Translate

Visualizzazione post con etichetta bagnoli. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta bagnoli. Mostra tutti i post

domenica 19 ottobre 2014

Rischio Vesuvio:caos...di Malko


“Rischio Vesuvio: il problema è politico,
istituzionale, giuridico o irrisolvibile?” di MalKo

Due prefetti ebbero sul loro tavolo istituzionale la notizia che non c’era nessun piano di evacuazione per l’area vesuviana. L’appello invitava a preparare un piano di emergenza per surrogare quello di emergenza inesistente a fronte del rischio dettato dal Vesuvio e dalla sua insondabilità geologica. L’appello cadde nel vuoto… In quel periodo tra l’altro regnava Bertolaso, in tema di protezione civile, e nessuno aveva voglia di andargli a chiedere conto del piano d’emergenza tanto pubblicizzato ma molto inconcludente, quasi da operazione mediatica… Nulla di strano perché anche nelle sedi giudiziarie la notizia che settecentomila cittadini non hanno una tutela che li protegga dai flussi piroclastici non ha prodotto ancora un risultato tangibile. La corte europea di Strasburgo chiamata in causa dal persistere di una certa indifferenza istituzionale tutta italiana e che mina qualche principio universale, intanto studia il caso…

All’INGV formulammo alcune domande sul vulcano Marsili a proposito delle frane e del Marsili Project e del prefigurato rischio maremoto. I cortesi uffici dell’Ente istituzionale scientifico preannunciarono a più riprese una risposta mai giunta. Stessa domanda al Ministero dell’Ambiente i cui uffici invece tergiversarono invitando a inoltrare una mail all’ufficio stampa, perché sono loro bla…bla…bla. Poi si è scritto ad altre istituzioni competenti come la Regione Campania, per sapere qualcosa di preciso sui condoni e i ruderi da riattare e i motivi per i quali è stato consentito l’utilizzo dei fondi per la ricostruzione post terremoto dell’80 in zona rossa Vesuvio. Buio oltre la siepe… La domanda per capire altrove cosa succede in tema di abusivismo edilizio la girammo all'USGS che ci invitò a scrivere allo Yellowstone National Park, immenso parco americano che comprende l’omonima caldera vulcanica. L’interrogativo ha prodotto stupore con la precisazione che se intendevamo qualche capanno di caccia era molto poco probabile a causa del clima rigido.
Nella nostra caldera vulcanica dei Campi Flegrei invece, pare addirittura che sia molto serio il rischio che sui terreni di Bagnoli, sede del Deep Drilling Projectvengano costruiti migliaia di vani a uso residenziale grazie a una cordata di provvidenziali tutori imprenditori misti a intellettuali che vogliono rimarcare il loro impegno per Napoli e per il litorale flegreo…

Nel recente convegno sul rischio Vulcanico organizzata dall’ordine dei geologi il 14 ottobre 2014 a Napoli (Castel dell’Ovo), l’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza ebbe a spiegare alcuni punti del piano d’emergenza Vesuvio e delle strategie del piano di evacuazione a iniziare da alcuni concetti: << un’eruzione superiore a quella presa come evento massimo di riferimento ha un ritorno di 23.000 anni. I terremoti distruttivi invece, ogni 475 anni. Ergo, rinforziamo le case!>>. Un’altra novità importante da introdurre nei piani d’emergenza -  riferisce l’assessore -  è la necessità di organizzare un servizio capace di ripulire subito il fiume Sarno dalle ceneri eruttate dal Vesuvio perché altrimenti gli alvei ricoperti determinerebbero fenomeni alluvionali delle acque...
L’ineffabile assessore nel suo intervento ricamò chiacchiere assegnandosi alla fine un 110 con lode per tutte le iniziative messe in campo dal suo ufficio, puntando poi il dito contro il teppismo scientifico con manie di protagonismo che denigra e allarma con previsioni catastrofiche. Pensavamo di porre molte domande all’assessore nello spazio successivo dedicato al dibattito in sala così come previsto dai lavori.  Invece l’ingegnere Cosenza al termine del suo intervento andò via senza nessuna possibilità di contraddittorio… Avremmo voluto chiedergli conto sul cambio dei proclami, ovvero da: <<non un abitante in più in zona rossa a un non un metro cubo in più di cemento in zona rossa…>>. La differenza? Col secondo editto si recupera il cemento esistente reso antisismico con migliaia di abitanti al seguito…
Il Presidente Ugo Leone commissario straordinario del Parco Vesuvio, non ha avuto dubbi sul definire connivente con il rischio chi non si oppone alla cementificazione nella zona rossa Vesuvio, sia in senso colposo dovuto presumibilmente all’ignoranza, sia in senso doloso dovuto magari a un mero calcolo elettorale. Più chiaro di così…
Nel merito dei fondi europei, Cosenza riferisce che su 550 comuni solo 20 non hanno fatto domanda per ricevere soldi finalizzati alla redazione dei piani d’emergenza tra cui alcuni retti da commissari prefettizi. Questi 20 avranno i soldi per forza e d’ufficio perché anche quei cittadini hanno diritto alla sicurezza. Solo 61 comuni devono perfezionare la domanda di ammissione mentre i restanti possono già lavorare attingendo i fondi.

Il Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Giuseppe De Natale, contrariamente ad altre circostanze dibattimentali con previsioni eruttive contabili a mesi da passare alla politica, ha sostenuto questa volta che indicare data e ora di una ripresa eruttiva del Vesuvio, anche con tutti i precursori in corso che superano il punto di non ritorno è impresa difficilissima. De Natale ha poi chiarito che esiste uno strato di magma spesso tra 1 e 2 chilometri che si dirama dal Vesuvio ai Campi Flegrei a una profondità oscillante tra gli 8 e i 10 chilometri. Tra l’altro, ha aggiunto il direttore, sia al di sotto dei Campi Flegrei ma probabilmente anche al di sotto del Vesuvio, ci sono serbatoi di magma vecchi, più superficiali e più densi che sfuggono alle prospezioni sismiche. Trattandosi di magmi “rinsecchiti” ma caldissimi, potrebbero essere facilmente riattivabili dai magmi sottostanti. Gli studi attuali vertono su questa nuova e  interessante linea di ricerca.

