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giovedì 25 maggio 2017

Vesuvio: camera magmatica sopra o sotto?... di MalKo


Cratere del Vesuvio con vista Capri

Un vulcano è possibile definirlo come una spaccatura nella crosta terrestre da dove fuoriescono generalmente e in modo discontinuo, materiali gassosi, liquidi e solidi ad alta temperatura. Le cause alla base del trasferimento dei prodotti magmatici dall’interno del Pianeta e fino alla superficie terrestre attraverso varie tipologie eruttive, sono oggetto di studio con formulazioni di teorie tutte corredate dall’incertezza scientifica, perché i fenomeni eruttivi generalmente non sono continui, e in alcuni casi sono intervallati da secolari quiescenze. Fenomeni tra l’altro, che traggono origine dal sottosuolo chilometrico, quello non direttamente esplorabile…

Certi vulcani in termini di manifestazioni eruttive sono più rari dell’apparizione della cometa di Halley che solca i cieli mediamente ogni 76 anni… Nessuno degli scienziati oggi in servizio permanente effettivo all’Osservatorio Vesuviano ha mai visto un’eruzione dell’arcinoto Vesuvio o del super vulcano dei Campi Flegrei o dirompenze sull’isola d’Ischia. Quindi, la maggior parte delle disquisizioni scientifiche ad oggetto i vulcani napoletani, gioco forza devono trattare la scienza delle eruzioni e le sue innumerevoli variabili analiticamente, magari gettando lo sguardo su altri vulcani in attività come quelli ubicati sulle nostre isole meridionali oppure in altre parti del mondo.

I vulcani “stranieri”, per genesi e comportamenti e storie e contesti, sono completamente diversi l’uno dall’altro: non parliamo della forma, bensì del DNA geologico, frutto di fusioni e rifusioni e mescolamenti del magma, che avvengono nella parte superiore del mantello che assorbe prodotti in ascesa dal profondo, fondendone altri dalla suola litosferica.

La camera magmatica è forse l’elemento più importante di un vulcano, ancorchè dislocata a profondità variabile dai 3 ai 10 chilometri: è qui che ristagna la pasta ignea ad elevata temperatura e pressione ben insinuata nelle rocce incassanti. Se dovesse aumentare la spinta magmatica verso la superficie o, viceversa, dovesse essere minata la resistenza della crosta terrestre in un determinato punto sotto pressione, come sembra prospettarci il Dott. Chiodini per i Campi Flegrei, l’eruzione sarebbe inevitabile.

Alcune congetture sulla tipologia eruttiva e sulle varie manifestazioni vulcaniche ad oggetto il Vesuvio, sono state fatte dal Gruppo di lavoro “A” messo insieme un po’ di anni fa dal Dipartimento della Protezione Civile: una sorta di conclave costituito da scienziati per tracciare gli scenari eruttivi della prossima eruzione dell’arcinoto vulcano semmai dovesse verificarsi un’eruzione nel medio termine. Al massimo un’eruzione VEI 4 (sub pliniana) hanno sentenziato gli esperti: giudizio poi avallato dalla commissione grandi rischi. D’altra parte, nella relazione del Gruppo A si evidenzia a sostegno della tesi VEI 4, che nella camera magmatica superficiale del Vesuvio non c’è magma a sufficienza per una eruzione VEI 5, cioè una pliniana come quella che distrusse nel 79 d.C. Pompei, Ercolano e Stabia.

Secondo il Prof. Raffaele Cioni dell’INGV, tra l’altro membro della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, l’eruzione di Pollena del 472 ha marchiato i prodotti litoidi espulsi dal Vesuvio, lasciando impresso sulle rocce il segno di pressioni dell’ordine di cica 1000 bar. Cioè una pressione mille volte superiore a quella registrabile al livello del mare: compressioni riscontrabili a una profondità terrena di circa 4 - 5 chilometri…

Lo stesso Cioni però, rileva (Evidence for the shallowing of the Vesuvius reservoir in the upper crust over the last 20 kyr), che nell’analisi petrografica dei prodotti eruttati dal Vesuvio nell’eruzione pliniana del 79 d. C. e altre eruzioni particolarmente violente, si nota che il magma è assurto in superficie direttamente dalla camera magmatica più profonda, come quella attualmente dislocata a una profondità di circa 8 – 10 chilometri.

