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giovedì 28 agosto 2014

Rischio Vesuvio: quale difesa?...di Malko



“Rischio Vesuvio: difendersi o non difendersi, questo è 
il problema...” di MalKo

Il 31 luglio 2014  in consiglio regionale (Campania), tra le frange di un’area politica vicina al presidente Caldoro, si battevano pacche sulle spalle per l’approvazione del maxiemendamento contenente varie norme tra cui quelle che consentono di riattare anche i ruderi ubicati in zona rossa Vesuvio, oppure di realizzare sottotetti per difendersi dalle inclemenze termiche… Nel contestato panorama pro cemento, dobbiamo  inserirci anche norme di condono edilizio con riapertura dei termini di sanatoria. Secondo il nostro punto di vista non è possibile concedere condoni in una zona definita e classificata dallo stesso Stato ad altissimo rischio per la vita umana. Ci appare anche illogico vantare diritti su domande e progetti presentati prima dell’entrata in vigore della legge regionale 21 del 2003 a proposito dell’inedificabilità in zona rossa. Sarebbe come pretendere di utilizzare ancora lastre di amianto per le coperture se il progetto che ne prevede l’uso risale a una data antecedente la comprovata cancerogenicità del prodotto.Che ragionamento…

Gli allarmi Vesuvio che provengono prevalentemente dall’estero o da qualche ricercatore nostrano non allineato, non incutono particolari timori, perché il mondo scientifico istituzionale dichiara che i segnali premonitori di una possibile eruzione del Vesuvio si coglieranno mesi prima dall’efficiente rete di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano. Il motto è: non è possibile che il Vesuvio ci colga di sorpresa! Con queste premesse, più che un piano di evacuazione dalla portata biblica intravediamo come difesa un piano di mobilità extraurbana in giacca e cravatta e borsa frigorifero e bambini frignanti al seguito.
Per capire meglio questo ottimismo tutt’altro che sottaciuto e sciogliere qualche nodo, dobbiamo rifarci a una clausola dei piani di emergenza: i cittadini possono lasciare la zona rossa già nella fase di preallarme, detta anche di esodo volontario.
Quindi, in teoria, nel momento in cui si passerebbe dalla fase di attenzione a quella di preallarme, chi ha magione altrove può già allontanarsi. Su questa possibilità gli strateghi della quadratura del cerchio contano moltissimo, perché il numero di seconde case è cospicuo come le possibilità di alloggio presso parenti ed amici. Sfoltita la zona rossa allora e, dato importante, senza diramare allarmi, si potrà attendere con maggiore calma l’incedere degli avvenimenti e allontanare la restante parte della popolazione e dei soccorritori a prodromi incalzanti entro il famoso margine delle 72 ore.

In realtà se si coglieranno come dicono i sintomi pre eruttivi già mesi prima dell’evento, la patata bollente dovrà passare al dipartimento della protezione civile, che dovrà poi gestire i tempi e interpretare i dati con il determinante apporto della Commissione Grandi Rischi (CGR) e l’appoggio come centro di competenza dell’Osservatorio Vesuviano e probabilmente con la partecipazione di  luminari della scuola pisana.
In questi frangenti la politica dovrà poi decidere al tavolo di crisi quando diramare l’allarme. I rischi connessi alla diffusione di tale segnale possono sortire tre effetti: un allarme evacuazione senza eruzione; un colpevole ritardo con popolazione in loco ed eruzione in corso; oppure, come si auspica, una previsione attendibile e utile per una corretta gestione dell’evacuazione, sfruttando il massimo intervallo temporale possibile tra certezza di previsione ed evento. Una siffatta precisione potrebbe essere solo figlia dell’esperienza che nessuno ha. L’ultima eruzione infatti, si è verificata 70 anni fa… 

La differenza decisionale la farà, dicevamo, anche questa famosa commissione (CGR) rappresentata qualche anno addietro da esperti che a ottobre dovranno ritornare sul banco degli imputati al tribunale dell’Aquila. L’accenno non è provocatorio. Si dovrà ridiscutere di una storica condanna a sei anni di reclusione, secondo l’accusa, per avere eccessivamente rassicurato la popolazione aquilana una settimana prima del funesto terremoto che colpì la cittadina abruzzese il 6 aprile 2009.
La commissione grandi rischi dicono che recentemente non rischi fornendo indicazioni sui pericoli, in attesa che il tribunale dell’Aquila faccia ammenda sulla sentenza di primo grado. I successi del dipartimento della protezione civile sono legati nell’odierno soprattutto allo scafo della costa Concordia. Essendo vuoto però, non rappresenta un grande  rischio per la vita umana.
Parlare di questa delicata faccenda giudiziaria dell’Aquila è un po’ avvilente, perché in realtà il principale accusato è un sistema di strapotere made in Bertolaso che in quegli anni faceva il buono e il cattivo tempo. In nome del potere si facevano e si disfacevano molte cose a seconda delle esigenze mediatiche. Oggi ci si tira indietro dalle responsabilità di quegli anni che in prima battuta sono di appartenenza… appartenenza a un sistema bacato, che all’epoca però, nessuno ha mai avuto il coraggio di denunciare o sottrarsene.
Il 31 marzo 2009 all'Aquila il guaio pare che lo combinò De Bernardinis, e la sua voglia di menar le mani per compiacere il capo e schiacciare a chiacchiere l’imbecille locale e le sue previsioni al radon. Enzo Boschi forse è stata la vittima più illustre del sistema B&B. Abbiamo letto con attenzione e amarezza la sua lettera in cui riferisce della lunghezza di serate una volta cortissime… Attendiamo l’appello e soprattutto cosa verrà fuori dal troncone Bertolaso prima di voltare pagina.

