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domenica 21 dicembre 2014

Il Vulcano Marsili e il deepwater drilling: di Malko



“Il vulcano sottomarino Marsili e il deepwater drilling” di MalKo

Il Marsili è un seamount vulcanico dalle mastodontiche dimensioni che riposa disteso sui fondali tirrenici meridionali, ad alcune migliaia di metri di profondità e a circa 45 miglia a Nord Ovest delle isole Eolie. Il dorso del vulcano si spinge verso l’alto mantenendosi comunque al di sotto del livello del mare a una profondità di circa cinquecento metri. Bastava veramente poco per svettare in superficie come i suoi confratelli Eoliani… Il Marsili è il più grande vulcano mediterraneo ed europeo. Fino a non molto tempo fa lo si considerava estinto, ma alcune recenti campionature hanno consentito di individuare prodotti eruttivi databili al di sotto dei 5000 anni di età.
La sismicità che si denota in quest’area tirrenica e il rilascio di gas magmatici congiuntamente all’osservazione della buona conservazione di alcuni coni vulcanici sommitali, lasciano ritenere il Marsili ancora attivo, anche se non è chiaro lo stato di pericolosità… Molto probabilmente occorreranno nuove prospezioni profonde per capire meglio di quanta vitalità intrinseca goda, ma dubitiamo che si focalizzeranno certezze, visto che neanche per i vulcani emersi come il Vesuvio è possibile sbilanciarsi con la previsione del fenomeno eruttivo che rimane tutt’oggi un’incognita geologica…
I dati fin qui raccolti sul possente apparato sommerso lasciano intendere un’attività eruttiva passata prevalentemente di taglio effusivo e forse modicamente esplosiva. Risulta quindi particolarmente importante continuare le campagne esplorative dei fondali marini tirrenici, onde reperire altri dati geochimici e geofisici capaci di chiarire con qualche certezza in più non solo lo stato attuale del Marsili, ma anche quello degli altri vulcani meno noti che pure costellano e per largo raggio la piana abissale.

Le acque calde con temperature oscillanti fra i 300° e i 500° C. che circolano con una forte pressione e come linfa vitale nella parte medio alta del Marsili dando origine pure a qualche geyser, hanno catturato l’attenzione della Eurobuilding spa che intende sfruttare i caldissimi acquiferi per la produzione di energia elettrica attraverso uno o più impianti   galleggianti posizionati sulla verticale del vulcano. Un progetto sicuramente originale e futuristico che dovrà superare perplessità inerenti l’impatto ambientale.

Uno studio preliminare forse in corso di attuazione o da attuarsi (filtrano poche notizie), si prefigge innanzitutto di “fissare” i parametri geofisici e geochimici del Marsili e delle acque che lo circondano e dell’aria che lo sovrasta in superficie prima di procedere con la perforazione. Tutti dati che serviranno a fornire elementi di base utili per le comparazioni future a proposito della salvaguardia dell’ambiente che le attività geotermiche nel loro complesso potrebbero minare.  Nelle note introduttive la Eurobuilding chiarisce che l’area oggetto della perforazione e quindi dello sfruttamento geotermico non ha vincoli particolari di tutela biologica o archeologica o di ripopolamento ittico, e che la costa più vicina è rappresentata appunto dalle isole Eolie che distano circa 80 chilometri dalla nave che effettuerà il pozzo esplorativo.
I metodi di screening iniziali sono stati ritenuti non invasivi e senza effetti collaterali sull’ambiente, tanto che lo stesso Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha deciso di non applicare le disposizioni sulla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), almeno in questa fase.

Il progetto della Eurobuilding contiene elementi particolarmente avveniristici e affascinanti. Produrre energia direttamente sulla verticale di un gigantesco vulcano sommerso richiede tecnologia e un forte spirito imprenditoriale. I costi ovviamente sono elevati come le incognite che sono di gran lunga superiori a un impianto di pari tipo ma terrestre. I fluidi caldi idrotermali infatti, contrariamente a quanto si pensi, non sono totalmente innocui perché in genere contengono sostanze molto pericolose come l’arsenico e i metalli pesanti che certo non sono un toccasana per la salute. Infatti, la captazione di queste acque richiede attenzione. In un sistema aperto il pompaggio delle acque prelevate e deriscaldate dall’uso geotermico e poi condensate e immesse direttamente nella sorgente di prelevamento dovrebbe garantire in buona parte il contenimento degli inquinanti.
Nello studio preliminare relativo alle operazioni di screening, è stato dato molto spazio alla caratterizzazione dei campioni d’acqua e dei suoli intorno al sito di perforazione. Si è largheggiato anche sull’inquinamento acustico che potrebbe danneggiare gli organi sensoriali dei cetacei, stabilendo poi una soglia limite per la possibile intrusione in superficie dell’idrogeno solforato. Quello che manca però, è la disamina dei rischi correlati direttamente alla perforazione del vulcano attivo. Da questo punto di vista l’argomento non è nuovissimo, perché è stato già oggetto di accesi dibattiti legati a un’altra nota perforazione: quella del super vulcano flegreo nell’ambito del Campi Flegrei deep drilling project (CFDDP). Una iniziativa scientifica da più parti ritenuta un azzardo. Lo scalpello rotante in questo caso si è fermato a 500 metri di profondità, con una battuta di arresto che perdura da due anni senza nessun segnale di ripresa dell’attività di scavo. Sorge forte il dubbio allora, che il deepwater abbia una corsia preferenziale per la sua posizione in alto mare. Mancando la popolazione infatti, manca il rischio…ma solo apparentemente. Se le attività di perforazione direttamente o indirettamente dovessero attivare seppur remotamente una frana, gli effetti di un’onda di maremoto si ripercuoterebbero sulla costa e non sul sito di perforazione. Il riversamento in mare degli inquinanti idrotermali produrrebbe invece effetti deleteri in ragione delle quantità e delle concentrazioni disperse…
Nel comitato scientifico della Eurobuilding ci sono scienziati dell’INGV che possono sicuramente argomentare meglio l’innocuità della trivellazione, ovvero i rischi che essa può determinare nell’equilibrio di una struttura litica, dai fianchi acclivi e flaccidi, di differente coesione e a strati e internamente dinamica. Argomentazioni che avrebbero dovuto arricchire lo studio preliminare ambientale relativo alla perforazione del pozzo esplorativo offshore chiamato Marsili 1.
Probabilmente la perforazione del vulcano Marsili ci offre lo spunto per una riflessione più grande che bisognerà fare, meglio prima che dopo, sulle trivellazioni, a prescindere se inseguono petrolio e gas e fluidi caldi. Gli studi a tema sono oggi alquanto controversi… Come dobbiamo inquadrare questa pratica poco gradita alle popolazioni che vogliono al bando le trivelle (il sud della Sicilia ne sarà invaso), come un’occasione di sviluppo in più o come un azzardo?

