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domenica 7 dicembre 2014

Rischio Vesuvio: l'informazione comunale che manca...di Malko



La linea rossa circoscrive i 25 comuni vesuviani da evacuare totalmente in caso di allarme vulcanico.

“Rischio Vesuvio: istruzioni operative… “  di MalKo

Intorno al Vesuvio si contano circa settecentomila abitanti, tra cui alcune migliaia di stranieri provenienti da diverse nazioni e continenti, che sentono parlare di area a rischio e piani d’emergenza, magari senza capire perfettamente la situazione e quali cose bisogna sapere e cosa fare in caso allarme.
Innanzitutto precisiamo che non è possibile allo stato attuale delle conoscenze riuscire a prevedere tra quanto tempo potrà verificarsi un’eruzione vulcanica e quanto possa essere violenta. Di certo c’è una struttura scientifica chiamata Osservatorio Vesuviano, che effettua il monitoraggio continuo dei vulcani (Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia) ed è pronta a lanciare l’allarme in caso di pericolo.
Ogni comune dell’area vesuviana e dell’area flegrea sta preparando per precauzione i piani d’emergenza comunale per affrontare l’eventuale futuro risveglio dei vulcani. Al momento la situazione è tranquilla. Entro il 31 dicembre 2015 i comuni pubblicheranno i piani di protezione civile anche online dove saranno riportati alcuni dati utili per la popolazione.

Il sindaco è l’autorità locale di protezione civile ed ha il compito di garantire la sicurezza ad ogni cittadino residente o di transito sul territorio amministrato a prescindere dalla nazionalità e dallo stato giuridico.
E necessario però, che ogni cittadino conosca una serie di notizie che riguardano l’organizzazione di protezione civile, come ad esempio i livelli di allerta vulcanica stabiliti dall’autorità scientifica che sono :
I 4 livelli di allerta vulcanica.
Ad ogni livello di allerta vulcanica corrisponde una fase operativa che indica cosa fare. Per il Vesuvio il livello base (verde) è quello attuale. Se si dovesse passare alla fase 1 di attenzione (gialla), non è richiesta alla popolazione un’azione particolare se non quella di organizzare le proprie cose se l’indice di pericolosità vulcanica dovesse aumentare. L’allerta potrebbe anche regredire. La fase 2 di pre allarme (arancione) consente ai cittadini che hanno un proprio mezzo di trasferimento e la possibilità di una sistemazione autonoma fuori dal settore a rischio, di potersi già allontanare se lo desiderano.
In caso di allarme (fase 3) tutti gli abitanti e i soccorritori devono necessariamente allontanarsi dalle zone rossa 1 e rossa 2. Chi non ha un proprio mezzo di trasferimento deve portarsi nell’area d’incontro comunale. Chi ha un proprio mezzo di trasferimento ma non un alloggio autonomo, deve raggiungere le aree di accoglienza al di fuori della zona a rischio. Sia le aree d’incontro comunale che le aree di accoglienza, saranno prossimamente indicate nei piani di protezione civile che sono in corso di redazione.

Le 4 fasi operative.
L’autorita’ regionale di protezione civile ha definito tre diverse categorie di appartenenza corrispondenti alle esigenze di ogni singolo cittadino. Queste categorie potrebbero essere oggetto di censimento comunale ai fini organizzativi.

Classificazione (A,B,C) delle esigenze dei cittadini da evacuare in caso di allarme vulcanico,
Di seguito riportiamo la tabella dei gemellaggi prevista per i 25 comuni dell’area vesuviana con le regioni italiane. La procedura dei gemellaggi sarà attuata prossimamente anche per i comuni dell’area flegrea.


                                                     

martedì 30 settembre 2014

Rischio Vesuvio: la commissione grandi rischi...di Malko

Il Vesuvio visto dalla spianata usata per la perforazione del pozzo di Trecase

“ Rischio Vesuvio: la commissione grandi rischi e la
previsione dello stile eruttivo...”
di MalKo