Ritornando alla recentissima approvazione a cura della Regione Campania del maxiemendamento pro cemento, dobbiamo notare che il disposto è la prova provata che il rischio Vesuvio non palesandosi come pericolo di fatto non viene considerato materia di interventi preventivi. Un consigliere comunale pro Caldoro, addirittura e a proposito dei contestatori politici dell’opposizione, nella sostanza pare abbia detto: << o si dimostri scientificamente che il rischio Vesuvio esiste o si lasci impastare in santa pace il cemento restauratore e ristoratore…>>.
Il pressapochismo con cui è stata trattata fin qui la materia rischio Vesuvio e piani di evacuazione è tutta racchiusa nella confortante previsione di un’eruzione preventivabile a mesi. L’interesse allora, si è tutto concentrato sulla parte scientifica che aiuta tantissimo con queste salutari e comodissime previsioni che tra l’altro nessuno esclude che possano risultare verosimili in futuro. Per decenni il piano di evacuazione è stato obliato a tutto vantaggio del piano di emergenza costituito prevalentemente dal corposo trattato scientifico. Il valore statistico in questo caso è stato assunto come valore matematico, sia per quanto riguarda gli scenari di rischio (VEI 3 – 4)  che quelli di previsione temporale e corta del fenomeno. Quello che poi sussurrano tra i denti, della serie: qui lo dico e qui lo nego! E’ che la popolazione vesuviana se ne andrà via comunque e spontaneamente e senza nessuna soluzione di continuità, già all’inizio dei prodromi pre eruttivi, a iniziare da quelli sismici e a prescindere da quale fase operativa verrà sancita dalle autorità competenti a cui nessuno baderà, sulla scorta di una assoluta sfiducia nelle istituzioni in senso generale.

A guardare il Vesuvio nessuno dei nostri cinque sensi coglie segnali di pericolo. Anzi: la pace del monte, la sua vegetazione e i suoi colori e i suoi splendidi frutti vanno esattamente nella direzione opposta. L’assenza di segnali percepibili non desta allarmi nei vesuviani, che risultano un po’ annoiati e un po’ divertiti da questa stampa esterofila che terrorizza. Tutta pubblicità dicono…  
La chiave di volta di una certa indifferenza è poi data dai bisogni della popolazione che, soprattutto nell’attuale condizione di crisi economica, vuole a tutti i costi utilizzare per scopi abitativi per se e per i figli, ciò che ha nelle immediate disponibilità: ruderi, tetti e terreni. La filosofia regnante, è quella di distinguere l'oggi dal domani…
Da buon testimone però, vi dico che basta qualche evento sismico appena ripetuto e avvertito dalla popolazione, come successe nel 1999 con un terremoto di origine vulcanica di 3,6 della scala Richter, che le orecchie dei vesuviani si drizzano a dismisura così come le narici che si allargano immediatamente a carpir ossigeno…

Se noi accettassimo davvero il concetto che non sempre si riescono a cogliere i sintomi pre eruttivi con largo anticipo, saremmo costretti a mettere in campo politiche decisamente restrittive che comportano il blocco dell’edilizia e il varo di misure atte a delocalizzare sul serio gli abitanti. I ruderi non si riatterebbero ma si demolirebbero; I sottotetti non potrebbero avere altezze da abitabilità; niente più condoni; massicci abbattimenti dei manufatti abusivi ricadenti in zona rossa; reticoli viari di emergenza e non di sviluppo. E ancora censimenti vari che lascino emergere in chiaro i domicili e le residenze e il numero di stranieri dimoranti in loco… la visione del futuro poi, dovrebbe inquadrarsi per le generazioni future soprattutto al di là del perimetro a rischio. Lo sviluppo sostenibile dovrebbe concretizzarsi secondo le necessità del piano di emergenza e non viceversa e così via...
Tristezze certo, ma l’incedere dei mesi e poi degli anni e poi dei secoli porta al passaggio generazionale nelle statistiche da rischio pliniana o da cigno nero come dir si voglia. 
Dobbiamo difenderci dal rischio Vesuvio tenendo in debito conto i tempi di previsione valutati a mesi o a giorni? Nessuno lo sa! Nessuno... Il problema sarà l'interpretazione dei segnali e il loro trend; da qui le decisioni della politica che dovrà assumersi l'onere dello start.

