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domenica 10 novembre 2013

Il Vulcano Stromboli...di Malko

Il vulcano Stromboli
“Il Vulcano Stromboli e l’arcipelago delle Eolie” di MalKo

Quando un po’ di anni fa raggiungemmo l’isola di Stromboli con una motobarca,apprezzammo immediatamente l’odore caratteristico di lava e fiori misti alla salsedine. Ci avvicinammo di poppa alla riva gettando l’ancora a poche decine di metri dai sassolini vulcanici arrotondati dall’onda. Dopo aver filato tutto il cavo a disposizione, l’ancora rimase comunque appennellata, cioè non toccava il fondo. Aggiungemmo altro cavo ma senza successo. Per avere un appiglio dovettimo quasi toccare riva. Alzammo allora il capo seguendo il profilo del monte, che altro non era che la parte più piccola dell’edificio vulcanico che si ergeva dagli abissi marini…
Lo Stromboli ancora oggi viene definito il faro del Mediterraneo. Quest’appellativo la dice già lunga sulla tipologia eruttiva che, pur non essendo particolarmente violenta, presenta una sequenza continua che dura da alcuni millenni, consentendo all’isola l’ingresso nella top 10 dei vulcani più eruttivi del mondo. Il faro naturale praticamente è sempre acceso e fornisce un punto di riferimento ben preciso ai naviganti, che lo cercano dalle plance dei bastimenti nelle notti buie…
Il cono dello Stromboli è uno dei sette apparati che svettano fuor d’acqua nel Tirreno meridionale, ma dobbiamo annoverare anche un bel po’ di fratelli vulcanici dell’arco eoliano, come il Palinuro e il possente Marsili che, pur dominando le profondità marine, non sono riusciti ad emergere mantenendo quindi un ruolo defilato di seamount.
Il Dott. Daniele Andronico, ricercatore dell’INGV di Catania,annovera tra le sue attività istituzionali anche lo studio di questa particolare e spettacolare e panoramica zona insulare, che comprende non solo i vulcani dell’arcipelago delle Eolie, ma anche il maestoso Etna che sarà oggetto di un prossimo articolo dedicato.

Dott. Andronico cos’è l’arco eoliano?
L’arco Eoliano è il risultato della collisione tra la placca Africana e quella Euroasiatica e si trova, in particolare, tra il bacino di retroarco del Mar Tirreno Meridionale e la catena orogenica dell’Arco Calabro. La sismicità registrata in quest’area ci indica che una porzione della placca Africana è in “subduzione” (s’immerge) sotto la placca Euroasiatica, dando origine al vulcanismo delle isole Eolie. Le rocce più antiche di questi apparati sono state datate intorno a 1.3 milioni di anni di età, che viene considerata anche la data di nascita dell’arcipelago, costituito com’è noto, da ben sette isole vulcaniche.

Quali sono le caratteristiche del vulcano Stromboli?
Stromboli è l’isola più settentrionale dell’arcipelago, e la sua porzione subaerea che si eleva fino a un massimo di 924 m in località Vancori, si è iniziata a formare circa 85000 anni fa. Oggi sappiamo, grazie ad accurati rilievi batimetrici, che il vulcano si estende fino a circa 1500-1800 m sotto il livello del mare, formando un cono quasi regolare, con fianchi ripidi e uniformi. La citatissima Sciara del Fuoco, la depressione che nella porzione subaerea dello Stromboli occupa il fianco nord-occidentale dell’isola, continua ancora per parecchie centinaia di metri sotto il livello del mare, fino a confluire in una zona di accumulo. La morfologia di questa porzione del vulcano attesta in qualche modo le cause della sua formazione, legate a ripetuti fenomeni di instabilità e di collasso del fianco vulcanico.
L’isolotto di Strombolicchio che si erge appena dal mare a quasi due chilometri  di distanza dallo Stromboli, rappresenta invece ciò che rimane di un edificio vulcanico più antico (oltre  200000 anni), smantellato nel tempo dagli inarrestabili fenomeni di erosione marina.

