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Visualizzazione post con etichetta piano emergenza Vesuvio 2017. Mostra tutti i post
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venerdì 28 luglio 2017

Rischio Vesuvio: la realtà che brucia… di MalKo

Vesuvio e Somma: incendi fase iniziale - 2017

Attraverso gli incendi che hanno totalmente devastato la macchia mediterranea e le aree boscate del Vesuvio e del Monte Somma riducendo i rilievi a una pietra annerita dal fuoco, la popolazione circumvesuviana ha scoperto che le calamità ad ampio raggio d’azione, come l’incendio diffuso, minacciano case e abitanti senza distinzione di sorta. Serve poco a rinchiudersi tra le mura domestiche, pensando che il massiccio battente sia un netto confine col mondo esterno, e soprattutto ostacolo insormontabile alle energie incontrollate...

Come abbiamo sempre detto, la percezione del pericolo si avverte solo attraverso una ferrea cultura della prevenzione o grazie alla stimolazione di uno dei cinque sensi. Nell’ambito dei vari comitati spontanei sorti qua e là nell’area vesuviana per discutere di incendi e mancata prevenzione antincendio, l’analogia con il fuoco vulcanico non è stata colta, neanche dai politici che hanno guidato una moderata protesta concentrata sulla difesa preventiva del parco nazionale del Vesuvio, senza pensare che oltre alle piante ci sono migliaia di esseri umani che costellano il contorno vulcanico, ancorchè soggetti in caso di eruzione alla micidiale furia delle colate piroclastiche. 

Il pericolo vulcanico è sfuggente perché non si percepisce e non fa parte del bagaglio di esperienze dei vesuviani, soprattutto in riferimento alle eruzioni più dure. L’ultima quella del 1944, fu vissuta ai bordi della lava senza nessun timore per l’incolumità dei presenti…

Il fuoco, quello tradizionale fatto di fumo e fiamme che ha avvolto la vegetazione vesuviana, è stato percepito grazie alla vista e all’olfatto. L’organismo ha fiutato l’atavico pericolo e non sono stati pochi quelli che hanno cambiato aria nel vero senso della parola, riparando da amici e parenti ben lontani dalla linea di fuoco che si è estesa dal Vesuvio al Monte Somma.

Alcuni politici dell’opposizione hanno cavalcato le polemiche sorte anche sui media a proposito della mancata prevenzione antincendio, puntando l’indice contro la macchina regionale e la sua insipienza preventiva e operativa volta allo spegnimento delle fiamme. Il governatore però, ha spalle larghe…

La percezione del pericolo i vesuviani l’hanno vissuta attraverso le vampe e il fumo acre che ha avvolto lo sterminator Vesevo dalla cima alla bassa fascia pedemontana, costringendo i cittadini a barricarsi all’interno delle loro abitazioni patendo caldo e senso d’impotenza. Il fumo si è sprigionato dagli incendi che hanno carpito combustibile dalla fascia arborea di pini e ontani e castagni e robinie e rovere e macchia mediterranea. Fiamme striscianti nel sottobosco che hanno covato brace nelle radici rinsecchite degli alberi più vecchi. L’incedere degli incendi non ha risparmiato materiale plastico e scarti delle industrie tessili ed elettrodomestici sgangherati buttati in ogni loco. Il fumo a tratti molto acre, si è diffuso nell’aria scivolando poi silenzioso sulle case come cappa malevole, avvolgendole e ammorbandole.



Ben altri effetti si sarebbero registrati, se al posto della caligine a calare sull’abitato fossero stati i micidiali flussi piroclastici, col loro incedere distruttivo capace di carbonizzare qualunque cosa si fosse opposto e frapposto al loro cammino rapido e ferale. 


La situazione attuale di prevenzione del rischio vulcanico, a studiarne le carte, segna punti di spossante mediocrità. La stoffa di cui è fatto il piano di emergenza infatti, è di assoluta inconsistenza operativa, trattandosi di un prodotto dall’iniqua strategia, con il piano di evacuazione che segna un’impasse che non si riesce a superare nonostante il modello sempliciotto su cui sono basate aritmeticamente le partenze dei profughi all’occorrenza.


Il vulnus di questa pianificazione di emergenza in itinere, ha nelle sue fondamenta una premessa fallace che assegna a molti cittadini la salvezza solo se l’ordalia statistica resisterà col suo pronostico eruttivo. 

Il vaticinio INGV stabilisce che da qui ai prossimi due secoli circa, la massima intensità eruttiva che può scaturire dalle viscere del Vesuvio sarà di taglia sub pliniana, ovvero e secondo l’indice di esplosività vulcanica, una VEI4.

