Translate

Visualizzazione post con etichetta terzigno. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta terzigno. Mostra tutti i post

mercoledì 11 marzo 2015

Rischio Vesuvio 2015: la zona gialla...di Malko


Eruzione Vesuvio 1944. Bombardieri americani B25 schierati a Terzigno  vengono flagellati
dalla pioggia di cenere e lapilli.
  Rischio Vesuvio 2015: la zona gialla, quella della pioggia 
di cenere e lapilli…” di MalKo

La zona gialla nelle mappe di pericolosità dettate dal rischio Vesuvio, identifica quella parte del territorio campano dove la ricaduta di cenere e lapillo potrebbe assumere intensità tali da costituire un serio problema per la tenuta statica delle coperture dei fabbricati che, a causa degli accumuli, potrebbero cedere con gravi conseguenze per gli abitanti ricoverati negli ambienti sottostanti.
Lo scenario massimo (VEI 4 - eruzione sub pliniana) adottato dal dipartimento della protezione civile su input dell'INGV, può considerarsi deterministico e prevede per il Vesuvio una colonna eruttiva di 10 - 15 chilometri che verrebbe imbrigliata dal vento soprattutto nella parte alta composta da materiali più leggeri e oramai con scarsa energia cinetica da contrapporre ai refoli. I lapilli, ma soprattutto la cenere, verrebbe così spinta e aspersa pure a notevole distanza dal cratere, con la conseguenza che si andrebbe a depositare anche sulle case in una misura influenzabile dalla direzione e dall’intensità del vento, dalla distanza degli agglomerati urbani dal cratere e dalla posizione dei fabbricati rispetto alla direttrice del vento passante per il cono sommitale (nell’esempio la linea celeste).

In siffatte condizioni e abbastanza velocemente (ore), si accumulerebbe tanto materiale piroclastico sui tetti, da costituire soprattutto se imbibito, un peso sufficientemente grande da compromettere seriamente la statica delle coperture in piano e delle terrazze.
Nelle zone sottovento, in ragione dell’intensità del vento e dell’altezza raggiunta dalla colonna eruttiva (nelle pliniane anche oltre 30 Km. di quota), si avrebbero precipitazioni intense di cenere ed altro particolato, che determinerebbero nelle aree maggiormente esposte un innaturale calare della notte. Si avrebbero poi difficoltà nell’orientamento a causa della coltre sottile che tutto ricoprirebbe, ma i danni da tenere in debito conto sarebbero soprattutto fisici laddove dovessero sprofondare i solai, e quelli all’apparato respiratorio e agli occhi, in assenza di protezione, con arrossamenti e lacrimazioni già nelle prime fasi eruttive a causa delle fini ceneri che potrebbero contenere a percentuali variabili prodotti nocivi di tutto rispetto come la silice e il fluoro.
I danni fisici per le popolazioni esposte sarebbero quindi commisurati alla concentrazione e al diametro delle particelle rocciose diffuse nell’aria, e al tempo di esposizione alla polvere vulcanica e alla sua composizione che è un dato forse stimabile per il Vesuvio. Certamente i danni alla salute avrebbero un’incidenza dipendente anche dalle condizioni fisiche iniziali degli esposti, con una platea più vulnerabile laddove composta da asmatici e allergici, vecchi e bambini. 
Le istruzioni dettate dalle autorità dipartimentali e regionali indicano per la popolazione della zona gialla esposta all’eventuale problema della massiccia ricaduta di cenere e lapilli, la necessità di permanere in luoghi riparati e chiusi, che abbiano però coperture capaci di sopportare il sovraccarico innaturale dettato dall’accumulo delle ceneri sui tetti. A tal proposito le indicazioni dipartimentali invitano i comuni a inquadrare e classificare finanche ogni singolo fabbricato, in ragione della resistenza delle coperture. Inoltre, e sempre a cura delle autorità locali, sarà necessario individuare edifici che, per caratteristiche costruttive, non temano i sovraccarichi e consentano ripari collettivi alle popolazioni da proteggere. Le avvertenze poi, consigliano di individuare luoghi dove poter ammassare i prodotti piroclastici rimossi dalle strade presumibilmente in un momento successivo all’evento.
Mappa 2015 - Zona Gialla a cura del Dipartimento della Protezione Civile
Sempre nella minuta che accompagna la cartografia tematica della zona gialla, si evidenzia in caso di eruzione la probabilità di black out elettrici, interruzione dei collegamenti telefonici, intasamento delle fogne, spegnimento dei motori e impercorribilità delle strade.
Da queste prime considerazioni dovrebbe risultare alquanto problematica l’attuazione dinamica del piano di evacuazione per alcuni settori della zona gialla con eruzione in corso. Il grosso problema che si presenterebbe in caso di ripresa eruttiva, è che già a distanza di alcune ore dal risveglio del vulcano, il settore sottovento potrebbe essere gravemente compromesso in termini strutturali, di viabilità e di impianti tecnologici che diverrebbero inutilizzabili, senza contare possibili scuotimenti sismici che minerebbero ulteriormente la resistenza dei fabbricati, laddove il tetto risulterebbe inusualmente appesantito.
Non si capisce bene quindi in un cotale inferno e in assenza di collegamenti anche radio che potrebbero essere compromessi, in che modo si fornirebbero precise e vitali informazioni alle popolazioni arroccate nei fabbricati. E in caso di situazione insostenibile, in che modo si porterebbero via le persone dai settori maggiormente colpiti della zona gialla, posti all’interno della curva di isocarico da 300 kg a metro quadro di cenere, cioè con spessori al suolo superiori ai 30 centimetri in una condizione operativa ambientale tra l’altro proibitiva pure per gli elicotteri.
Nell’immagine d’apertura risalente al mese di marzo 1944, si vedono i bombardieri americani B-25 schierati sul campo d’aviazione ubicato tra Terzigno e Poggiomarino, danneggiati e bloccati da cenere e lapilli per un improvviso cambiamento dello stile eruttivo del Vesuvio che diede luogo a una colonna sostenuta di circa 5 chilometri che asperse in quella direzione il suo gravame piroclastico.