Il Prof. Vincenzo Morra, Direttore DISTAR Università degli Studi di Napoli Federico II, nonché referente della Commissione Grandi Rischi per la parte vulcanica (CGR-RV), ha sottolineato una certa iperattività della commissione da lui presieduta che ha messo fine all’immobilismo preesistente. L’illustre coordinatore della grandi rischi vulcanica ha indicato una data in particolare a proposito del fare, esattamente il 14 dicembre 2012 in cui lui e il suo gruppo sono stati chiamati dal prefetto Franco Gabrielli per esprimere un parere sui Campi Flegrei. In quei frangenti, chiosa Morra, ci siamo assunti la responsabilità di suggerire al Dipartimento della Protezione Civile di passare, a proposito dei livelli di allerta, a uno stato di attenzione
In verità dalla nostra rivista sollecitammo questa macroscopica necessità in un articolo datato 25 novembre del 2012.  Siamo stati un tantino geomanti …

Il Prof. Stefano Tinti dell’università di Bologna ha sottolineato che i piani d’emergenza a fronte del rischio Vesuvio è bene che tengano in debito conto anche il rischio tsunami a carico delle comunità rivierasche oggi molto più numerose del passato. Il problema maremoto infatti, è ben presente nelle zone tirreniche meridionali per fatti sismici ma anche vulcanici.

La dott. Chiara Cardaci del Dipartimento della Protezione Civile ha preso atto del rischio maremoto ed ha chiarito, continuando, che l’evacuazione della popolazione dalla zona rossa avverrà all’occorrenza in anticipo rispetto ai tempi eruttivi, anche con il rischio di un falso allarme.

Il dato che anche in questo convegno è emerso lampante, è la discrasia tra la necessità di ridurre il valore esposto in quest'area a rischio favorendo la delocalizzazione delle famiglie in luoghi più sicuri, e il cemento che non c’è verso di spingerlo e respingerlo fuori dalla zona rossa. Per essere riassuntivi, purché non si costruisca un nuovo palazzo sotto al Vesuvio si può riattare qualsiasi cosa, anche se a livello di pietrame preesistente. Il Governo centrale ha chiamato in causa la Corte Costituzionale soprattutto per valutare quella parte della legge regionale che riguarda l’apertura dei termini del condono al 31 dicembre 2015. Vogliamo ricordare alle amministrazioni comunali interessate, che secondo alcuni autorevoli pareri e sentenze del Consiglio di Stato, non è sufficiente una dichiarazione sostitutiva di atto notorio per provare l'epoca di anteriore realizzazione dell'opera rispetto a un vincolo ed ancora che il trascorrere del tempo non modifica il concetto di abuso e di demolizione. 
In ultima analisi la Corte Costituzionale è l’unica che può calmierare l’audacia della Regione Campania che sembra spinta dall’ossessione cementizia. Dalla decisione di questo importantissimo organo dello Stato allora, capiremo probabilmente il futuro della zona rossa Vesuvio e della connotazione da dare al rischio vulcanico... 

L’assessore Cosenza durante l’intervento prima citato, ha avuto a dire che la popolazione nell’area vesuviana è calata e sta calando. In realtà l’unico comune che lascia registrare una inversione di tendenza in termini di calo è quello di Portici, le cui caratteristiche territoriali sono da formicaio. Il motivo del calo è da ricercarsi probabilmente nelle politiche di informazione che sono state fatte negli anni passati sul rischio Vesuvio, e a una buona dose di invivibilità ordinaria dettata dal superaffollamento di tipo asiatico.
Non risulterà difficile per i lettori accedere alle tabelle dei siti specializzati. Si noterà allora, che in realtà c’è stato un calo demografico in termini di numero di abitanti nel vesuviano, ma non del numero di famiglie che invece è in aumento. In alcuni comuni come Terzigno e Boscoreale, il dato di crescita è addirittura su entrambi i fronti, grazie allo spiccato fenomeno dell’abusivismo edilizio che ha contraddistinto in negativo la storia di questi territori nell'ultimo trentennio.

Il problema del rischio Vesuvio allora, è un problema che attiene innanzitutto alla sensibilità della classe politica e a quella istituzionale poco pungolata da un'informazione non sempre puntuale e corretta.

Su tutte le questioni avrebbe dovuto prendere il sopravvento e svettare il buonsenso dei cittadini, che in alcuni casi hanno preferito accettare il compromesso dell'oggi, adeguandosi a un sistema che in cambio chiedeva solo il consenso elettorale. Non si è guardato, non si è capito, e si è rinunciato al diritto alla sicurezza,  soprattutto in danno ai nostri figli e nipoti che erediteranno un territorio martoriato dal cemento e dalle discariche. La routine proseguirà tra imbonitori e business,  fino a quando un giorno magari lontanissimo, un evento da cigno nero resetterà il sistema girando la clessidra del rischio vulcanico, che inizierà a scorrere daccapo,senza enfasi, granello dopo granello...

domenica 30 marzo 2014

Il vulcano Marsili illuminerà l'Italia?...di Malko


Le isole Eolie

“Il Vulcano Marsili e il deepwater project” di MalKo

Il vulcano Marsili è stato uno dei seamount tirrenici, insieme al Palinuro, che ha destato molto la nostra attenzione. Il vulcano solo da alcuni anni è balzato alle cronache e la sua scoperta pare sia stata casuale e a cura degli americani che, rovistando sui fondali tirrenici, s’imbatterono in alcune indicative fumarole.
Il mastodontico apparato, il più grande d’Europa, dicono che abbia le potenzialità per generare un cataclisma, non tanto derivante dai magmi insiti nelle sue profondità, bensì dagli stessi e scoscesi contrafforti del monte, il cui profilo è disegnato da ammassi rocciosi instabili e poco consistenti, al punto da rendere concreto il rischio franamento per erosione o scuotimento sismico dell’edificio vulcanico.