Sarà proprio l’attività stromboliana che si manifesta prevalentemente all’interno del cratere, anche in termini di lava, che ha consentito al vulcano di “uscire” dall’acqua senza essere preda dell’erosione marina?
L’attività ordinaria dello Stromboli, osservata fin da epoca romana, consiste in esplosioni stromboliane persistenti, che si susseguono con una frequenza eruttiva oraria che può variare significativamente anche nello stesso giorno, con una media di 5 - 10 esplosioni l’ora, durante le quali vengono emessi ceneri, lapilli e bombe. I prodotti più grossolani possono raggiungere i 200 m di altezza e, ricadendo verso il basso, si accumulano sulla sommità e sui fianchi del vulcano, contribuendo alla sua graduale crescita. Attualmente l’attività eruttiva ordinaria avviene dentro la terrazza craterica (localizzata sulla sommità dell’apparato), dove convenzionalmente sono presenti 3 aree crateriche e alcune bocche eruttive attive contemporaneamente (in genere da 2 a 6). Durante l’attività ordinaria, si possono occasionalmente verificare emissioni di modeste colate laviche che restano confinate dentro la terrazza o al più fuoriescono per alcune decine di metri sull’orlo nord-occidentale del vulcano, riversandosi nella Sciara del Fuoco.
La struttura geologica dello Stromboli, così come la sua storia eruttiva, ci mostra che l’attività ordinaria può essere interrotta da eruzioni prevalentemente effusive, che producono colate laviche dalla sommità o dai fianchi del vulcano. Le lave, cioè i prodotti dell’attività effusiva, sono più resistenti all’azione del mare e riescono a proteggere meglio i versanti vulcanici dall’offesa erosiva. I vulcani costituiti da prodotti più incoerenti dell’attività esplosiva (ceneri, lapilli e bombe) invece, sono maggiormente soggetti all’azione dirompente del mare.
Non va dimenticato, comunque, che durante la sua storia eruttiva lo Stromboli ha prodotto anche eruzioni parossistiche, cioè eventi vulcanici d’intensità e durata maggiore rispetto alle esplosioni stromboliane, capaci di modificare parzialmente o significativamente la morfologia dell’edificio vulcanico.
Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo assistito a due di questi eventi, avvenuti il 5 aprile 2003 e il 15 marzo 2007, in seguito ai quali la terrazza craterica è stata completamente distrutta a causa di collassi craterici. In entrambi i casi, sono stati necessari alcuni anni di attività stromboliana ordinaria affinché si potessero nuovamente formare e distinguere in sommità, dal punto di vista morfologico, aree crateriche, coni di scorie e bocche esplosive.

Al Palinuro sono mancati solo 84 metri per essere un vulcano subaereo…
È vero, ma se alla fine della sua attività eruttiva la parte emersa fosse stata formata solo da prodotti dell’attività esplosiva piuttosto che da colate di lava, probabilmente non avrebbe avuto vita lunga. Basti pensare all’isola Ferdinandea, il vulcano nato e cresciuto tra la fine di giugno e la fine di agosto 1831 nel canale di Sicilia in seguito a un’eruzione sottomarina. Sebbene l’intensa attività esplosiva avesse costruito un cono emerso di ben 60 m, in pochi mesi l’isola, inizialmente contesa tra inglesi, francesi e italiani, scomparve nuovamente sotto il livello del mare a causa dell’azione distruttrice delle correnti marine, tanto da meritarsi in seguito l‘appellativo di “isola che non c’è”. In quel caso, fu soprattutto la mancanza di lava a rendere inconsistente la compattezza dell’isola.

Dott. Andronico, il fatto che lo Stromboli sia permanentemente in eruzione salvaguarda la popolazione da eruzione a maggiori energie?
Non è esattamente vero. Quando si parla dei pericoli per l’esposizione a un vulcano, bisogna innanzitutto rifarsi alla sua storia eruttiva (anche recente) e allo studio dei depositi ad essa associati. Per quanto riguarda lo Stromboli, sappiamo benissimo, senza andare troppo indietro nel tempo, che nel secolo scorso l’attività eruttiva del vulcano è stata caratterizzata da un’eruzione particolarmente energetica. Nel 1930, infatti, lo Stromboli produsse una serie di fenomenologie eruttive devastanti per gli abitanti che in migliaia abbandonarono l’isola per sempre. Basti pensare che oggi, in pieno inverno, a Stromboli vivono circa 350 persone…
Anche negli ultimi anni, gli eventi parossistici più energetici hanno causato direttamente o indirettamente danni rilevanti. Ad esempio, la ricaduta di blocchi di dimensione metrica ha distrutto alcune abitazioni sulle pendici inferiori del vulcano. Eventi di frana lungo la Sciara del Fuoco poi, hanno generato in alcuni casi onde di tsunami che hanno impattato la fascia costiera dell’isola, mentre la caduta di prodotti sufficientemente caldi sui fianchi vegetati del vulcano, ha innescato incendi di una certa gravità che hanno talora minacciato da vicino gli insediamenti abitativi.