Abbiamo provato a battere a varie porte istituzionali e politiche per introdurre l’argomento e avere delle risposte, ma senza alcun successo. Se la scelta di trivellare il Marsili non è discutibile perché trattasi  di una irrinunciabile risorsa strategica nazionale, vorremmo che si chiariscano meglio questi aspetti in modo che l’esposizione a un rischio sia consapevolmente accettato dai cittadini, così  che abbiano libertà di decisione a proposito della dipendenza energetica dall’estero. Per il nucleare fu fatto un referendum...Un tema come si vede a forte valenza politica e scientifica, che vorremmo avere certezze sia immune da quel bubbone appena scoperto da mafia capitale. 

domenica 30 marzo 2014

Il vulcano Marsili illuminerà l'Italia?...di Malko


Le isole Eolie

“Il Vulcano Marsili e il deepwater project” di MalKo

Il vulcano Marsili è stato uno dei seamount tirrenici, insieme al Palinuro, che ha destato molto la nostra attenzione. Il vulcano solo da alcuni anni è balzato alle cronache e la sua scoperta pare sia stata casuale e a cura degli americani che, rovistando sui fondali tirrenici, s’imbatterono in alcune indicative fumarole.
Il mastodontico apparato, il più grande d’Europa, dicono che abbia le potenzialità per generare un cataclisma, non tanto derivante dai magmi insiti nelle sue profondità, bensì dagli stessi e scoscesi contrafforti del monte, il cui profilo è disegnato da ammassi rocciosi instabili e poco consistenti, al punto da rendere concreto il rischio franamento per erosione o scuotimento sismico dell’edificio vulcanico.

Il possente monte sommerso è assurto alle cronache come possibile fonte di guai, dopo che un ex direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) dichiarò che il vulcano aveva appunto i fianchi flaccidi e un’eventuale e rovinosa e massiccia caduta di materiale roccioso dai pendii poteva innescare un’onda di maremoto che avrebbe potuto spazzare i litorali tirrenici esposti. Ipotizziamo in prima battuta quelli calabresi, campani e della Sicilia settentrionale isole comprese. L’unica difesa da siffatto rischio, profferì Enzo Boschi, consiste nella realizzazione di una costosissima rete di monitoraggio sottomarina. In realtà si nutrono dubbi anche su questa soluzione, perché la velocità di avanzamento di un’onda di maremoto è rapida al punto da raggiungere la costa tirrenica più vicina nel giro di una quindicina di minuti o poco più. I litorali più lontani potrebbero forse trarre qualche beneficio dal sistema di allarme costiero… 

Fu veramente grande la nostra meraviglia quando sapemmo del progetto della Eurobuilding spa di perforare a mezzo trivella proprio i fianchi del vulcano Marsili per carpire i fluidi bollenti o il vapore in quota e ad alta pressione che lì abbonda, col fine di produrre energia geotermica direttamente sulla superficie del mare, con piattaforme opportunamente attrezzate e dislocate sulla verticale del vulcano sommerso. Un progetto futuristico e affascinante e indubbiamente unico nel suo genere, che induce solo qualche perplessità per niente pretestuosa riguardante i rischi insiti nelle trivellazioni e nell’impatto ambientale che bisogna tenere in debito conto quando si accede alle acque termali profonde che, contrariamente a quanto si pensi, possono essere acque tutt’altro che innocue.

Le trivellazioni sono diventate oggetto di studio un po’ in tutto il mondo perché si ha il sospetto che inducano terremoti. Ci è quindi sorto il dubbio sul come possa coniugarsi la trapanazione del vulcano con le necessità di sicurezza delle popolazioni rivierasche in rapporto ai precedenti allarmi lanciati dagli stessi esperti.
Il comitato scientifico del “Marsili Project” annovera numerosi scienziati tra cui il Prof. Enzo Boschi: garanzia in più o contraddizione?
Secondo le logiche verrebbe da pensare che se sussiste il rischio frane, al punto da rendersi auspicabile l’installazione di una strumentazione di monitoraggio, forse non sarebbe tanto assurdo concordare di posizionare questa strumentazione ben prima di procedere con la trivellazione.