Ogni intensità eruttiva corrisponde in linea generale a una porzione di territorio che potrà essere investito dai fenomeni previsti per quella formula eruttiva. A un’eruzione VEI 4 corrisponderà un territorio VEI 4 che ne pagherà le pene… Ovviamente a un evento vulcanico di intensità VEI 5, cioè pliniano, corrisponderà un territorio ben più ampio che verrà devastato.


La morale che se ne ricava è che la pianificazione di emergenza prevede di fronteggiare al massimo un evento VEI 4 stabilendo che il piano di evacuazione debba spostare i soli vesuviani che popolano il territorio VEI 4 oggi classificato come zona rossa Vesuvio.

Nel caso in cui l’eruzione che dovesse malauguratamente presentarsi nel medio termine sia invece di intensità VEI 5, anche mettendo in pratica e con successo il piano di evacuazione nelle 72 ore previste, sarebbe una colossale catastrofe perché le colate piroclastiche andrebbero ben oltre i confini della zona VEI 4 portando morte e distruzione nella corona circolare dichiarata indenne.

Quali garanzie abbiamo che la prossima eruzione non sarà eccedente una VEI 4… Garanzie esclusivamente di taglio statistico! Infatti, il prospetto proposto dagli esperti dell’INGV, si basa sulle varie tipologie eruttive con una probabilità di accadimento condizionato misurato a partire dai 60 anni di quiescenza vulcanica.

Le due tabelle hanno pari dignità, purtuttavia gli esperti hanno optato per la tabella B onde procedere alla stesura del piano di emergenza col suo annesso più importante: il piano di evacuazione ancora in itinere. Scegliendo la tabella B, i tecnici del Dipartimento della Protezione Civile hanno inteso obliare l’accadimento pliniano ritenendo l’1% previsto più che improbabile. Il problema è che tra quasi due secoli possiamo confermare la bontà del prodotto statistico offertoci: non prima…

Il Gruppo di Lavoro – A - incaricato di studiare e riferire quale sia l’eruzione di riferimento da cui difendersi, ha indicato statisticamente una sub pliniana (VEI4); ipotesi avallata e condivisa dalla commissione grandi rischi - sezione rischio vulcanico - che ha ritenuto congruo il lavoro del Gruppo A introducendo solo la linea nera Gurioli come margine d’invasione dei flussi piroclastici.

La linea nera Gurioli indica i limiti di scorrimento de flussi
piroclastici in seno ad eventi eruttivi  VEI 4.
 
In altre parole, se dovesse verificarsi un’eruzione superiore a quella limite adottata nel piano d’emergenza attuale, cosa che nessuno può escludere, alcuni comuni non previsti nella zona rossa si ritroverebbero nell’inferno vulcanico alla mercé delle nubi ardenti.

Il cerchio rosso che abbiamo tracciato nella figura a lato, rappresenta secondo la nostra concezione delle garanzie ovvero secondo il principio di precauzione, la vera zona rossa da evacuare per potersi ritenere al sicuro dai peggiori fenomeni insiti in un’eruzione appena VEI4 accentuata.
Speriamo che i cittadini del vesuviano e del flegreo attraverso gli incendi boschivi che hanno imperversato e minacciato ampie fette del territorio campano, si siano resi conto che non si può affidare bovinamente alla politica e alle istituzioni, la sicurezza di un’intera plaga geografica che li comprende, senza seguirne criticamente le attività e le iniziative di previsione e prevenzione delle catastrofi.



giovedì 25 maggio 2017

Vesuvio: camera magmatica sopra o sotto?... di MalKo


Cratere del Vesuvio con vista Capri

Un vulcano è possibile definirlo come una spaccatura nella crosta terrestre da dove fuoriescono generalmente e in modo discontinuo, materiali gassosi, liquidi e solidi ad alta temperatura. Le cause alla base del trasferimento dei prodotti magmatici dall’interno del Pianeta e fino alla superficie terrestre attraverso varie tipologie eruttive, sono oggetto di studio con formulazioni di teorie tutte corredate dall’incertezza scientifica, perché i fenomeni eruttivi generalmente non sono continui, e in alcuni casi sono intervallati da secolari quiescenze. Fenomeni tra l’altro, che traggono origine dal sottosuolo chilometrico, quello non direttamente esplorabile…

Certi vulcani in termini di manifestazioni eruttive sono più rari dell’apparizione della cometa di Halley che solca i cieli mediamente ogni 76 anni… Nessuno degli scienziati oggi in servizio permanente effettivo all’Osservatorio Vesuviano ha mai visto un’eruzione dell’arcinoto Vesuvio o del super vulcano dei Campi Flegrei o dirompenze sull’isola d’Ischia. Quindi, la maggior parte delle disquisizioni scientifiche ad oggetto i vulcani napoletani, gioco forza devono trattare la scienza delle eruzioni e le sue innumerevoli variabili analiticamente, magari gettando lo sguardo su altri vulcani in attività come quelli ubicati sulle nostre isole meridionali oppure in altre parti del mondo.