L’INGV di Napoli ha a che fare con vulcani più silenti ma molto più pericolosi. La struttura di Catania ha compiti più facili in termini di sorveglianza vulcanica rispetto ai colleghi napoletani?
L’Osservatorio Etneo, Sezione di Catania, ha come compiti istituzionali il monitoraggio sismico e vulcanico di tutta la Sicilia orientale. Ciò vuol dire la sorveglianza di vulcani tanto affascinanti quanto “attivi” come Etna, Stromboli 
L'Etna

e Vulcano, attraverso l’acquisizione di tutta una serie di parametri vulcanologici, geofisici e geochimici, trasmessi da decine di stazioni di monitoraggio. Prendiamo l’Etna, uno dei vulcani più attivi del mondo: negli ultimi 20 anni ha prodotto molto frequentemente eruzioni esplosive di tipo parossistico. Queste eruzioni, per lo più sotto forma di fontane di lava, sono caratterizzate dalla formazione di colonne eruttive la cui porzione sommitale viene poi sospinta dai venti dominanti in quota, causando ricaduta al suolo di ceneri, lapilli e scorie fino a decine di km di distanza dal vulcano. Prima ancora di cadere a terra, tuttavia, queste nubi eruttive possono essere una fonte di grande pericolo per il traffico aereo, perché il materiale vulcanico può danneggiare in maniera irreversibile carlinghe e motori degli aerei, e quindi ridurre la sicurezza dei voli. L’aeroporto di Catania è uno dei più importanti d’Italia in termini di numero di passeggeri e voli; uno dei nostri compiti più critici è proprio quello di avvisare gli enti aeroportuali della possibile presenza di particelle vulcaniche in sospensione nello spazio aereo regionale, oltre che della possibile ricaduta di materiale piroclastico direttamente sulle piste di atterraggio. Le analisi dei segnali acquisiti ci permettono di dare con sufficiente anticipo un’allerta sull’imminenza di un evento parossistico e, attraverso sofisticati modelli numerici che simulano la propagazione delle ceneri vulcaniche, anche lo spazio aereo eventualmente coinvolto e la probabile area di ricaduta al suolo dei materiali trasportati dal vento.
Se si pensa che dal 1998 ad oggi ci sono state oltre 150 fontane di lava, fenomeni all’origine del problema, possiamo ben comprendere quanto sia decisiva l’attività scientifica di sorveglianza e monitoraggio svolta dal nostro personale. L’ultimo episodio di fontana di lava è avvenuto pochi giorni fa, esattamente il 26 ottobre 2013.
Ringraziamo il Dott. Daniele Andronico per averci illustrato in modo semplice ed efficace i processi di formazione delle isole Eolie e dello Stromboli con alcune caratteristiche che differenziano i vari apparati ed altre ancora che lasciano intuire il complicato lavoro di sorveglianza vulcanica effettuato dalla struttura scientifica etnea. I ringraziamenti sono ancora più sentiti, perché la collaborazione giornalistica è avvenuta in un momento di notevoli impegni lavorativi dettati appunto dall’ennesima e attualissima eruzione dell’Etna.
Il Dott. D. Andronico ci ha ricordato inoltre e a proposito dell’Etna, quanto sia importante per la sicurezza del traffico aereo  l’informativa sulla dispersione delle ceneri vulcaniche in quota e al suolo. E’ interessante notare, da questo punto di vista, che il servizio geologico americano (USGS) nella diramazione dei livelli di allerta vulcanica segnala in contemporanea anche il livello di rischio per l’aviazione dettato dalla cenere e dalla polvere dispersa nell’atmosfera. Le due pericolosità infatti, possono non andare di pari passo.