I nostri lettori sanno che dopo la zona rossa e la zona gialla manca all’appello ancora un tassello del mosaico a tema il rischio Vesuvio: la zona blu. 
Ubicata a nord – est del Vesuvio, comprende una serie di comuni che potrebbero subire intensi allagamenti, dovuti alla posizione areale depressa che pare tocchi un massimo nella conca di Nola, proprio nei pressi del vulcano buono…. 
Nola - Il vulcano buono
Si stimano altezza delle acque di circa due metri… Il comune di Nola ha una particolarità: il suo territorio comprende la zona rossa, quella gialla e quella blu.  Ai piani terra? Solo garage all’ombra di tetti spioventi…

venerdì 2 gennaio 2015

Rischio Vesuvio:oggi più di ieri e meno di domani...di Malko



Il Vesuvio

“Rischio Vesuvio: oggi più di ieri e meno di domani…” di MalKo

Nel resoconto di fine anno 2014 dobbiamo annotare che non è stata un’annata totalmente negativa per la prevenzione del rischio vulcanico in Campania, anche se nessuna soluzione di tutela è ancora vigente per mettere in salvo all’occorrenza e in pochissimo tempo migliaia e migliaia di cittadini. Una moltitudine di gente oggi più di ieri e meno di domani esposta al rischio di essere investita dai fen0meni esplosivi che potrebbero scaturire dai due principali vulcani napoletani: il Vesuvio e i Campi Flegrei. Due apparati che serbano nel grembo sotterraneo capacità distruttive di prim’ordine e difficili da prevedere…
Non è stata un’annata negativa perché almeno molta parte della popolazione napoletana ha ricevuto direttamente o indirettamente e comunque ufficialmente la notizia di essere esposta a un rischio tutt’altro che secondario e contenibile come quello vulcanico. Soprattutto ai Campi Flegrei dove i residenti per l’assenza di spiccati rilievi dal caratteristico aspetto a cono rovescio e città sepolte come Pompei, non hanno mai riflettuto abbastanza sul termine Campi Flegrei (campi ardenti) e su una vasta caldera che corona il circondario, smembrata e ridotta a brandelli da fenomeni evidentemente tutt’altro che effusivi… Questa scarsa perspicacia ha dato corso qualche tempo fa a un tentativo di cordata da parte di alcuni imprenditori e intellettuali napoletani, circa una proposta di cementificazione del litorale di Bagnoli, in nome del “risorgimento napoletano e del riscatto della città…” L’idea di costruire alloggi nella spianata di Bagnoli, sede del deep drilling project a pochi passi dal vulcano Solfatara,  non è nuovissima, ed è frutto della filosofia che assegna importanza a quello che si costruisce piuttosto che al dove lo si costruisce…

I comuni o quartieri della zona rossa flegrea
L’informazione veicolata a sufficienza grazie alla pubblicazione sui media dei perimetri delle zone rosse con tutto quello che ciò comporta, cozza comunque contro l’indifferenza della maggior parte delle amministrazioni locali che non si sono spese abbastanza in tema di informazione e prevenzione delle catastrofi. Viceversa, si sono adoperate non poco nel pretendere a tutti i costi i condoni edilizi anche nelle zone a rischio tabula rasa, chiamando in causa il principio popolare di quel che è fatto è fatto! Il Comune di Terzigno da questo punto di vista gioca all’attacco con tremila pratiche di condono edilizio pronte alla firma…Ovviamente quando le cifre incominciano ad essere a tre zeri, è indubbio che il problema risieda nell’omissione dei controlli. Il governo centrale avrebbe dovuto insediare una commissione d’inchiesta per chiarire i retroscena della faccenda, perché l’abuso edilizio commesso in zona rossa Vesuvio non è solo un’operazione fraudolenta, ma anche un rischio vitale per chi s’insedia e un’aggravante in termini di affollamento per chi nell’area dimora da tempo.
Il comune di Terzigno è anche il municipio che ha emesso un bando pubblico per affidare a tecnici esterni la redazione dei piani di emergenza comunali, compreso quello a fronte del rischio Vesuvio, nonostante abbia tecnici formati in tal senso da appositi corsi, e non certo a costo zero, varati dalla Regione Campania qualche anno fa in sinergia con il Dipartimento della Protezione Civile e l’Osservatorio Vesuviano, in un clima di grande celebrazione.