Il possente monte sommerso è assurto alle cronache come possibile fonte di guai, dopo che un ex direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) dichiarò che il vulcano aveva appunto i fianchi flaccidi e un’eventuale e rovinosa e massiccia caduta di materiale roccioso dai pendii poteva innescare un’onda di maremoto che avrebbe potuto spazzare i litorali tirrenici esposti. Ipotizziamo in prima battuta quelli calabresi, campani e della Sicilia settentrionale isole comprese. L’unica difesa da siffatto rischio, profferì Enzo Boschi, consiste nella realizzazione di una costosissima rete di monitoraggio sottomarina. In realtà si nutrono dubbi anche su questa soluzione, perché la velocità di avanzamento di un’onda di maremoto è rapida al punto da raggiungere la costa tirrenica più vicina nel giro di una quindicina di minuti o poco più. I litorali più lontani potrebbero forse trarre qualche beneficio dal sistema di allarme costiero… 

Fu veramente grande la nostra meraviglia quando sapemmo del progetto della Eurobuilding spa di perforare a mezzo trivella proprio i fianchi del vulcano Marsili per carpire i fluidi bollenti o il vapore in quota e ad alta pressione che lì abbonda, col fine di produrre energia geotermica direttamente sulla superficie del mare, con piattaforme opportunamente attrezzate e dislocate sulla verticale del vulcano sommerso. Un progetto futuristico e affascinante e indubbiamente unico nel suo genere, che induce solo qualche perplessità per niente pretestuosa riguardante i rischi insiti nelle trivellazioni e nell’impatto ambientale che bisogna tenere in debito conto quando si accede alle acque termali profonde che, contrariamente a quanto si pensi, possono essere acque tutt’altro che innocue.

Le trivellazioni sono diventate oggetto di studio un po’ in tutto il mondo perché si ha il sospetto che inducano terremoti. Ci è quindi sorto il dubbio sul come possa coniugarsi la trapanazione del vulcano con le necessità di sicurezza delle popolazioni rivierasche in rapporto ai precedenti allarmi lanciati dagli stessi esperti.
Il comitato scientifico del “Marsili Project” annovera numerosi scienziati tra cui il Prof. Enzo Boschi: garanzia in più o contraddizione?
Secondo le logiche verrebbe da pensare che se sussiste il rischio frane, al punto da rendersi auspicabile l’installazione di una strumentazione di monitoraggio, forse non sarebbe tanto assurdo concordare di posizionare questa strumentazione ben prima di procedere con la trivellazione.

Nell’avamposto dei Campi Flegrei (Bagnoli), pure si è proceduto a una prima perforazione, probabilmente con fini molto simili al Marsili Project, con la sola differenza che nel caso del Marsili si opererebbe nelle profondità del tirreno, mentre nei Campi Flegrei l’operazione si è già avviata nell'area metropolitana di Napoli all’interno della caldera flegrea.
Lo scalpello rotante del Deep Drilling Project (CFDDP), nonostante le polemiche, i ritardi e i rinvii, nel mese di dicembre 2012 raggiunse i cinquecento metri di profondità. Il pozzo pilota così realizzato dovrebbe poi ospitare sul fondo strumentazioni tecnologicamente all’avanguardia per la previsione del rischio vulcanico. Il progetto prevedeva a distanza di un anno il prosieguo delle attività di perforazione per raggiungere con una certa inclinazione i quattro chilometri di profondità in direzione della gobba bradisismica di Pozzuoli.
Sull’operazione deep drilling da un po’ è calato il silenzio... Non si capisce se bisogna considerarlo come silente iperattività di studio legata al prossimo riavvio della trivella, o un abbandono del progetto perché in qualche consesso o ufficio è stato  giudicato pericoloso o quantomeno inopportuno.
Certamente il seguito delle operazioni, se ci saranno, richiederanno il nulla osta della commissione grandi rischi quale parte terza nel discorso sicurezza. Se l’operazione di perforazione dovesse invece essere abbandonata, anche in questo caso sarebbe assolutamente necessario conoscerne le motivazioni.
La nostra volontà di chiarire certi aspetti che riguardano seppur remotamente la sicurezza dei cittadini, ci ha indotto mesi fa a inoltrare qualche interrogativo all'INGV senza ottenere risposta. Per gli aspetti ambientali abbiamo invece chiesto delucidazioni al competente Ministero dell'Ambiente e siamo in attesa di riscontri.
Il nostro interesse ai progetti che riguardano il Marsili e i Campi Flegrei e l'affaire rischio Vesuvio e piani di evacuazioneattinge energia dai concetti tutti Costituzionali che auspicano il passaggio da un rapporto cittadini – istituzioni fondato sulla separazione e sulla reciproca diffidenza, ad uno invece centrato sulla comunicazione e la leale collaborazione. Non più un rapporto verticale allora, ma uno orizzontale e di condivisione e coinvolgimento nelle scelte. I cittadini infatti, è bene ricordarlo, non sono semplici utenti o clienti o sudditi, come dir si voglia...