Il dato che ci sembra si possa cogliere allora è questo: il Vesuvio può attingere per le sue eruzioni da una camera magmatica pseudo superficiale quanto profonda, senza rendere necessario accumuli di magma intermedi, che pure potrebbe già esserci come punta di un iceberg incandescente, con spessori orizzontali non particolarmente estesi e quindi non evidenziabili nettamente dalla tomografia sismica.

D’altra parte un magma che ristagna più superficialmente dovrebbe essere un po’ più povero di elementi volatili. Quello che proviene dal profondo invece, ha una forza gorgogliante particolarmente dirompente: da pliniana insomma…

Lo studio del Prof. Cioni è forse un tantino in controtendenza con la relazione presentata dal Gruppo di lavoro A. In questo trattato scientifico infatti, viene dato come elemento rassicurante poco magma nella camera superficiale del Vesuvio...


Complesso Somma_Vesuvio visto da nord


Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo è un noto vulcanologo dell‘INGV – Osservatorio Vesuviano. Autore di alcune pubblicazioni di grande presa sul pubblico mondiale.

Prof. Mastrolorenzo, ha influenza la dislocazione della camera magmatica nelle dinamiche eruttive?

<< Innanzitutto è necessario precisare che tutte le ricerche relative alla identificazione di camere magmatiche sotto i vulcani attivi sono basate su approcci indiretti. Infatti, fatta eccezione per casi rarissimi, relativi ad antiche camere magmatiche solidificate e venute poi a giorno a seguito di processi di erosione, le camere magmatiche non sono rilevabili in modo diretto, e tuttalpiù possono essere intercettati dicchi magmatici nell’ambito di trivellazioni in vulcani attivi.

Nel caso del Vesuvio, dallo studio delle rocce eruttate durante i vari eventi eruttivi che hanno caratterizzato la storia del noto vulcano e da una serie di rilievi e analisi di natura geofisica utili per la comparazione dei dati, sono state ipotizzate le possibili localizzazioni in profondità dei sistemi magmatici responsabili delle eruzioni avvenute in passato, nonché delle zone anomale situate in profondità, quali possibili sedi di attuali camere magmatiche.

In particolare, ricerche condotte da me e dalla dott.ssa Lucia Pappalardo e da altri ricercatori nell'ultimo decennio, hanno evidenziato come le eruzioni sub-pliniane e pliniane del Vesuvio, nel corso degli ultimi ventimila anni siano derivate da camere localizzate a una profondità dell'ordine di circa otto chilometri.

Questo risultato è basato sullo studio dei minerali presenti nelle rocce espulse dal vulcano, e più in generale da particolari indicatori di pressioni pre eruttive che influenzano e favoriscono inclusioni vetrose (gocce di magma intrappolate nei cristalli prima e durante la risalita del magma) rilevabili all'interno dei materiali rocciosi che abbiamo raccolto in zona. Tutti elementi in accordo con le evidenze di strati ad alta temperatura e bassa rigidità risultante dalle indagini di tomografia sismica condotta negli scorsi decenni.

Circa i processi pre eruttivi e le possibili durate e tipologie dei fenomeni precursori che potrebbero accompagnare l'evoluzione delle camere magmatiche verso una possibile eruzione futura, dobbiamo limitarci a semplici ipotesi non verificabili per la mancanza di qualsiasi esperienza diretta in merito, e possiamo solo riferirci alle poche eruzioni di altri vulcani attivi direttamente osservate negli ultimi decenni.

Per tali motivi, è assolutamente doveroso che i vulcanologi dichiarino i loro limiti di conoscenza per non indurre le autorità e le popolazioni a rischio a ritenere che esistano metodi oggettivi e affidabili per la previsione dell’evento vulcanico, in termini sia temporali che di tipologia eruttiva di quello che sarà il futuro evento eruttivo>>.