Zona Rossa Vesuvio (R1 e R2)

In due recenti articoli a firma del geofisico Enzo Boschi e del Prof. Benedetto De Vivo pubblicati sul foglietto della ricerca, è stato messo in evidenza un ruolo eccessivamente esaltato della statistica come elemento su cui basare le politiche di prevenzione delle catastrofi. Ci chiediamo spesso come uscire da questa disciplina numerica esasperante, veicolata come valore deterministico ancorché mercanteggiato dalla politica e anche inflazionato nell’odierno dall’assessore regionale alla protezione civile, Ing. Edoardo Cosenza, che ad ogni dibattito e convegno sforna calcoli mischiando il sismico col vulcanico anche se in realtà sono due tipologie di rischio sovrapponibili ma che richiedono diverse strategie difensive.
Il rischio sismico all’arrivo delle onde trasversali ha nella resistenza dello stabile in cui si staziona il vero elemento di difesa passiva. Quindi parliamo di un fattore assolutamente mutevole in ragione dei luoghi che frequentiamo (casa, ufficio, negozi, chiese, palestra, cinema, ecc.), perché non hanno tutti lo stesso criterio costruttivo antisismico o un’efficace manutenzione. Il massimo della difesa consisterebbe allora nel vivere in un punto della sfera terrestre asismico, diversamente in un agglomerato urbano caratterizzato totalmente da una similitudine strutturale particolarmente resistenze alle scosse telluriche.
Nel caso del pericolo vulcanico invece, per difendersi da una colata piroclastica bisogna portarsi inevitabilmente e fisicamente fuori dalla portata di scorrimento della medesima. Questo significa che non c’è fattore costruttivo che tenga, e l’unica difesa efficace consiste nel frapporre una notevole distanza tra noi e i flussi roventi.
Al riguardo molto spesso viene richiamata la bontà costruttiva e antisismica dell’ospedale del mare costruito incredibilmente in zona rossa Vesuvio. Ebbene, nel caso di evento sismico particolarmente robusto dettato da prodromi pre eruttivi, il più grande nosocomio del sud Italia resterebbe di certo in piedi nonostante le possenti scosse litosferiche, ma sarebbe comunque da evacuare. Ora, se l’ospedale del mare è un bunker, non si può dire lo stesso dell’edificato che lo circonda. Questo vuol dire che la vulnerabilità del piano di evacuazione ospedaliero dovrà scontrarsi comunque con le incognite stradali causate dalle macerie altrui che ingombrerebbero o incomberebbero sulla viabilità ordinaria da impegnare.
Ospedale del mare (Ponticelli - Napoli)
Quindi, la scelta del sito dove costruire il nosocomio tra l’altro oggetto di accese polemiche, probabilmente è stata dettata da molte ragioni ma non da quelle di una impellente necessità sanitaria da soddisfare in quel preciso luogo, atteso che, c’è un ospedale a Torre del Greco, Boscotrecase, Scafati, Sarno, Pollena Trocchia, Castellammare di Stabia così come molte cliniche private nel circondario vesuviano garantiscono in surroga molti servizi di tipo ospedaliero, day Hospital e pronto soccorso. Nulla si toglie alla eccellenza delle prestazioni che verranno erogate dall'ospedale  del mare appena aprirà, ma non è che oggi per farsi curare bisogna affrontare i viaggi della speranza.

Certamente gli eventi sismici possono essere i precursori inovviabili di un’eruzione e, quindi, bisogna che le case, tutte, siano costruite per resistere a siffatte sollecitazioni. Anzi, la vulnerabilità sismica del costruito può incidere pesantemente sull’efficacia dei piani di evacuazione del vesuviano. Quello che abbiamo appena detto e che vale per l’ospedale del mare infatti, vale logicamente anche per tutta l’area vesuviana…
Hanno sicuramente un senso allora, le politiche di ristrutturazione antisismica dei fabbricati esistenti e abitati all’ombra del Vesuvio. Molto meno condivisibile è la possibilità di consentire il recupero statico di spiccati o ruderi diroccati e inabitati perchè aggiungerebbero abitanti ai troppi già dimoranti nel vesuviano…
Per quanto riguarda i condoni continuiamo a ritenere che non è possibile che lo Stato possa sanare i manufatti abusivi in zone dallo stesso Stato dichiarate ad altissimo rischio per la vita umana, anche se comprendiamo che le migliaia di costruzioni abusive che costellano il vesuviano rappresentano indubbiamente un problema di difficile soluzione.

Qualche scordatura ci sembra emergere in questo campo pure tra il direttore del parco nazionale del Vesuvio, Luca Capasso, particolarmente favorevole ai condoni edilizi in zona rossa, e il commissario straordinario del medesimo parco, Ugo Leone, che non ha avuto dubbi sul definire connivente con il rischio chi non si oppone alla cementificazione nella zona rossa Vesuvio, sia in senso colposo dovuto presumibilmente all’ignoranza, sia in senso doloso dovuto magari a un mero calcolo elettorale. Affermazioni sicuramente condivisibili...

Tra Campi Flegrei e Vesuvio ad essere chiamata in gioco è la metropoli vulcanica napoletana. Un’area di 1171 kmq.  con oltre tre milioni di abitanti.  Una metropoli che deve essere oggetto di dibattiti interdisciplinari anche internazionali che traccino le linee guide o elaborino idee sul come coniugare abitabilità e sicurezza nei distretti vulcanici. L'unico urbanista che abbiamo sentito affrontare il problema è Aldo Loris Rossi e non molti altri, probabilmente perchè la professione di architetto è decisamente in conflitto con quella di mitigatore del valore esposto, non sempre proteso ai valori dell'urbanizzazione... 
Per il bene della collettività servono urgentemente indicazioni sullo sviluppo sostenibile, e la scienza, che non può essere solo quella istituzionale e politicizzata, deve esprimersi sui livelli di pericolosità vulcanica, nel breve,medio e lungo termine, in modo che non si lascino pesanti eredità alle generazioni che ci succederanno.  