martedì 3 settembre 2013

Rischio vulcanico Campi Flegrei: il Deep Drilling Project (CFDDP)...di Malko

La spianata di Bagnoli (Campi Flegrei) sede del CFDDP

“Campi Flegrei: quale futuro per il Deep Drilling Project?”
di MalKo

ll famoso Deep Drilling Project dei Campi Flegrei (CFDDP), cioè il progetto di perforazione profonda avviato nel sottosuolo di Bagnoli (NA), è passato un po’ nella sordina mediatica probabilmente perché la trivella ha cessato di ruotare da dicembre 2012, dopo aver raggiunto come da programma quota meno cinquecentodue metri.
Lo scalpello litosferico con tutte le polemiche che hanno accompagnato la prima fase di perforazione del pozzo pilota, dovrà essere latore di ben altre autorizzazioni prima di continuare la sua corsa nelle profondità calderiche del supervulcano flegreo, per raggiungere i circa quattromila metri di profondità.
Il piano di scavo inizialmente pubblicizzava un tornaconto geotermico che sarebbe scaturito dal foro di Bagnoli e dall’acqua calda sottostante. L’insistente propaganda iniziale sull’energia pulita e a basso costo, scemò a seguito delle proteste di alcuni comitati cittadini che vedevano nella geotermia in loco profitti tuttalpiù per le industrie del ramo, ma non per la popolazione a cui toccavano solo i rischi dell’operazione.
La pubblicità allora dirottò sulla previsione delle catastrofi. Il Deep Drilling Project divenne quindi un’opera fondamentale per monitorare con tecniche di previsione l’area vulcanica flegrea, con strumentazioni ad alta tecnologia ubicate sul fondo del pozzo pilota, pronte a cogliere sul nascere qualsiasi indizio foriero di eruzioni, come i sollevamenti, che in verità lì si contano a metri.
La trivella di Bagnoli dovrebbe ripartire al termine della valutazione dei dati fin qui raccolti, per inoltrarsi poi chilometricamente nel cuore calderico del supervulcano, con il fine di scandagliare scientificamente le coltri di materiali e investigare sulla genesi del bradisismo. L’interesse della cittadinanza non è stato catturato da quest’argomentazione, perché gli abitanti non reputano necessario indagare il sottosuolo se questo comporta un pur piccolo rischio ancorché se tali dati già esistono grazie alle numerose prospezioni profonde che si fecero negli anni ’80. L’Agip, infatti, scandagliò il sottosuolo puteolano e quello dei laghi d’Averno e di Licola e le contrade di Mofete e Cigliano, con pozzi come quello di S. Vito, che si spinse fino a 3.038 metri di profondità. Fu anche tentata una sortita nella parte pedemontana del Vesuvio, a Trecase, con una trivellazione da 2.064 metri senza alcun esito produttivo.
L’Osservatorio Vesuviano (INGV) in simbiosi con il comitato CFDDP e il Comune di Napoli, si sono spesi moltissimo nell’ambito di convegni e interviste su quest’iniziativa internazionale, dichiarando in tutte le sedi che il progetto è assolutamente innocuo, soprattutto per il sistema di perforazione provvisto di congegni innovativi che lo rendono  più sicuro di altri.
Il ruolo dell’Osservatorio Vesuviano nell’intera vicenda del Deep Drilling Project ai Campi Flegrei però ci sembra un tantino di parte. Se le operazioni di perforazione profonda in area calderica sono o non sono pericolose, non lo dovrebbe dire chi ha correlazioni con la proposta e il coordinamento e lo sviluppo dell’opera. Altrimenti si corre il rischio, secondo la metafora tutta napoletana, che lo storico ente faccia la parte dell’acquaiolo e l’opinione pubblica quella del cliente a proposito dell’acqua fresca come la neve…>>.
Intanto Il 21 luglio 2013 il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo dal titolo: “La perforazione geotermica scatena il terremoto: stop al progetto”. Nel pezzo si racconta di un sisma di 3,6 della scala Richter verificatosi a San Gallo, nella zona del Lago di Costanza in Svizzera. La scossa è stata provocata dai lavori di perforazione per la realizzazione di una centrale geotermica.
Il direttore del cantiere, ha spiegato che era stata scoperta una fuga di gas ad alta pressione nel foro di trivellazione. Per arginare il pericolo era stata pompata acqua e fango nel condotto. L’operazione di pompaggio si era resa necessaria, spiega il dirigente, per evitare guai peggiori. A Basilea un progetto simile era già stato abbandonato nel 2006 sempre per l’innescarsi di scosse sismiche. Il caso svizzero destò apprensioni pure nel governo americano che bloccò per precauzione i progetti di perforazione geotermica della AltaRock Energia sulle colline a nord di San Francisco, per timore che si innescassero terremoti.
Sul giornale online Avvenire invece, nell’articolo datato 12 agosto 2013 si legge: <<All’indomani del terremoto di Modena, l’assessore alle attività produttive dell’Emilia-Romagna ha sospeso l’iter di ogni nuova concessione nei comuni del cratere. «…Non so se le attività di perforazione – ha spiegato Gian Carlo Muzzarelli – possano essere messe in relazione con la sismicità di un’area, saranno gli scienziati a dirmelo, ma fino ad allora si aspetta».. 
<< …Si delibererà solo quando si sarà fatta chiarezza: è un atto di responsabilità verso il territorio e le popolazioni». <<… Usiamo il principio di precauzione e il buon senso: il sottosuolo non è un limone da spremere».
Sono interessanti anche gli articoli pubblicati a proposito del vulcano Lusi in Indonesia, da sette anni in attività. Ubicato a Sidoarjo nella parte orientale dell’isola di Giava, è il più grande vulcano di fango al mondo. Le sue origini sono da ascriversi con tutta probabilità a una trivellazione esplorativa petrolifera.
Uno studio dell’Università di Bonn pubblicato su Nature Geoscience, sostiene la stessa tesi della società responsabile della perforazione, la Lapindo Brantas, cioè che fu il terremoto che occorse a Yogyakarta qualche giorno prima del 29 maggio 2006 a causare l’eruzione.Di tutt’altro avviso la relazione scientifica dell'Università di Durham (Inghilterra), pubblicata sulla rivista Geological Society of America, dove le responsabilità dell’innaturale eruzione si accollano unicamente alla società petrolifera e alle sue pratiche perforative poco accorte.
Sul piano internazionale si è un po’ scettici sulla possibilità che una scossa di terremoto con ipocentro a 280 km. di distanza da Sidoarjopossa aver movimentato il fango in superficie, perché in quella zona altri terremoti ben più forti hanno scosso la litosfera e mai si erano ravvisati indizi di squilibrio nel sottosuolo.
Intanto sono anni che dal profondo del Lusi sgorga fango caldo. Si contano decine di migliaia di sfollati, molti villaggi distrutti e un’economia praticamente in ginocchio.  A sette anni di distanza, l'eruzione di fango bollente è ancora pimpante e non si sa quando terminerà. La terra rigurgita melma fumante che a impulsi risale in superficie appesantendo suoli destinati a sprofondare.