Ringraziamo il Prof. Mastrolorenzo, primo ricercatore INGV – OV, per questa nota che lascia pochi dubbi interpretativi sull’ubicazione della camera magmatica del Vesuvio e sullo stato della previsione dell’evento vulcanico.

Quello che vorremmo ulteriormente segnalare in conclusione, è che l’attuale politica di prevenzione delle catastrofi vulcaniche, un argomento che ci riguarda molto da vicino, si basa su un modello statistico utilizzato come elemento di certezza deterministica, per tracciare limiti di pericolo addirittura geo referenziati con implicazioni nel campo dell’edilizia residenziale che non segue criteri di prudenza e delle strategie operative di emergenza molto discutibili soprattutto dal punto di vista dei territori classificati coinvolgibili nelle fenomenologie vulcaniche più disastrose.

Con questo non si vuole dire che la prossima eruzione del Vesuvio sarà certamente apocalittica, cioè pliniana in ambito metropolitano; vogliamo semplicemente dire che la vita umana non è un assemblaggio di tessuto vivente ricostruibile in un altro luogo e, quindi, l’umanità deve essere titolare di un qualche diritto di precauzione.

Allora la scienza deve essere in linea con la democrazia, senza essere serva sciocca dell’aristocrazia istituzionale che vuole popoli rabboniti e concilianti… Ogni singolo abitante che vive nelle aree vulcaniche, deve sapere i limiti della scienza e della tecnologia esplorativa. Deve sapere a cosa si può andare incontro permanendo in zona rossa, e deve avere contezza che lo Stato ha l’obbligo di garantire la sicurezza dei propri cittadini attraverso la redazione e l’adozione di un piano d’emergenza corredato da un piano di evacuazione, preferibilmente non mediatico o aritmetico.

L’elaborazione di politiche di prevenzioni delle catastrofi dovrebbero essere un disegno politico e istituzionale da porre al vaglio nelle campagne elettorali comunali e regionali e nazionali. Così come può concorrere alla sicurezza areale l’educazione civica delle future leve vesuviane e flegree e ischitane, secondo processi formativi che dovrebbero prevedere l’inoculazione di concetti che riguardano il territorio e il rispetto delle regole, che in un’area vulcanica potrebbe voler dire il concorso civile nella direzione della collettiva e futura sicurezza: “Venturi non immemor aevi ” ossia: “Pensiamo alle generazioni del tempo che verrà… (cartiglio Palazzo Cassano - Napoli -).

