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mercoledì 26 febbraio 2025

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: il bradisismo e la radice magmatica.. di MalKo

 

Il Golfo di Pozzuoli visto da Monte Nuovo.


I Campi Flegrei continuano a preoccupare i cinquecentomila cittadini che negli anni si sono insediati nella turbolenta caldera. La vita qui procede tra uno sciame sismico e l’altro, e la maggior parte dei puteolani vorrebbe certezze per poter decidere come vivere e dove vivere, senza subire il condizionamento delle possenti forze endogene che sembrano però, almeno e fino ad adesso, che si manifestino più per avvisare che per distruggere.

Il 18 febbraio 2025 presso le strutture comunali di Pozzuoli si è tenuto un dibattito pubblico sul bradisismo. Il direttore dell’osservatorio vesuviano ha aperto il confronto con una premessa tendente a sottolineare pure l’impegno indefesso del personale INGV ubicato negli uffici di Bagnoli. Un’attività di sorveglianza strumentale, precisa il dirigente, che si sviluppa anche nella parte calderica sottomarina che ha dinamiche simili a quella terrestre. Il sindaco di Pozzuoli invece, incalzato dai partecipanti, a un certo punto  ha sbottato chiamando in causa l’inerzia delle istituzioni che per quarant’anni non hanno fatto niente: osservatorio vesuviano compreso…

Il nuovo capo dipartimento della protezione civile ha tentato di mantenere il dibattito a un livello accettabile, riferendo in un impeto di verità e sotto la spinta incalzante di una domanda, che se i terremoti dovessero arrivare o superare la soglia del 5° Richter, cadono i palazzi e conto i morti: funziona così!

L’assessore alla protezione civile del comune di Napoli invece, successivamente e a proposito del bradisismo, ha dichiarato che:<< la natura del problema è una degassificazione della massa di magma. Questa massa è ferma ma c’è un gas che sale e spinge, questa è la genesi del bradisismo che esiste da molte migliaia di anni>>.  Se l’assessore ci assicura che il magma è fermo, l’osservatorio vesuviano da tempo ribadisce che grazie alle strumentazioni multi parametriche disseminate nella caldera a mare e in terra, ai loro strumenti non sfuggirebbe una eventuale ascesa del magma, consentendo così di allertare per tempo il dipartimento della protezione civile...

Notizie rassicuranti... d’altra parte invece, occorre aggiungere che nessuno è in grado di sancire con certezza quale sia la genesi del bradisismo, anche se il fenomeno in modo diretto o indiretto è inequivocabilmente legato alla presenza del magma nel sottosuolo, che forse, e per la parte intrusiva, sembra che giaccia a pochi chilometri di profondità. Secondo teorie che vanno per la maggiore, da questo ammasso rovente vengono rilasciate enormi quantità di gas, che diffondono calore attraversando gli acquiferi che si trasformano in vapore surriscaldato, producendo rigonfiamenti crostali fino ai limiti di rottura degli ammassi litoidi sovrastanti, generando così terremoti. 

Zona bradisismica e zona bradisismica ristretta (colore lilla).

L’incertezza c’è, perché in assenza di teorie deterministiche non si può escludere che il magma invece di trovarsi in una condizione statica si muova, magari periodicamente, magari lentamente e compulsivamente per effetto degli attriti, in tutti i casi spaccando e fessurando gli strati rocciosi, favorendo così il rilascio di calore per irraggiamento e convezione, generando nelle interfacce tra fluidi e rocce fuse sovrappressioni importanti. Non si può neanche escludere una via di mezzo tra le due teorie che prevedono un magma statico  ma a tratti anche dinamico. 

In sintesi, l’incertezza scientifica circa le cause del bradisismo nei Campi Flegrei continua ad essere tale: un po’ più certa invece, è la constatazione che i tempi d’intervallo tra una crisi bradisismica e l’atra sembra si siano accorciati. Gli ipocentri dei terremoti rimangono superficiali e racchiusi in un ambito calderico puteolano e poco oltre, così come le emanazioni gassose lasciano registrare portate volumetriche più da vulcano attivo che quiescente. Quanto possano essere preoccupanti questi segnali d’irrequietezza del vulcano, ce lo potrà dire solo la commissione grandi rischi.

In assenza di uno studio che metta fine alle perplessità scientifiche, dovrà essere compito precipuo delle maestranze istituzionali, lavorare in termini di prevenzione sui pericoli insiti in questo territorio, senza affezionarsi a quello sismico sminuendo quello vulcanico magari perchè portatore di deterrenza all'edilizia residenziale. Ricordiamo la profonda differenza che sussiste tra i due pericoli entrambi di origine naturale. Quello sismico comporta all’occorrenza l’allontanamento di poche decine di metri dal fabbricato per mettersi al sicuro: una misura prudenziale soprattutto se lo stabile non è integro o antisismico.  Per il pericolo vulcanico invece, è necessario allontanarsi dalla zona rossa flegrea a prescindere dalla resistenza strutturale dei palazzi, delle ville, delle abitazioni, che rimane un dato totalmente ininfluente.

Anche sui tempi di comparsa del pericolo c’è differenza: quello sismico ancorchè imprevedibile è di subitanea percezione fisica. Il pericolo vulcanico invece, nella sua forma massima dettata dall’innalzamento della colonna eruttiva, è un evento che forse e auspicabilmente potrebbe essere previsto ore prima dal centro di monitoraggio preposto a vagliare tutti i sintomi preeruttivi. L'analisi dei dati verrebbero condivisi con la commissione grandi rischi, che dovrà all'occorrenza esprimere un parere finale sull'allerta vulcanica. L’allarme in tutti i casi potrà essere diramato solo dalla presidenza del consiglio dei ministri.

Alla fine parliamo di due condizioni di rischio, quello sismico e quello vulcanico, a cui si aggiunge il pericolo insidioso delle eruzioni freatiche che potrebbero accompagnarsi a notevoli emissioni gassose che pure non vanno sottovalutate. Ci si può sottrarre definitivamente da questi rischi potenziali, solo andando a risiedere fuori dalla zona rossa dei Campi Flegrei. Con questi presupposti, francamente le politiche di resilienza gridate a vessillo di autodeterminazione del popolo puteolano, sono di difficile comprensione, diremmo di non senso, perché dei fenomeni che stiamo discutendo non v'è alcun indice di durata conosciuto. Quindi non si tratta di resistere qualche anno, bensì per chissà quante generazioni. D’altro canto sono gli stessi esperti che, discutendo del bradisismo, lo definiscono un fenomeno ultra millenario… Allora quella sulla resilienza è una propaganda non innocua, perché questo pourparler potrebbe non fare gli interessi delle popolazioni esposte, ma neanche di quelle future, visto che erediteranno manufatti e bel panorama, ma con tanto di rischio annesso.