In Italia si è aperta una vera corsa alle perforazioni a caccia dell’oro nero e del metano e dell’acqua calda. Le torri di scavo incominciano a essere malviste dai cittadini e, quindi, comitati locali stanno sorgendo un po’ dappertutto per contrastare questo incalzare di trivelle che potrebbero generare, seppur remotamente, sgradite sorprese sia in mare sia in terra.
In Trinacria una grandinata di autorizzazioni per la trivellazione dei fondali marini nel canale di Sicilia sta suscitando grandi preoccupazioni. Un incidente alla stregua di quello che occorse nel Golfo del Messico nel 2010 sarebbe sufficiente a stroncare per molti anni le risorse più importanti dell’isola, come la pesca e il turismo.
Anche i progetti di perforazione a uso geotermico del vulcano sottomarino Marsili affascinano ma inducono perplessità, perché la faccenda dovrà svilupparsi in alto mare, zona disabitata e, quindi, ritenuta per antonomasia sicura.
Posto nei fondali del Tirreno meridionale, il complesso vulcanico sommerso dista oltre cento chilometri dalla linea di costa più vicina. Un luminare di tutto rispetto avvertì alcuni anni fa del pericolo potenziale derivante dai fragili fianchi del vulcano. Una frana sottomarina, profferì lo scienziato, potrebbe essere all’origine della formazione di un’onda micidiale che si potrebbe infrangere con gravi danni sui litorali esposti. Fu allarmismo a tutto spiano, e si avanzarono costosissime proposte di monitoraggio del silente vulcano, mentre qualcuno vide addirittura nell’allarme scientifico un terribile presagio Maya da fine del mondo ...
La società privata EuroBuilding spa, dovrebbe perforare i fianchi “flaccidi” del vulcano Marsili per prelevare e utilizzare a uso geotermico i fluidi caldi che circolano a profondità utili nei contrafforti dell’edificio vulcanico. La trasformazione del calore in energia avverrebbe direttamente in superficie. Una gran bella cosa… bisognerebbe escludere però, che la trivellazione del monte e la penetrazione meccanica negli acquiferi bollenti, non inducano anche remotamente sollecitazioni indesiderate negli ammassi rocciosi che potrebbero staccarsi in quota con un effetto domino.
Uno dei responsabili del Marsili project, Diego Paltrinieri, ha chiarito che la sicurezza è garantita da tutte le verifiche del caso fatte dai ricercatori dell’INGV. Per questo motivo abbiamo girato la domanda sull’interazione fra trivella e fianchi del vulcano direttamente all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che ci ha rimandato a una prossima risposta, che ancora non arriva, a cura del Prof. Giuseppe D’Anna. Aspettiamo…
La geotermia sostanzialmente è un’invenzione italiana e, quindi, si capisce una certa propensione a utilizzare il calore terrestre per produrre energia soprattutto in questa viscerale corsa alle risorse rinnovabili, per compensare quelle fossili che non dureranno in eterno. I Campi Flegrei poi, sono il luogo dove in rapporto alle profondità, le temperature dei fluidi sono molto elevate: il pozzo di S. Vito è quello che ha lasciato registrare valori di 400°C ..
Gli scavi passati, come detto, hanno consentito di cogliere dati sulla stratigrafia che caratterizza la caldera e sulla qualità dei fluidi caldi posti in profondità: quelli bollenti ubicati a tremila metri, si rivelarono ipersalini e antieconomici all’uso.  
Questo primo intoppo sulla natura del prodotto da utilizzare, fu seguito dalla constatazione un po’ tardiva che le superfici interessate al progetto geotermico erano eccessivamente e anche abusivamente antropizzate. I fenomeni sismici e bradisismici che caratterizzano l’area poi, furono ritenuti oggettivamente in contrasto con le esigenze di sicurezza che dovrebbe invece avere una struttura industriale collegata al sottosuolo.
L’energia geotermica bisogna pure sottolinearlo per dovere di cronaca, non è che sia totalmente esente da processi inquinanti, perché le acque calde circolanti nel sottosuolo e risucchiate in superficie, spesso contengono una significativa percentuale di sostanze molto aggressive e tossiche. Tant’è che in molti casi si ripompano dabbasso per non inquinare i terreni e le acque superficiali.  Anche le volute di vapore acqueo rilasciate dalle ciminiere, dovrebbero essere il prodotto finale di un’accurata filtrazione.
Il dirigente dell’ufficio sismico svizzero che ha seguito gli eventi di San Gallo accennati in precedenza, ha detto che non bisogna abbandonare la strada del geotermico, bensì semplicemente evitare attività a ridosso dei centri abitati. Una risposta lapalissiana ma di estrema efficacia. Per consentire il connubio tra urbanizzazione e geotermia, ci sembra di capire che la strada maestra sia per ora quella di accontentarsi di temperature minori a minore profondità, con impianti a basso impatto ambientale gestibili localmente.  
A proposito d’impatto ambientale, registriamo che Il Prof.Mario Dall’Aglio, esperto di geochimica e geotermia, affermò in seno a un convegno organizzato dalla società UGI (Unione Geotermica Italia), che in Italia a proposito degli impianti di produzione o uso delle energie rinnovabili non ci sono serie procedure di valutazione d’impatto ambientale (VIA). Ovviamente gli organizzatori si sono fatti in quattro per dissociarsi…
Che ci siano già state delle perforazioni profonde nell’area flegrea segnano un punto a favore dei sostenitori dell’esperimento internazionale. Qualche pozzo però, l’Agip sembra che lo dovette chiudere precipitosamente, ma potrebbe essere leggenda. I pro e i contro allora, devono essere vagliati molto seriamente dalla commissione grandi rischi (CGR) per un discorso di terzietà sull’argomento.  Quest’organo dovrà essere chiamato in causa da una delle autorità previste dal sistema nazionale della protezione civile. Ad esempio dal Capo Dipartimento Pref. Gabrielli, oppure dal Sindaco De Magistris quale autorità locale, o dal presidente della Regione Campania Stefano Caldoro che ha competenze sulle licenze di scavo, o anche dal Prefetto di Napoli Musolino, se ritiene che la perforazione sia portatrice di allarme sociale.
Il fatto che i promotori del deep drilling project ai Campi Flegrei siano rinomati scienziati internazionali non toglie la sensazione che si sia usata molta disinvoltura sulla scelta del sito tutto urbano da perforare. Lo stesso dicasi della proposta di una centrale geotermica posta nel bel mezzo dei palazzi e dei rioni del quartiere metropolitano napoletano di Bagnoli…