Nell’avamposto dei Campi Flegrei (Bagnoli), pure si è proceduto a una prima perforazione, probabilmente con fini molto simili al Marsili Project, con la sola differenza che nel caso del Marsili si opererebbe nelle profondità del tirreno, mentre nei Campi Flegrei l’operazione si è già avviata nell'area metropolitana di Napoli all’interno della caldera flegrea.
Lo scalpello rotante del Deep Drilling Project (CFDDP), nonostante le polemiche, i ritardi e i rinvii, nel mese di dicembre 2012 raggiunse i cinquecento metri di profondità. Il pozzo pilota così realizzato dovrebbe poi ospitare sul fondo strumentazioni tecnologicamente all’avanguardia per la previsione del rischio vulcanico. Il progetto prevedeva a distanza di un anno il prosieguo delle attività di perforazione per raggiungere con una certa inclinazione i quattro chilometri di profondità in direzione della gobba bradisismica di Pozzuoli.
Sull’operazione deep drilling da un po’ è calato il silenzio... Non si capisce se bisogna considerarlo come silente iperattività di studio legata al prossimo riavvio della trivella, o un abbandono del progetto perché in qualche consesso o ufficio è stato  giudicato pericoloso o quantomeno inopportuno.
Certamente il seguito delle operazioni, se ci saranno, richiederanno il nulla osta della commissione grandi rischi quale parte terza nel discorso sicurezza. Se l’operazione di perforazione dovesse invece essere abbandonata, anche in questo caso sarebbe assolutamente necessario conoscerne le motivazioni.
La nostra volontà di chiarire certi aspetti che riguardano seppur remotamente la sicurezza dei cittadini, ci ha indotto mesi fa a inoltrare qualche interrogativo all'INGV senza ottenere risposta. Per gli aspetti ambientali abbiamo invece chiesto delucidazioni al competente Ministero dell'Ambiente e siamo in attesa di riscontri.
Il nostro interesse ai progetti che riguardano il Marsili e i Campi Flegrei e l'affaire rischio Vesuvio e piani di evacuazioneattinge energia dai concetti tutti Costituzionali che auspicano il passaggio da un rapporto cittadini – istituzioni fondato sulla separazione e sulla reciproca diffidenza, ad uno invece centrato sulla comunicazione e la leale collaborazione. Non più un rapporto verticale allora, ma uno orizzontale e di condivisione e coinvolgimento nelle scelte. I cittadini infatti, è bene ricordarlo, non sono semplici utenti o clienti o sudditi, come dir si voglia...