C'è poi l'idea avanzata dall’intergruppo Sviluppo Sud, Aree Fragili e Isole Minori, di utilizzare il patrimonio edilizio dell'entroterra campano che, per una serie di motivi è stato abbandonato, e che secondo le loro valutazioni può essere utilmente riutilizzato dai cittadini che all'occorrenza devono evacuare i territori vulcanici napoletani. Occorre dire nel merito, che se certi territori si sono spopolati sicuramente la motivazione dovrebbe essere ricercata nella mancanza di servizi, di lavoro e di moderni ed efficaci sistemi di collegamento ferroviario e viario senza contare la denatalità incalzante. E poi queste dimore come verrebbero assegnate e a che titolo agli evacuati: comodato d'uso? Vendita? Affitto? E chi dovrebbe provvedere intanto alla loro manutenzione e riqualificazione  antisismica straordinaria e periodica? Lo Stato non può assegnare strutture fatiscenti e vulnerabili sismicamente o peggio ancora soggette a frane e alluvioni a cittadini in fuga dall'eruzione. E in linea di principio non può neanche assegnare una abitazione a chi una casa già ce l'ha... Diverso sarebbe il discorso post eruzione, ma siamo sicuri che in questo caso buona parte dei cittadini allontanati pretenderebbero una dimora a ridosso delle grandi città campane, col fine di rinascere dalla catastrofe.

Da un punto di vista tecnico, la criticità attuale della caldera flegrea è racchiusa negli intervalli delle crisi bradisismiche che sono sempre più brevi mentre i sismi più intensi e l'insieme è accompagnato da incertezza interpretativa sul rischio vulcanico. In prima battuta bisogna fare i conti con i terremoti proprio in ragione della loro frequenza. Per assicurare protezione, è possibile stanziarsi in via provvisoria in tende, roulotte o container possibilmente non particolarmente in vista per motivi di privacy. L’utilizzo di strutture temporanee che dovrebbero sorgere secondo alcune logiche fuori dalla zona bradisismica, risolverebbe in una certa misura il problema dell’incolumità fisica, senza che si occupino strutture di pubblica utilità come le scuole. A proposito delle scuole, sarà sempre il capo d'istituto a decidere l'eventuale abbandono dell'edificio scolastico susseguentemente a una scossa di terremoto. La percezione del pericolo infatti, è in capo a chi sta sul posto e ha un ruolo decisionale.

La qualificazione sismica di tutti i fabbricati a partire da quelli pubblici e strategici ubicati all'interno della zona bradisismica, potrebbe essere l’unica strada percorribile nella direzione della prevenzione strutturale di difesa dai terremoti. Purtroppo neanche il più nervato dei fabbricati, pubblico o privato o strategico che sia, ancorché ricco di acciaio e cemento,  può fronteggiare la minaccia vulcanica, che racchiude in sé fenomeni altamente distruttivi e incompatibili con la vita umana.


Nella circonferenza rossa la zona a rischio vulcanico. In quella celeste si circoscrive 
la zona a rischio bradisismico, in quella lilla la zona bradisismica ristretta.

Volendo fare un discorso completo e magari impopolare, occorre dire che nel puteolano si potrebbe concretizzare un paradosso, un caso limite, cioè di edifici destinatari di risorse economiche importanti, e quindi abbattuti e ricostruiti o ristrutturati e riqualificati e resi antisismici che, per manifesto pericolo vulcanico, dovrebbero essere immediatamente abbandonati per dare corso all'evacuazione dalla zona rossa. 

E allora questa premessa chiama in causa le responsabilità politiche, perché la riqualificazione antisismica degli edifici se avverrà a spese dello Stato, sarà merito di tutti gli italiani chiamati a collaborare per la parte economica attraverso le tasse. Allora il buon amministratore della cosa pubblica, non può consentire di abbattere un fabbricato nella zona bradisismica ristretta destinataria di 3 livelli d’intervento d'emergenza, per poi ricostruire il manufatto nei dintorni e in ogni caso in zona rossa, cioè  quell’area che può essere flagellata dai flussi e dalle ondate piroclastiche…

Se dovesse manifestarsi un’eruzione esplosiva, il comprensorio che ne subirebbe le conseguenze sarebbe ben più ampio del solo bacino bradisismico, addirittura  potrebbe essere minacciata la stessa città di Napoli, quella storica, quella gialla, i cui contrafforti collinari di Posillipo potrebbero non essere sufficienti a proteggerla.

zona rossa e gialla Campi Flegrei


La possibilità che la prossima eruzione sia una fotocopia di quella che si manifestò nel 1538 con la nascita del Monte Nuovo, è una ipotesi in ogni caso non scevra da problematiche importanti, come quelle connesse all'applicazione del piano di evacuazione nella sua interezza, atteso che la zona è pesantemente urbanizzata. In tutti i casi, questa ipotesi sussurrata nei corridoi scientifici, non è una certezza asseverata da elementi probatori importanti, e quindi pur auspicandola nella peggiore delle ipotesi come male minore, non bisogna smettere di indicare l’intera caldera come settore a rischio. D’altra parte come più volte è stato detto, non si conosce neppure il punto eruttivo della futura eruzione, e neanche se la bocca sarà una sola.

Nel frattempo la politica dovrebbe perseguire il perseguibile, mettendo a punto i piani di emergenza e di evacuazione con profondo senso pratico tenendo in debito conto quelli che potrebbero essere i comportamenti delle persone a fronte di allarmi vulcanici, bradisismici, sismici, da eruzioni freatiche e da rilascio massivo di gas magmatici. Poi, un'evacuazione con l’eruzione alle spalle fu seccamente esclusa dal dipartimento della protezione civile. Purtuttavia una siffatta condizione è una probabilità remota ma non fantascientifica da valutare attentamente...

                                                                     di Vincenzo Savarese





sabato 25 marzo 2017

Vesuvio e Campi Flegrei: quale livello di allerta vulcanica?... di MalKo



Vesuvio da Castellammare di Stabia


Chi segue i nostri articoli, conosce la tabella concepita dal mondo scientifico per illustrare i vari livelli di allerta vulcanica che caratterizzano sinteticamente lo stato geologico di un vulcano.