martedì 28 maggio 2013

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la geotermia democratica...di Malko


"Campi Flegrei Deep Drilling Project e la geotermia democratica" 
    di MalKo


Antonio Luongo, consigliere delegato dal sindaco di Napoli De Magistris ai problemi dell’energia, durante un convegno ha chiarito pochi giorni fa che, con una geotermia “democratica” di superficie, non invasiva e con impianti di nuova generazione a reiniezione, potremmo aprire un nuovo futuro per la città di Napoli (Ansa med).
Il consigliere pare abbia precisato che l’intendimento dell’amministrazione partenopea è quello di installare nell’area flegrea, ma non sui suoli di Bagnoli Futura (foto), un impianto geotermico supportato da altre fonti energetiche come il solare termodinamico e l’utilizzo di biomasse consistenti in oli vegetali e alghe.
In realtà, e non traspare bene nelle interviste, per utilizzare oli vegetali e oli prodotti dalla spremitura di alghe, temiamo sia necessario un bruciatore, anche se c’è da dire che brucerebbe una sorta di carburante oleoso, in termini di emanazioni però,  alquanto rispettoso dell’ambiente.
Inizialmente, afferma sempre il consigliere Luongo, il geotermico sarà utilizzato per il teleriscaldamento (calore nelle case) e in seguito anche per la generazione di energia elettrica.
L’individuazione del sito ove ubicare l’impianto, dovrà probabilmente tenere in debito conto prevalentemente le caratteristiche del sottosuolo, perché per le altre forme di energia, quali il solare e il biodiesel, la scelta del luogo dovrebbe presentare minori difficoltà per le opzioni tutte di superficie. Ovviamente il sito non potrà ricadere a ridosso o all’interno di aree urbanizzate, ma forse neanche dove si prevedono sommovimenti dei suoli dovuti al bradisismo flegreo.
Da questo punto di vista riteniamo che qualsiasi progettazione e pianificazione dello sviluppo nell’area Flegrea, debba essere momentaneamente sospesa, fino a quando non siano resi pubblici gli scenari eruttivi ipotizzati per la caldera flegrea con la definizione delle aree a differente pericolosità.
Infatti, sarebbe oltremodo sgradevole, dopo il paradosso dell’Ospedale del Mare costruito in zona rossa Vesuvio, proporre qualcosa di simile in quel di Bagnoli o PozzuoliFuorigrotta o Bacoli.  Peggio ancora varare un piano di insediamento residenziale in un’area a rischio di distruzione totale, delimitata dalla linea nera (black line) come al Vesuvio.
Intanto, con la storia della geotermia è entrato di nuovo negli interessi della popolazione, ma in modo più contenuto rispetto al recente passato, la querelle che riguarda il famoso Campi Flegrei Deep Drilling Project (CFDDP), cioè la perforazione profonda in area calderica.
Il pozzo pilota ha raggiunto sul finire del 2012 i cinquecento metri di profondità. A questo livello saranno collocate le attrezzature con dei sensori, particolarmente sensibili e precisi, al punto da captare sul nascere dicono, e con una precisione mai prima raggiunta, le eventuali variazioni di alcuni parametri geofisici e geochimici del supevulcano, quali precursori per la previsione dei fenomeni eruttivi nella caldera flegrea.
La trivella, in assenza di cambiamenti progettuali, riprenderà probabilmente la sua marcia per raggiungere nel 2014 i tremila e ottocento metri di profondità, proseguendo con una certa inclinazione in direzione di Pozzuoli.
A tali quote nel profondo, ci si dovrebbe imbattere in acque molto calde; superati gli acquiferi, ci s’incanalerebbe nel mezzo di rocce calde. Per interpolazioni che si riferiscono alla trasmissione del calore per conduzione, si potrebbe a questo punto stimare a che profondità sono ubicate le sacche magmatiche superficiali.
 All’inizio dei lavori di scavo le inquietudini della popolazione locale erano concentrate sui rischi in generale che le operazioni di perforazione comportano, stante alcuni episodi di pericolo verificatisi qua e là nel mondo, ampiamente  reclamizzati da articoli di stampa e anche dal nostro giornale.
Ovviamente e per molti versi, ha un valore di rischio diverso trapanare nella caldera poco abitata dello Yellowstone (Stati Uniti) piuttosto che in quella calderica di un quartiere metropolitano napoletano come Bagnoli. Così come uno scavo infracalderico a cinquecento metri di profondità ha un margine di rischio anche statistico molto diverso da una perforazione chilometrica profonda realizzata direttamente nella bocca del vulcano quiescente.
Nelle profondità calderiche si stimano temperature dell’ordine dei cinquecento gradi; imbattersi in una sacca di vapore surriscaldato o altro potrebbe non essere un fatto remoto. Comunque, il sistema a tenuta della trivella e i doppi sistemi di sicurezza, pare siano sufficienti a mitigare qualsiasi pericolo che possa presentarsi dal fondo.
In termini di autorizzazioni però, pensiamo che non possa procedersi oltre nello scavo senza il preventivo parere della commissione grandi rischi (CGR). Dovrebbe essere questo consesso di esperti, di cui fa parte anche l’Osservatorio Vesuviano come centro di competenza, a esprimersi sulla reale portata del pericolo insito in una perforazione infra calderica. Se il parere non sarà chiesto d’ufficio dal capo dipartimento della protezione civile Franco Gabrielli, dovrebbe essere sollecitato dal sindaco o, in surroga, dai comitati locali attraverso una petizione popolare.
Il mayor Luigi De Magistris dovrà analizzare il parere della commissione grandi rischi e pronunciarsi sulla fattibilità dell’esperimento, riservandosi nell’analisi del rischio, la valutazione di fattori che potrebbero anche non essere pertinenti al mondo scientifico e tecnico. Ad esempio potrebbero frapporsi ostacoli di ordine   sociale o di indice di affollamento ma anche di semplice opportunità, mettendo in conto pure i falsi allarmi che potrebbero scatenare panico soprattutto per una  mancata percezione del pericolo da parte di cittadini che solo oggi, recitano gli organi di stampa dipartimentale, sembrano scoprire il supervulcano quiescente.
Nel mondo s’inizia a discutere sui reali rischi che comporta lo sfruttamento della geotermia che, specie per la produzione di elettricità, richiede lo scavo di pozzi un tantino profondi e a volte tecniche di reiniezione o di emungimento dei fluidi.
In un recentissimo comunicato dell’INGV si mette in guardia sulle pratiche di pompaggio o di estrazione di fluidi geotermali sotterranei, per la possibilità che si verifichino  terremoti medio-piccoli (Vincenzo Convertito). Questo potrebbe spiegare una dichiarazione sibillina del Direttore dell’Osservatorio Vesuviano,Marcello Martini, rilasciata in un recente convegno sulla geotermia a proposito dei rischi:<<bisogna sempre rapportarli agli impieghi…ovviamente per tutte le cose umane, l’uso che se ne fa determina anche le condizioni di sicurezza>>.
comitati flegrei non devono schierarsi e manifestare simpatie nel senso della trivella si, trivella no. Devono molto più semplicemente chiedere che siano applicate le prassi di tutela previste dal nostro ordinamento anche in termini di cautela.  Le associazioni di cittadini possono pure esprimere un parere profondamente diverso dalle istituzioni: è lecito. In tal caso il problema diventerebbe non di contrapposizione tecnico scientifica, ma squisitamente di natura politica che, com’è noto, è l’arte della mediazione dei bisogni sociali.
La vocazione geotermica del comune di Napoli sia oggetto di valutazioni e non di speculazioni. La priorità che deve avere l’amministrazione comunale non è l’estrazione dei fluidi energetici dal sottosuolo o l’urbanizzazione della spianata ex italsider di Bagnoli, bensì mettere in sicurezza dal rischio sismico e vulcanico, chi nei Campi Flegrei ci vive o ci lavora.