giovedì 26 gennaio 2017

Campi Flegrei 2017: controllare il super vulcano... di MalKo



Pozzuoli. Solfatara. Le nuove fumarole di Pisciarelli. Foto: Carmine Minopoli 

I Campi Flegrei sono una vasta caldera vulcanica che caratterizza i territori ubicati nella parte occidentale della metropoli napoletana. Circoscrizioni popolose come Fuorigrotta, Bagnoli, Soccavo e Pianura, così come i territori di altre municipalità quali Pozzuoli, Monte di Procida, Bacoli e Quarto, comportano l’esposizione di oltre mezzo milione di persone al rischio vulcanico a causa della totale promiscuità con il quiescente super vulcano flegreo…
Il vulcano flegreo da un po’ di anni dà segnali geofisici e geochimici di una crescente vivacità geologica ancora tutta da decifrare. L’alito rovente del vulcano comunque si percepisce… La zona calderica in un certo qual senso ribolle, con emissioni notevoli di anidride carbonica che si diffondono nell’area della Solfatara, così come le temperature delle manifestazioni idrotermali che in alcuni punti pare siano significativamente aumentate.
Qualche evento sismico a sciami, altri isolati, e il bradisismo che ha ripreso seppur lentamente a deformare il fondo calderico, sono tutti sintomi che lasciano aperta anche l’ipotesi dell’ingressione di magma fino a pochi chilometri dalla superficie. Tutti questi elementi che sono l’ordinario per un distretto vulcanico attivo, hanno destato non poca apprensione in chi istituzionalmente è preposto alla sorveglianza del vulcano flegreo.
Il Dott. Giovanni Chiodini è un dirigente di ricerca dell’INGV, e per molto tempo ha monitorato la geochimica dei fluidi del super vulcano flegreo, evidenziando e pubblicando anche recentemente su Nature Communications, i risultati di alcune interessantissime ricerche.
Dott. Chiodini, un magma cosa trascina e rilascia raggiungendo la superficie?
I magmi muovendosi verso la superficie si depressurizzano e rilasciano le sostanze volatili, quali acqua e anidride carbonica, originariamente disciolte nel prodotto fuso.
Dalla qualità e quantità delle emissioni rilevabili in superficie, è possibile capire se il magma in profondità è acido o basico?
Non è semplice, perché le emissioni che si colgono in superficie, spesso non sono totalmente rappresentative della qualità del magma sottostante, le cui emanazioni gassose possono essere soggette a contaminazione trapelando tra rocce e acquiferi. Questi ultimi ricevendo calore, possono bollire anche con una certa intensità producendo vapori che si mescolano ai fluidi gassosi in ascesa dal sottosuolo, per poi sfociare in superficie a volte anche con una certa dirompenza.
Nonostante queste difficoltà, nel caso delle fumarole della Solfatara un tentativo di riconoscere il tipo di magma dai vapori che raggiungono la superficie è stato fatto un paio di anni fa. I risultati sono stati pubblicati nella rivista di riferimento per la comunità internazionale dei geochimici (Geochimica et Cosmochimica Acta), e indicano che parte dei gas che formano le fumarole della Solfatara potrebbero essere emessi da un magma di tipo basico.
Nei Campi Flegrei, pare accertato la presenza di intrusioni magmatiche fino a tre chilometri dalla superficie. E’ così?
Non proprio: la vulcanologia purtroppo non è una scienza esatta e spesso gli stessi dati vengono interpretati in modo differente dai vari ricercatori che li studiano. Nel caso dei Campi Flegrei, molti degli episodi di deformazione sono stati intesi come dovuti a processi d’aumento di pressione del sistema idrotermale che si trova sopra una non meglio localizzata camera magmatica. Fa eccezione la crisi bradisismica del 1983/1984 che è stata interpretata da più autori come dovuta all’arrivo di magma a profondità relativamente basse (3-4 km). Più recentemente si è pensato al coinvolgimento diretto del magma in un altro episodio di deformazione intensa, quello registrato nel 2012/2013. Penso però, e nel merito ho pubblicato anche diversi lavori, che comunque c’è coinvolgimento di gas magmatici, e quindi a una qualche profondità non iper chilometrica c’è magma.

Questi gas magmatici risalendo verso la superficie pressurizzano il sistema idrotermale e in parte causano la deformazione del terreno quale manifestazione poi rilevabile in superficie. Quello che ipotizziamo nel lavoro su Nature Communications, è che i gas emessi dal magma si stanno arricchendo nel tempo in vapore acqueo. Il vapore condensando al contatto con le rocce rilascia calore e le scalda. Questo processo a sua volta causa una deformazione perché, ad esempio, le rocce in profondità aumentano di volume per espansione termica. L’aumento di volume di una parte delle rocce causa a sua volta uno stress nelle rocce circostanti che possono fratturarsi generando un po’ di quei “micro” terremoti che recentemente avvengono in modo più frequente rispetto agli anni precedenti (ad eccezione ovviamente della crisi bradisismica del 1983-84).
Stefano Caliro e Giovanni Chiodini - Bocca Grande - Solfatara