I passaggi da un livello all’altro non avvengono sulla scorta di valori geofisici e geochimici ben determinati, anche se possiamo dire che il primo livello di allerta, cioè lo stato di attenzione vulcanica, viene sancito senza particolari sofferenze. Non si può dire la stessa cosa per il preallarme e l’allarme, anche perché questa più che preoccupante condizione non è stata mai diramata ufficialmente, né per il Vesuvio e né per i Campi Flegrei. Sarebbe un’esperienza scientificamente e operativamente parlando totalmente nuova…


In linea generale possiamo dire che il livello base è quello che caratterizza un’attività di fondo definibile normale per un distretto vulcanico quiescente. Vale a dire che le possenti forze endogene che ci sono e comunque in una qualche misura si monitorano, riescono ad essere contenute con una certa disinvoltura dalle forze statiche che le sovrastano, in termini di peso e di consistenza della coltre crostale. Il livello base però, non significa automaticamente un livello di pericolosità zero, bensì solo basso… Il Vesuvio attualmente rientra in questa classificazione.

La fase di attenzione vulcanica indica che uno o più parametri che contraddistinguono la quiescenza sono cambiati, il che può sottintendere un processo di riequilibrio delle forze interne o diversamente che il magma grazie alla sua temperatura, densità e pressione, inizia a premere e a insinuarsi dal fondo sulle rocce sovrastanti comprensive di magma degassato, fratturandole, inducendo terremoti, riscaldando e rilasciando dei gas che trapelano in superficie, soprattutto se le masse crostali hanno una notevole fratturazione… Il distretto vulcanico e metropolitano dei Campi Flegrei,da quasi 5 anni è in una condizione geologica di attenzione vulcanica.

Se l’incedere del magma, a volte con andamento impulsivo, non perde vigore e i dati sismici, e di temperatura e di composizione dei gas fumarolici, così come la deformazione del suolo, lasciano registrare un incremento seppur minimo ma progressivo e al rialzo dei valori precedentemente registrati, si passa a un livello di allerta vulcanica di pre allarme.

Una ulteriore variazione dei parametri monitorati con deformazioni, e sismicità e tremori sempre più insistenti, possono dettare il passaggio alla drammatica fase di allarme vulcanico.
La tabella in alto a cui facevamo riferimento all’inizio, ci evidenzia che l’utilizzo del plurale a proposito dei parametri monitorati è una costante fissa, anche se riteniamo che l’argomento possa essere oggetto di qualche osservazione: ad esempio se dovesse cambiare solo la sismicità locale in termini di intensità e frequenza, dovrebbe essere difficile non ritenerlo un parametro che già da solo vale almeno un pre allarme… Qualsiasi passaggio di livello di allerta comporta certamente l'analisi di dati strumentali che devono comunque essere corroborati  da valutazioni da parte dei componenti della commissione grandi rischi - settore rischio vulcanico -  e dal rappresentante dell'Osservatorio vesuviano (Centro di Competenza) e probabilmente da altri esperti del settore. Non ci sono soglie strumentali ovvero automatismi per il passaggio da una fase all'altra dell'allerta.

I vulcani non hanno una ritualità pre eruttiva standard e riservano sorprese. Questo è il grande problema di fondo della previsione delle eruzioni. L’eruzione del vulcano Mount St Helens nel 1980, avvenne quando i terremoti si sedarono e il pericolo eruttivo sembrava oramai quasi scongiurato. Il vulcano Rabaul con la sua caldera simile ai Campi Flegrei, eruttò con un preavviso inferiore ai due giorni…

Nella vecchia pianificazione nazionale d’emergenza dell’area vesuviana, la componente scientifica costituita prevalentemente dall’Osservatorio Vesuviano, citava come dati di riferimento per la variazione dello stato di allerta vulcanica 7 livelli di rischio, affiancati dai rispettivi tempi di attesa eruzione (tavola in basso).


 

Il dato che si coglie in questa classificazione, è una razionalizzazione dell’incedere dei prodromi vulcanici ad andamento modicamente progressivo. Una condizione diciamo subito ideale da un punto di vista operativo, ma purtroppo e nella realtà, senza una sicura corrispondenza della progressività dei fenomeni che, pochi lo dicono, possono di fatto far passare il livello da un'allerta all'altra più velocemente dei tempi necessari per mettere in piedi un conclave scientifico.

La comunità scientifica certificò nel 1995 che un’eruzione del Vesuvio era preventivabile con un anticipo di 20 giorni: il dato desta sicuramente qualche perplessità. Bisognava riflettere poi, che una cotale previsione ottimistica del fenomeno vulcanico vertente non si sa su quali soglie di riferimento, poteva funzionare pure nel senso opposto, cioè che era possibile escludere un’eruzione nei successivi venti giorni a venire.

Successivamente a questa prima relazione scientifica, nelle elaborazioni strategiche delle pratiche di difesa della popolazione vesuviana dal rischio vulcanico, si è cominciato a sancire in 14 giorni il tempo intercorrente tra la previsione dell’eruzione e l’eruzione stessa. Questi 14 giorni si pensò poi di dividerli tra preallarme e allarme e, quindi, si ritenne in 7 giorni il tempo utile intercorrente tra l’allarme e l’eruzione.

Un piccolo aneddoto: al livello di rischio 4 III fase (allarme), l’Osservatorio Vesuviano nell’anteprima dei livelli di allerta a proposito dei tempi di attesa eruzione scrisse: da alcuni giorni a settimane. Dalla città di Portici segnalammo all’Osservatorio Vesuviano che, con tempi d’attesa eruzione misurati in un minimo di alcuni giorni, misura che può anche equivalere a due giorni, c’erano seri problemi di fondo nella strategia di allontanamento, perché il piano di evacuazione contemplava un minimo di 7 giorni per spostare le popolazioni dall’area vesuviana. Arrivò subito la correzione che stabiliva un tempo minimo di attesa eruzione al rischio 4 III fase, misurato in una settimana…

L’attualità invece, con grande meraviglia è addirittura più stringente sui tempi e più efficiente nelle pratiche evacuative (Vesuvio). La previsione del fenomeno vulcanico infatti, potrà contare oggi su un anticipo predittivo di solo 72 ore.  Perché per l’applicazione dei piani di allontanamento della popolazione hanno ritenuto sufficiente 48 ore. Tutto calcolato allora! 12 ore per organizzarsi; 48 ore per traghettare altrove le 800.000 anime vesuviane e le rimanenti 12 ore sono considerate grasso che cola, una sorta di surplus a disposizione per recuperare qualche ritardo accumulato…

I Campi Flegrei oggi sono stati fagocitati urbanisticamente e territorialmente dall’area occidentale metropolitana napoletana. Nel vascone calderico flegreo dimorano circa 550.000 abitanti. Le recenti sintomatologie di instabilità geologica hanno creato apprensione nella comunità che solo oggi scopre di vivere in un vulcano.