lunedì 27 maggio 2013

Campi Flegrei: Deep Drilling Project e Marsili Project




"Deep Drilling Project ai Campi Flegrei e Marsili project nel Tirreno" di MalKo
I composti fermenti popolari che stanno accompagnando il famoso Deep Drilling Project nei Campi Flegrei, devono portarci a riflettere sui motivi per cui si è creato questo fronte del No alla trivellazione. Eppure la proposta scientifica riguarda nel concreto la possibilità di applicare strumenti di precisione nel sottosuolo calderico, capaci di cogliere ogni minima variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano. Dovrebbe essere un vantaggio per le popolazioni, ovviamente in assenza di rischi provenienti dalla trivellazione e dal profondo. I pericoli in questo caso non sono palesi, ma più semplicemente prospettati da emeriti studiosi dei fenomeni vulcanici.
Quelli dell’INGV, con qualche eccezione, hanno un po’ taciuto sui risvolti che hanno caratterizzato alcune famose trivellazioni nel mondo. Altri invece, hanno parlato e illustrato quegli elementi di rischio insiti nelle perforazioni soprattutto in area vulcanica.
I fautori del deep drilling hanno argomentato la scelta dei Campi Flegrei come necessità legata alla mitigazione del rischio vulcanico; bisogna dire però, che inizialmente la grancassa era battuta prevalentemente sullo sfruttamento dell’energia geotermica.
La necessità di spingere la ricerca nell’individuazione di energie rinnovabili con il raggiungimento d’importanti traguardi entro il 2020, ha forse spinto l’INGV a entrare in azione sul terreno della geotermia industriale, assicurando un impegno scientifico alla società Eurobuilding S.p.a. che già nel 2005 avviò indagini e studi sul vulcano sottomarino Marsili, qualche anno fa assurto alle cronache prevalentemente per un’ipotesi catastrofica senza fondamento scientifico.
Importanti sinergie abbiamo detto, furono stabilite dalla società marchigiana oltre che con l’INGV con Enzo Boschi inserito nel comitato scientifico, anche con il CNR ISMAR di Bologna, e l’Università di Chieti e Bari.
Nel 2006 una crociera oceanografica sul vulcano sottomarino evidenziò la presenza all’interno dell’apparato del Marsili di flussi geotermici ad alto contenuto energetico. I vertici dell’Eurobuilding spa, quindi, hanno progettato con i partner istituzionali il primo pozzo geotermico al mondo da realizzare in ambiente sottomarino: si dovrà trivellare il fianco roccioso del monte vulcanico da una piattaforma semisommergibile.   Il Marsili Project prevede l’acquisizione di dati, la perforazione e quindi l’estrazione di energia dal fondo. Sarà il primo impianto geotermico offshore nell’area tirrenica o forse del mondo .
Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha rilasciato all’Eurobuillding nel Novembre del 2009, un permesso di ricerca esclusivo per fluidi geotermici nel tirreno meridionale .
Il progetto Deep Drilling Project ai Campi Flegrei invece, fu presentato dall’INGV a Poznan nel 2008, nell’ambito della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici.  Enzo Boschi profferì: “… oltre alle più citate energie eoliche e solari, ci sono senz’altro anche quelle geotermiche che consistono nello sfruttamento del calore interno della Terra. Quello che ci proponiamo di fare è cogliere contemporaneamente due opportunità offerte dall’area dei Campi Flegrei: una migliore conoscenza del suo sistema di alimentazione magmatico e dell’interazione fra il magma e gli acquiferi profondi dell’apparato vulcanico, e uno sfruttamento pratico di una parte dell’energia in esso immagazzinata…”.
Nel 2010 sempre Enzo Boschi e a proposito del Marsili, precisò che il cedimento delle fragili pareti del vulcano subacqueo potrebbero muovere milioni di metri cubi di materiali che potrebbe generare un’onda anomala devastante.  Nell’occasione affermò:<< Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra a un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di qualsiasi bilancio di spesa… Quello che serve – concluse Boschi – è un sistema continuo di monitoraggio per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è, che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire>>.
Il gigantesco vulcano sommerso misconosciuto fino a qualche anno fa, improvvisamente diventa il braccio distruttivo della profezia Maya e contemporaneamente il più importante sito di energia rinnovabile del Pianeta…Da più parti si levarono voci un po’ critiche circa la necessità di pensare un po’ meno al Marsili e molto di più al Vesuvio a proposito di catastrofi e di eruzioni.
Il Deep Drilling Project ai Campi Flegrei, è stato approvato dal comitato internazionale nel 2009,  con dibattiti prevalentemente tra esperti del settore anche d’oltralpe . Non c’è dato di sapere se in quei consessi si siano sollevate voci dubitative a proposito degli indici di sicurezza per la popolazione.
Il Prof. Benedetto De Vivo dell’Università Federico II di Napoli ha espresso tutte le sue contrarietà sul progetto di perforazione profonda. Il sindaco Rosa Russo Iervolino, sentite le discordanze sui rischi, operò una sintesi decisionale molto ferma dettata forse anche dalla sua precedente esperienza di Ministro dell’Interno. Infatti sentenziò: <<la perforazione deve attendere il parere vincolante del Dipartimento della protezione civile. >>.
Su richiesta municipale al Dipartimento fu indetta una riunione nell’ottobre del 2010, per esaminare nei dettagli il progetto di perforazione profonda coordinato dal Prof. G. De Natale. La risposta finale fu abbastanza chiara e così riassumibile: Il progetto che prevede l’attività di trivellazione ai Campi Flegrei, <<…non è tra quelli che vede coinvolto il Dipartimento della Protezione Civile, e la società Bagnoli Futura,il cui Comune di Napoli detiene la maggioranza, ha già sottoscritto un accordo che autorizza le attività relative al progetto.>>.