martedì 3 settembre 2013

Rischio vulcanico Campi Flegrei: il Deep Drilling Project (CFDDP)...di Malko

La spianata di Bagnoli (Campi Flegrei) sede del CFDDP

“Campi Flegrei: quale futuro per il Deep Drilling Project?”
di MalKo

ll famoso Deep Drilling Project dei Campi Flegrei (CFDDP), cioè il progetto di perforazione profonda avviato nel sottosuolo di Bagnoli (NA), è passato un po’ nella sordina mediatica probabilmente perché la trivella ha cessato di ruotare da dicembre 2012, dopo aver raggiunto come da programma quota meno cinquecentodue metri.
Lo scalpello litosferico con tutte le polemiche che hanno accompagnato la prima fase di perforazione del pozzo pilota, dovrà essere latore di ben altre autorizzazioni prima di continuare la sua corsa nelle profondità calderiche del supervulcano flegreo, per raggiungere i circa quattromila metri di profondità.
Il piano di scavo inizialmente pubblicizzava un tornaconto geotermico che sarebbe scaturito dal foro di Bagnoli e dall’acqua calda sottostante. L’insistente propaganda iniziale sull’energia pulita e a basso costo, scemò a seguito delle proteste di alcuni comitati cittadini che vedevano nella geotermia in loco profitti tuttalpiù per le industrie del ramo, ma non per la popolazione a cui toccavano solo i rischi dell’operazione.
La pubblicità allora dirottò sulla previsione delle catastrofi. Il Deep Drilling Project divenne quindi un’opera fondamentale per monitorare con tecniche di previsione l’area vulcanica flegrea, con strumentazioni ad alta tecnologia ubicate sul fondo del pozzo pilota, pronte a cogliere sul nascere qualsiasi indizio foriero di eruzioni, come i sollevamenti, che in verità lì si contano a metri.
La trivella di Bagnoli dovrebbe ripartire al termine della valutazione dei dati fin qui raccolti, per inoltrarsi poi chilometricamente nel cuore calderico del supervulcano, con il fine di scandagliare scientificamente le coltri di materiali e investigare sulla genesi del bradisismo. L’interesse della cittadinanza non è stato catturato da quest’argomentazione, perché gli abitanti non reputano necessario indagare il sottosuolo se questo comporta un pur piccolo rischio ancorché se tali dati già esistono grazie alle numerose prospezioni profonde che si fecero negli anni ’80. L’Agip, infatti, scandagliò il sottosuolo puteolano e quello dei laghi d’Averno e di Licola e le contrade di Mofete e Cigliano, con pozzi come quello di S. Vito, che si spinse fino a 3.038 metri di profondità. Fu anche tentata una sortita nella parte pedemontana del Vesuvio, a Trecase, con una trivellazione da 2.064 metri senza alcun esito produttivo.
L’Osservatorio Vesuviano (INGV) in simbiosi con il comitato CFDDP e il Comune di Napoli, si sono spesi moltissimo nell’ambito di convegni e interviste su quest’iniziativa internazionale, dichiarando in tutte le sedi che il progetto è assolutamente innocuo, soprattutto per il sistema di perforazione provvisto di congegni innovativi che lo rendono  più sicuro di altri.
Il ruolo dell’Osservatorio Vesuviano nell’intera vicenda del Deep Drilling Project ai Campi Flegrei però ci sembra un tantino di parte. Se le operazioni di perforazione profonda in area calderica sono o non sono pericolose, non lo dovrebbe dire chi ha correlazioni con la proposta e il coordinamento e lo sviluppo dell’opera. Altrimenti si corre il rischio, secondo la metafora tutta napoletana, che lo storico ente faccia la parte dell’acquaiolo e l’opinione pubblica quella del cliente a proposito dell’acqua fresca come la neve…>>.
Intanto Il 21 luglio 2013 il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo dal titolo: “La perforazione geotermica scatena il terremoto: stop al progetto”. Nel pezzo si racconta di un sisma di 3,6 della scala Richter verificatosi a San Gallo, nella zona del Lago di Costanza in Svizzera. La scossa è stata provocata dai lavori di perforazione per la realizzazione di una centrale geotermica.
Il direttore del cantiere, ha spiegato che era stata scoperta una fuga di gas ad alta pressione nel foro di trivellazione. Per arginare il pericolo era stata pompata acqua e fango nel condotto. L’operazione di pompaggio si era resa necessaria, spiega il dirigente, per evitare guai peggiori. A Basilea un progetto simile era già stato abbandonato nel 2006 sempre per l’innescarsi di scosse sismiche. Il caso svizzero destò apprensioni pure nel governo americano che bloccò per precauzione i progetti di perforazione geotermica della AltaRock Energia sulle colline a nord di San Francisco, per timore che si innescassero terremoti.
Sul giornale online Avvenire invece, nell’articolo datato 12 agosto 2013 si legge: <<All’indomani del terremoto di Modena, l’assessore alle attività produttive dell’Emilia-Romagna ha sospeso l’iter di ogni nuova concessione nei comuni del cratere. «…Non so se le attività di perforazione – ha spiegato Gian Carlo Muzzarelli – possano essere messe in relazione con la sismicità di un’area, saranno gli scienziati a dirmelo, ma fino ad allora si aspetta».. 
<< …Si delibererà solo quando si sarà fatta chiarezza: è un atto di responsabilità verso il territorio e le popolazioni». <<… Usiamo il principio di precauzione e il buon senso: il sottosuolo non è un limone da spremere».
Sono interessanti anche gli articoli pubblicati a proposito del vulcano Lusi in Indonesia, da sette anni in attività. Ubicato a Sidoarjo nella parte orientale dell’isola di Giava, è il più grande vulcano di fango al mondo. Le sue origini sono da ascriversi con tutta probabilità a una trivellazione esplorativa petrolifera.
Uno studio dell’Università di Bonn pubblicato su Nature Geoscience, sostiene la stessa tesi della società responsabile della perforazione, la Lapindo Brantas, cioè che fu il terremoto che occorse a Yogyakarta qualche giorno prima del 29 maggio 2006 a causare l’eruzione.Di tutt’altro avviso la relazione scientifica dell'Università di Durham (Inghilterra), pubblicata sulla rivista Geological Society of America, dove le responsabilità dell’innaturale eruzione si accollano unicamente alla società petrolifera e alle sue pratiche perforative poco accorte.
Sul piano internazionale si è un po’ scettici sulla possibilità che una scossa di terremoto con ipocentro a 280 km. di distanza da Sidoarjopossa aver movimentato il fango in superficie, perché in quella zona altri terremoti ben più forti hanno scosso la litosfera e mai si erano ravvisati indizi di squilibrio nel sottosuolo.
Intanto sono anni che dal profondo del Lusi sgorga fango caldo. Si contano decine di migliaia di sfollati, molti villaggi distrutti e un’economia praticamente in ginocchio.  A sette anni di distanza, l'eruzione di fango bollente è ancora pimpante e non si sa quando terminerà. La terra rigurgita melma fumante che a impulsi risale in superficie appesantendo suoli destinati a sprofondare.