Oggi vogliamo accennare a una decisione di qualche anno fa, tra l’altro coraggiosa, assunta dalla ricostituita commissione grandi rischi (CGR-RV), ad oggetto gli scenari di rischio ipotizzati in un documento di analisi scientifica, sicuramente propedeutico alla rivisitazione delle nuove zone rosse Vesuvio.
La commissione grandi rischi (CGR), per la parte rischio vulcanico, è composta dal prof. Vincenzo Morra, dal prof. Alessandro Aiuppa, dal prof. Raffaello Cioni, dalla prof.ssa Lucia Civetta, dal prof. Massimo Coltorti, dal prof. Pierfrancesco Dellino, dalla prof.ssa Rosanna De Rosa, dal dott. Marcello Martini, dal dott. Domenico Patanè, dal dott. Maurizio Ripepe e dal prof. Giulio Zuccaro.
Nel merito e come premessa, gli illustri accademici appena elencati hanno vagliato e condiviso l’analisi del pericolo Vesuvio contenuta in una relazione (2012) a firma di due ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano, Macedonio e Martini, rispettivamente quale responsabile del “Gruppo di lavoro A” e Direttore dell’Osservatorio Vesuviano.
Il Gruppo A (scenari e livelli di allerta), è uno dei quattro rami della “commissione incaricata di provvedere all’ aggiornamento dei piani d’emergenza dell’area vesuviana e flegrea per il rischio vulcanico”. Il documento firmato in rappresentanza dai due direttori, è stato quindi sottoposto al Dipartimento della Protezione Civile, che a sua volta ha chiesto un parere alla Commissione Grandi Rischi.
L’importante relazione visionata dai massimi esperti nazionali (CGR), indica in un’eruzione sub pliniana (VEI 4) quella massima che potrebbe caratterizzare da qui in avanti una possibile ripresa eruttiva del Vesuvio nel medio termine. Un’analisi che nelle conclusioni ci sembra con una certa continuità in linea con la prima analoga relazione firmata da Franco Barberi nel 1990 e con quella firmata da Roberto Santacroce nel 1998.
L’eruzione più probabile, si legge sempre nell’attuale documento in linea con quelli precedenti, è di tipo stromboliana violenta (VEI3), che produrrebbe una serie di effetti più che problematici, ma senza le colate piroclastiche che sono il fenomeno maggiormente pericoloso per la vita umana.
L’eruzione pliniana invece, la più forte e temuta, è stata relegata completamente nel limbo dell’1% statistico, anche perché, si legge, non si evidenzia una camera magmatica superficiale con volumi di magma sufficienti a generare appunto un’eruzione di tipo pliniano (VEI 5).
Un altro dato interessante che si carpisce dalla relazione per controdeduzione, è che per i prossimi 130 anni sostanzialmente il tasso probabilistico del 99% che esclude una pliniana, dovrebbe mantenersi integro in assenza di novità scientifiche. Nel documento di Santacroce il limite temporale di accettabilità della previsione è di 50 anni.
Per chi è lontano dalla vulcanologia, accettando il dato attuale significa che per oltre un secolo dovremmo essere al riparo dagli effetti di un’eruzione come quella famosissima che seppellì Pompei nel 79 d. C.  I quasi duemila anni che ci separano dall’ultimo cataclisma pliniano, non sono stati ritenuti un intervallo sufficientemente lungo per dare un valore massimo al pericolo eruttivo.
La commissione grandi rischi comunque e alla fine, mettendo insieme tutti i dati fin qui prospettati, ne ha aggiunto uno di suo che è la linea nera Gurioli, ritenendola congrua come limite massimo raggiungibile dai flussi piroclastici in seno a eruzioni sub pliniane.
Tale adozione ha di fatto trasformato un limite di sedimento in un limite geologico di pericolo, definendo e circoscrivendo con geo referenze la zona rossa secondo un continuum, che si estende per qualche chilometro anche sul mare. Queste recenti decisioni e considerazioni di carattere scientifico, hanno avuto una importante ricaduta nella organizzazione sociale e di emergenza del territorio.
La commissione grandi rischi ha quindi scritto (27 giugno 2012) al dipartimento della protezione civile, chiarendo che la linea Gurioli può considerarsi come nuovo limite della zona rossa Vesuvio. La zona a maggior pericolo quindi, è da considerarsi unicamente quella circoscritta in figura da questa linea nera per il verso che guarda il cratere sommitale del Vesuvio. Oltre siamo nel campo giallo...a nord nord est giallo e  blu...
Vesuvio e  linea nera Gurioli.
Il Dipartimento della Protezione Civile insieme all’assessore Edoardo Cosenza della Regione Campania, ha invece varato un pastrocchio consistente in zona rossa 1 e zona rossa 2. Il Tribunale amministrativo regionale (TAR) ha dato ragione, e non poteva essere diversamente, al comune di Boscoreale che, proprio in sintonia con quanto prescritto dalla commissione grandi rischi, ha preteso e ottenuto con sentenza, che la parte di territorio eccedente la linea nera non fosse considerata a maggior pericolo. Nei fatti allora e contrariamente a quello che dicono Dipartimento e Regione Campania, la zona rossa in realtà si è ristretta rispetto a quella formata dai famosi e iniziali diciotto comuni.
La profonda ipocrisia di queste due istituzioni consiste in questo: se l’autorità scientifica ha sancito i limiti della zona rossa a maggiore pericolosità e lo ha fatto stabilendo un confine molto concreto, per intenderci  alla Romolo, cioè una sorta di solco (linea nera) entro cui e nella peggiore delle ipotesi si svilupperanno i fenomeni più pericolosi in caso di eruzione, i piani di evacuazione devono essere misurati per la reale quantità di abitanti da mettere in salvo all’occorrenza, perché una ingiustificata sproporzione potrebbe essere all’origine addirittura del fallimento evacuativo.
L’adozione della linea nera Gurioli come limite di pericolo è un’assunzione di responsabilità enorme, perché di fatto gli scienziati si sono assunti l’onere della previsione della tipologia eruttiva: il che non è poco.
Con tale certezza che ruota su eventi con energie VEI 3 o nella peggiore delle ipotesi VEI 4, potrebbe ritornare utile addirittura il baluardo protettivo del Monte Somma. Un fatto determinante ai fini della strategia operativa che consentirebbe di scaglionare le partenze con un indice di priorità a favore dei comuni del litorale che, tra l’altro, e con il loro elevato numero di abitanti corroborato da densità abitative da megalopoli asiatiche, rappresentano lo zoccolo duro dell’evacuazione del vesuviano, “la madre di tutte le evacuazioni”, visto che sulla fascia costiera dimorano i due terzi della popolazione della zona rossa, in una condizione territoriale di morsa, perché stretti fra mare e monte.
Bisogna essere congrui e lineari alle decisioni che si adottano: diversamente è tutto un guazzabuglio col rischio quello sì del ridicolo, come ha dimostrato la sentenza del TAR. Esistono allora due chances: seguire con fiducia quanto sancito dagli scienziati, con un conseguenziale strategico logico, oppure rivedere necessariamente la previsione circa la tipologia eruttiva attesa... Non possiamo mediare con un fifty fifty seguendo poi una terza strada e nel frattempo mandiamo a carte quarantotto il tutto, condonando e ristrutturando e ampliando i ruderi nella zona rossa, anche quella vera, ammassando genti alle genti nell’area votata al massimo pericolo, con costruzioni poi, che si sviluppano con tanto di licenza edilizia a un metro dalla linea Gurioli, come succede a Poggiomarino e a Scafati...