Tecnicamente parlando probabilmente le fasi operative del piano Vesuvio diventeranno di fatto 3 e non 4. Un risveglio del vulcano ci porterebbe da un livello base a una fase di attenzione e poi di allarme senza quel passaggio intermedio (preallarme) in cui sperano gli strateghi del cerchio, che vogliono far quadrare sviluppo, business, sicurezza, efficienza, scienza, organizzazione, esigenze della politica e responsabilità istituzionale in un contesto sociale disordinato, disincantato, e da tempo poco avvezzo alle regole soprattutto per la mancanza di buoni esempi da seguire.

Il Dipartimento della Protezione civile e l’ufficio equivalente regionale coordinato dal Prof. Edoardo Cosenza, devono tenere in debito conto questi fattori tutt'altro che trascurabili, senza sposare formule semplicistiche come se le settecentomila persone (pedine) fossero lì in loco ad attendere placidamente e con fiducia di essere mosse dal professore. Nella prima stesura del piano di emergenza (1995) gli strateghi optarono per un’evacuazione del settore litoraneo via treno. In quel di Portici valutammo subito l’assurdità di tale decisione che vedeva un concentramento della mobilità evacuativa su di una linea ferroviaria Fs che rasenta per chilometri palazzi del settecento, che portano ancora i segni del terremoto dell’80. Oggi la linea ferroviaria Napoli – Salerno è interrotta da mesi per un crollo di un muro sui binari, appartenente appunto a uno di questi vetusti fabbricati storici, da dove allungando la mano è possibile addirittura accarezzare il treno…
Le amministrazioni comunali non si scervellano per trovare soluzione ai fattori di rischio bensì a quelli del cemento. Tra i tanti l'attualità ci consegna Terzigno, (Ter Ignis, perché tre volte distrutta dal fuoco del Vesuvio), che vuole subito ridiscutere i condoni edilizi (3000 pratiche in attesa), in quanto ha tra i fardelli dell’abuso il carico più grande. Ci si chiede se questo peso abbia invogliato le autorità locali ad autorizzare qualche anno fa la discarica dei rifiuti made B&B sulle colline circostanti, che la leggenda vuole siano state addirittura care a Bacco…
Il premier Matteo Renzi, dovrebbe far recuperare credibilità istituzionale in queste zone, incominciando con l'aprire un'inchiesta sullo sproporzionato numero di abusi edilizi che segnano un territorio a rischio. Incominci poi a sospendere alcune norme del maxiemendamento, a iniziare dai condoni e da qualsiasi altra iniziativa che comporti un aumento del numero di residenti. Se non per abitarci per quale motivo si ristrutturebbero i ruderi? Per sicurezza si possono più facilmente abbattere... Prima di qualsiasi condono è necessario che si  ufficializzi uno straccio di piano di evacuazione, secondo quelle regole che prevedono la sicurezza come uno dei diritti fondamentali dell’uomo, un diritto che forse dovrebbe valere anche nella terra dei speriamo che me la cavo

martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio edizione straordinaria


