai famelici professionisti dell’abuso cui non garbano le restrizioni all’edilizia residenziale imposte dalla legge regionale 21 del 2003 sulla zona rossa. Va da se che il provvedimento sanatorio nel vesuviano è atteso soprattutto da chi possiede case e palazzi fermi allo stato di spiccato o di pilastratura, e aspettano quindi con la bava alla bocca il prezioso condono per ultimare il manufatto e immetterlo sul mercato del mattone che tira sempre anche in tempi di crisi. Ovviamente la contropartita è il consenso…
A che cosa servirà quindi la strategica e improcrastinabile e fondamentale e rischiosa perforazione sotterranea dei Campi Flegrei? A produrre previsione nella ricerca vulcanologica per la mitigazione del rischio, come si legge nel progetto CFDDP (Campi Flegrei Deep Drilling Project) ?  Farà Prevenzione? Produrrà le basi per tirare fuori dal cratere energia a basso costo lì dove ci hanno provato le grandi società che di energia campano (Agip – Enel) ?  A cosa? Non siamo scienziati e parliamo da profani, ma condurre un’operazione a rischio per mettere sensori a fibre ottiche sotto terra capaci di monitorare deformazioni micrometriche in una zona avvezza a deformazioni decametriche, con cinquecento scosse al giorno in tempi di crisi, non ci sembra il massimo della previsione.
Le indicazioni che perverranno dal sottosuolo abbiamo garanzie che saranno poi utilizzate dal sindaco De Magistris e dalla sua giunta per dare corso a provvedimenti magari impopolari atti a ridurre il rischio nei quartieri di Bagnoli e Fuorigrotta e Soccavo e Pianura?  E com’è che da un lato si opera in via del tutto straordinario per valutare il pericolo vulcanico flegreo e dall’altra c’è chi valuta sempre a livello comunale di aumentare le licenze edilizie sugli stessi suoli da perforare (Bagnoli)? Analizziamo il rischio per mitigarlo e nel frattempo aggiungiamo abitanti agli abitanti? Anche il battere cassa dovrebbe avere un limite…
Il “suggerimento” che alla fine uscirà dalle viscere del vulcano se si farà la trivellazione, sarà sicuramente nella direzione della necessità di non sovrappopolare queste zone già classificate a rischio senza la trivella, e di mettere a punto un buon piano di protezione civile per fronteggiare i rischi potenziali offerti dal distretto vulcanico flegreo: lo sa bene il direttore Marcello Martini dell’Osservatorio Vesuviano, così come lo sanno tutti gli altri ricercatori interessati con finalità diverse al progetto.
In altre pagine della nostra rivista, parlando dei suoli di Bagnoli Futura, avevamo segnalato e suggerito di non urbanizzare a tappeto l’area della spianata dell’ex italsider, giacché per dimensioni e ubicazione potrebbe rappresentare una straordinaria area strategica di protezione civile. (Punto di riunione, area di smistamento, di ammassamento, di prima accoglienza; area atterraggio elicotteri ed altro). Il sito, infatti, può essere raggiunto con tutti i mezzi di trasporto: navali, terrestri, aerei e ferroviari.
Ecco. La città di Napoli per tutta una serie di rischi legati a pericoli naturali o indotti dall’uomo, avrebbe fatto bene a dotarsi pure di una struttura di protezione civile polifunzionale magari avanzando anche al Dipartimento di Protezione Civile e alla Regione e alla provincia un concorso finanziario.
D’altra parte se il comitato CFDDP avrà il definitivo nulla osta da parte di De Magistris (autorità locale di protezione civile – Legge 225/1992) e si procederà alla perforazione, sarà necessario produrre il famoso documento di analisi del rischio, tanto per i lavoratori chiamati a operare in loco quanto per gli abitanti di quella zona che hanno gli stessi diritti di tutela.
A fronte dei rischi prospettati poi, si dovrà procedere alla stesura del piano d’emergenza rispetto al pericolo massimo individuato. Dovrebbe poi essere circoscritta una zona rossa quale fascia di rispetto e nelle misure di sicurezza dovrebbe prevedersi il modo di sigillare il foro in caso di necessità, così come si dovrà procedere anche all’analisi dell’impatto ambientale.
Noi non siamo contro la scienza, ma la scienza deve pure capire che un’attività di ricerca che racchiude comunque dei rischi seppur minimi per gli abitanti, non è possibile che venga espletata esclusivamente perché non si possono perdere i finanziamenti ricevuti o attesi.
D’altra parte questo impianto dovrebbe sorgere su suoli destinati a parco urbano, con roseti, spazi verde, centri integrati per il turismo, la didattica, congressi, parcheggi, acquario per le tartarughe, e tanto altro ancora tra cui un polo per l’ambiente. Sussiste francamente una discordanza d’intenti… Purtroppo su questo sito così “goloso”, sussistono pure lotti edificabili in termini residenziali ma in una percentuale che si tenta di far battere al rialzo, visto che le gare di alienazione dei suoli edificabili sono andate deserte (speculazioni?). Si prospetta quindi di aumentare un po’ la percentuale destinata alla realizzazione di prestigiose residenze per invogliare i possibili acquirenti ad acquistare.

Il sindaco di Sant’Anastasia Carmine Esposito forse non ci ha pensato, ma nell’area flegrea c’è la stessa classificazione di zona rossa come nel vesuviano: eppure lì appaltano a cura del comune lotti anche edificabili in senso abitativo. Strana questa sorta di sperequazione territoriale, atteso che, i campi flegrei vissero una situazione di reale allarme addirittura nel recentissimo 1983 col bradisismo. Forse l’Osservatorio Vesuviano avrebbe dovuto fare una premessa nella riunione del 24 maggio 2012 col comune di Napoli (commissione urbanistica e beni comuni presieduta da Iannello), ricordando che Bagnoli è in zona rossa flegrea, e il primo passo verso la prevenzione non è il deep drilling, ma una legge regionale identica alla 21/2003 che stabilisce l’inedificabilità a scopo abitativo in zone vulcaniche a rischio. Non ci sembra una cosa da poco…
Limiti della vecchia zonazione di pericolo