Già negli anni 70’ e 80’ i Campi Flegrei balzarono alla ribalta con il famoso bradisismo, che all’epoca non si collegava tantissimo con l’ascesa del magma, col rischio eruttivo per intenderci, tant’è che spostarono alcune migliaia di abitanti dai vecchi caseggiati del Rione Terra ai nuovi insediamenti di  Monteruscello, località ubicata sempre all’interno del comune di Pozzuoli. Cioè da zona rossa a zona rossa…

Ai Campi Flegrei esistono alcune tesi per giustificare il sollevamento dei suoli. Sinteticamente: vapore soprassaturo che gonfia gli strati mediamente superficiali; intrusioni magmatiche che si spingono verso la superficie; oppure una miscellanea di entrambi i fattori con la prevalenza a volte di uno a volte dell’altro.

Il vulcano Popocatepetl (Messico), è alto 5452 metri e in cima ha una corona di ghiacci perenni. Dal 1538 si contano 18 eruzioni.

Il Cenapred e il Sinaproc, cioè il Centro Nazionale per la Prevenzione delle Catastrofi e il servizio nazionale della protezione civile messicana, hanno messo a punto da tempo e per la tutela dei cittadini, una sorta di semaforo di allerta vulcanica.

Troviamo in questo caso molto interessante quello che capeggia sulla parte gialla che riguarda la fase di Alert, corrispondente alla nostra attenzione: remain aware and get ready for a possible evacuation (Bisogna essere consapevoli e preparati per una possibile evacuazione).

I Campi Flegrei sottoposti a un livello di allerta gialla, cioè di attenzione, di recente hanno destato preoccupazioni soprattutto a cavallo di alcuni sciami sismici. In questi giorni la stasi geologica sembra mantenere: Il suolo non ascende e non cala; la temperatura alle fumarole di Pisciarelli segna stabilmente 112° C. e l’emissione di anidride carbonica si mantiene costante senza alcuna accelerazioni. Ma non ci si può illudere che il respiro del vulcano si sia nel breve esaurito. C’è chi afferma che l’eruzione del Monte Nuovo del 1538 sia stato l’evento foriero della ripresa eruttiva dei Campi Flegrei, e non il rantolo finale dell’attività vulcanica.

Ci si chiede allora se qualche mese fa eravamo nei Campi Flegrei ai limiti dello stato di preallarme. Da un punto di vista tecnico possiamo affermare che lo stato di preallarme è già insito potenzialmente nello stato di attenzione vulcanica che  comunque ha un suo range oscillativo.
Valga allora e alla stregua, il concetto espresso dal manifesto per il Popocatepetl: si tenga presente la possibilità che dallo stato di attenzione vulcanica si possa passare a una fase di allarme vulcanico nel volgere di pochissimo tempo. Già nella fase gialla allora, bisogna essere preparati per un’evacuazione, e francamente noi non lo siamo mentalmente, scientificamente, tecnicamente, politicamente e operativamente.

C'è anche qualche stranezza, come ad esempio l'accordo che  l'Osservatorio Vesuviano ha stipulato con il Dipartimento della Protezione Civile a proposito dei dati di monitoraggio vulcanico su cui pesa in modo antidemocratico una clausola di segretezza (censura?). Come del resto è inspiegabile e insopportabile che i dati sismici che potrebbero essere diffusi online in tempo reale, subiscano invece un ritardo di pubblicazione di dieci minuti: la sismicità è il principale elemento di previsione del pericolo eruttivo...
Che poi non ci sia nessuna organizzazione di protezione civile per fronteggiare con metodo e disciplina un allarme vulcanico anche nella zona flegrea è un fattore di una gravità assoluta. Ma è anche un dato che non riesce ad emergere in assenza di pericolo...





giovedì 26 gennaio 2017

Campi Flegrei 2017: controllare il super vulcano... di MalKo



Pozzuoli. Solfatara. Le nuove fumarole di Pisciarelli. Foto: Carmine Minopoli 

I Campi Flegrei sono una vasta caldera vulcanica che caratterizza i territori ubicati nella parte occidentale della metropoli napoletana. Circoscrizioni popolose come Fuorigrotta, Bagnoli, Soccavo e Pianura, così come i territori di altre municipalità quali Pozzuoli, Monte di Procida, Bacoli e Quarto, comportano l’esposizione di oltre mezzo milione di persone al rischio vulcanico a causa della totale promiscuità con il quiescente super vulcano flegreo…
Il vulcano flegreo da un po’ di anni dà segnali geofisici e geochimici di una crescente vivacità geologica ancora tutta da decifrare. L’alito rovente del vulcano comunque si percepisce… La zona calderica in un certo qual senso ribolle, con emissioni notevoli di anidride carbonica che si diffondono nell’area della Solfatara, così come le temperature delle manifestazioni idrotermali che in alcuni punti pare siano significativamente aumentate.
Qualche evento sismico a sciami, altri isolati, e il bradisismo che ha ripreso seppur lentamente a deformare il fondo calderico, sono tutti sintomi che lasciano aperta anche l’ipotesi dell’ingressione di magma fino a pochi chilometri dalla superficie. Tutti questi elementi che sono l’ordinario per un distretto vulcanico attivo, hanno destato non poca apprensione in chi istituzionalmente è preposto alla sorveglianza del vulcano flegreo.
Il Dott. Giovanni Chiodini è un dirigente di ricerca dell’INGV, e per molto tempo ha monitorato la geochimica dei fluidi del super vulcano flegreo, evidenziando e pubblicando anche recentemente su Nature Communications, i risultati di alcune interessantissime ricerche.
Dott. Chiodini, un magma cosa trascina e rilascia raggiungendo la superficie?
I magmi muovendosi verso la superficie si depressurizzano e rilasciano le sostanze volatili, quali acqua e anidride carbonica, originariamente disciolte nel prodotto fuso.
Dalla qualità e quantità delle emissioni rilevabili in superficie, è possibile capire se il magma in profondità è acido o basico?
Non è semplice, perché le emissioni che si colgono in superficie, spesso non sono totalmente rappresentative della qualità del magma sottostante, le cui emanazioni gassose possono essere soggette a contaminazione trapelando tra rocce e acquiferi. Questi ultimi ricevendo calore, possono bollire anche con una certa intensità producendo vapori che si mescolano ai fluidi gassosi in ascesa dal sottosuolo, per poi sfociare in superficie a volte anche con una certa dirompenza.
Nonostante queste difficoltà, nel caso delle fumarole della Solfatara un tentativo di riconoscere il tipo di magma dai vapori che raggiungono la superficie è stato fatto un paio di anni fa. I risultati sono stati pubblicati nella rivista di riferimento per la comunità internazionale dei geochimici (Geochimica et Cosmochimica Acta), e indicano che parte dei gas che formano le fumarole della Solfatara potrebbero essere emessi da un magma di tipo basico.
Nei Campi Flegrei, pare accertato la presenza di intrusioni magmatiche fino a tre chilometri dalla superficie. E’ così?
Non proprio: la vulcanologia purtroppo non è una scienza esatta e spesso gli stessi dati vengono interpretati in modo differente dai vari ricercatori che li studiano. Nel caso dei Campi Flegrei, molti degli episodi di deformazione sono stati intesi come dovuti a processi d’aumento di pressione del sistema idrotermale che si trova sopra una non meglio localizzata camera magmatica. Fa eccezione la crisi bradisismica del 1983/1984 che è stata interpretata da più autori come dovuta all’arrivo di magma a profondità relativamente basse (3-4 km). Più recentemente si è pensato al coinvolgimento diretto del magma in un altro episodio di deformazione intensa, quello registrato nel 2012/2013. Penso però, e nel merito ho pubblicato anche diversi lavori, che comunque c’è coinvolgimento di gas magmatici, e quindi a una qualche profondità non iper chilometrica c’è magma.