Per remare nella direzione indicata dall’assessore Cosenza, abbiamo pubblicato le istruzioni che il dirigente aveva chiesto ad ogni comune della plaga vesuviana di diffondere. Le indicazioni da fornire alla cittadinanza riguardano le linee strategiche del piano che verrà. L’assessore comprenderà che dire di recarsi a una determinata area in caso di necessità e che questa sarà indicata solo successivamente quando saranno pronti i piani di emergenza comunali, non è il massimo della sicurezza da aspergere a favore di una popolazione che al momento crede solo nella bontà della perdurante quiescenza geologica.
La sicurezza dell’area vesuviana è un processo lungo che richiede moltissimi anni e personaggi autorevoli e lungimiranti che traccino le linee guida della rivoluzione urbanistica tanto necessaria per una vivibilità futura all'insegna della sicurezza. Ridurre il numero di abitanti è fondamentale come lo stop all’edilizia che doveva essere imposto in tutta la zona rossa Vesuvio, a prescindere se di prima (R1) o di seconda fascia (R2). I giochini delle zone rosse purtroppo hanno procurato e procurano danni enormi. Infatti, la prima classificazione di zona rossa (18 comuni) escludeva Scafati e Poggiomarino. La conseguenza è stata una domanda abitativa notevolmente incisiva specialmente nel comune salernitano (Scafati), che ha registrato un trend costantemente al rialzo circa la crescita del numero di abitanti che oggi superano le cinquantamila unità. Con la classificazione attuale (25 comuni) il giochino continua risultando semplicemente allargato  il cerchio del pericolo, e i vesuviani cercheranno allora casa ai limiti, tra Angri e Nocera. Poi, tra un po’ di anni la zona rossa Vesuvio verrà rielaborata di nuovo perché l’eruzione di riferimento sarà sicuramente pliniana, da notare che il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo lo chiede già oggi, e i confini della zona rossa Vesuvio coincideranno allora con i limiti estremi della piana dell’agro nocerino -  sarnese fino ai contrafforti montuosi dei Monti Lattari e dei Monti Sarnesi. A nord  fino ai limiti della zona rossa flegrea...  Ovviamente il settore a rischio si amplificherà all’ennesima potenza. Nelle more degli ampliamenti delle zone rosse e prima che la cementificazione divori il territorio, è necessario che si costruiscano quelle famose bretelle di collegamento che in senso radiale dovranno collegare la sp 268 del Vesuvio con l’autostrada Caserta – Salerno (A30).  
Nell'attualità si può sperare solo nell'elaborazione di un piano d'emergenza... d'emergenza. Tra molti virtuosi anni avremo invece un piano d'emergenza strutturale che impone al territorio lo sviluppo sostenibile e non viceversa, cioè un piano che dovrà adeguarsi alle storture imposte dal cementificatore di turno.
.

giovedì 28 agosto 2014

Rischio Vesuvio: quale difesa?...di Malko



“Rischio Vesuvio: difendersi o non difendersi, questo è 
il problema...” di MalKo

Il 31 luglio 2014  in consiglio regionale (Campania), tra le frange di un’area politica vicina al presidente Caldoro, si battevano pacche sulle spalle per l’approvazione del maxiemendamento contenente varie norme tra cui quelle che consentono di riattare anche i ruderi ubicati in zona rossa Vesuvio, oppure di realizzare sottotetti per difendersi dalle inclemenze termiche… Nel contestato panorama pro cemento, dobbiamo  inserirci anche norme di condono edilizio con riapertura dei termini di sanatoria. Secondo il nostro punto di vista non è possibile concedere condoni in una zona definita e classificata dallo stesso Stato ad altissimo rischio per la vita umana. Ci appare anche illogico vantare diritti su domande e progetti presentati prima dell’entrata in vigore della legge regionale 21 del 2003 a proposito dell’inedificabilità in zona rossa. Sarebbe come pretendere di utilizzare ancora lastre di amianto per le coperture se il progetto che ne prevede l’uso risale a una data antecedente la comprovata cancerogenicità del prodotto.Che ragionamento…

Gli allarmi Vesuvio che provengono prevalentemente dall’estero o da qualche ricercatore nostrano non allineato, non incutono particolari timori, perché il mondo scientifico istituzionale dichiara che i segnali premonitori di una possibile eruzione del Vesuvio si coglieranno mesi prima dall’efficiente rete di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano. Il motto è: non è possibile che il Vesuvio ci colga di sorpresa! Con queste premesse, più che un piano di evacuazione dalla portata biblica intravediamo come difesa un piano di mobilità extraurbana in giacca e cravatta e borsa frigorifero e bambini frignanti al seguito.
Per capire meglio questo ottimismo tutt’altro che sottaciuto e sciogliere qualche nodo, dobbiamo rifarci a una clausola dei piani di emergenza: i cittadini possono lasciare la zona rossa già nella fase di preallarme, detta anche di esodo volontario.
Quindi, in teoria, nel momento in cui si passerebbe dalla fase di attenzione a quella di preallarme, chi ha magione altrove può già allontanarsi. Su questa possibilità gli strateghi della quadratura del cerchio contano moltissimo, perché il numero di seconde case è cospicuo come le possibilità di alloggio presso parenti ed amici. Sfoltita la zona rossa allora e, dato importante, senza diramare allarmi, si potrà attendere con maggiore calma l’incedere degli avvenimenti e allontanare la restante parte della popolazione e dei soccorritori a prodromi incalzanti entro il famoso margine delle 72 ore.