Ci sembra tutto estremamente ipocrita, come il battage che si è fatto qualche giorno fa sui livelli di allerta vulcanica finalmente fissati dalla commissione speciale ecc… ecc…. Nuovissimi: li elaborammo unilateralmente (erano troppi) a Portici nel 1999 e pubblicati sul vademecum dell’esercitazione Vesuvio 2001…
Estratto dal vademecum Vesuvio 2001 - Portici

lunedì 28 luglio 2014

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei 2014: permane lo stato di attenzione vulcanica...di Malko

Monte Nuovo

“ Campi Flegrei : il livello di allerta vulcanica 
è ancora di attenzione…” di MalKo

Vogliamo ricordare ai nostri lettori che il livello di allerta vulcanica per l’area flegrea è ancora tarato su posizioni di attenzione. Nel dicembre 2012, infatti, fu optata questa scelta cautelativa sulla scorta della variazione di alcuni parametri controllati registrati nella zona calderica. Oltre a una ripresa del bradisismo infatti, da alcune fumarole furono riscontrati elementi affini al magma, così come nella località Pisciarelli è stato notato un incremento della temperatura e della intensità dei flussi fumarolici e dell’anidride carbonica.
Nel dicembre del 2013 l’autorità scientifica ha rivisto i dati in possesso dell’Osservatorio Vesuviano, ed ha ritenuto necessario mantenere ancora su livelli di attenzione lo stato di allerta vulcanica ai Campi Flegrei. Una condizione “gialla” tuttora vigente…

Come già abbiamo avuto modo di accennare in articoli precedenti, il livello di attenzione non deve certo preoccupare, perché fa parte di una sorta di automatismo che scatta ogni qualvolta uno o più valori di base del vulcano presentano indici insoliti. L’ente cui è affidata la sorveglianza vulcanica, l’Osservatorio Vesuviano, in questi casi accentua maggiormente le attività di monitoraggio dei fenomeni fisici e chimici che interessano l’area calderica. Da una serie di correlazioni ci sembra poi di capire che oltre al fenomeno generalizzato del bradisismo, la zona tra gli Astroni, Agnano e la Solfatara, è quella diciamo che ha destato un certo interesse.

Una puntuale pianificazione d’emergenza per i Campi Flegrei deve necessariamente far capo e avvalersi degli scenari eruttivi che nel nostro caso sono stati prospettati da un apposito gruppo di lavoro in un documento ad hoc ultimato e consegnato alle autorità dipartimentali della protezione civile il 31 dicembre 2012
Nel compendio, frutto di un’analisi storica statistica che riguarda gli ultimi cinquemila anni di attività vulcanica ai Campi Flegrei, sono descritti scenari e fenomeni che possono caratterizzare appunto una possibile ripresa eruttiva nel settore calderico.
Secondo i dati che è possibile cogliere dalle pubblicazioni inerenti, in questa zona ardente non ancora perfettamente definita e in parte sub marina, potrebbero aversi eruzioni con questa percentuale di accadimento:
-          12 % eruzione effusiva;
-          60 % eruzione eruzione esplosiva di piccola intensità (VEI 1 - 3);
-          24 % eruzione di media intensità (VEI 4);
-          4  % eruzione di grande intensità (VEI 5);
-          0,7 % eruzione di grandissima intensità (VEI 6 - > 6).

Secondo le ipotesi che tengono conto delle riattivazioni vulcaniche passate, pare che qualora dovesse presentarsi un’eruzione sul medio termine, questa possa avere un’intensità uguale o inferiore a un indice di esplosività vulcanica VEI 4.  Valore quest’ultimo in linea con le prospettive sub pliniane già paventate statisticamente  per il rischio  Vesuvio
Negli scenari eruttivi presentati dal gruppo di lavoro, si ipotizzano e si diversificano quattro tipi di eventi che sono :
-          eruzioni esplosive che implicano un VEI da 1 a oltre 6 ;
-          eruzioni contemporanee da più bocche eruttive;
-          esplosione freatica in aree idrotermali (Solfatara, Pisciarelli);
-          eruzione effusiva.

Il problema più grande, in assenza di una bocca eruttiva ben precisa, rimane quindi quello di definire nell’ambito della caldera ignimbritica, la possibile zona dove potrebbe ripresentarsi l’attività eruttiva flegrea, e ancora il tipo di eruzione che al momento è inquadrato statisticamente su tipologie di media intensità, onde definire i suoli su cui si spalmerebbero gli effetti di ogni singolo fenomeno vulcanico.
Secondo alcuni criteri probabilistici, le zone flegree dove è ipotizzabile che si possano aprire bocche eruttive sono quelle ubicate in senso mediano tra i crateri degli Astroni e di Agnano.  In seconda battuta lungo la linea che unisce geograficamente Capo Miseno al lago d’Averno.

Mappa dei Campi Flegrei edita dall'Osservatorio Vesuviano
Nel primo caso se dovesse effettivamente presentarsi un’eruzione con produzione di flussi piroclastici, sussisterebbero dubbi sulla capacità dei contrafforti collinari di Posillipo nel contenere le colate verso est. Nel secondo caso ci sarebbero forse meno rischi per la città di Napoli. 
Nella riperimetrazione della zona rossa saranno probabilmente compresi i comuni di Napoli, con le municipalità di Fuorigrotta, Bagnoli, Agnano, Posillipo e Chiaia, e ancora i comuni di Bacoli, Marano, Monte di procida, Pozzuoli e Quarto. L’ultima parola spetta alla Commissione Grandi Rischi…
Molto presumibilmente gli scenari eruttivi che faranno da introduzione ai piani d’emergenza, dovranno delimitare, alla stregua di quanto già fatto per il Vesuvio, una zona rossa, una zona gialla e una zona blu.
I ricercatori stanno valutando quale estensione dare alla zona rossa nel tessuto cittadino di Napoli. Si dovranno poi confermare gli indici di sismicità attesi quali prodromi eruttivi e le curve di isocarico lì dove potrebbe abbattersi la pioggia di piroclastiti, la cui incidenza statistica dovrebbe essere verso est. Ovviamente la pubblicazione del piano d’emergenza chiarirà ogni dubbio sulle strategie di difesa dal rischio vulcanico in area flegrea. E’ altrettanto ovvio che ogni azione difensiva dovrebbe essere corredata da un piano di prevenzione che stabilisca gli obiettivi da raggiungere nel breve,medio e lungo termine. A questo purtroppo, non siamo ancora avvezzi…


giovedì 2 gennaio 2014

Rischio Vesuvio: il 2013 annovera clemenza geologica e una nota sismica dal Matese...di Malko