"Rischio Vesuvio:edizione straordinaria" di MalKo
Il tema dei costi della politica pare abbia assorbito interamente la seduta del consiglio regionale della Campania del 26 settembre 2012, ed è stata quindi rimandata la discussione sul famoso decreto Taglialatela contenente “Norme in materia di tutela e valorizzazione del paesaggio in Campania”, che, di fatto, avrebbe consentito di rimettere mano al cemento nella zona rossa Vesuvio e in altre aree regionali paesaggisticamente parlando di notevole interesse naturale e culturale.
Al ministro Corrado Passera a leggere certe cose gli è venuta la pelle d’oca:<< è una follia edificare nella zona rossa>>. Pari perplessitàperil ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi, che ha preso le distanze dallo sconcertante piano paesaggistico campano attraverso una nota diffusa dal direttore regionale dei Beni Culturali Gregorio Angelini:<< è improprio affermare che il testo presentato in consiglio regionale sia stato condiviso con il ministero>>.
Per tutti quelli che speravano nell’approvazione di questo piano per rimettere mano alle betoniere con tutti i falsi distinguo che la propaganda sulla sicurezza recita, è stato un colpo durissimo. Il decreto regionale rappresentava il passepartout per ripristinare casali diroccati e ultimare quel cumulo di case congelate allo stato rustico su cui si erano accesi gli interessi degli assopiti palazzinari destati dalle trombe anastasine.
Molti sindaci del vesuviano non sono stati dei semplici spettatori in questa querelle legata al piano paesaggistico, ma dei veri promoter del primo cittadino di Sant’Anastasia Carmine Esposito, che è notoriamente contrario alla zona rossa, alla legge 21 del 2003 contenente disposti d’inedificabilità totale, e al rischio Vesuvio in genere che a suo dire non fa parte dei problemi di tutti i giorni. Almeno il major di Sant’Anastasia non pecca d’ipocrisia…
In una lettera indirizzata all’Espresso, l’assessore regionale all’urbanistica Marcello Taglialatela afferma: <<Per quanto concerne la “zona rossa” (ex l.r. n.21/2003), le modifiche proposte non hanno alcuna incidenza sul relativo regime di tutela e non consentiranno alcun aumento di volumetrie. Si tratta, infatti, di norme che limitano gli interventi edilizi agli adeguamenti funzionali sismici e a quelli finalizzati a eliminare il degrado degli immobili mediante interventi di riqualificazione e ristrutturazione edilizia. A ciò si aggiunga che il nuovo testo vieta ogni possibilità di frazionamento, proprio per evitare l’aumento dei carichi abitativi>>.
Per meglio capire i concetti intrinseci a questa lettera che non punta il nocciolo della questione, bisognerebbe chiedere all’assessore Taglialatela in modo netto e diretto: ma le case diroccate, i cosiddetti ruderi, inevitabilmente disabitati perché pericolanti, possono essere ristrutturati e riqualificati e adeguati alle norme antisimiche? Se sì, per quale motivo tanti cittadini dovrebbero spendere non pochi soldi per riqualificare un casolare cadente se non per abitarci, affittarlo o venderlo e rivenderlo? In tal caso la logica non lascia ritenere che il carico abitativo aumenterebbe nella zona rossa ?
Il passo successivo degli speculatori che già rumoreggiano, sarebbe quello di mettere mano (in nome della sicurezza) anche ai manufatti nuovi ma allo stato di pilastri e solai ancorché abusivi e pregni di sigilli. Grazie a qualche opinion leader, infatti, alla fine si arriverà all’ultimatum: o si abbatte o bisogna consentire di tompagnare e impermeabilizzare questi scheletri a tre e a quattro piani…
Dietro a questo piano paesaggistico c’è il tentativo non dimostrato di giungere furbescamente a un condono edilizio che sani tutti gli abusi almeno fino al ’94, senza escludere la possibilità che si condoni fino al 2003 come spera qualche sindaco appartenente alla cordata cementizia.
Non sappiamo come andrà a finire perché i voti fanno gola a destra e a sinistra. Forse le indagini della magistratura sul come sono spesi i soldi della politica nel grattacielo che ospita la regione Campania guidata da Caldoro potrebbero ritardare notevolmente l’approvazione della legge betoniera o viceversa accelerarla .
Ovviamente ci riproveranno con altre iniziative ed escamotage vari chiamando a raccolta il popolo degli imprenditori dell’abuso. Siamo sicuri che non demorderanno: la posta in gioco, credeteci, è molto alta.
La prossima eruzione del Vesuvio, commenta il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, vedrà gli abitanti scappare a piedi come fecero quattromila anni fa i nostri antenati lasciando le proprie orme sulla cenere ancora calda.
Concetto sostanzialmente inattaccabile, ma siamo convinti che oggi, in caso di emergenza, i fuggitivi le orme le lasceranno sulla schiena di quelli che soccomberanno alla massa, e che inevitabilmente saranno calpestati .
In caso di allarme, che sarà sostanzialmente diretto e percepito, le auto si riempiranno all’inverosimile di masserizie e partirà una corsa verso la salvezza che durerà qualche metro e non vedrà vincitori.
I soprusi si conteranno a migliaia, mentre gli elicotteri di tutte le armi gireranno a vuoto sulle cittadine impossibilitati ad atterrare per non essere presi d’assalto dalla folla inferocita. Intanto i media mondiali dal cielo invieranno cronaca e immagini della tragedia, in barba al divieto di sorvolo lanciato dalle autorità che diventeranno schizofreniche e incapaci di prendere decisioni, maledicendo il mondo scientifico che non è in grado di produrre alcuna previsione… Intanto si preparerà il comunicato stampa: <<un’eruzione assolutamente imprevedibile sta interessando il Vesuvio e i cittadini vesuviani in preda al panico hanno fatto saltare tutti gli schemi rendendo vane le procedure previste dal perfetto piano d’emergenza Vesuvio stilato da anni dalle autorità competenti per mettere in sicurezza i vesuviani attraverso rapide vie di fuga verso le regioni gemellate>>.
Nel frattempo i salotti televisivi si affolleranno e i conduttori incominceranno a produrre domande inutili in quello che sarà un vero festival dell’ipocrisia.
Ovviamente gli ultimi diciannove righi sono frutto dell’immaginazione dell’autore senza attinenza con fatti,persone e luoghi reali. XDXDXD