In realtà se si coglieranno come dicono i sintomi pre eruttivi già mesi prima dell’evento, la patata bollente dovrà passare al dipartimento della protezione civile, che dovrà poi gestire i tempi e interpretare i dati con il determinante apporto della Commissione Grandi Rischi (CGR) e l’appoggio come centro di competenza dell’Osservatorio Vesuviano e probabilmente con la partecipazione di  luminari della scuola pisana.
In questi frangenti la politica dovrà poi decidere al tavolo di crisi quando diramare l’allarme. I rischi connessi alla diffusione di tale segnale possono sortire tre effetti: un allarme evacuazione senza eruzione; un colpevole ritardo con popolazione in loco ed eruzione in corso; oppure, come si auspica, una previsione attendibile e utile per una corretta gestione dell’evacuazione, sfruttando il massimo intervallo temporale possibile tra certezza di previsione ed evento. Una siffatta precisione potrebbe essere solo figlia dell’esperienza che nessuno ha. L’ultima eruzione infatti, si è verificata 70 anni fa… 

La differenza decisionale la farà, dicevamo, anche questa famosa commissione (CGR) rappresentata qualche anno addietro da esperti che a ottobre dovranno ritornare sul banco degli imputati al tribunale dell’Aquila. L’accenno non è provocatorio. Si dovrà ridiscutere di una storica condanna a sei anni di reclusione, secondo l’accusa, per avere eccessivamente rassicurato la popolazione aquilana una settimana prima del funesto terremoto che colpì la cittadina abruzzese il 6 aprile 2009.
La commissione grandi rischi dicono che recentemente non rischi fornendo indicazioni sui pericoli, in attesa che il tribunale dell’Aquila faccia ammenda sulla sentenza di primo grado. I successi del dipartimento della protezione civile sono legati nell’odierno soprattutto allo scafo della costa Concordia. Essendo vuoto però, non rappresenta un grande  rischio per la vita umana.
Parlare di questa delicata faccenda giudiziaria dell’Aquila è un po’ avvilente, perché in realtà il principale accusato è un sistema di strapotere made in Bertolaso che in quegli anni faceva il buono e il cattivo tempo. In nome del potere si facevano e si disfacevano molte cose a seconda delle esigenze mediatiche. Oggi ci si tira indietro dalle responsabilità di quegli anni che in prima battuta sono di appartenenza… appartenenza a un sistema bacato, che all’epoca però, nessuno ha mai avuto il coraggio di denunciare o sottrarsene.
Il 31 marzo 2009 all'Aquila il guaio pare che lo combinò De Bernardinis, e la sua voglia di menar le mani per compiacere il capo e schiacciare a chiacchiere l’imbecille locale e le sue previsioni al radon. Enzo Boschi forse è stata la vittima più illustre del sistema B&B. Abbiamo letto con attenzione e amarezza la sua lettera in cui riferisce della lunghezza di serate una volta cortissime… Attendiamo l’appello e soprattutto cosa verrà fuori dal troncone Bertolaso prima di voltare pagina.

Ritornando alla recentissima approvazione a cura della Regione Campania del maxiemendamento pro cemento, dobbiamo notare che il disposto è la prova provata che il rischio Vesuvio non palesandosi come pericolo di fatto non viene considerato materia di interventi preventivi. Un consigliere comunale pro Caldoro, addirittura e a proposito dei contestatori politici dell’opposizione, nella sostanza pare abbia detto: << o si dimostri scientificamente che il rischio Vesuvio esiste o si lasci impastare in santa pace il cemento restauratore e ristoratore…>>.
Il pressapochismo con cui è stata trattata fin qui la materia rischio Vesuvio e piani di evacuazione è tutta racchiusa nella confortante previsione di un’eruzione preventivabile a mesi. L’interesse allora, si è tutto concentrato sulla parte scientifica che aiuta tantissimo con queste salutari e comodissime previsioni che tra l’altro nessuno esclude che possano risultare verosimili in futuro. Per decenni il piano di evacuazione è stato obliato a tutto vantaggio del piano di emergenza costituito prevalentemente dal corposo trattato scientifico. Il valore statistico in questo caso è stato assunto come valore matematico, sia per quanto riguarda gli scenari di rischio (VEI 3 – 4)  che quelli di previsione temporale e corta del fenomeno. Quello che poi sussurrano tra i denti, della serie: qui lo dico e qui lo nego! E’ che la popolazione vesuviana se ne andrà via comunque e spontaneamente e senza nessuna soluzione di continuità, già all’inizio dei prodromi pre eruttivi, a iniziare da quelli sismici e a prescindere da quale fase operativa verrà sancita dalle autorità competenti a cui nessuno baderà, sulla scorta di una assoluta sfiducia nelle istituzioni in senso generale.

A guardare il Vesuvio nessuno dei nostri cinque sensi coglie segnali di pericolo. Anzi: la pace del monte, la sua vegetazione e i suoi colori e i suoi splendidi frutti vanno esattamente nella direzione opposta. L’assenza di segnali percepibili non desta allarmi nei vesuviani, che risultano un po’ annoiati e un po’ divertiti da questa stampa esterofila che terrorizza. Tutta pubblicità dicono…  
La chiave di volta di una certa indifferenza è poi data dai bisogni della popolazione che, soprattutto nell’attuale condizione di crisi economica, vuole a tutti i costi utilizzare per scopi abitativi per se e per i figli, ciò che ha nelle immediate disponibilità: ruderi, tetti e terreni. La filosofia regnante, è quella di distinguere l'oggi dal domani…
Da buon testimone però, vi dico che basta qualche evento sismico appena ripetuto e avvertito dalla popolazione, come successe nel 1999 con un terremoto di origine vulcanica di 3,6 della scala Richter, che le orecchie dei vesuviani si drizzano a dismisura così come le narici che si allargano immediatamente a carpir ossigeno…