Valle dell'inferno (Vesuvio) con l'orlo calderico del Mt. Somma in evidenza con Punta Nasone

“ Il 2013 è stato per la Campania un anno di clemenza geologica tranne per il post-it marcato Matese. E il 2014? ”
di MalKo

Anche il 2013 si è rivelato per i napoletani un anno di clemenza geologica suffragata dalla perdurante quiescenza del Vesuvio,dei Campi Flegrei e dell’isola d’Ischia: tutti distretti vulcanici molto caratteristici e tutti ubicati nell’area metropolitana di Napoli. Il 29 dicembre 2013 la zona del Matese ha sussultato litosfericamente per ricordare anche ai campani che vivono su un suolo non sempre immoto e non lontanissimo dai magmi sotterranei viscosi. La caratteristica della scossa, vivacemente vibrante, è stata breve al punto da non causare danni, ma intensa abbastanza da essere un post-it geologico. Un monito insomma…
Per quanto riguarda il Vesuvio e i piani d’emergenza, le uniche novità di quest’anno riguardano l’introduzione della linea Gurioli che delimita la prima fascia a rischio d’invasione delle nubi ardenti e la relativa rivisitazione della zona rossa che si allarga ad altri sette comuni, compreso la città di Napoli che dopo anni di “resistenza” è stata costretta a cedere alla perimetrazione a rischio Vesuvio, i quartieri orientali di Barra, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli. Il numero degli abitanti sottoposti al pericolo allora, è aumentato da cinquecentocinquantamila a circa settecentomila persone.
Il famoso vulcano continua a essere citatissimo dai media e si classifica come il più menzionato in assoluto, sia da un punto di vista paesaggistico che archeologico e turistico e per il rischio a esso associato, che sembra incutere maggiori apprensioni all’estero piuttosto che in Italia.
I piani di evacuazione devono ancora essere confezionati e nulla lascia presagire che questo sia l’anno giusto, atteso che, sono sempre gli stessi consulenti e le stesse commissioni a elaborare sistemi di pseudo tutela attraverso un work in progress che pare abbia come unico obiettivo quello di mettere le carte a posto.
Se uno dei vulcani che citiamo nell’articolo dovesse ridestarsi e causare danni alle persone, state pur certi che l’unico responsabile sarà alla fine la sola e ignara e stupenda e immacolata natura.
Ai Campi Flegrei la trivella sonnecchia sul fondo dei cinquecento metri fin qui raggiunti col pozzo pilota. Quando proseguirà il lavoro dello scalpello rotante che dovrà raggiungere i 4000 metri di profondità in direzione della gobba litosferica puteolana, è un dato che dovremmo conoscere a breve. Il deep drilling project (CFDDP), intanto sembra che abbia cavato dal sottosuolo tufaceo di Bagnoli dei carotaggi molto interessanti e inediti.  I sistemi e le attrezzature innovative da calare nell’attuale pozzo ai fini della prevenzione vulcanica, dovrebbero essere probabilmente ancora in una fase di collaudo ma presto entreranno in azione.
Intanto nell’area flegrea permane uno stato di attenzione vulcanica innescato qualche anno fa dal fenomeno del bradisismo,riaccesosi  per la fase ascendente. Oggi, il sollevamento, fortunatamente sembra attraversare un momento di stanca.
Il piano “emerecuativo” (emergenza più evacuazione), non è stato ancora elaborato in questo settore calderico, perché l’autorità scientifica col vaglio della commissione grandi rischi, deve ancora depositare il carteggio contenente gli scenari eruttivi comprensivi dei territori su cui si possono abbattere tutte le fenomenologie vulcaniche previste: dati questi, senza i quali non si può procedere con la redazione dei piani di sicurezza areali.
Sull’isola d’Ischia pure si gode di una certa pace geologica e da un po’ non si avvertono terremoti particolarmente significativi. Questa fase di calma potrebbe essere utilmente sfruttata per analizzare il rischio statico rappresentato da un po’ di massi isolati posti in alto, specie a Forio e sui terreni acclivi degli altri rilievi. Anche per Ischia dovrebbero preparare il piano emerecuativo che è particolarmente complesso perché trattasi di un’isola i cui confini corrispondono con il mare: tecnicamente parlando è un problema in più.
Nella zona dell'epicentro del sisma localizzato nei contrafforti del Matese il 29 dicembre 2013, si è notata la fragilità delle chiese che dalla loro hanno un certo numero di anni che gravano appunto sul groppone delle mura e delle volte degli antichi edifici.
Nel terribile terremoto di Lisbona del 1755, chiese e conventi furono le strutture più colpite. Un filosofo annotò che in quel cataclisma morirono moltissime suore e non le prostitute ricoverate in baracche di legno… La citazione la riportiamo come concetto statico e non moralistico o religioso.
E’ necessario, specialmente in area appenninica, organizzare dei sopralluoghi negli edifici più vecchi ubicati all’interno della fascia appenninica a maggior rischio sismico, individuando alcune soluzioni tecniche per rendere i vecchi luoghi di culto e altre strutture almeno collettive, più resistenti alle sollecitazioni litosferiche. Nelle more degli interventi preventivi, si possono già affiggere alle pareti delle chiese avvisi e manifesti contenenti istruzioni operative in caso di terremoto.
Da notare inoltre, che le notizie sull’epicentro del sisma del 29 dicembre 2013, sono state date sui media forse un po’ in ritardo…
Finiamo segnalando come appunto, che i tre distretti vulcanici qui citati, di cui quello flegreo già sottoposto al primo livello di allerta vulcanica (attenzione), mancano completamente di piani di evacuazione. Non lasciatevi ingannare da quello che leggete sulla carta stampata e sul web: anche se remotamente e generalizzando, nessun ambiente o settore è asettico e imparziale.