Questi gas magmatici risalendo verso la superficie pressurizzano il sistema idrotermale e in parte causano la deformazione del terreno quale manifestazione poi rilevabile in superficie. Quello che ipotizziamo nel lavoro su Nature Communications, è che i gas emessi dal magma si stanno arricchendo nel tempo in vapore acqueo. Il vapore condensando al contatto con le rocce rilascia calore e le scalda. Questo processo a sua volta causa una deformazione perché, ad esempio, le rocce in profondità aumentano di volume per espansione termica. L’aumento di volume di una parte delle rocce causa a sua volta uno stress nelle rocce circostanti che possono fratturarsi generando un po’ di quei “micro” terremoti che recentemente avvengono in modo più frequente rispetto agli anni precedenti (ad eccezione ovviamente della crisi bradisismica del 1983-84).
Stefano Caliro e Giovanni Chiodini - Bocca Grande - Solfatara

Il fratturarsi delle rocce causa a sua volta un aumento della loro permeabilità favorendo quindi un’ulteriore risalita dei fluidi dal profondo. Tali processi, legati allo scambio termico, avvengono in tempi più lunghi di quelli ad esempio legati ad una eventuale intrusione di magma o al semplice aumento di pressione del sistema idrotermale. E i tempi lunghi stanno caratterizzando l’attuale deformazione dei Campi Flegrei: a tal proposito voglio ricordare che il processo è iniziato più di 10 anni fa.
Secondo alcuni autori, ci sono state recentemente intrusioni di magma nel sottosuolo dei Flegrei ed io non ho elementi esaustivi per confermare o smentire attraverso l’analisi geochimica queste conclusioni. I miei studi indicano comunque, che ci sono gas magmatici in abbondanza, e che la loro risalita sta scaldando il sottosuolo dell’area flegrea…
Nel corso degli anni, anche rispetto agli archivi storici, le emissioni di anidride carbonica nell’area flegrea come sono cambiate in termini quantitativi?
Dagli archivi storici purtroppo non abbiamo nessuna informazione quantitativa, perché le tecniche per misurare i flussi di CO2 rilasciata dal suolo sono state messe a punto solo recentemente (alla fine degli anni ’90). Dal 1998 ad ora, in collaborazione con colleghi dell’Università di Perugia, abbiamo fatto una trentina di campagne di misura che includono il cratere della Solfatara e le zone circostanti (Pisciarelli ecc.).
Una prima elaborazione dei dati acquisiti fino al 2008 è stata pubblicata nel 2011 sulla rivista Journal of Geophysical Research. Lo studio mostrava che l’area vulcanica che emette CO2 si è espansa (in pratica era raddoppiata in pochi anni), a partire dal 2003: ora stiamo lavorando per aggiornare quelle elaborazioni. Le posso anticipare che il processo di espansione è continuato anche dopo il 2008, e che i flussi totali di CO2 emessa dai suoli dell’area indagata (circa 1.4 km2), sono approssimativamente raddoppiati dal 2003 ad oggi. Si parla di quantità notevoli di gas, dell’ordine di 2000 tonnellate al giorno: in altri vulcani flussi simili caratterizzano crateri attivi, mentre ai Campi Flegrei vengono emessi in modo diffuso da un'area superficiale molto estesa.
Nella zona di Oliveto Citra (Salerno), da alcuni pertugi nel terreno fuoriesce anidride carbonica e idrogeno solforato probabilmente all’origine di una moria di animali di taglia bassa. La zona di Pisciarelli potrebbe alla stregua essere pericolosa? 
Ho studiato in dettaglio questo tipo di emissioni di CO2 fredda (l’H2S compresa), e qualche anno fa abbiamo pubblicato un catalogo online di quelle presenti nel territorio italiano (http://googas.ov.ingv.it/). In Italia ce ne sono qualche centinaio, e gli incidenti purtroppo spesso interessano anche le persone e non solo gli animali.
Oliveto Citra (Salerno). Emanazioni gassose dal sottosuolo. Foto MalKo
Una delle emissioni più famose che nel tempo ha causato numerosi incidenti mortali, è quella delle Mefite d’Ansanto, in Irpinia. Il problema con queste emissioni fredde è che l'anidride carbonica è più densa dell’aria e tende ad accumularsi nelle depressioni topografiche formando, in condizioni di assenza di vento, fiumi e laghi di gas invisibili, che diventano a volte delle vere trappole mortali. Dove le emissioni sono calde, come alle fumarole della Solfatara e di Pisciarelli, il gas è più leggero dell’aria e si disperde con maggiore facilità senza formare accumuli pericolosi. Problemi potrebbero esserci nelle zone periferiche flegree dove il gas esce magari da suoli freddi.
I laghi vulcanici flegrei potrebbero essere all’origine di un’eruzione di tipo limnico?
Al lago Averno episodicamente succede una sorta di mini eruzione limnica con prodotti gassosi che si liberano dal fondo e rimangono confinati all’interno delle acque lacuali per poi disperdersi lentamente in superficie. Il dato visibile del fenomeno è la diffusa moria di pesci com’è successo nei primi dieci giorni di gennaio di quest’anno.
Sull’argomento avemmo a scrivere già nel 2008. In pratica il lago normalmente presenta delle stratificazioni dettate da acque più ricche in sali e in gas, fra cui l'idrogeno solforato concentrato negli strati più profondi. Nella parte superiore invece, ristagnano acque normali, meno saline e con una sufficiente concentrazione di ossigeno dove i pesci possono vivere. Quando la temperatura esterna diventa molto bassa, le acque superficiali diventano più dense (l'acqua ha il massimo di densità a 4°C), quindi più pesanti delle sottostanti e invivibili acque saline ricche in idrogeno solforato e senza ossigeno. Questa differenza di densità genera l’inversione di posizione delle masse d’acqua stratificate, e quindi la moria di pesci nei primi dieci metri di profondità è un fatto ineluttabile.  Possiamo concludere che a parità di condizioni, il processo d’inversione di posizione delle masse d’acqua lacuali, sono il frutto delle variazioni climatiche prima ancora che di quelle vulcaniche.
La più catastrofica eruzione limnica si verificò nel 1986 in Camerun, quando nel 1986 dal lago Nyos si sprigionò una nube di CO2 che uccise 1800 persone che abitavano nelle valli adiacenti. Anche in quel caso il processo fu innescato dalla risalita in superficie delle acque profonde molto ricche in CO2. Fortunatamente il lago Averno è poco profondo e non ci possono essere accumuli rilevanti di gas. Purtuttavia come abbiamo chiarito precedentemente, nel nostro caso il processo causa la morte dei pesci ma non la fuoriuscita di quantità pericolose di gas dalle sponde del lago.