lunedì 27 maggio 2013

Campi Flegrei: Deep Drilling Project e Marsili Project




"Deep Drilling Project ai Campi Flegrei e Marsili project nel Tirreno" di MalKo
I composti fermenti popolari che stanno accompagnando il famoso Deep Drilling Project nei Campi Flegrei, devono portarci a riflettere sui motivi per cui si è creato questo fronte del No alla trivellazione. Eppure la proposta scientifica riguarda nel concreto la possibilità di applicare strumenti di precisione nel sottosuolo calderico, capaci di cogliere ogni minima variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano. Dovrebbe essere un vantaggio per le popolazioni, ovviamente in assenza di rischi provenienti dalla trivellazione e dal profondo. I pericoli in questo caso non sono palesi, ma più semplicemente prospettati da emeriti studiosi dei fenomeni vulcanici.
Quelli dell’INGV, con qualche eccezione, hanno un po’ taciuto sui risvolti che hanno caratterizzato alcune famose trivellazioni nel mondo. Altri invece, hanno parlato e illustrato quegli elementi di rischio insiti nelle perforazioni soprattutto in area vulcanica.
I fautori del deep drilling hanno argomentato la scelta dei Campi Flegrei come necessità legata alla mitigazione del rischio vulcanico; bisogna dire però, che inizialmente la grancassa era battuta prevalentemente sullo sfruttamento dell’energia geotermica.
La necessità di spingere la ricerca nell’individuazione di energie rinnovabili con il raggiungimento d’importanti traguardi entro il 2020, ha forse spinto l’INGV a entrare in azione sul terreno della geotermia industriale, assicurando un impegno scientifico alla società Eurobuilding S.p.a. che già nel 2005 avviò indagini e studi sul vulcano sottomarino Marsili, qualche anno fa assurto alle cronache prevalentemente per un’ipotesi catastrofica senza fondamento scientifico.
Importanti sinergie abbiamo detto, furono stabilite dalla società marchigiana oltre che con l’INGV con Enzo Boschi inserito nel comitato scientifico, anche con il CNR ISMAR di Bologna, e l’Università di Chieti e Bari.
Nel 2006 una crociera oceanografica sul vulcano sottomarino evidenziò la presenza all’interno dell’apparato del Marsili di flussi geotermici ad alto contenuto energetico. I vertici dell’Eurobuilding spa, quindi, hanno progettato con i partner istituzionali il primo pozzo geotermico al mondo da realizzare in ambiente sottomarino: si dovrà trivellare il fianco roccioso del monte vulcanico da una piattaforma semisommergibile.   Il Marsili Project prevede l’acquisizione di dati, la perforazione e quindi l’estrazione di energia dal fondo. Sarà il primo impianto geotermico offshore nell’area tirrenica o forse del mondo .
Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha rilasciato all’Eurobuillding nel Novembre del 2009, un permesso di ricerca esclusivo per fluidi geotermici nel tirreno meridionale .
Il progetto Deep Drilling Project ai Campi Flegrei invece, fu presentato dall’INGV a Poznan nel 2008, nell’ambito della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici.  Enzo Boschi profferì: “… oltre alle più citate energie eoliche e solari, ci sono senz’altro anche quelle geotermiche che consistono nello sfruttamento del calore interno della Terra. Quello che ci proponiamo di fare è cogliere contemporaneamente due opportunità offerte dall’area dei Campi Flegrei: una migliore conoscenza del suo sistema di alimentazione magmatico e dell’interazione fra il magma e gli acquiferi profondi dell’apparato vulcanico, e uno sfruttamento pratico di una parte dell’energia in esso immagazzinata…”.
Nel 2010 sempre Enzo Boschi e a proposito del Marsili, precisò che il cedimento delle fragili pareti del vulcano subacqueo potrebbero muovere milioni di metri cubi di materiali che potrebbe generare un’onda anomala devastante.  Nell’occasione affermò:<< Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra a un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di qualsiasi bilancio di spesa… Quello che serve – concluse Boschi – è un sistema continuo di monitoraggio per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è, che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire>>.