In Italia si è aperta una vera corsa alle perforazioni a caccia dell’oro nero e del metano e dell’acqua calda. Le torri di scavo incominciano a essere malviste dai cittadini e, quindi, comitati locali stanno sorgendo un po’ dappertutto per contrastare questo incalzare di trivelle che potrebbero generare, seppur remotamente, sgradite sorprese sia in mare sia in terra.
In Trinacria una grandinata di autorizzazioni per la trivellazione dei fondali marini nel canale di Sicilia sta suscitando grandi preoccupazioni. Un incidente alla stregua di quello che occorse nel Golfo del Messico nel 2010 sarebbe sufficiente a stroncare per molti anni le risorse più importanti dell’isola, come la pesca e il turismo.
Anche i progetti di perforazione a uso geotermico del vulcano sottomarino Marsili affascinano ma inducono perplessità, perché la faccenda dovrà svilupparsi in alto mare, zona disabitata e, quindi, ritenuta per antonomasia sicura.
Posto nei fondali del Tirreno meridionale, il complesso vulcanico sommerso dista oltre cento chilometri dalla linea di costa più vicina. Un luminare di tutto rispetto avvertì alcuni anni fa del pericolo potenziale derivante dai fragili fianchi del vulcano. Una frana sottomarina, profferì lo scienziato, potrebbe essere all’origine della formazione di un’onda micidiale che si potrebbe infrangere con gravi danni sui litorali esposti. Fu allarmismo a tutto spiano, e si avanzarono costosissime proposte di monitoraggio del silente vulcano, mentre qualcuno vide addirittura nell’allarme scientifico un terribile presagio Maya da fine del mondo ...
La società privata EuroBuilding spa, dovrebbe perforare i fianchi “flaccidi” del vulcano Marsili per prelevare e utilizzare a uso geotermico i fluidi caldi che circolano a profondità utili nei contrafforti dell’edificio vulcanico. La trasformazione del calore in energia avverrebbe direttamente in superficie. Una gran bella cosa… bisognerebbe escludere però, che la trivellazione del monte e la penetrazione meccanica negli acquiferi bollenti, non inducano anche remotamente sollecitazioni indesiderate negli ammassi rocciosi che potrebbero staccarsi in quota con un effetto domino.
Uno dei responsabili del Marsili project, Diego Paltrinieri, ha chiarito che la sicurezza è garantita da tutte le verifiche del caso fatte dai ricercatori dell’INGV. Per questo motivo abbiamo girato la domanda sull’interazione fra trivella e fianchi del vulcano direttamente all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che ci ha rimandato a una prossima risposta, che ancora non arriva, a cura del Prof. Giuseppe D’Anna. Aspettiamo…
La geotermia sostanzialmente è un’invenzione italiana e, quindi, si capisce una certa propensione a utilizzare il calore terrestre per produrre energia soprattutto in questa viscerale corsa alle risorse rinnovabili, per compensare quelle fossili che non dureranno in eterno. I Campi Flegrei poi, sono il luogo dove in rapporto alle profondità, le temperature dei fluidi sono molto elevate: il pozzo di S. Vito è quello che ha lasciato registrare valori di 400°C ..
Gli scavi passati, come detto, hanno consentito di cogliere dati sulla stratigrafia che caratterizza la caldera e sulla qualità dei fluidi caldi posti in profondità: quelli bollenti ubicati a tremila metri, si rivelarono ipersalini e antieconomici all’uso.  
Questo primo intoppo sulla natura del prodotto da utilizzare, fu seguito dalla constatazione un po’ tardiva che le superfici interessate al progetto geotermico erano eccessivamente e anche abusivamente antropizzate. I fenomeni sismici e bradisismici che caratterizzano l’area poi, furono ritenuti oggettivamente in contrasto con le esigenze di sicurezza che dovrebbe invece avere una struttura industriale collegata al sottosuolo.
L’energia geotermica bisogna pure sottolinearlo per dovere di cronaca, non è che sia totalmente esente da processi inquinanti, perché le acque calde circolanti nel sottosuolo e risucchiate in superficie, spesso contengono una significativa percentuale di sostanze molto aggressive e tossiche. Tant’è che in molti casi si ripompano dabbasso per non inquinare i terreni e le acque superficiali.  Anche le volute di vapore acqueo rilasciate dalle ciminiere, dovrebbero essere il prodotto finale di un’accurata filtrazione.
Il dirigente dell’ufficio sismico svizzero che ha seguito gli eventi di San Gallo accennati in precedenza, ha detto che non bisogna abbandonare la strada del geotermico, bensì semplicemente evitare attività a ridosso dei centri abitati. Una risposta lapalissiana ma di estrema efficacia. Per consentire il connubio tra urbanizzazione e geotermia, ci sembra di capire che la strada maestra sia per ora quella di accontentarsi di temperature minori a minore profondità, con impianti a basso impatto ambientale gestibili localmente.  
A proposito d’impatto ambientale, registriamo che Il Prof.Mario Dall’Aglio, esperto di geochimica e geotermia, affermò in seno a un convegno organizzato dalla società UGI (Unione Geotermica Italia), che in Italia a proposito degli impianti di produzione o uso delle energie rinnovabili non ci sono serie procedure di valutazione d’impatto ambientale (VIA). Ovviamente gli organizzatori si sono fatti in quattro per dissociarsi…
Che ci siano già state delle perforazioni profonde nell’area flegrea segnano un punto a favore dei sostenitori dell’esperimento internazionale. Qualche pozzo però, l’Agip sembra che lo dovette chiudere precipitosamente, ma potrebbe essere leggenda. I pro e i contro allora, devono essere vagliati molto seriamente dalla commissione grandi rischi (CGR) per un discorso di terzietà sull’argomento.  Quest’organo dovrà essere chiamato in causa da una delle autorità previste dal sistema nazionale della protezione civile. Ad esempio dal Capo Dipartimento Pref. Gabrielli, oppure dal Sindaco De Magistris quale autorità locale, o dal presidente della Regione Campania Stefano Caldoro che ha competenze sulle licenze di scavo, o anche dal Prefetto di Napoli Musolino, se ritiene che la perforazione sia portatrice di allarme sociale.
Il fatto che i promotori del deep drilling project ai Campi Flegrei siano rinomati scienziati internazionali non toglie la sensazione che si sia usata molta disinvoltura sulla scelta del sito tutto urbano da perforare. Lo stesso dicasi della proposta di una centrale geotermica posta nel bel mezzo dei palazzi e dei rioni del quartiere metropolitano napoletano di Bagnoli…