Il 2014 sarà l’anno del cambiamento. Dedicatevi di più alla vita sociale e alla partecipazione, utile per comprendere e maturare anche una coscienza critica verso le istituzioni politiche, tecniche e scientifiche. Strutture che dovrebbero essere intercomunicanti per garantire attraverso una sana interazione l’imprescindibile diritto alla sicurezza. Buon anno! 

mercoledì 30 ottobre 2013

Rischio Vesuvio: alcuni cittadini ricorrono alla corte di Strasburgo sui diritti dell'uomo...di Malko

L'esercitazione di Protezione Civile denominata Twist. In primo piano il Prefetto Gabrielli

“I rischi Vesuvio e Campi Flegrei approdano alla corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo …” di MalKo

L’esercitazione di protezione civile denominata Twist, si è svolta a Salerno dove si sono prefigurati scenari calamitosi dovuti a un maremoto provocato da una frana staccatasi dal vulcano sommerso Palinuro. Il momento esercitativo ha consentito al Prefetto Franco Gabrielli di esprimere, e forse per la prima volta in modo chiaro, il suo pensiero e tutta la sua preoccupazione a proposito della minaccia rappresentata non solo dai seamount tirrenici, ma piuttosto dal Vesuvio e dalla caldera Flegrea. <<Manca consapevolezza, afferma il Capo Dipartimento, in zone dove tutti aspettano i piani nazionali tollerando intanto l’inurbazione che rende complicata qualsiasi pianificazione. In questi luoghi si è molto propensi a chiedere e poco propensi a fare…>>.
E’ vero!L’area vesuviana è un coacervo d’interessi e disinteressi. Gli amministratori del vesuviano, generalizzando, non usano o non osano trascrivere nelle loro agende il rischio Vesuvio, che menzionano poco o niente se non nelle manifestazioni pubbliche o in modo strumentale, perché altrimenti diverrebbero immediatamente sgraditi a una certa parte della popolazione.
Non dimentichiamo che i sindaci della zona rossa erano sul piede di guerra alcuni mesi fa, addirittura per valutare insieme a un supervisor regionale, le azioni necessarie per garantire un po’ di cemento “ristoratore” nell’area pericolosa sottoposta a una legge restrittiva (l.rg. 21/2003) in tema di edilizia residenziale. Alcune adunanze sono servite pure per tracciare una linea comune atta ad affrontare il problema dell’abusivismo edilizio, in altre parole dei condoni, di cui si chiedevano valutazioni bonarie almeno fino all’annata del 2003.
La maggior parte dei cittadini vesuviani invece, vorrebbero semplicemente avere la certezza che, se dovessero presentarsi segnali di pericolo da quel cono vulcanico così vicino, una qualche pianificazione di emergenza, che non osano pensare che non esista, consentirà di portare in salvo innanzitutto i loro figli.
La solerzia delle municipalità sui doveri d’ufficio che riguardano la vigilanza sull’edilizia abusiva, sulla valutazione dei condoni e degli abbattimenti, sono misurate anche sulla base dell’efficienza delle forze dell’ordine che operano in loco e che dovrebbero assicurare il controllo del territorio. C’è disinteresse… Eppure parliamo di un rischio che ha connotazioni mondiali di allarme. Bisogna anche dire però, che mancano buoni esempi legislativi, poiché ancora adesso costruiscono in zona rossa con i soldi pubblici (legge 219/81- terremoto '80), con tanto di cartello autorizzativo dell’ufficio tecnico comunale affisso sul cemento ancora fresco. Il pericolo c’è o non c’è?
Le forze dell’ordine sono immerse in questo agone di contraddizioni perché non hanno una preparazione professionale sul rischio vulcanico e sull’analisi del territorio per esercitare un ruolo proficuo di attenti osservatori non neutrali. Che cosa sia realmente un vulcano esplosivo, con le sue colate piroclastiche e la caduta di bombe e cenere vulcanica, lo percepiscono, generalizzando, solo attraverso aneddoti e discorsi correnti e spesso inesatti captati qua e là in giro per il paese, facendosi parte diligente solo su input delle procure e mai per motu proprio. Anche il cosiddetto abuso di necessità andava fermato sul nascere, senza tentennamenti, in modo da non farlo diventare un fenomeno dai numeri inapprocciabili e di difficile risoluzione. Si tenga presente che non c’è uomo o sanatoria o legge dello Stato, che possa, attraverso atti amministrativi, condonare il pericolo che incombe sulla plaga vesuviana.
Per sradicare il fenomeno dell’abusivismo edilizio basta visionare ogni quindici giorni qualche filmato effettuato da un drone o una fotografia satellitare comparandola con le precedenti. Se la procedura è troppo “moderna”, allora bisogna seguire i camion che trasportano calcestruzzo o terra appena sterrata. Oppure bussare alla porta di quello che ha improvvisamente innalzato lamiere o teli intorno al suo podere nascondendosi alla vista.
A volerla dire tutta, un vigile urbano là dove c’è dovere, volontà politica e istituzionale, con un semplice motorino poteva e può tenere sotto controllo tutto il territorio di pertinenza…
L’area vesuviana allora è un cane che si morde la coda. Non c’è via d’uscita. Anche il Dipartimento della Protezione Civile che da Salerno con le parole del prefetto Gabrielli si lancia in un j’accuse più che condivisibile contro l’inerzia dei vesuviani, ha forse qualche pecca nel dipartimentale curriculum, passato e recente, in termini di modus operandi. Non sono, infatti, lontanissimi i tempi in cui si reclamizzavano in molte trasmissioni televisive e sui giornali i piani di emergenza Vesuvio come strumento di tutela invidiatici nientemeno che dal mondo intero… così dicevano, dimenticando o forse ignorando, che senza piano d’evacuazione quello d’emergenza è carta straccia. Bisognava dire a chiare lettere poi, e già un bel po’ di tempo fa, che non c’è un’organizzazione o una pianificazione adeguata per la tutela della popolazione vesuviana, e, quindi, chi s’insedia nella zona rossa lecitamente o abusivamente, lo fa a suo rischio e pericolo. Avremmo così almeno assicurato il diritto all’informazione che è il primo anello della prevenzione. Certo, di rimando occorreva poi spiegare venti anni di commissioni e sottocommissioni per il ciarliero piano annunciato  e mai materializzato e mai uscito dai cassetti...ma questa è un’altra storia che pure un giorno dovrà essere raccontata, perché i protagonisti con qualche giravolta sono sempre gli stessi. Per non parlare delle esercitazioni di protezione civile che sono state fatte calandole letteralmente dall’alto con un indice di difficoltà inferiore alla gita scolastica; oppure assegnando enfasi di esagerata importanza a eventi come la Mesimex (Major Emergency Simulation Exercise), che in realtà non ha cambiato o migliorato il mondo del rischio vulcanico e neanche quello delle emergenze in genere.
E ancora il Dipartimento avrà pure qualche responsabilità nella recente rivisitazione dei nuovi confini della zona rossa, che in realtà hanno peggiorato la classificazione del territorio, con zone nere a distruzione totale che terminano a un passo da dove è possibile fabbricare con licenza edilizia, con norme che valgono per un comune ma non per l’altro. Una vera mestizia resa possibile da un escamotage forse della Regione Campania, chissà, che si è inventata la zona rossa ad andamento variabile.
In questo bailamme, state pur certi che alcuni dei vecchi diciotto comuni della vecchia classificazione esclusi dalle provvidenziali postille contenute nei nuovi scenari, si faranno sentire a colpi di ricorsi amministrativi, specialmente le municipalità di Boscoreale, Pompei, Torre Annunziata, Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, su cui è stata fatta una disparità di trattamento a proposito dei territori da classificare in zona gialla di là della linea Gurioli.
Su tutto emerge il dato che lascia veramente perplessi, che è quello della misura percettiva molto ottimistica del rischio Vesuvio da parte della gente, che invece di inalberarsi pretendendo uno straccio di piano d’evacuazione che ancora non c’è, asseconda l’andazzo omissivo premiando gli amministratori che tacciono sul pericolo, come se bastasse il silenzio per esorcizzarlo…
Dodici cittadini della zona rossa Vesuvio guidati da Rodolfo Viviani dell’associazione radicale per la grande Napoli, hanno presentato alla corte europea di Strasburgo una denuncia contro lo Stato italiano che non assicura la tutela dei cittadini esposti al rischio eruzione con appositi ed efficienti piani d’evacuazione. Il rappresentante dei verdi ecologisti Francesco Emilio Borrelli ha parimenti presentato analoga denuncia per la zona dei Campi Flegrei, sede delle supereruzioni e del deep drilling project. Sarà interessante il trattamento che la corte di Strasburgo riserverà alle denunce italiane, soprattutto in capo al soggetto su cui affibbiare la responsabilità di tali inadempienze.
Anche la stampa dovrebbe informarsi di più su questi rischi che mantengono sulla graticola migliaia e migliaia di persone, valutando attentamente ciò che succede nelle interazioni tra politica e mondo scientifico e mondo istituzionale.
Anche noi abbiamo provato a denunciare alle istituzioni competenti, e non solo dalle pagine del giornale, il grave rischio che corrono gli abitanti della zona rossa Vesuvio per l’assenza di un piano di evacuazione: non è mai arrivata alcuna risposta. Allora decidemmo di presentare una denuncia alla Procura della Repubblica di Torre Annunziata che ha ricevuto l’atto il 14 settembre del 2011. Siamo in attesa di sviluppi… Ovviamente ogni strada è utile e da percorrere senza indugio se serve a raggiungere l’ambito risultato di una maggiore tutela della vita umana all’ombra del Vesuvio.