Il gigantesco vulcano sommerso misconosciuto fino a qualche anno fa, improvvisamente diventa il braccio distruttivo della profezia Maya e contemporaneamente il più importante sito di energia rinnovabile del Pianeta…Da più parti si levarono voci un po’ critiche circa la necessità di pensare un po’ meno al Marsili e molto di più al Vesuvio a proposito di catastrofi e di eruzioni.
Il Deep Drilling Project ai Campi Flegrei, è stato approvato dal comitato internazionale nel 2009,  con dibattiti prevalentemente tra esperti del settore anche d’oltralpe . Non c’è dato di sapere se in quei consessi si siano sollevate voci dubitative a proposito degli indici di sicurezza per la popolazione.
Il Prof. Benedetto De Vivo dell’Università Federico II di Napoli ha espresso tutte le sue contrarietà sul progetto di perforazione profonda. Il sindaco Rosa Russo Iervolino, sentite le discordanze sui rischi, operò una sintesi decisionale molto ferma dettata forse anche dalla sua precedente esperienza di Ministro dell’Interno. Infatti sentenziò: <<la perforazione deve attendere il parere vincolante del Dipartimento della protezione civile. >>.
Su richiesta municipale al Dipartimento fu indetta una riunione nell’ottobre del 2010, per esaminare nei dettagli il progetto di perforazione profonda coordinato dal Prof. G. De Natale. La risposta finale fu abbastanza chiara e così riassumibile: Il progetto che prevede l’attività di trivellazione ai Campi Flegrei, <<…non è tra quelli che vede coinvolto il Dipartimento della Protezione Civile, e la società Bagnoli Futura,il cui Comune di Napoli detiene la maggioranza, ha già sottoscritto un accordo che autorizza le attività relative al progetto.>>.
Ovviamente nel momento in cui il dipartimento della protezione civile se ne lavò le mani, la palla ripassò tutta al sindaco Iervolino che, nella sua veste di autorità locale in tema di sicurezza pubblica, pronunciò un secco No alle trivelle.
Con le elezioni del 2011 e il passaggio di mano tra primi cittadini a favore di Luigi De Magistris, ex magistrato, i termini della questione si sono rovesciati. I promotori del deep drilling project sono tornati alla carica. La perforazione ha preso quindi corpo e vigore e oggi ha raggiunto i duecento  metri di profondità.  Il responsabile del progetto CFDDP, Prof. De Natale, ha chiarito che entro il mese di ottobre 2012 si porrà fine alla trivellazione dei primi cinquecento metri cui seguirà una pausa di riflessione per l’analisi dei dati fin lì raccolti per pianificare il proseguimento a quote chilometriche del pozzo che deve essere debitamente e diversamente autorizzato.
Il quartiere di Bagnoli così come quelli vicini con l’aggiunta di alcuni comuni limitrofi, ricade territorialmente direttamente nella caldera flegrea,  delimitata verso sud dalla collina di Posillipo.  Trattandosi di uno dei dieci vulcani più pericolosi del mondo non c’è da stare allegri.  Esattamente alla stregua di chi vive all’ombra del Vesuvio o negli alvei fluviali o sui pendii franosi.
I promotori del deep drilling parlano molto spesso di mitigazione del rischio vulcanico attraverso sensori capaci di allertare un sistema di protezione civile che nei Campi Flegrei come al Vesuvio e come ormai sanno tutti non c’è.
La mitigazione del rischio vulcanico non può essere racchiusa solo nei sensori ubicati in profondità, di cui ancora non palesiamo durata ed efficacia,  ma in tanti altri aspetti della sicurezza, come ad esempio la stesura dei piani d’emergenza e di evacuazione, identificabili  come strumenti di difesa attiva, che diventerebbero operativi allo scattare dell’allarme e su decisione politica non locale.