Solo nella zona di Pisciarelli si nota un incremento di CO2? Se sì questo significa che il vulcano Solfatara potrebbe essere il punto superficiale d’ascesa di una vena magmatica?
L’incremento nei flussi di CO2 interessa tutta la zona che indaghiamo (Solfatara e Pisciarelli inclusi). Nelle zone orientali del cono della Solfatara (Pisciarelli, via Scarfoglio) gli incrementi sono stati più elevati. Questo non significa necessariamente che ci sia del magma sotto la Solfatara e Pisciarelli. Le emissioni della Solfatara nel loro complesso potrebbero essere immaginate come quelle di un camino dove vengono convogliati i gas presenti in una porzione più grande del sottosuolo, che noi chiamiamo il sistema idrotermale della Solfatara.
Generalmente nel campo degli incendi le forti temperature indeboliscono talmente le strutture metalliche e lo stesso calcestruzzo al punto che si piegano travi e pilastri e con essi cedono strutturalmente interi palazzi. Ci sembra di capire che un fenomeno simile di perdita di resistenza statica dovuto all’ascesa del magma e al calore che esso diffonde tramite i fluidi caldi, indeboliscano particolarmente la struttura crostale superficiale al punto da consentire al magma di vincere le resistenze ed eruttare.  E’ così? 
Questo potrebbe essere il pericolo della crisi attuale dei Flegrei.
Il magma flegreo genera intrusioni perché è particolarmente ricco di fluidi o, viceversa, le intrusioni sono frutto di una particolare e labile e iper fratturata struttura crostale?
Tutti i magmi tendono ad introdursi nella crosta terrestre, anche quelli meno ricchi di fluidi rispetto ai magmi Flegrei. Sicuramente la presenza di fratture e discontinuità preesistenti facilita il processo d’intrusione magmatica.
Ci sembra altresì di capire che le intrusioni magmatiche fermano la loro ascesa in superficie quando diventano troppo dense per la perdita di gas e vapori. Quindi sono di modestissime proporzioni?
I volumi coinvolti non sono conosciuti (come le dicevo sopra, non c’è nemmeno accordo sulla presenza di intrusioni superficiali recenti…). In ogni caso gli indizi fanno pensare eventualmente a intrusioni “piccole”, anche considerando che le eruzioni flegree degli ultimi 10 mila anni sono state in genere di modesta taglia…
Il bradisismo puteolano ha origini diverse legato al calore di fondo o ha strette correlazioni con le intrusioni magmatiche?
Le ripeto che su questo punto c’è dibattito scientifico. Secondo il mio parere, le cause sono differenti e probabilmente comprendono anche piccole intrusioni magmatiche. Penso tuttavia che la pressurizzazione del sistema idrotermale e il suo riscaldamento ad opera di gas magmatici, abbiano attualmente un ruolo importante.
Allo stato dei fatti i Campi Flegrei sono il distretto vulcanico da temere maggiormente?
Posso esprimere solo la mia opinione: penso di sì.
Esistono studi simili a quelli da Lei condotti nel flegreo anche per il Vesuvio e Ischia?
Il nostro gruppo ha pubblicato nel passato lavori sui sistemi idrotermali di Ischia e del Vesuvio, ma senza riferimenti ai risultati e metodologie utilizzate nel lavoro recentemente pubblicato su Nature Communications, perché questi sono per molti aspetti nuovi. Mi auguro che i risultati ottenuti possano servire in futuro per meglio interpretare i segnali di altri vulcani quiescenti (non solo Ischia e il Vesuvio ma in generale di tutti quei sistemi dove queste nuove metodologie sono applicabili). Il nostro obiettivo finale è quello di capire meglio i processi che controllano la dinamica dei vulcani dormienti, in modo da poterne prevedere l’evoluzione futura …
Il confronto internazionale è importante per la previsione del rischio vulcanico?
Come le accennavo in precedenza, la vulcanologia non è una scienza esatta. Il confronto internazionale fra differenti ricercatori è fondamentale per progredire e per meglio interpretare le fasi potenzialmente pre-eruttive dei vulcani.
Ringraziamo il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, per l’interessante intervista che ci ha rilasciato,  che ha il pregio della chiarezza e dell’attualità sulla ricerca geochimica legata ai vulcani.
Il nostro punto di vista conclusivo è certamente orientato sulla necessità di dare spazio e risorse alla ricerca scientifica che si occupa anche di vulcani, perché il meridione della nostra stupenda Penisola è costellato da terre vulcaniche che si caratterizzano per un’antropizzazione senza precedenti.
La recente emergenza che ha segnato in terra d’Abruzzo una sovrapposizione di eventi tragici, dal terremoto alle inclemenze meteorologiche, ha visto un territorio impreparato ad affrontare le calamità così come la resilienza dei cittadini che decade rapidamente con la perdita delle utilità quotidiane e la tecnologia.
Questo significa che l’uomo è più fragile rispetto al passato, anche se vive più a lungo e più comodamente, ma troppo spesso è distratto e sottovaluta gli eventi estremi che noi chiamiamo catastrofi, mentre da un punto di vista planetario non sono altro che fattori certamente energetici ma di assoluta normalità per un Pianeta in perenne evoluzione.
Per quanto riguarda i Campi Flegrei, l’area è soggetta al primo livello di attenzione vulcanica. I processi geofisici e geochimici seppur lentamente incalzano, e questo recente studio del Dott. Chiodini sembra rilevare crepe nella resistenza della cappa crostale flegrea. Ciò induce a ritenere che non si può escludere che l’aggiunta di qualche altro piccolo tassello fornisca elementi di preoccupazione sufficienti a consigliare il passaggio alla fase di preallarme vulcanico.
i livelli di allerta vulcanica
Una variazione che può essere sancita solo dal capo del governo, sentito il Presidente della Regione Campania, il Capo Dipartimento Protezione Civile, la Commissione Grandi Rischi - Sezione Rischio Vulcanico e l’Osservatorio Vesuviano quale centro di competenza per il rischio vulcanico.
Il passaggio al livello di allerta vulcanica tarata sul preallarme comporterebbe l’evacuazione preventiva di ospedali e case di cura e la possibilità per i cittadini che hanno autonoma sistemazione di allontanarsi dai Campi Flegrei.
E’ ovvio che i territori se non si sono organizzati con piani di evacuazione e con istruzioni dettagliate racchiuse in un vademecum da rilasciare ad ogni famiglia dei Campi Flegrei, il disorientamento potrebbe innescare reazioni di popolo incontrollate. Premere il bottone arancione, per molti versi, è più difficile a pigiare di quello rosso…