Se noi accettassimo davvero il concetto che non sempre si riescono a cogliere i sintomi pre eruttivi con largo anticipo, saremmo costretti a mettere in campo politiche decisamente restrittive che comportano il blocco dell’edilizia e il varo di misure atte a delocalizzare sul serio gli abitanti. I ruderi non si riatterebbero ma si demolirebbero; I sottotetti non potrebbero avere altezze da abitabilità; niente più condoni; massicci abbattimenti dei manufatti abusivi ricadenti in zona rossa; reticoli viari di emergenza e non di sviluppo. E ancora censimenti vari che lascino emergere in chiaro i domicili e le residenze e il numero di stranieri dimoranti in loco… la visione del futuro poi, dovrebbe inquadrarsi per le generazioni future soprattutto al di là del perimetro a rischio. Lo sviluppo sostenibile dovrebbe concretizzarsi secondo le necessità del piano di emergenza e non viceversa e così via...
Tristezze certo, ma l’incedere dei mesi e poi degli anni e poi dei secoli porta al passaggio generazionale nelle statistiche da rischio pliniana o da cigno nero come dir si voglia. 
Dobbiamo difenderci dal rischio Vesuvio tenendo in debito conto i tempi di previsione valutati a mesi o a giorni? Nessuno lo sa! Nessuno... Il problema sarà l'interpretazione dei segnali e il loro trend; da qui le decisioni della politica che dovrà assumersi l'onere dello start.

Tecnicamente parlando probabilmente le fasi operative del piano Vesuvio diventeranno di fatto 3 e non 4. Un risveglio del vulcano ci porterebbe da un livello base a una fase di attenzione e poi di allarme senza quel passaggio intermedio (preallarme) in cui sperano gli strateghi del cerchio, che vogliono far quadrare sviluppo, business, sicurezza, efficienza, scienza, organizzazione, esigenze della politica e responsabilità istituzionale in un contesto sociale disordinato, disincantato, e da tempo poco avvezzo alle regole soprattutto per la mancanza di buoni esempi da seguire.

Il Dipartimento della Protezione civile e l’ufficio equivalente regionale coordinato dal Prof. Edoardo Cosenza, devono tenere in debito conto questi fattori tutt'altro che trascurabili, senza sposare formule semplicistiche come se le settecentomila persone (pedine) fossero lì in loco ad attendere placidamente e con fiducia di essere mosse dal professore. Nella prima stesura del piano di emergenza (1995) gli strateghi optarono per un’evacuazione del settore litoraneo via treno. In quel di Portici valutammo subito l’assurdità di tale decisione che vedeva un concentramento della mobilità evacuativa su di una linea ferroviaria Fs che rasenta per chilometri palazzi del settecento, che portano ancora i segni del terremoto dell’80. Oggi la linea ferroviaria Napoli – Salerno è interrotta da mesi per un crollo di un muro sui binari, appartenente appunto a uno di questi vetusti fabbricati storici, da dove allungando la mano è possibile addirittura accarezzare il treno…
Le amministrazioni comunali non si scervellano per trovare soluzione ai fattori di rischio bensì a quelli del cemento. Tra i tanti l'attualità ci consegna Terzigno, (Ter Ignis, perché tre volte distrutta dal fuoco del Vesuvio), che vuole subito ridiscutere i condoni edilizi (3000 pratiche in attesa), in quanto ha tra i fardelli dell’abuso il carico più grande. Ci si chiede se questo peso abbia invogliato le autorità locali ad autorizzare qualche anno fa la discarica dei rifiuti made B&B sulle colline circostanti, che la leggenda vuole siano state addirittura care a Bacco…
Il premier Matteo Renzi, dovrebbe far recuperare credibilità istituzionale in queste zone, incominciando con l'aprire un'inchiesta sullo sproporzionato numero di abusi edilizi che segnano un territorio a rischio. Incominci poi a sospendere alcune norme del maxiemendamento, a iniziare dai condoni e da qualsiasi altra iniziativa che comporti un aumento del numero di residenti. Se non per abitarci per quale motivo si ristrutturebbero i ruderi? Per sicurezza si possono più facilmente abbattere... Prima di qualsiasi condono è necessario che si  ufficializzi uno straccio di piano di evacuazione, secondo quelle regole che prevedono la sicurezza come uno dei diritti fondamentali dell’uomo, un diritto che forse dovrebbe valere anche nella terra dei speriamo che me la cavo