C’è quindi bisogno di  pianificare uno sviluppo sostenibile anche su lungo termine, che tenga in debito conto le realtà territoriali comprensive sì di risorse, ma anche di rischi naturali. Così come c’è bisogno di istituzioni sane e competenti capaci di suggerire con fermezza alla politica in tutte le sue diramazioni nazionali regionali e locali, le scelte possibili che possono essere anche,udite udite,  di inevitabile rinuncia.
Scrive Le Science, che è più facile carpire segnali eruttivi da uno strato vulcano ma non da una caldera come quella flegrea che risiede in buona parte sott’acqua. Con le caldere, si legge, siamo fortunati se abbiamo un preavviso eruttivo di qualche giorno o ore.
L’autorità che ha presentato il progetto di perforazione profondo presso il Comune di Napoli, oltre a richiedere il permesso per il deep drilling avrebbe dovuto mettere nero su bianco e con la stessa veemenza, che è una vera ipocrisia continuare a costruire in senso residenziale all’interno di un vulcano.
Quelli del deep drilling per fronteggiare le polemiche hanno indossato recentemente la stella di sceriffo del dipartimento della protezione civile per gli aspetti vulcanici e sismici in Campania. C’è da presumere quindi, che avranno bacchettato duramente il presidente della Regione, Caldoro, che ha appena firmato un decreto (Taglialatela) per attenuare i disposti e gli effetti della legge regionale 21/2003 sull’inedificabilità assoluta in zona rossa.
Avranno pure rappresentato ai sindaci del vesuviano e dell’area flegrea l’assurdità di ammonticchiare ulteriormente attraverso condoni e piani casa , genti alle genti sui vulcani dormienti che racchiudono in sé una pericolosità  notoriamente esplosiva.
Sicuramente poi, avranno fatto notare, che anche la più stupida delle eruzioni distruggerà un bel po’ di case sul Vesuvio, perché il vulcano campano non ha le dimensioni e le distanze dell’Etna. Avranno detto pure che non ci sono neanche le condizioni per deviare la lava, laddove fosse possibile, perché la corona di base del Vesuvio è interamente urbanizzata e non si può salvare, legge alla mano, un abitato a scapito di un altro. Avranno pure fatto notare che nei Campi Flegrei la situazione è ancora più complessa e il pericolo può essere ancora più subdolo: può venire dagli abissi marini, ed è imponderabile nella sua intensità…
I politici, generalizzando, sono contentissimi quando la scienza propone di mettere sensori di allarme, così possono continuare a urbanizzare le zone a rischio perché c’è la sirena… Se la situazione dovesse precipitare, la colpa poi è della scienza, incapace di prevedere e non della politica che ha affollato le aree a rischio vulcanico.
Si ha la sensazione che la perforazione dei Campi Flegrei sia stata presentata come operazione di mitigazione, ma in realtà abbia scopi ben più precisi e pratici legati all’approccio tecnologico e scientifico ai fluidi critici ad alta temperatura e pressione posti nel profondo della Terra.
Nessuna industria geotermica dovrebbe sorgere su di un vulcano esplosivo ubicato in una metropoli affollata come quella partenopea, col bradisismo che potrebbe minare gli impianti, l’acqua salata le turbine, i terremoti la tranquillità della zona, e le eruzione l’intero panorama.
Ci rendiamo conto dell’importanza che rivestono gli studi e gli esperimenti per accedere alle energie rinnovabili, e l’INGV fa bene a scendere in campo in un settore strategico per la Nazione. Bisogna individuare però, situazioni geologicamente parlando un po’ più tranquille di una caldera sede di un possibile supervulcano, con fluidi e magma che tra l’altro deformano la superficie già in tempo di pace… Occorrerebbe qualcosa di simile a Larderello in Toscana: soffioni caldissimi  in un paesino  in parte di proprietà dell’ENEL, che conta  850 abitanti .
In una Terra di terremoti e sollevamenti misurabili a metri, il problema non è captare la microscossa sismica o il micromillimetro, bensì se le scosse sono prodromi e se il sollevamento è inarrestabile…