-    Foto di copertina -  Il Cratere Sud di Stromboli in eruzione al tramonto: attività stromboliana dalla bocca centrale, e intensa emissione di gas caldi da una bocca laterale. Immagine scattata a maggio 2013 da D. Andronico

-     Foto pag.4  - Etna 2012 - MalKo

domenica 26 maggio 2013

Il Vulcano Marsili: intervista al Prof. G. Mastrolorenzo.



"Vulcano Marsili: intervista al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo" di MalKo
Il Vulcano Marsili è un vulcano sottomarino ubicato in modo quasi equidistante tanto dalle coste calabre quanto da quelle sicule per circa 150 chilometri. Fa parte dell’arco insulare eoliano e misura quasi 3000 metri d’altezza. Un eventuale subacqueo intenzionato a porre una bandierina in cima al vulcano dovrebbe immergersi per 450 metri. La vetta quindi, è ancora inviolata. La colonna d’acqua che sovrasta l’apparato vulcanico  dovrebbe comunque essere sufficiente per “affogare” qualsiasi colonna eruttiva e con essa i fenomeni che maggiormente temiamo in terra ferma (colate piroclastiche, lahar, ecc…). Questa nostra confortevole supposizione supportata anche dall’assenza  di centri abitati (mare aperto) potrebbe avere qualche fondamento.
Il Marsili recentemente è balzato alle cronache invece, come possibile fonte di maremoti presumibilmente dovuti al distacco di pareti rocciose che movimenterebbero materiale a sufficienza per generare onde altissime nel tirreno meridionale. Il magma che fluisce in un liquido, infatti, ha un modesto potere “collante”  sugli strati  litoidi sottostanti  generando un prodotto roccioso (scaglie) alquanto instabile.
Marsili comunque non è l’unico vulcano sorto nelle profondità del mare. Bisogna contemplare anche il Vavilov a 160 chilometri a sud ovest del golfo di Napoli, così come il Magnaghi forse spento e il Palinuro, attivo, che dista appena sessantacinque chilometri dalla costa cilentana.
E’ di qualche giorno fa la notizia che anche nei pressi della costa calabra, al largo di Capo Vaticano, è stato individuato un vulcano ormai da millenni estinto che ci piacerebbe si chiamasse Talo (gigante a difesa di Creta che si buttava nel fuoco per diventare incandescente, onde  bruciare col suo corpo i nemici) .
La sua posizione corrisponde alla faglia calabra i cui sommovimenti causarono in quella regione un terribile terremoto nel 1905. Ancora senza nome, il ventinovesimo vulcano italiano ha una sommità che si può toccare ad appena centoventi metri sotto la superficie marina.
Al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo abbiamo rivolto alcune domande :
a) Il Marsili recentemente a torto o a ragione viene chiamato in causa dagli esperti come un vulcano temibile perché simile al Vesuvio .  E’ così ?
L’analogia con il Vesuvio non è del tutto appropriata. Infatti, il rischio vulcanico è un parametro dato dal prodotto della pericolosità del vulcano per il valore esposto (persone e beni soggetti al rischio); nel caso delMarsili entrambi questi fattori sono di fatto e nell’ordine sconosciuto e assente. Bisogna allora  dire che la storia eruttiva e l’attuale livello di pericolosità del vulcano, e, quindi, il rischio potenziale associato a un possibile evento eruttivo, non sono stati ad oggi adeguatamente approfonditi. Di fatto, la distanza dalla costa e la profondità del vulcano, rendono in linea di massima minimo il rischio legato a un’eruzione, se si fa eccezione per la possibile generazione di tsunami. Quest’ultimo tipo di evento nel caso di apparati vulcanici come il Marsili, se pure possibile, richiede una complessa combinazione di fattori che difficilmente si presentano in contemporanea, o quantomeno il livello di probabilità che ciò accada è basso. Tant’è, la generazione di onde di tsunami è associata esclusivamente a eventi sismici di elevata magnitudo in fondali profondi e con peculiari movimenti di faglia. Gli tsunami si verificano anche in seguito a fenomeni franosi e/o di collasso parziale o totale di strutture vulcaniche, ma soltanto in caso di elevata rapidità ed estensione di tali fenomeni.
b) Che cosa ancora nasconde il tirreno centro meridionale a proposito di faglie,  vulcani e tsunami ?