domenica 22 giugno 2014

Rischio Vesuvio e l' abusivismo edilizio da obliare...di Malko

La plaga vesuviana e il Vesuvio visti dai monti Lattari

“Rischio Vesuvio e abusivismo edilizio: un decreto legge 
propone l’oblio.”   di Malko
Al senato è stato presentato  un Decreto Legge riguardante l’abusivismo edilizio in Campania, che ha nelle sue fondamenta ispiratrici alcune semplici considerazioni così riassumibili.  In alcune province campane, tra cui Napoli, si contano ben 270.000 costruzioni abusive. Ci sono soldi per abbatterne appena 1000 all’anno. Il senatore che ha proposto la legge, ha ravvisato nella sua iniziativa parlamentare la necessità di stilare una graduatoria delle priorità di demolizione, che dovranno contemplare primamente quelle pericolanti, e poi quelle realizzate dalle organizzazioni criminali e quindi quelle speculative, e solo in ultimo la scaletta degli abbattimenti potrà annoverare  le case abusive realizzate secondo le discutibile logiche della necessità abitativa, considerata un male minore in un contesto territoriale fatto di molti vincoli e poca pianificazione dello sviluppo sostenibile.
A conti fatti però, il pallottoliere riferisce che gli abusivi potrebbero tranquillamente vivere nei manufatti fuorilegge per  decine e decine di anni. Con i numeri in gioco era prevedibile e scontato che le associazioni ambientalistiche avrebbero subito gridato al condono edilizio mascherato… Qualcun altro ancora invece, si chiede se i proprietari degli edifici che si propone di relegare in un limbo amministrativo, hanno pagato e pagheranno le tasse alla stregua di quelli interamente immersi nell’inferno del balzello e senza alcuna scappatoia…
A ben pensarci è veramente straordinario il concetto contenuto nel decreto proposto, che salva capre e cavoli, cioè legalità e bisogno, prevedendo un congelamento della pratica di abbattimento per decine e decine di anni. 
La strategia consisterebbe nel relegare nel futuro la trattazione della faccenda penale che nel frattempo diventa amministrativa, e che potrebbe consistere in un abbattimento del mattone fuorilegge con un attimo di secolare ritardo, magari rivalendosi sui dolosi del cemento che dovrebbero  essere addirittura gli eredi e,quindi, totalmente incolpevoli dei reati ascritti ai loro avi…
Il primo cittadino di Torre del Greco è anche il primo fan di questa proposta; per sollecitare l’approvazione del DDL Falanga infatti, ha chiesto e ottenuto l’appoggio dei colleghi di Nola, Cercola, Pollena Trocchia, San Giuseppe Vesuviano, Palma Campania, San Giorgio a Cremano, Ottaviano, Terzigno, Massa di Somma, Boscotrecase, Scafati, Trecase, Torre Annunziata, Boscoreale, Ercolano e San Sebastiano al Vesuvio. Tutti comuni in febbrile attesa per raccogliere i frutti di questa geniale proposta di salomonica politica. Municipi accomunati fra loro anche e soprattutto dalla condivisione del rischio vulcanico e dall’assenza di un piano di evacuazione utile per salvaguardare i cittadini amministrati, abusivi compresi. Queste amministrazioni  infatti, rientrano tutte nella zona rossa a sfollamento totale in caso di allarme vulcanico. Di seguito un promemoria…

Boscoreale
Zona rossa 1

San Giorgio a Cremano
Zona rossa 1
Boscotrecase
Zona rossa 1

San Giuseppe
Vesuviano         
Zona rossa 1
Cercola
Zona rossa 1

San sebastiano al
Vesuvio
Zona rossa 1
Ercolano
Zona rossa 1

Scafati
Zona rossa 2
Massa di somma
Zona rossa 1

Terzigno
Zona rossa 1
Nola
Zona rossa 1:
(parziale)
Zona gialla
Zona blu

Torre annunziata
Zona rossa 1
Ottaviano
Zona rossa 1

Torre del Greco
Zona rossa 1
Palma Campania
Zona rossa 1:
(parziale)
Zona rossa 2

Trecase
Zona rossa 1
Pollena Trocchia
Zona rossa 1




La zona rossa 1 (R1), lo ricordiamo per i nuovi lettori, è quella invadibile, in caso di eruzione sub pliniana o pliniana, dalle colate piroclastiche, cioè qualcosa di molto simile a una valanga di fuoco che, dalla colonna eruttiva che s'innalza per chilometri verso l’alto, si stacca scivolando ad altissima velocità sui fianchi del vulcano distruggendo e bruciando ogni cosa sul suo cammino e nel giro di pochi minuti.
La zona rossa 2 invece, riguarda quei territori dove è più probabile che la pioggia di cenere e lapillo possa assumere valori di invivibilità già nelle prime fasi dell’eruzione. Si prevedono sommovimenti accentuati degli edifici sovraccaricati; crollo dei solai di copertura; fermo dei motori e difficoltà anche gravi della respirazione. Tant'è che entrambe le zone rosse  (R1 e R2), per i motivi suddetti, ricadono  nella zona  a evacuazione totale e preventiva.


(rischio Vesuvio) La zona rossa di evacuazione totale

Secondo l’oramai noto principio di precauzione e alcune logiche legate anche al disposto giuridico di colpa cosciente, ben difficilmente lo Stato potrà dilazionare l’abbattimento di abitazioni costruite in un sedime a rischio. Che sia o meno un abuso di necessità infatti, non risolve la premessa iniziale che trattasi di zone sottoposte a un pericolo immanente.
Intanto queste notizie relative a una possibile risoluzione del problema abusi edilizi, fosse anche di semplice dilazione dei tempi d’abbattimento, non fanno altro che offrire un input in più alle bitumiere che languono  ma insonni all’ombra del vulcano in attesa degli eventi.
Occorrerebbe poi una commissione d’inchiesta che spieghi com’è possibile che in una zona rossa fortemente a rischio siano stati realizzati migliaia di fabbricati abusivi senza che nessuno si sia accorto sul nascere della pervasività del fenomeno cementizio. Un'accidia incredibile... Tutti orbi sordi e muti?
Saremmo pronti anche a sostenere le logiche di un condono edilizio nel vesuviano perchè il problema c'è ed è smisuratamente grande, ma solo dopo che siano stati formalizzati alcuni tombali capisaldi regolamentari, tra cui il divieto di vendere la residenza sanata, dando poi forza al principio di destituzione del sindaco per abuso edilizio rapportato all’omessa vigilanza del territorio di pertinenza.