lunedì 27 maggio 2013

Il Vulcano Marsili


" Il vulcano Marsili sarà di scena il 21 maggio 2011? 
Nota del Professor Mastrolorenzo " di MalKo

Alcuni lettori ci scrivono con una certa inquietudine perché circola in rete e sui media, la profezia enunciata dai parascienziati, così li chiamano, che il 21 maggio 2011 il vulcano Marsili debba produrre un’eruzione accompagnata da onde di tsunami che spazzerebbero la parte meridionale della nostra Penisola che si affaccia sul tirreno. Gli scenari così prospettati, va da se che sono un tantino surreali.

La lettrice Monica, nello spazio riservato ai commenti, ha posto alcune domande a proposito del Marsili e della sua pericolosità intrinseca.
Andiamo alle risposte. L’Etna per storia e tradizione è un vulcano di superficie, di notevole importanza ed è più che monitorato. Il Marsili per ubicazione e storia recente, dubitiamo che possa essere controllato in termini fisici e chimici alla stregua di quanto già si fa per l’Etna. Bisogna anche dire che da poco, anche sulla scorta di allarmismi ingiustificati, l’attenzione sul vulcano più grande d’Europa sia  nettamente in crescita.

La lettrice Monica ovviamente, attraverso le sue domande intendeva capire se siamo in condizioni di prevedere un’eruzione vulcanica con netto anticipo. Le eruzioni vulcaniche non sono matematicamente prevedibili, sia nel lungo sia nel medio termine. Nel breve e brevissimo invece, forse è possibile azzardare ipotesi che potrebbero rivelarsi comunque e alla fine fallaci.

Anche se eruttasse il Marsili, una distanza di oltre cento chilometri dalla costa con una colonna d’acqua sovrastante di quattrocentocinquanta metri, dovrebbe rappresentare un limite di sicurezza cospicuo per ritenere le popolazioni peninsulari al sicuro dai fenomeni vulcanici più violenti e distruttivi.
Del Marsili quindi, più che l’eruzione, è stato sottolineato il rischio tsunami come elemento concreto di preoccupazione, generabile, dicono gli esperti,  da frane da crollo che potrebbero staccarsi dai declivi subacquei del monte sommerso.
Tali crolli potrebbero originarsi in seno a un’eruzione, un sisma o anche per processi naturalmente legati alla gravità e ai suoi equilibri.