Il fratturarsi delle rocce causa a sua volta un aumento della loro permeabilità favorendo quindi un’ulteriore risalita dei fluidi dal profondo. Tali processi, legati allo scambio termico, avvengono in tempi più lunghi di quelli ad esempio legati ad una eventuale intrusione di magma o al semplice aumento di pressione del sistema idrotermale. E i tempi lunghi stanno caratterizzando l’attuale deformazione dei Campi Flegrei: a tal proposito voglio ricordare che il processo è iniziato più di 10 anni fa.
Secondo alcuni autori, ci sono state recentemente intrusioni di magma nel sottosuolo dei Flegrei ed io non ho elementi esaustivi per confermare o smentire attraverso l’analisi geochimica queste conclusioni. I miei studi indicano comunque, che ci sono gas magmatici in abbondanza, e che la loro risalita sta scaldando il sottosuolo dell’area flegrea…
Nel corso degli anni, anche rispetto agli archivi storici, le emissioni di anidride carbonica nell’area flegrea come sono cambiate in termini quantitativi?
Dagli archivi storici purtroppo non abbiamo nessuna informazione quantitativa, perché le tecniche per misurare i flussi di CO2 rilasciata dal suolo sono state messe a punto solo recentemente (alla fine degli anni ’90). Dal 1998 ad ora, in collaborazione con colleghi dell’Università di Perugia, abbiamo fatto una trentina di campagne di misura che includono il cratere della Solfatara e le zone circostanti (Pisciarelli ecc.).
Una prima elaborazione dei dati acquisiti fino al 2008 è stata pubblicata nel 2011 sulla rivista Journal of Geophysical Research. Lo studio mostrava che l’area vulcanica che emette CO2 si è espansa (in pratica era raddoppiata in pochi anni), a partire dal 2003: ora stiamo lavorando per aggiornare quelle elaborazioni. Le posso anticipare che il processo di espansione è continuato anche dopo il 2008, e che i flussi totali di CO2 emessa dai suoli dell’area indagata (circa 1.4 km2), sono approssimativamente raddoppiati dal 2003 ad oggi. Si parla di quantità notevoli di gas, dell’ordine di 2000 tonnellate al giorno: in altri vulcani flussi simili caratterizzano crateri attivi, mentre ai Campi Flegrei vengono emessi in modo diffuso da un'area superficiale molto estesa.
Nella zona di Oliveto Citra (Salerno), da alcuni pertugi nel terreno fuoriesce anidride carbonica e idrogeno solforato probabilmente all’origine di una moria di animali di taglia bassa. La zona di Pisciarelli potrebbe alla stregua essere pericolosa? 
Ho studiato in dettaglio questo tipo di emissioni di CO2 fredda (l’H2S compresa), e qualche anno fa abbiamo pubblicato un catalogo online di quelle presenti nel territorio italiano (http://googas.ov.ingv.it/). In Italia ce ne sono qualche centinaio, e gli incidenti purtroppo spesso interessano anche le persone e non solo gli animali.
Oliveto Citra (Salerno). Emanazioni gassose dal sottosuolo. Foto MalKo
Una delle emissioni più famose che nel tempo ha causato numerosi incidenti mortali, è quella delle Mefite d’Ansanto, in Irpinia. Il problema con queste emissioni fredde è che l'anidride carbonica è più densa dell’aria e tende ad accumularsi nelle depressioni topografiche formando, in condizioni di assenza di vento, fiumi e laghi di gas invisibili, che diventano a volte delle vere trappole mortali. Dove le emissioni sono calde, come alle fumarole della Solfatara e di Pisciarelli, il gas è più leggero dell’aria e si disperde con maggiore facilità senza formare accumuli pericolosi. Problemi potrebbero esserci nelle zone periferiche flegree dove il gas esce magari da suoli freddi.
I laghi vulcanici flegrei potrebbero essere all’origine di un’eruzione di tipo limnico?
Al lago Averno episodicamente succede una sorta di mini eruzione limnica con prodotti gassosi che si liberano dal fondo e rimangono confinati all’interno delle acque lacuali per poi disperdersi lentamente in superficie. Il dato visibile del fenomeno è la diffusa moria di pesci com’è successo nei primi dieci giorni di gennaio di quest’anno.