martedì 8 ottobre 2013

Il Vulcano Palinuro:...di Malko




Uno scorcio di Capo Palinuro. 
"Il vulcano Palinuro" di MalKo
Il vulcano Palinuro è immerso nelle profondità tirreniche a circa cento chilometri dalla costa cilentana (Salerno), ergendosi abbastanza da poter essere raggiunto da un provetto subacqueo o da una lenza da pesca lunga una ottantina di metri. Quasi tutto il naviglio che naviga verso le isole Eolie o la Sicilia, passa sopra o vicino al misterioso monte sottomarino, senza nessun tremito per i viaggiatori che in gran parte non sanno che su quei fondali si contano un discreto numero di  bocche eruttive.
Sul finire di ottobre 2013, a Salerno e nel salernitano ci sarà un’esercitazione di protezione civile cofinanziata dalla comunità europea. Lo scenario operativo simulerà un’onda di maremoto generata da una frana sottomarina staccatasi dai versanti del vulcano Palinuro. Il Dipartimento della Protezione Civile ha scelto quest’apparato tra quelli giacenti nelle profondità tirreniche, perché dice, è quello più vicino alla costa. Non dovrebbe essere però,  quello a maggior rischio frane, atteso che, da questo punto di vista, secondo autorevoli scienziati è  il Marsili a fare storia. Infatti, qualche anno fa questo gigante degli abissi fu additato come potenziale flagellatore del Mediterraneo, per i suoi fianchi rocciosi flaccidi e in bilico, pronti a generare Tsunami terrificanti…
Certamente la storia dei maremoti nel Mediterraneo non è particolarmente ricca di eventi. Alcuni importanti fenomeni comunque ci sono stati e anche catastrofici, come lo tsunami che si formò in seguito all’eruzione e al collasso calderico dell’isola di Santorini, circa 3600 anni fa. Da notare che quasi in quel periodo avvenne anche la terribile e potentissima eruzione del Vesuvio chiamata pliniana di Avellino. Altri maremoti si ebbero col terremoto di Creta del 21 luglio dell’anno 365. In questo caso le onde di nove metri di altezza flagellarono il litorale greco, quello libico e la città di Alessandria  d’Egitto, dove lo storico Marcellino Ammiano annotò l’evento. Anche la linea di costa italiana rivolta a Creta fu investita dalle onde di maremoto, che impiegarono poco più di un’ora per infrangersi sui litorali orientali della Sicilia e della Calabria ionica..
Nel 1908 furono i sommovimenti del terremoto di Messina a formare onde di maremoto dirompenti che si schiantarono sulle coste calabre e sicule non senza danno. Nel dicembre del 2002 un’onda anomala fu generata da una frana staccatasi dai versanti emersi e sommersi dello Stromboli, con danni limitati ma forse un po’ ingigantiti dai media e dalla loro necessità di cronaca.
Il Prof. Girolamo Milano geofisico dell’Osservatorio Vesuviano – INGV, ha partecipato a due campagne oceanografiche nel 2007 e 2010 che hanno consentito di conoscere meglio il vulcano Palinuro che, come accennato in precedenza, sarà appunto il protagonista dell’esercitazione TWIST (Tidal Wave in southern Thyrrenian sea).