Per capire il problema in termini concettuali, basti pensare a quello che succede in una piscina: il nostro voluminoso amico che si getterà in acqua a tuffo, genererà onde. Se lo stesso scende lentamente dalla scaletta, l’acqua rimarrà sostanzialmente immota. La frana quindi, nel caso di eventi legati a questo tipo di fenomeno e remotamente ipotizzati per il Marsili, per produrre onde anomale, dovrebbe essere volumetricamente (metri cubi) molto grande, con velocità di distacco e impatto sostenuta, per  smuovere masse d’acqua dai fondali che si muoverebbero poi sotto forma di onde. Predire un’eruzione è un azzardo. Prevedere una frana lo è ancora di più. Indicare una data di una calamità è fuori da ogni logica scientifica.

Al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, esperto di vulcani, chiediamo una nota che valga come risposta alla nostra lettrice Monica, ma anche a tutti i nostri lettori che vivono con ansia una profezia, quella della fine del mondo ad opera del Marsili, il 21 maggio 2011, che, pur non avendo fondamento in termini di previsioni, si è rivelata a torto notizia a  grande  impatto giornalistico.
Il parere del Professor Mastrolorenzo è il seguente:

<< le conoscenze vulcanologiche sul Marsili sono ancora limitate, e da poco è stata ipotizzata la realizzazione di una rete di monitoraggio confrontabile con quelle di altri vulcani attivi italiani. 
Allo stato attuale non esistono elementi per ritenere che siano state o siano in atto modificazione di parametri vulcanologici, geochimici o geofisici che riguardano il Marsili. In termini rigorosamente scientifici quindi, non c’è alcuna novità! Suggerisco a questo proposito un criterio molto semplice e universalmente valido per capire se una data notizia riguardante il rischio di terremoti, eruzioni vulcaniche, frane o tsunami, possa avere fondamento scientifico. Si adotti la regola che, qualsiasi notizia riguardante uno di tali eventi, che riporti anche il giorno in cui si verificherà, deve essere del tutto ignorata.  Questo perché con le attuali conoscenze scientifiche è assolutamente impossibile la previsione di un’eruzione, un terremoto o di altri eventi a questi correlati, che riportino addirittura l’indicazione della data. Si parla, infatti, sempre di generiche probabilità che l’evento possa verificarsi in un intervallo più o meno lungo, ma mai di certezza>>.
 
 

Il Marsili e l'incubo del 21 maggio 2011


" 21 maggio 2011: incubo Marsili? " 
di MalKo

Pare che l’allarme, circa la possibilità che il 21 maggio 2011 venga la fine del mondo, o comunque quella dell’Italia meridionale o forse di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo,  a causa di un’onda di tsunami generata dal vulcano sottomarino Marsili, sia stato raccolto da più di qualcuno in termini di apprensione.
C’è anche chi anticipa le sue angosce all’11 maggio, perché un’ulteriore  profezia, preannuncia un catastrofico terremoto nella zona di Roma: si  dice sia una previsione di Raffaele Bendandi, ma non si hanno certezze.
Un’onda di tsunami generalmente può essere associata a tre eventi calamitosi: un forte sisma localizzato in mare o a ridosso di esso; un’eruzione vulcanica marina o sub marina o una consistente massa, di solito rocciosa, che precipita in acqua ancor più se velocemente. Nella fattispecie potrebbe essere un meteorite o una frana staccatasi da un monte o, nel nostro caso (Marsili), da un vulcano. Ovviamente alla base del “sistema tsunami” concorrono due elementi fondamentali: una notevole energia e  il mare.  In realtà frane che spostano masse d’ acqua le abbiamo avute anche in terra ferma.
La tragedia del Vajont, nel 1963, fu causata appunto dal traboccamento di un’ingente quantità d’acqua da un bacino artificiale (diga), a causa di una frana (oltre 250 milioni di metri cubi) staccatasi dal Monte TocL’onda anomala (chiamiamola impropriamente cosìche si generò, superò di circa 100 metri in altezza il margine della diga, rovinando a valle con una corsa che distrusse  villaggi  e causò perdite umane ingenti.
Un forte terremoto è il fenomeno che forse più siamo abituati ad associare quale causa del prodursi di uno tsunami. I sommovimenti ai bordi delle faglie ubicate sui fondali marini, infatti, hanno la capacità, in determinate condizioni, di imprimere un vigoroso movimento alle masse d’acqua marina sovrastanti. Le onde con questa genesi, percorrono centinaia e centinaia di chilometri ad alta velocità, prima di infrangersi  sui tratti costieri che vengono scavalcati  dall’incedere imperioso delle acque anche per diversi chilometri nell’entroterra  .
In Italia il maremoto più richiamato nei testi è quello che si verificò  il 28 dicembre 1908 a seguito di un sisma violentissimo (10° grado Mercalli), che sconquassò le città di Reggio Calabria e Messina. Il più recente invece, è di pochi anni fa (2002): una frana staccatasi dai versanti scoscesi dello Stromboli, causò un’onda anomala con effetti prevalentemente locali  e  senza arrecare danni alle persone che, fortunatamente e per la stagione invernale, non erano esposte sulle spiagge.
La dirompenza vulcanica può a sua volta creare uno tsunami. Il vulcano Krakatoa ubicato tra le isole di Giava e Sumatra, da questo punto di vista è stato uno spettacolare protagonista con l’eruzione del 1883, definita la più grande mai avvenuta in epoca storica. Cagionò onde altissime, anche di alcune decine di metri, che spazzarono le vicine isole da costa a costa. Una nave, racconta la cronaca dell’epoca, fu scaraventata direttamente nella giungla. Le onde furono più di una e, come detto, con altezze considerevoli. Dopo l’eruzione, dell’isola vulcanica Krakatoa, non rimase altro che qualche brandello di terra.
Le teorie  dell’illustre Bendandi sulla previsione dei terremoti invece, afferiscono a cicli e congiunzioni astrali (generalizzando), come causa dei sommovimenti litosferici. Senza entrare nel merito di argomenti che non conosciamo bene, rileviamo che un’eventuale e non escludibile componente astrale che faciliti gli squilibri e gli equilibri litosferici, per effetto di attrazioni, allineamenti, congiunzioni e altro, in termini di cause ed effetti dovrebbe essere correlata nei dettagli alle variabili tutte terrestri della litosfera. Interrelazioni quindi, molto difficili da interpretare e quantificare e decifrare, al punto da rendere sostanzialmente impraticabile la strada della previsione puntiforme o quasi dei terremoti, attraverso il movimento dei corpi celesti.
Comunque, se queste profezie o previsioni come dir si voglia, dovessero rilevarsi attendibili, giorno più giorno meno, (ma ci sentiamo di escluderlo), sarebbe una vera rivoluzione e uno smacco epocale per le più prestigiose accademie scientifiche nazionali e internazionali. Temiamo che non sia così. Temiamo che la previsione dei terremoti sia ancora una scienza imperfetta, anche se alcune tecniche come quelle introdotte dal ricercatore Giuliani, meritino ampia considerazione sperimentale.
Purtroppo, non è ancora una realtà neanche la previsione a medio o lungo termine delle eruzioni vulcaniche. Sul breve e brevissimo periodo le percentuali di attendibilità della stima sui tempi eruttivi raggiungono cifre interessanti, ma non di matematica certezza.  Ancora peggio è la previsione del distacco di una frana da un’altura, soprattutto se sottomarina come nel caso del  Marsili.
Tutti questi fenomeni che abbiamo citato possono verificarsi oggi, domani o dopodomani o anche tra un millennio o due: non è dato saperlo… ci si muove  sulle ipotesi rispetto a un sistema dinamico (la Terra) in cerca di equilibrio.
Sul vulcano Marsili è bene che si pronuncino coloro che lo studiano più che i parascienziati. D’altra parte il vulcano non erutta da un bel po’ di tempo. Questo significa che i segni delle famigerate frane, come produttrici di tsunami, li possiamo rinvenire tutti sul fondo marino. Avremo in tal modo un’idea non solo della quantità dei materiali che si distaccano dal monte, ma anche la quantità numerica degli eventi franosi fin qui avvenuti. Sarebbe una buona base di partenza per intuire i rischi derivanti dal Marsili, ma anche dai suoi “compagni” quiescenti. Tutti vulcani che devono essere oggetto di studi, sempre più mirati, per mettere insieme dati utili a quantificare i livelli di rischio per le popolazioni esposte.
D’altra parte ogni tanto giunge la notizia che qualche nuovo vulcano viene individuato nel Tirreno. Sarebbe quindi auspicabile che si privilegi innanzitutto un piano di scandaglio dei fondali marini con elaborazione di carte tematiche. In seconda battuta si definiscano gli apparati vulcanici da controllare e il sistema migliore per farlo. Spendere un patrimonio per monitorare un solo vulcano senza sapere se ce ne sono altri e se quelli conosciuti possono assurgere a problema, potrebbe non essere la soluzione migliore.
Bisogna poi fare una riflessione nella discussione generale: quale affidabilità può dare un sistema tecnico – politico come il nostro, dove si lanciano allarmismi su di un vulcano sottomarino (Marsili) ubicato a 150 chilometri dalle coste campane e  ancora da studiare e, quindi, ancora da valutare nella sua interezza in termini di rischio, e nulla si fa per il Vesuvio sul cui ventre sonnecchiano seicentomila “addormentati” abitanti  a distanza zero? Eppure sulla pericolosità del Vesuvio concordano tutti: parascienziati e scienziati, e statistiche e perfino il buon senso…
Chi semina allora allarmismi  con la storia del Marsili? Non quelli che lo studiano di certo. I latini per individuare un colpevole partivano da un concetto bellissimo: cui prodest? (a chi giova?)
 