Il bacino tirrenico è considerato dai geologi come un’area di oceanizzazione, che è il risultato di prolungati processi di distensione della litosfera che hanno generato un assottigliamento crostale e una piana abissale di profondità anche superiore ai 3000 metri. Da questi complessi processi geodinamici si è sviluppato il vulcanismo sommerso di natura basaltica molto diverso da quello delle aree vulcaniche napoletana e siciliana. Data l’elevata profondità del fondale, la conoscenza del bacino tirrenico anche in termini di strutture attive è ancora incompleta, essendo il risultato di prospezioni geofisiche di dettaglio su settori parziali e/o prospezioni a più grande scala ma a minore risoluzione. La difficoltà nella conoscenza è facilmente comprensibile considerando come l’identificazione delle faglie attive costituisca ancora un problema anche in superficie.
c) Abbiamo una carta del rischio tsunami nel tirreno centro meridionale?
Benché in passato siano stati realizzati modelli di tsunami per eventi generati nell’area tirrenica, non è disponibile al momento alcuna carta di rischio tsunami in senso stretto. Tale strumento dovrebbe descrivere la probabilità di ogni singolo punto della costa di essere interessato nell’unità tempo dal passaggio di onde anomale di una data ampiezza, risultanti da un qualsiasi potenziale evento sismico o vulcanico, sia all’interno dell’area tirrenica sia al di fuori di quest’ultima. Non esiste attualmente disponibilità di records geologici sufficienti per la realizzazione di tale mappa.
d) Questi vulcani sottomarini sono monitorati sporadicamente o sono dotati di stazioni fisse di misura dei parametri fondamentali ?
I vulcani sommersi come tutto il bacino tirrenico non sono sedi di reti di monitoraggio permanenti, ma sono stati studiati soltanto occasionalmente nell’ambito di campagne oceanografiche, sia nazionali sia internazionali, e d’indagini di sismica crostale. La campagna più recente è proprio quella iniziata nello scorso febbraio dalla nave oceanografica Urania del CNR, che ha rivelato condizioni d’instabilità dei versanti, a seguito della quale il Marsili è stato oggetto di numerose interviste, articoli giornalistici, ecc…
e) Mentre una rete di sorveglianza per gli tsunami generati da terremoti ha dei parametri di riferimento dettati dall’energia del sisma, che si calcola subito, nel caso di tsunami dovuti a vulcani sottomarini, quali fattori sarebbero presi in esame per la diramazione di un allarme?
Purtroppo nel caso di tsunami generati da collassi di settore di apparati vulcanici sottomarini, non esistono attualmente parametri indicativi affidabili ne in termini di prevenzione né di early warning (azioni di prevenzione immediata ad evento accaduto). Una delle strategie adottabili resta comunque la rilevazione in tempo reale dell’onda anomala in siti prossimi alla possibile sorgente dell’evento attraverso ondametri, con immediata attivazione dell’allarme nelle aree potenzialmente esposte al passaggio dello tsunami. Per quanto concerne il Tirreno, in particolare il Tirreno meridionale, tale strategia risulta critica, in quanto date le limitate dimensioni dell’area e l’elevata velocità di propagazione delle onde anomale (dell’ordine di diverse centinaia di km orari), il tempo per l’evacuazione delle coste dopo l’allarme potrebbe variare da meno di un minuto per le coste più prossime a solo qualche decina di minuti per quelle più distanti. Questo limite non superabile renderebbe necessario un efficientissimo piano di evacuazione con esercitazioni regolari e continue della popolazione a rischio che dovrebbe essere in grado di trasferirsi nel giro di minuti dalla costa a quote sicure. L’emergenza tsunami si è manifestata drammaticamente durante la crisi iniziata a fine dicembre 2002  a Stromboli (vedi foto Sciara del Fuoco – INGV), quando a seguito del collasso di qualche decine di milioni di metri cubi di versante, si è generato sull’isola un’onda anomala dell’altezza di diversi metri che non ha causato vittime solo per la bassissima densità di popolazione tipica del periodo e per l’assenza di turisti e bagnati lungo le coste. In quella circostanza si è temuta la successiva generazione di uno tsunami di maggiore entità, come quelli già avvenuti nella storia geologica dell’isola, che si potrebbe manifestare con onde di altezza anche superiori a 10 metri lungo le coste del Tirreno centro-meridionale.
(La redazione di Hyde Park ringrazia il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo per la cortese e preziosa collaborazione.)