Sull’argomento avemmo a scrivere già nel 2008. In pratica il lago normalmente presenta delle stratificazioni dettate da acque più ricche in sali e in gas, fra cui l'idrogeno solforato concentrato negli strati più profondi. Nella parte superiore invece, ristagnano acque normali, meno saline e con una sufficiente concentrazione di ossigeno dove i pesci possono vivere. Quando la temperatura esterna diventa molto bassa, le acque superficiali diventano più dense (l'acqua ha il massimo di densità a 4°C), quindi più pesanti delle sottostanti e invivibili acque saline ricche in idrogeno solforato e senza ossigeno. Questa differenza di densità genera l’inversione di posizione delle masse d’acqua stratificate, e quindi la moria di pesci nei primi dieci metri di profondità è un fatto ineluttabile.  Possiamo concludere che a parità di condizioni, il processo d’inversione di posizione delle masse d’acqua lacuali, sono il frutto delle variazioni climatiche prima ancora che di quelle vulcaniche.
La più catastrofica eruzione limnica si verificò nel 1986 in Camerun, quando nel 1986 dal lago Nyos si sprigionò una nube di CO2 che uccise 1800 persone che abitavano nelle valli adiacenti. Anche in quel caso il processo fu innescato dalla risalita in superficie delle acque profonde molto ricche in CO2. Fortunatamente il lago Averno è poco profondo e non ci possono essere accumuli rilevanti di gas. Purtuttavia come abbiamo chiarito precedentemente, nel nostro caso il processo causa la morte dei pesci ma non la fuoriuscita di quantità pericolose di gas dalle sponde del lago.
Solo nella zona di Pisciarelli si nota un incremento di CO2? Se sì questo significa che il vulcano Solfatara potrebbe essere il punto superficiale d’ascesa di una vena magmatica?
L’incremento nei flussi di CO2 interessa tutta la zona che indaghiamo (Solfatara e Pisciarelli inclusi). Nelle zone orientali del cono della Solfatara (Pisciarelli, via Scarfoglio) gli incrementi sono stati più elevati. Questo non significa necessariamente che ci sia del magma sotto la Solfatara e Pisciarelli. Le emissioni della Solfatara nel loro complesso potrebbero essere immaginate come quelle di un camino dove vengono convogliati i gas presenti in una porzione più grande del sottosuolo, che noi chiamiamo il sistema idrotermale della Solfatara.
Generalmente nel campo degli incendi le forti temperature indeboliscono talmente le strutture metalliche e lo stesso calcestruzzo al punto che si piegano travi e pilastri e con essi cedono strutturalmente interi palazzi. Ci sembra di capire che un fenomeno simile di perdita di resistenza statica dovuto all’ascesa del magma e al calore che esso diffonde tramite i fluidi caldi, indeboliscano particolarmente la struttura crostale superficiale al punto da consentire al magma di vincere le resistenze ed eruttare.  E’ così? 
Questo potrebbe essere il pericolo della crisi attuale dei Flegrei.
Il magma flegreo genera intrusioni perché è particolarmente ricco di fluidi o, viceversa, le intrusioni sono frutto di una particolare e labile e iper fratturata struttura crostale?
Tutti i magmi tendono ad introdursi nella crosta terrestre, anche quelli meno ricchi di fluidi rispetto ai magmi Flegrei. Sicuramente la presenza di fratture e discontinuità preesistenti facilita il processo d’intrusione magmatica.
Ci sembra altresì di capire che le intrusioni magmatiche fermano la loro ascesa in superficie quando diventano troppo dense per la perdita di gas e vapori. Quindi sono di modestissime proporzioni?
I volumi coinvolti non sono conosciuti (come le dicevo sopra, non c’è nemmeno accordo sulla presenza di intrusioni superficiali recenti…). In ogni caso gli indizi fanno pensare eventualmente a intrusioni “piccole”, anche considerando che le eruzioni flegree degli ultimi 10 mila anni sono state in genere di modesta taglia…
Il bradisismo puteolano ha origini diverse legato al calore di fondo o ha strette correlazioni con le intrusioni magmatiche?