Nel merito del vulcano che ha assunto il nome del nocchiero di Enea che lì si perse tra i flutti, il Prof. Milano intervistato sull’argomento, ci ha gentilmente fornito interessanti notizie che squarciano un po’ il velo su questi apparati montuosi sommersi :<<  Il Palinuro è ubicato tra il bacino del Marsili a Sud, la catena appenninica ad Est ed il bacino sedimentario del Golfo di Salerno a Nord. Quest’ultima è l’unica zona del Tirreno Sud orientale a non essere affetta da vulcanismo. La genesi del Palinuro non è ancora chiara se la si confronta con quella del vicinissimo e più noto vulcano Marsili. Tuttavia, si ipotizza che il complesso vulcanico si sia impostato su una struttura profonda che si estende in direzione Est-Ovest la cui cinematica è compatibile con quella di una faglia trascorrente>>.
Professore, da quando e cosa si conosce di questo vulcano sottomarino?
Le prime campagne oceanografiche furono effettuate negli anni ’70. Il più recente modello digitale del fondo marino ad alta risoluzione, ottenuto dai dati acquisiti nel 2007, mostra che il Palinuro risale dai 3000 metri di profondità  fino a 84 metri dal livello medio del mare. La sua forma è approssimabile ad una ellisse la cui estensione massima raggiunge i 55 km. in direzione Est-Ovest. La parte sommitale del complesso vulcanico è costituita dalla sovrapposizione di edifici con tipiche forme coniche e tronco-coniche e da ampie depressioni attribuibili a collassi gravitativi. La parte Sud è caratterizzata invece, da pendii abbastanza ripidi, mentre la parte Nord mostra pareti  meno acclivi.
Il settore centrale è quello meno profondo del complesso vulcanico. I dati batimorfologici ben evidenziano i due coni vulcanici più significativi del Palinuro. Le sommità di questi coni, piatte e di forma circolare con diametri di circa 750 e 2500 metri, sono a 175 e 84 metri sotto il livello medio mare.
Nel margine orientale sono ben visibili altri coni vulcanici. Il più significativo di questi è localizzato a circa 570 metri di profondità ed è caratterizzato dalla presenza di un cratere profondo circa 70 metri. L’orlo craterico ben pronunciato e non occluso da sedimenti, suggerisce un’attività probabilmente più recente.
Professor Milano, quali informazioni hanno fornito i campioni di sedimento prelevati sul Palinuro?
I dati mineralogici e petrografici attualmente disponibili suggeriscono che il Palinuro si sia formato (oltre 300.000 anni fa) nel corso di un lungo intervallo temporale e le differenze morfostrutturali tra le zone occidentale, centrale e orientale potrebbero marcare i differenti stadi evolutivi del complesso vulcanico. Il settore occidentale sembrerebbe essere il più antico. Al contrario, la presenza di numerosi coni nel settore centrale, la presenza di un cratere vulcanico con un pronunciato orlo, la maggior ampiezza delle anomalie magnetiche rilevate in questo settore e l’età dei prodotti campionati sulla sommità, suggeriscono fortemente che quello centrale sia il settore più giovane.
Il vulcano Palinuro è ancora attivo?
La presenza di micro-sismicità con caratteristiche vulcano-tettoniche localizzata a sud-est del complesso vulcanico, le anomalie magnetiche e la presenza di attività idrotermale nel settore centro-orientale suggeriscono che l’area sud-orientale potrebbe essere attiva. L’acquisizione di nuovi dati geofisici, petrologici e geochimici potranno fornire nuove informazioni, sia per meglio comprendere la genesi del Palinuro nel contesto geodinamico del Tirreno sud –orientale, sia per  capire se il complesso vulcanico, o parte di esso, è da considerarsi attivo o in quiescenza.
Al Prof. Girolamo Milano vadano i ringraziamenti dei lettori e della redazione di Hyde Park per l’importante contributo scientifico che ci ha dato.
      
Mappa schematica del Mar Tirreno Sud-Orientale con locazione del complesso vulcanico Palinuro e rappresentazione “3D” (vista da Sud) del Palinuro Seamount ottenuta dall’elaborazione dei dati batimetrici multifascio “Multibeam” acquisiti nel corso della campagna oceanografica del 2007 (figura tratta dalla pubblicazione scientifica: S. Passaro, G. Milano, C. D’Isanto, S. Ruggieri, R. Tonielli, P. P. Bruno, M., E. Marsella, 2010: DTM-Based morphometry of the Palinuro seamount (Eastern Tyrrhenian Sea): Geomorphological and volcanological implications. Geomorphology, Vol. 115, issue 1-2, 129-140).

giovedì 8 agosto 2013

Naples, the Vesuvius and the Phlegraean Fields: ...di Malko

The islands flegree
                              Naples, the Vesuvius and the Phlegraean Fields

The province of Naples is characterised by the three volcanic complexes of the Vesuvius, the Phlegraean Fields and the island of Ischia. Despite their closeness to each other, each of them has completely different characteristics as well as dissimilar form and extention.
The Vesuvius, the most famous of the three, easily recognisable by its distinctive shape and profile, gave rise to the most famous eruption in history. In 79 AD a plinian explosive eruption buried  the cities of Pompeii and Herculaneum thus providing us with a significant part of the world’s archaeological heritage. This was, however, only one of many eruptions the last of which took place in 1944.