 

domenica 26 maggio 2013

Il Vulcano Marsili: intervista al Prof. G. Mastrolorenzo.



"Vulcano Marsili: intervista al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo" di MalKo
Il Vulcano Marsili è un vulcano sottomarino ubicato in modo quasi equidistante tanto dalle coste calabre quanto da quelle sicule per circa 150 chilometri. Fa parte dell’arco insulare eoliano e misura quasi 3000 metri d’altezza. Un eventuale subacqueo intenzionato a porre una bandierina in cima al vulcano dovrebbe immergersi per 450 metri. La vetta quindi, è ancora inviolata. La colonna d’acqua che sovrasta l’apparato vulcanico  dovrebbe comunque essere sufficiente per “affogare” qualsiasi colonna eruttiva e con essa i fenomeni che maggiormente temiamo in terra ferma (colate piroclastiche, lahar, ecc…). Questa nostra confortevole supposizione supportata anche dall’assenza  di centri abitati (mare aperto) potrebbe avere qualche fondamento.
Il Marsili recentemente è balzato alle cronache invece, come possibile fonte di maremoti presumibilmente dovuti al distacco di pareti rocciose che movimenterebbero materiale a sufficienza per generare onde altissime nel tirreno meridionale. Il magma che fluisce in un liquido, infatti, ha un modesto potere “collante”  sugli strati  litoidi sottostanti  generando un prodotto roccioso (scaglie) alquanto instabile.
Marsili comunque non è l’unico vulcano sorto nelle profondità del mare. Bisogna contemplare anche il Vavilov a 160 chilometri a sud ovest del golfo di Napoli, così come il Magnaghi forse spento e il Palinuro, attivo, che dista appena sessantacinque chilometri dalla costa cilentana.
E’ di qualche giorno fa la notizia che anche nei pressi della costa calabra, al largo di Capo Vaticano, è stato individuato un vulcano ormai da millenni estinto che ci piacerebbe si chiamasse Talo (gigante a difesa di Creta che si buttava nel fuoco per diventare incandescente, onde  bruciare col suo corpo i nemici) .
La sua posizione corrisponde alla faglia calabra i cui sommovimenti causarono in quella regione un terribile terremoto nel 1905. Ancora senza nome, il ventinovesimo vulcano italiano ha una sommità che si può toccare ad appena centoventi metri sotto la superficie marina.
Al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo abbiamo rivolto alcune domande :
a) Il Marsili recentemente a torto o a ragione viene chiamato in causa dagli esperti come un vulcano temibile perché simile al Vesuvio .  E’ così ?
L’analogia con il Vesuvio non è del tutto appropriata. Infatti, il rischio vulcanico è un parametro dato dal prodotto della pericolosità del vulcano per il valore esposto (persone e beni soggetti al rischio); nel caso delMarsili entrambi questi fattori sono di fatto e nell’ordine sconosciuto e assente. Bisogna allora  dire che la storia eruttiva e l’attuale livello di pericolosità del vulcano, e, quindi, il rischio potenziale associato a un possibile evento eruttivo, non sono stati ad oggi adeguatamente approfonditi. Di fatto, la distanza dalla costa e la profondità del vulcano, rendono in linea di massima minimo il rischio legato a un’eruzione, se si fa eccezione per la possibile generazione di tsunami. Quest’ultimo tipo di evento nel caso di apparati vulcanici come il Marsili, se pure possibile, richiede una complessa combinazione di fattori che difficilmente si presentano in contemporanea, o quantomeno il livello di probabilità che ciò accada è basso. Tant’è, la generazione di onde di tsunami è associata esclusivamente a eventi sismici di elevata magnitudo in fondali profondi e con peculiari movimenti di faglia. Gli tsunami si verificano anche in seguito a fenomeni franosi e/o di collasso parziale o totale di strutture vulcaniche, ma soltanto in caso di elevata rapidità ed estensione di tali fenomeni.
b) Che cosa ancora nasconde il tirreno centro meridionale a proposito di faglie,  vulcani e tsunami ?
Il bacino tirrenico è considerato dai geologi come un’area di oceanizzazione, che è il risultato di prolungati processi di distensione della litosfera che hanno generato un assottigliamento crostale e una piana abissale di profondità anche superiore ai 3000 metri. Da questi complessi processi geodinamici si è sviluppato il vulcanismo sommerso di natura basaltica molto diverso da quello delle aree vulcaniche napoletana e siciliana. Data l’elevata profondità del fondale, la conoscenza del bacino tirrenico anche in termini di strutture attive è ancora incompleta, essendo il risultato di prospezioni geofisiche di dettaglio su settori parziali e/o prospezioni a più grande scala ma a minore risoluzione. La difficoltà nella conoscenza è facilmente comprensibile considerando come l’identificazione delle faglie attive costituisca ancora un problema anche in superficie.
c) Abbiamo una carta del rischio tsunami nel tirreno centro meridionale?
Benché in passato siano stati realizzati modelli di tsunami per eventi generati nell’area tirrenica, non è disponibile al momento alcuna carta di rischio tsunami in senso stretto. Tale strumento dovrebbe descrivere la probabilità di ogni singolo punto della costa di essere interessato nell’unità tempo dal passaggio di onde anomale di una data ampiezza, risultanti da un qualsiasi potenziale evento sismico o vulcanico, sia all’interno dell’area tirrenica sia al di fuori di quest’ultima. Non esiste attualmente disponibilità di records geologici sufficienti per la realizzazione di tale mappa.
d) Questi vulcani sottomarini sono monitorati sporadicamente o sono dotati di stazioni fisse di misura dei parametri fondamentali ?
I vulcani sommersi come tutto il bacino tirrenico non sono sedi di reti di monitoraggio permanenti, ma sono stati studiati soltanto occasionalmente nell’ambito di campagne oceanografiche, sia nazionali sia internazionali, e d’indagini di sismica crostale. La campagna più recente è proprio quella iniziata nello scorso febbraio dalla nave oceanografica Urania del CNR, che ha rivelato condizioni d’instabilità dei versanti, a seguito della quale il Marsili è stato oggetto di numerose interviste, articoli giornalistici, ecc…
e) Mentre una rete di sorveglianza per gli tsunami generati da terremoti ha dei parametri di riferimento dettati dall’energia del sisma, che si calcola subito, nel caso di tsunami dovuti a vulcani sottomarini, quali fattori sarebbero presi in esame per la diramazione di un allarme?
Purtroppo nel caso di tsunami generati da collassi di settore di apparati vulcanici sottomarini, non esistono attualmente parametri indicativi affidabili ne in termini di prevenzione né di early warning (azioni di prevenzione immediata ad evento accaduto). Una delle strategie adottabili resta comunque la rilevazione in tempo reale dell’onda anomala in siti prossimi alla possibile sorgente dell’evento attraverso ondametri, con immediata attivazione dell’allarme nelle aree potenzialmente esposte al passaggio dello tsunami. Per quanto concerne il Tirreno, in particolare il Tirreno meridionale, tale strategia risulta critica, in quanto date le limitate dimensioni dell’area e l’elevata velocità di propagazione delle onde anomale (dell’ordine di diverse centinaia di km orari), il tempo per l’evacuazione delle coste dopo l’allarme potrebbe variare da meno di un minuto per le coste più prossime a solo qualche decina di minuti per quelle più distanti. Questo limite non superabile renderebbe necessario un efficientissimo piano di evacuazione con esercitazioni regolari e continue della popolazione a rischio che dovrebbe essere in grado di trasferirsi nel giro di minuti dalla costa a quote sicure. L’emergenza tsunami si è manifestata drammaticamente durante la crisi iniziata a fine dicembre 2002  a Stromboli (vedi foto Sciara del Fuoco – INGV), quando a seguito del collasso di qualche decine di milioni di metri cubi di versante, si è generato sull’isola un’onda anomala dell’altezza di diversi metri che non ha causato vittime solo per la bassissima densità di popolazione tipica del periodo e per l’assenza di turisti e bagnati lungo le coste. In quella circostanza si è temuta la successiva generazione di uno tsunami di maggiore entità, come quelli già avvenuti nella storia geologica dell’isola, che si potrebbe manifestare con onde di altezza anche superiori a 10 metri lungo le coste del Tirreno centro-meridionale.
(La redazione di Hyde Park ringrazia il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo per la cortese e preziosa collaborazione.)