Le ripeto che su questo punto c’è dibattito scientifico. Secondo il mio parere, le cause sono differenti e probabilmente comprendono anche piccole intrusioni magmatiche. Penso tuttavia che la pressurizzazione del sistema idrotermale e il suo riscaldamento ad opera di gas magmatici, abbiano attualmente un ruolo importante.
Allo stato dei fatti i Campi Flegrei sono il distretto vulcanico da temere maggiormente?
Posso esprimere solo la mia opinione: penso di sì.
Esistono studi simili a quelli da Lei condotti nel flegreo anche per il Vesuvio e Ischia?
Il nostro gruppo ha pubblicato nel passato lavori sui sistemi idrotermali di Ischia e del Vesuvio, ma senza riferimenti ai risultati e metodologie utilizzate nel lavoro recentemente pubblicato su Nature Communications, perché questi sono per molti aspetti nuovi. Mi auguro che i risultati ottenuti possano servire in futuro per meglio interpretare i segnali di altri vulcani quiescenti (non solo Ischia e il Vesuvio ma in generale di tutti quei sistemi dove queste nuove metodologie sono applicabili). Il nostro obiettivo finale è quello di capire meglio i processi che controllano la dinamica dei vulcani dormienti, in modo da poterne prevedere l’evoluzione futura …
Il confronto internazionale è importante per la previsione del rischio vulcanico?
Come le accennavo in precedenza, la vulcanologia non è una scienza esatta. Il confronto internazionale fra differenti ricercatori è fondamentale per progredire e per meglio interpretare le fasi potenzialmente pre-eruttive dei vulcani.
Ringraziamo il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, per l’interessante intervista che ci ha rilasciato,  che ha il pregio della chiarezza e dell’attualità sulla ricerca geochimica legata ai vulcani.
Il nostro punto di vista conclusivo è certamente orientato sulla necessità di dare spazio e risorse alla ricerca scientifica che si occupa anche di vulcani, perché il meridione della nostra stupenda Penisola è costellato da terre vulcaniche che si caratterizzano per un’antropizzazione senza precedenti.
La recente emergenza che ha segnato in terra d’Abruzzo una sovrapposizione di eventi tragici, dal terremoto alle inclemenze meteorologiche, ha visto un territorio impreparato ad affrontare le calamità così come la resilienza dei cittadini che decade rapidamente con la perdita delle utilità quotidiane e la tecnologia.
Questo significa che l’uomo è più fragile rispetto al passato, anche se vive più a lungo e più comodamente, ma troppo spesso è distratto e sottovaluta gli eventi estremi che noi chiamiamo catastrofi, mentre da un punto di vista planetario non sono altro che fattori certamente energetici ma di assoluta normalità per un Pianeta in perenne evoluzione.
Per quanto riguarda i Campi Flegrei, l’area è soggetta al primo livello di attenzione vulcanica. I processi geofisici e geochimici seppur lentamente incalzano, e questo recente studio del Dott. Chiodini sembra rilevare crepe nella resistenza della cappa crostale flegrea. Ciò induce a ritenere che non si può escludere che l’aggiunta di qualche altro piccolo tassello fornisca elementi di preoccupazione sufficienti a consigliare il passaggio alla fase di preallarme vulcanico.
i livelli di allerta vulcanica
Una variazione che può essere sancita solo dal capo del governo, sentito il Presidente della Regione Campania, il Capo Dipartimento Protezione Civile, la Commissione Grandi Rischi - Sezione Rischio Vulcanico e l’Osservatorio Vesuviano quale centro di competenza per il rischio vulcanico.
Il passaggio al livello di allerta vulcanica tarata sul preallarme comporterebbe l’evacuazione preventiva di ospedali e case di cura e la possibilità per i cittadini che hanno autonoma sistemazione di allontanarsi dai Campi Flegrei.
E’ ovvio che i territori se non si sono organizzati con piani di evacuazione e con istruzioni dettagliate racchiuse in un vademecum da rilasciare ad ogni famiglia dei Campi Flegrei, il disorientamento potrebbe innescare reazioni di popolo incontrollate. Premere il bottone arancione, per molti versi, è più difficile a pigiare di quello rosso…