venerdì 4 settembre 2015

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: bradisismo, magma e ricerca scientifica... di MalKo



Bordo occidentale Vulcano Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei

A leggere i resoconti delle situazione di rischio che caratterizzano nell’odierno i distretti vulcanici napoletani, per una serie di considerazioni i Campi Flegrei sono quelli che destano qualche preoccupazione in più. Lo dice lo stato di attenzione vulcanica a cui è sottoposta l’area calderica e principalmente la zona puteolana dove i valori geochimici e geofisici segnano mutamenti significativi e al rialzo.
Il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV – Osservatorio Vesuviano, in una interessantissima relazione chiarisce subito che i primi segnali di variazione dello stato di geo quiescenza dei Campi Flegrei si ebbero nel 2000 con una condizione di subsidenza dei suoli. Nel 2005 il fenomeno subisce un’inversione di tendenza e compare un bradisismo negativo che inizia a sollevare i terreni puteolani verso l’alto. L’area ad est della Solfatara comprendente i settori Pisciarelli e Scarfoglio, è sicuramente quella delle evidenze di questi cambiamenti con aumenti di temperatura e soprattutto di importanti emissioni di anidride carbonica dal sottosuolo.
Nel mese di Gennaio 2015 questa zona di degassamento emetteva circa 3000 tonnellate di anidride carbonica al giorno, collocandosi come sorgente naturale tra i primi dieci siti mondiali. Un valore che si registra di solito dai crateri attivi aggiunge Chiodini…
Il ricercatore conclude sottolineando che una eventuale trivellazione in questa zona sarebbe certamente una pratica che cozzerebbe frontalmente con il principio di precauzione, perché una tale portata di anidride carbonica a ridosso dei fabbricati non ha certamente bisogno di essere incrementata da interventi meccanici di fratturazione in un sottosuolo già ribollente e pregno di gas e vapori…

Con questa premessa introduciamo il recente studio a firma dei ricercatori dott. Luca D’Auria (INGV) e dott. Susi Pepe (CNR), che individuano in una sorta di iniezione magmatica il motivo del bradisismo flegreo, cioè l’innalzamento dei suoli, almeno nel periodo compreso da Gennaio 2012 a Giugno 2013. Secondo gli esperti, un filone di magma da una profondità di circa 8 chilometri, quota che localizza l’attuale ed estesa camera magmatica, si è diretto verso la superficie senza raggiungerla. Infatti, il magma in ascesa si è introdotto tra i vari strati crostali raggiungendo la quota di 3 chilometri per poi espandersi in senso orizzontale costituendo una sorta di lago magmatico sotterraneo (vedi disegno).
Schema (bozza) orientativo situazione del sottosuolo flegreo
La caldera vulcanica dei Campi Flegrei viene spesso citata quale sede di un super vulcano, tra l’altro dove dimorano migliaia e migliaia di persone. Una possibile eruzione potrebbe investire anche la città di Napoli, è questo spiega perché il sito è continuamente monitorato e genera apprensioni ad ogni piccolo mutamento.
Il Dott. Luca D’Auria, ricercatore dell’INGV, ha proprio la responsabilità della sala di monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano, ed ha condotto insieme a colleghi del CNR questa interessantissima ricerca che sembra fugare i dubbi circa l’origine del fenomeno bradisismico recente. Approfittiamo quindi di questa gentile disponibilità per approfondire l’argomento.

Dott. D’Auria, cosa hanno indicato i satelliti circa le deformazione del suolo ai Campi Flegrei?
Che tra il 2012 ed il 2013 all’interno dei Campi Flegrei c’è stato un aumento di volume di circa 4 milioni di metri cubi. Le nostre analisi hanno rivelato che questo incremento volumetrico è stato causato dall’espansione di una piccola camera magmatica superficiale, con una forma molto appiattita. Tecnicamente questo tipo di strutture geologiche è nota come sill.

E’ stata accertata l’intrusione magmatica all’origine del bradisismo recente? Esiste un punto d’iniezione preciso o la risalita del magma è diffusa seppur localizzata in una determinata zona flegrea?
Possiamo affermare che si tratta di magma anche attraverso il confronto con altre misure: ad esempio la composizione chimica delle fumarole. Dopo la crisi bradisismica del 1982-1984, anch’essa di origine prevalentemente magmatica, il movimento del suolo ai Campi Flegrei è stato causato essenzialmente dai fluidi idrotermali (acqua, gas e vapore) che permeano il sottosuolo calderico. Ogni volta che fluidi idrotermali vengono iniettati nelle rocce del sottosuolo flegreo, causano un piccolo sollevamento del suolo e, con mesi di ritardo, un cambiamento nella composizione chimica delle fumarole. In genere questi piccoli sollevamenti sono temporanei, perché il gas viene gradualmente disperso nell’atmosfera ed il suolo torna ad abbassarsi. Uno di questo episodi è accaduto ad esempio tra il 2006 ed il 2007.  Tra il 2012 ed il 2013, invece, il sollevamento del suolo non è stato seguito da importanti variazioni nella composizione delle fumarole e soprattutto il sollevamento è stato permanente. Tutte queste evidenze indicano abbastanza chiaramente che si è trattato principalmente di un’iniezione di magma.
Il punto da cui risale il magma è grossomodo localizzato al centro della caldera, ovvero al di sotto del Rione Terra a Pozzuoli. Quindi, arrivato a circa 3 chilometri di profondità, il magma ha smesso di salire e si è distribuito orizzontalmente in un raggio di pochi chilometri.