Molti forse non sanno che uno dei pochi casi in Italia di rimozione del primo cittadino per incapacità nel frenare il fenomeno dell’abusivismo edilizio, si registrò proprio  nel tenimento di Terzigno... una cittadina che è stata per anni la vera punta di diamante dell’abusivismo edilizio nella zona rossa Vesuvio. 

lunedì 27 maggio 2013

Vesuvio:un rischio da votare



Il Vesuvio visto da sud ovest
" Vesuvio: un rischio da votare?" di Malko

Il Vesuvio tra le meraviglie mondiali? Non si sa. Intanto il nostro amato vulcano figura nell’elenco delle ventotto bellezze  naturali più apprezzate nel mondo. Addirittura potrebbe classificarsi nelle primissime posizioni (votazione online). Chi abita nei pressi della discarica di Terzigno, lì alle falde sud orientali del Vesuvio, stenta a crederci. Intanto il vulcano nonostante i depositi di spazzatura della cava sari, serba ancora spunti paesaggistici di straordinaria bellezza. Neanche questo governo con Bertolaso in testa è riuscito a intaccare le peculiarità del vulcano, tutte fatte di magica commistione del panorama arso, montano e marittimo, con luoghi pregni di storia come Pompei, Ercolano, Oplonti e la vicina partenope.
 
Lo spettacolo che si gode da quota mille è di una mediterraneità esemplare, con il giallo delle ginestre elegantemente stagliato sul grigio scuro della cenere e del lapillo. Le virtù dell’antico e focoso monte sono ancora intatte, anche se è accerchiato da un edificato stringente e soffocante. La conurbazione è smodata e la città di Napoli oramai assurge a metropoli spalmata sull’intero territorio provinciale. Il vulcano è quindi l’unico polmone di verde centrale. Un vulcano che più che parco naturale si configura come parco cittadino, col pregio e la differenza di svettare anche sul più alto dei grattacieli napoletani.
Un premio il Vesuvio lo meriterebbe non solo per il panorama e la sua indiscutibile bellezza, ma anche per la sua potenziale pericolosità che crea un fascino adrenalinico. Il vulcano è oggi orgoglio e maestà, ma potrebbe un dì essere causa di rovina. L’apnea magmatica, infatti, che dura da sessantasette anni, non potrà essere eterna, anche se per tutti, scaramantici in testa, l’auspicio è quello.
Al dipartimento della protezione civile di Roma continuano a rovistare nei cassetti in cerca del piano Vesuvio che ancora non salta fuori. Il responsabile della protezione civile regionale campana non batte moneta su questi argomenti. Dal canto suo avrà pure escogitato iniziative per mitigare il rischio Vesuvio, ma sono tutte drammaticamente ermetiche, almeno così sembra, perché non ci sono spunti in tal senso, a parte un segnale di segno opposto che implica un’erosione del divieto assoluto di edificare nella zona rossa.
La tragedia della Thyssen con le sue condanne iniziali, per la prima volta ha messo in campo un concetto di responsabilità molto logico che forse potrà essere applicato per intero anche all’affaire Vesuvio, nella malaugurata ipotesi di un’eruzione. Gli enti responsabili della mancata pianificazione d’emergenza, infatti, potrebbero essere chiamati a rispondere di dolo eventuale e colpa cosciente. In pratica, la formulazione di colpa consisterebbe nel concetto che gli “attori” inadempienti, dirigenti di enti e istituzioni competenti, pur conoscendo i pericoli dettati dalla quiescenza del vulcano attivo (Vesuvio), sanciti dal mondo scientifico e accademico, non producono adeguati sistemi di tutela (piani d’emergenza). In questo modo accettano, di fatto, la responsabilità di considerare il rischio Vesuvio non meritevole di atti concreti; cioè, per loro il rischio non ha reali possibilità di  tramutarsi  in danno per la vita umana, almeno nei limiti del loro personalissimo arco temporale lavorativo di comando (è qui il punto!), e, quindi, dedicano attenzioni e risorse  altrove.
Sui media però, gli stessi attori inadempienti, tentano di far passare il concetto che i piani esistono e sono efficacissimi. In realtà, e non ci stancheremo di dirlo e ripeterlo, questi piani non solo non esistono, ma dire che sono in vigore  inducono un’incauta sicurezza nella popolazione che, molto verosimilmente e alla stregua della rassicurazioni che precedettero il funesto terremoto dell’Aquila, lasciano calare  la guardia anche in termini di prevenzione sul  rischio in esame.
Ci siamo chiesti spesso come mai gli allarmi lanciati dai media italiani e stranieri sul rischio Vesuvio non abbiano sortito effetti e preoccupazioni a carico dei responsabili della sicurezza civile. La risposta non è che una: in un sistema in perenne allarme sociale, prendere coscienza del rischio significherebbe muoversi con un ordine e un metodo che non si concilierebbe  con le esigenze spicciole e caotiche di una popolazione comprensiva di amministrazioni  e istituzioni, che vivono  secondo la regola del giorno dopo giorno… Ecco! La sopravvivenza sociale è ritenuta prioritaria e improcrastinabile rispetto alla vita umana minacciata da un rischio solo ipotizzato. Ovviamente finché il pericolo non è manifesto, perché in tal caso si sovvertirebbero le priorità ma in modo nettamente tardivo per porvi rimedio con efficacia. Lo scaricabarile sarebbe in questi casi  la prassi successiva…
Con l’avvento di De Magistris sindaco, speriamo che sia messo mano anche alla questione Vesuvio e Campi Flegrei. In termini concreti sperando che non si urbanizzi in senso residenziale l’area orientale di Napoli, e che la colmata di Bagnoli rimanga libera da opere strutturali assurgendo a imponente area polifunzionale di protezione civile. Forse è chiedere troppo in questo deserto di idee dove le superfici contano più degli spessori e gli interessi più delle tutele…