Ovviamente nel momento in cui il dipartimento della protezione civile se ne lavò le mani, la palla ripassò tutta al sindaco Iervolino che, nella sua veste di autorità locale in tema di sicurezza pubblica, pronunciò un secco No alle trivelle.
Con le elezioni del 2011 e il passaggio di mano tra primi cittadini a favore di Luigi De Magistris, ex magistrato, i termini della questione si sono rovesciati. I promotori del deep drilling project sono tornati alla carica. La perforazione ha preso quindi corpo e vigore e oggi ha raggiunto i duecento  metri di profondità.  Il responsabile del progetto CFDDP, Prof. De Natale, ha chiarito che entro il mese di ottobre 2012 si porrà fine alla trivellazione dei primi cinquecento metri cui seguirà una pausa di riflessione per l’analisi dei dati fin lì raccolti per pianificare il proseguimento a quote chilometriche del pozzo che deve essere debitamente e diversamente autorizzato.
Il quartiere di Bagnoli così come quelli vicini con l’aggiunta di alcuni comuni limitrofi, ricade territorialmente direttamente nella caldera flegrea,  delimitata verso sud dalla collina di Posillipo.  Trattandosi di uno dei dieci vulcani più pericolosi del mondo non c’è da stare allegri.  Esattamente alla stregua di chi vive all’ombra del Vesuvio o negli alvei fluviali o sui pendii franosi.
I promotori del deep drilling parlano molto spesso di mitigazione del rischio vulcanico attraverso sensori capaci di allertare un sistema di protezione civile che nei Campi Flegrei come al Vesuvio e come ormai sanno tutti non c’è.
La mitigazione del rischio vulcanico non può essere racchiusa solo nei sensori ubicati in profondità, di cui ancora non palesiamo durata ed efficacia,  ma in tanti altri aspetti della sicurezza, come ad esempio la stesura dei piani d’emergenza e di evacuazione, identificabili  come strumenti di difesa attiva, che diventerebbero operativi allo scattare dell’allarme e su decisione politica non locale.
C’è quindi bisogno di  pianificare uno sviluppo sostenibile anche su lungo termine, che tenga in debito conto le realtà territoriali comprensive sì di risorse, ma anche di rischi naturali. Così come c’è bisogno di istituzioni sane e competenti capaci di suggerire con fermezza alla politica in tutte le sue diramazioni nazionali regionali e locali, le scelte possibili che possono essere anche,udite udite,  di inevitabile rinuncia.
Scrive Le Science, che è più facile carpire segnali eruttivi da uno strato vulcano ma non da una caldera come quella flegrea che risiede in buona parte sott’acqua. Con le caldere, si legge, siamo fortunati se abbiamo un preavviso eruttivo di qualche giorno o ore.
L’autorità che ha presentato il progetto di perforazione profondo presso il Comune di Napoli, oltre a richiedere il permesso per il deep drilling avrebbe dovuto mettere nero su bianco e con la stessa veemenza, che è una vera ipocrisia continuare a costruire in senso residenziale all’interno di un vulcano.
Quelli del deep drilling per fronteggiare le polemiche hanno indossato recentemente la stella di sceriffo del dipartimento della protezione civile per gli aspetti vulcanici e sismici in Campania. C’è da presumere quindi, che avranno bacchettato duramente il presidente della Regione, Caldoro, che ha appena firmato un decreto (Taglialatela) per attenuare i disposti e gli effetti della legge regionale 21/2003 sull’inedificabilità assoluta in zona rossa.
Avranno pure rappresentato ai sindaci del vesuviano e dell’area flegrea l’assurdità di ammonticchiare ulteriormente attraverso condoni e piani casa , genti alle genti sui vulcani dormienti che racchiudono in sé una pericolosità  notoriamente esplosiva.
Sicuramente poi, avranno fatto notare, che anche la più stupida delle eruzioni distruggerà un bel po’ di case sul Vesuvio, perché il vulcano campano non ha le dimensioni e le distanze dell’Etna. Avranno detto pure che non ci sono neanche le condizioni per deviare la lava, laddove fosse possibile, perché la corona di base del Vesuvio è interamente urbanizzata e non si può salvare, legge alla mano, un abitato a scapito di un altro. Avranno pure fatto notare che nei Campi Flegrei la situazione è ancora più complessa e il pericolo può essere ancora più subdolo: può venire dagli abissi marini, ed è imponderabile nella sua intensità…
I politici, generalizzando, sono contentissimi quando la scienza propone di mettere sensori di allarme, così possono continuare a urbanizzare le zone a rischio perché c’è la sirena… Se la situazione dovesse precipitare, la colpa poi è della scienza, incapace di prevedere e non della politica che ha affollato le aree a rischio vulcanico.
Si ha la sensazione che la perforazione dei Campi Flegrei sia stata presentata come operazione di mitigazione, ma in realtà abbia scopi ben più precisi e pratici legati all’approccio tecnologico e scientifico ai fluidi critici ad alta temperatura e pressione posti nel profondo della Terra.
Nessuna industria geotermica dovrebbe sorgere su di un vulcano esplosivo ubicato in una metropoli affollata come quella partenopea, col bradisismo che potrebbe minare gli impianti, l’acqua salata le turbine, i terremoti la tranquillità della zona, e le eruzione l’intero panorama.
Ci rendiamo conto dell’importanza che rivestono gli studi e gli esperimenti per accedere alle energie rinnovabili, e l’INGV fa bene a scendere in campo in un settore strategico per la Nazione. Bisogna individuare però, situazioni geologicamente parlando un po’ più tranquille di una caldera sede di un possibile supervulcano, con fluidi e magma che tra l’altro deformano la superficie già in tempo di pace… Occorrerebbe qualcosa di simile a Larderello in Toscana: soffioni caldissimi  in un paesino  in parte di proprietà dell’ENEL, che conta  850 abitanti .
In una Terra di terremoti e sollevamenti misurabili a metri, il problema non è captare la microscossa sismica o il micromillimetro, bensì se le scosse sono prodromi e se il sollevamento è inarrestabile…