The  island of Ischia is the upper part of a submarine volcano. About 55,000 years ago a violent explosive eruption took place known as the green tuff stone of Epomeo; the most important in terms of intensity and morphological transformation, its violence created a caldera which was invaded by the sea and later filled with the accumulation of piroclastic material that erupted from numerous eruptive vents on the island. 
Mount Epomeo is not a volcano but rather a sort of tuff stone column pushed up by the magma beneath. At an altitude of 787 metres, it is the highest point on the island. On the eastern side of its base are  numerous eruptive centres, the product of past effusive and explosive activity that has often taken place after long periods of quiescence. The last eruption was that of the Arso which took place in 1302 AD. Today, the island has important hydrothermal and fumarolic activity which is the manifestation of an uncalmed activity beneath the ground. A few years ago a loud rumble on the side of Forio caused alarm but it turned out to be only a vapour jet which had been suddenly released from beneath the hillside. 
Tuff stone is easily eroded by the elements – wind, sun and water. This explains the vast number of boulders balanced precariously on the steep slopes of Monte Epomeo. An earthquake could easily shake the ground and cause them to tumble down the mountain. Amazingly enough, one of the biggest of these did fall down in the past and was then chiselled and sculpted into a house which is now inhabited.
Monte Nuovo (1538)
The Phlegraean Fields are a particularly complex and extensive volcanic area with numerous eruptive centres. One of the most violent eruptions, the Campanian Ignimbrite, took place about 39,000 years ago while the Neapolitan Yellow Tuff Stone eruption took place 15,000 years ago. The most recent eruption was that of 1538 which in a week formed Monte Nuovo, destroying a village and transforming the landscape around it.
Classical iconography has always associated Naples with the Vesuvius. However the city’s real volcano is the Phlegraean Fields whose yellow tuff stone, the product of numerous eruptions over the centuries and millenia, lies beneath it. The construction of the city over the centuries has been characterised by the use of yellow tuff stone dug out from open air quarries, underground galleries and frequently even dug out in vertical shafts beneath the building that was then built with the extracted stone. This technique of stone extraction created large underground cavities which after being plastered served as cisterns for collecting rain water (see figure on the left). The subsoil is consequently riddled with cisterns and shafts which in the Greek and Roman period had already given rise to aqueducts with flowing water.
Cava sotterranea di tufo giallo appena scoperta
in località Piscinola (NA)

This incredible network of water canals, cisterns and wells which reached courtyards, and stairwells within houses needed maintenance from workers called the ‘pozzari’. To work in such narrow spaces they needed to be of small stature. They wore a light covering of sacking as protection from the cold and as protection for their clothes which would otherwise have been torn by scraping against the stone walls of the narrow shafts. It is likely that the figure of the ‘pozzaro’ gave rise to the legend of the ‘monaciello’ the ethereal child, generous if  at times also mischievous, so beloved by Neapolitans. The ‘monaciello’ however, is found not only in Neapolitan folk tradition but all along the Sorrento coast where there are also banks of tuff stone that have been perforated with shafts and  wells. And so we always leave a little piece of bread on the table after dinner for him…
The grey tuff stone of  Sorrento was produced by the fall of pyroclastic material from the Phlegraean Ignimbrite eruption (Archiflegreo). Surface lithoid banks are visible, above all, in cliffs overlooking the sea. Caves dug out over the centuries to extract stone for building and used as shelters or boat yards (monazeni) can also still be seen from the sea.
The figure above shows the "eye of the mountain", the initial, circular part that is dug out, widening as it descends, forming a bell shape. Stairs cut into the stone walls are also visible with signs of soot left by oil lamps.

Tratto dell'acquedotto romano sotterraneo che adduce a una
 cisterna  in zona Chiatamone (NA)
The photo on the left shows a branch of the aqueduct. In the foreground the base of the water canal in the shape of an upside down rectangle is plastered to protect it from  free flowing water (tuff stone is not impermeable) From canal to canal and cistern to cistern, the water network served the entire city. During the Greek and Roman periods the aqueduct, known as the Bolla, was second longest only to that of ancient Carthage. 
In 1629 Don Cesare Carmignano, assistant to the engineer Alessandro Ciminello, designed the enlargement of the aqueduct, by now inadequate to satisfy the increasing needs of the city. He provided it with new waters extracted from Sant'Agata dei Goti in the Benevento area. Known as the Carmignano after its planner, it remained in use until 1885 after which it was closed up following the numerous epidemies that hit the city.
The tuff stone, literally showered on the city by explosive volcanic eruptions together with lapilli and pozzolana were to be irreplaceable building materials while the incomparably fertile soils still provide nourishment for precious vines, fruit trees and tomatoes. Tuff stone has been transformed into tombs, cisterns, temples, castles, cathedrals and aqueducts. It has served to build city walls and fortifications. In the Second World War the subsoil of Naples was used for air raid shelters which saved the lives of hundreds of people.
The salubriousness of the Phlegraean Fields and the fertility of its soil still make it, together with the Bay of Naples a desirable destination for a cultured tourism that wishes to relive the splendours of Roman civilisation.


Neapolitans live out a strange relationship with their volcanoes, debateable and illogical, but also romantic and fatalistic. A bond that today is particularly difficult, given the excessive increase in population that instead of proliferating far from eruptive vents has created a demographic stranglehold around them. Like living in front of a cannon barrel; safety will depend on the length of the fuse and how early on we will be able to see the spark!

Translation: by Lisa Norall