Rione Terra - Pozzuoli - Campi Flegrei
 Potremmo definire questa ascesa di magma una mancata eruzione?
E’ difficile rispondere a questa domanda. Ai Campi Flegrei, cosi come in altri vulcani simili, queste intrusioni superficiali di magma potrebbero essere molto più comuni delle eruzioni. Quindi, probabilmente è più corretto definire le eruzioni come “mancate intrusioni”.

I volumi di magma iniettati verso la superficie senza raggiungerla, sono inferiori a quelli che caratterizzarono l’eruzione del Monte Nuovo?
La quantità di magma iniettato (4 milioni di metri cubi) è piccola ma è dello stesso ordine di grandezza del magma emesso durante le eruzioni minori dei Campi Flegrei, come ad esempio quella di Monte Nuovo. C’è però da considerare che durante un’eruzione solo una piccola percentuale del magma presente nella camera magmatica viene effettivamente eruttata. Prima dell’eruzione di Monte Nuovo, infatti, il sollevamento del suolo ai Campi Flegrei fu molto rilevante, forse anche più di 10 metri.  Questo significa che l’iniezione di queste piccole quantità di magma, che tra l’altro si raffreddano e solidificano molto rapidamente, non dovrebbe essere particolarmente allarmante. Ogni episodio di sollevamento, comunque, viene attentamente seguito dai sistemi di monitoraggio.

Si ha l’impressione, anche valutando una serie di dati, che il processo ascendente del magma in questione, non abbia prodotto particolari dirompenze magari in termini di terremoti: è così?
Il processo fisico dell’intrusione del magma all’interno del sill è abbastanza “silenzioso”. Ciò non toglie che durante crisi violente, come quella bradisismica del 1982-84, la deformazione del suolo sia in grado da causare numerosi terremoti. Durante quella crisi, infatti, furono registrati ai Campi Flegrei circa 16000 terremoti, con magnitudo fino a 4. Nell’ultimo decennio, invece, ai Campi Flegrei ci sono in media solo un centinaio di piccoli terremoti ogni anno, con magnitudo sempre inferiori a 2.
Tuttavia, prima di una eventuale eruzione, il magma dovrà farsi strada attraverso circa 3 chilometri di rocce fragili. Sicuramente sarà un processo che non passerà inosservato e che consentirà di stimare l’avvicinarsi di una eventuale eruzione.

Il dato sismico fino a che punto può essere definito un precursore eruttivo in una zona calderica dove i sollevamenti si contano a metri e gli eventi sismici a migliaia in particolari periodi di crisi ad oggi sempre rientrate?
La previsione delle eruzioni, in particolar modo nelle caldere, si deve basare necessariamente sull’analisi contemporanea di diversi tipi di misure (terremoti, deformazioni, composizione chimica dei gas, etc…). Solo in questo modo è possibile avere una visione ragionevole di quello che accade all’interno del vulcano.
Inoltre, l’uso di tecniche di analisi avanzate, come quella che abbiamo recentemente proposto per i Campi Flegrei, aiuta a comprendere con maggiore chiarezza i processi che avvengono nel vulcano, e quindi a fornire uno strumento che non è solo di interesse scientifico, ma che può avere anche risvolti pratici in situazioni di emergenza.
Il vulcano Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei


Secondo le sue conoscenze e studi effettuati sull’argomento, cosa sta succedendo al di sotto dei Campi Flegrei? Le trivellazioni in area calderica sono pericolose soprattutto alla luce della Sua recente scoperta?
I Campi Flegrei attraversano una fase di irrequietezza che si protrae probabilmente sin dagli anni ’50 del secolo scorso. In questo periodo i Campi Flegrei hanno alternato periodi di tranquillità a fasi di rapido sollevamento del suolo, verosimilmente causati dall’iniezione di magma a profondità più superficiali.
La quantità di magma iniettato ogni volta è stata di piccola entità e si è quindi già solidificato. La mia opinione è che in questo momento non vi siano rilevanti quantità di magma fuso a profondità superficiali (circa 3 chilometri).
Purtroppo non possiamo prevedere quello che succederà nei prossimi anni o decenni. Quello che facciamo è monitorare costantemente il vulcano alla ricerca anche di piccoli segnali che indichino un cambiamento nella sua attività.
Per quanto riguarda le trivellazioni a scopo scientifico, personalmente non ritengo comportino rischi significativi. Diverse trivellazioni profonde effettuate nei decenni scorsi ai Campi Flegrei non hanno prodotto alcun effetto particolare. Una perforazione avente lo scopo di studiare la struttura del vulcano, in particolare nell’area del Golfo di Pozzuoli che è ancora poco conosciuta, sarebbe sicuramente di utilità anche per interpretare meglio eventuali segnali precursori di una possibile futura eruzione.

La previsione degli eventi simici a che punto è?
Sfortunatamente la previsione dei terremoti, nonostante decenni di studi, non ha prodotto ancora risultati che possano essere di utilità. Al contrario sono stati fatti grossi passi avanti nella mitigazione del rischio sismico. Oggi esistono, almeno per l’area italiana, delle mappe del rischio molto accurate anche se, purtroppo, raramente vengono prese in giusta considerazione da chi dovrebbe amministrare il territorio. Inoltre, nell’ultimo decennio, sono stati sviluppati sistemi di Early Warning sismico, che forniscono tempestivamente un allarme appena inizia un forte terremoto.
Diverso è il discorso per la previsione delle eruzioni che, negli ultimi tempi ha fatto enormi passi in avanti. La maggior parte delle eruzioni avvenute negli ultimi decenni sono state previste ed è stato possibile evacuare la popolazione a rischio. Rimane ancora molto da imparare, ma il rapido sviluppo delle tecnologie di monitoraggio (satellitari e terrestri) e l’avanzamento delle conoscenze scientifiche per la sorveglianza dei vulcani, procedono speditamente.

Esprimiamo un particolare ringraziamento al Dott. Luca D’Auria per la importante intervista che ci ha rilasciato, tra l’altro con una chiarezza ideale per la diffusione scientifica di argomenti che riguardano aspetti particolarmente complessi del nostro territorio vulcanico.