Rischio Vesuvio ipse dixit.


"Ipse dixit: il rischio Vesuvio non ha nulla a che vedere con la vita quotidiana" di MalKo
L’approvazione qualche giorno fa del piano paesaggistico regionale, varato dalla giunta Caldoro, porta la firma e la zampata dell’assessore all’urbanistica Marcello Taglialatela. Il piano sarà riproposto in consiglio regionale per essere approvato in via definitiva. La legge Taglialatela, ahinoi, attenuerà anche i rigidi vincoli all’edilizia previsti dalla legge regionale 21 del 2003 nella zona rossa vesuviana.
Il simpaticissimo sindaco Carmine Esposito di Sant’Anastasia, esulta per il grandissimo risultato “politico” che ha raggiunto per interposta persona col disposto regionale, perché così si ridanno toni e muscoli alle betoniere che rischiavano di arrugginirsi con la legge varata da quel “semplicista” di Marco Di Lello nel 2003.
Il sindaco degli anastasiani avvilisce il rischio Vesuvio ma è un grande sostenitore delle ristrutturazioni via abbattimento e rifacimento per contrastare il suo pericolo preferito: quello sismico. << Il rischio Vesuvio non ha nulla a che vedere con la vita quotidiana…>>. Così afferma con sapienza il Mayor Esposito. E’ opinione di molti invece, che forse tutta questa bagarre che di politica non ha niente, sia stata architettata per dare risposte alla viscerale voglia di condoni edilizi.
Chissà come saranno interpretate dalla nuova normativa le case bloccate allo stato di rustico, cioè pilastri e solai in bella mostra senza pareti. Abbattibili, condonabili o fatiscenti da recuperare? Oggi ci passa il vento in quei palazzi senza infissi e senza intonaco. Un venticello che scendendo dal monte reca con sé un penetrante odore di ginestre racimolato lungo il cammino da zefiro, di fiore in fiore, tra gli ammassi di cenere e lapillo che lambiscono e sovrastano le costruzioni disabitate ancora per poco…
I sostenitori di Carmine Esposito e degli altri 13 primi cittadini della zona rossa che si sono riuniti nel feudo del sindaco esultante, saranno contenti di un agire volto a dare un “solido” tetto ai propri figli e nipoti e parenti e amici, aggiungendo solo un po’ di gente alla gente già ammonticchiata sul vulcano dormiente.
Il rischio sismico comunque sarà domo, alla faccia dei Soloni e dei menagramo dell’eruzione! Per quanto riguarda l’incondonabile nube ardente a ottocento gradi di temperatura che potrebbe precipitare in caso di eruzione giù dai declivi sommesi e vesuviani spazzando tutto, ci sarà tempo per pensarci e si farà affidamento al calcestruzzo soprattutto quello armato da opporre inutilmente a mo’ di scudo alla coltre plumbea infuocata…
<< Il rischio legato alle abitazioni nell’area del Vesuvio è un problema di coscienza, non solo di tecnici e geologi… >>. Il Professore Annibale Mottana così ha concluso la sua relazione a Roma il 22 giugno 2012 al termine dell’anno accademico dei Lincei: presente anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
In una relazione non certo rassicurante, Mottana in qualità di geologo ha ricordato come il Vesuvio sarà inesorabilmente destinato a una nuova eruzione. Allora, ha detto: <<saremo di fronte ad un problema sociale immane e insolubile, una situazione impensabile in un Paese civile>>. Una situazione, rileva l’esperto, dove le autorità ”tacciono e lasciano correre, quando non deliberano addirittura deroghe alle norme di sicurezza o condoni.
Ai cittadini e alle associazioni che sentono forte il bisogno di sicurezza e di giustizia sociale e d’istituzioni che funzionano e di esempi da seguire, invitiamo a una maggiore partecipazione anche se fatta di sola consapevolezza. Bisogna rinascere ideologicamente: cambiare cioè, stile di vita.
Il consiglio regionale dovrà riunirsi per approvare definitivamente la legge Taglialatela che rimette,come detto, mano al cemento nella zona rossa Vesuvio. I voti come diceva Annibale Mottana, devono essere dettati in questo caso dalla coscienza. Seguiremo quindi con attenzione gli interventi, gli emendamenti proposti e il voto finale.
Intanto fotografate i famosi rustici presenti nelle vostre zone. Metteteci la data. Li rifotograferemo tra qualche tempo. Se sono rimasti nello stesso stato faremo ammenda pubblica per aver dubitato della buona politica. Viceversa, confezioneremo un album fotografico da inviare al Prof. Edoardo Cosenza, che forse c’è ancora alla Regione Campania, quale assessore ai lavori pubblici e capo del servizio prevenzione e previsione della protezione civile regionale. Esattamente quello che concordò il 18 febbraio del 2011 e senza mezzi termini col Prefetto Gabrielli capo dipartimento della protezione civile in visita a Napoli, che:<< il rischio si misura anche sull’antropizzazione dei territori…>>.
Già sul finire del 2010 si notavano i preamboli all’odierna notizia cementiera. Un emendamento alla legge regionale numero 1 del 2011 (piano casa) presentata da un consigliere regionale del Pdl di Somma Vesuviana, comportò nei disposti la possibilità per i residenti della zona rossa di dar corso a interventi di ristrutturazione edilizia anche mediante demolizione e ricostruzione in altro sito.
Il responsabile della protezione civile regionale, appunto il Prof. Edoardo Cosenza, dichiarò nel merito quanto segue:<< Lo prometto! Neanche un cittadino in più dovrà entrare nella zona rossa (“Corriere della Sera” 12/01/2011)>>.
Il sindaco Esposito intanto ha riferito che utilizzerà il satellite per braccare gli abusivi. Da oggi in poi però. Intanto vuole sapere dalla Regione se ci sono soldi per le vie di fuga (in realtà il terremoto non prevede vie di fuga ma l’individuazione di aree sicure).
Che dire. Quest’articolo proveremo a tradurlo in inglese in modo che all’estero si sappia cosa succede all’ombra del vulcano più famoso del mondo, che ascrive nella sua storia formidabili “terremoti” pliniani e sub pliniani avvenuti nel 79 dopo Cristo, nel 1631,nel 1906 e l’ultima scossa si ebbe nel 1944. Da allora non si avverte più niente. Qualcuno dice che il terremoto più intenso avvenne circa duemila anni prima di Cristo e si chiamò il terremoto pliniana di Avellino. Sulla polvere ancora i segni dei piedi dei fuggitivi… eruzioni? No!no! Terremoti, da quelli dobbiamo difenderci; parola di sindaco, abbattendo case fatiscenti da ricostruire sempre in loco con ferro zigrinato e zelo cementizio…