I vulcani “stranieri”, per genesi e comportamenti e storie e contesti, sono completamente diversi l’uno dall’altro: non parliamo della forma, bensì del DNA geologico, frutto di fusioni e rifusioni e mescolamenti del magma, che avvengono nella parte superiore del mantello che assorbe prodotti in ascesa dal profondo, fondendone altri dalla suola litosferica.

La camera magmatica è forse l’elemento più importante di un vulcano, ancorchè dislocata a profondità variabile dai 3 ai 10 chilometri: è qui che ristagna la pasta ignea ad elevata temperatura e pressione ben insinuata nelle rocce incassanti. Se dovesse aumentare la spinta magmatica verso la superficie o, viceversa, dovesse essere minata la resistenza della crosta terrestre in un determinato punto sotto pressione, come sembra prospettarci il Dott. Chiodini per i Campi Flegrei, l’eruzione sarebbe inevitabile.

Alcune congetture sulla tipologia eruttiva e sulle varie manifestazioni vulcaniche ad oggetto il Vesuvio, sono state fatte dal Gruppo di lavoro “A” messo insieme un po’ di anni fa dal Dipartimento della Protezione Civile: una sorta di conclave costituito da scienziati per tracciare gli scenari eruttivi della prossima eruzione dell’arcinoto vulcano semmai dovesse verificarsi un’eruzione nel medio termine. Al massimo un’eruzione VEI 4 (sub pliniana) hanno sentenziato gli esperti: giudizio poi avallato dalla commissione grandi rischi. D’altra parte, nella relazione del Gruppo A si evidenzia a sostegno della tesi VEI 4, che nella camera magmatica superficiale del Vesuvio non c’è magma a sufficienza per una eruzione VEI 5, cioè una pliniana come quella che distrusse nel 79 d.C. Pompei, Ercolano e Stabia.

Secondo il Prof. Raffaele Cioni dell’INGV, tra l’altro membro della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, l’eruzione di Pollena del 472 ha marchiato i prodotti litoidi espulsi dal Vesuvio, lasciando impresso sulle rocce il segno di pressioni dell’ordine di cica 1000 bar. Cioè una pressione mille volte superiore a quella registrabile al livello del mare: compressioni riscontrabili a una profondità terrena di circa 4 - 5 chilometri…

Lo stesso Cioni però, rileva (Evidence for the shallowing of the Vesuvius reservoir in the upper crust over the last 20 kyr), che nell’analisi petrografica dei prodotti eruttati dal Vesuvio nell’eruzione pliniana del 79 d. C. e altre eruzioni particolarmente violente, si nota che il magma è assurto in superficie direttamente dalla camera magmatica più profonda, come quella attualmente dislocata a una profondità di circa 8 – 10 chilometri.

Il dato che ci sembra si possa cogliere allora è questo: il Vesuvio può attingere per le sue eruzioni da una camera magmatica pseudo superficiale quanto profonda, senza rendere necessario accumuli di magma intermedi, che pure potrebbe già esserci come punta di un iceberg incandescente, con spessori orizzontali non particolarmente estesi e quindi non evidenziabili nettamente dalla tomografia sismica.

D’altra parte un magma che ristagna più superficialmente dovrebbe essere un po’ più povero di elementi volatili. Quello che proviene dal profondo invece, ha una forza gorgogliante particolarmente dirompente: da pliniana insomma…

Lo studio del Prof. Cioni è forse un tantino in controtendenza con la relazione presentata dal Gruppo di lavoro A. In questo trattato scientifico infatti, viene dato come elemento rassicurante poco magma nella camera superficiale del Vesuvio...


Complesso Somma_Vesuvio visto da nord


Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo è un noto vulcanologo dell‘INGV – Osservatorio Vesuviano. Autore di alcune pubblicazioni di grande presa sul pubblico mondiale.

Prof. Mastrolorenzo, ha influenza la dislocazione della camera magmatica nelle dinamiche eruttive?

<< Innanzitutto è necessario precisare che tutte le ricerche relative alla identificazione di camere magmatiche sotto i vulcani attivi sono basate su approcci indiretti. Infatti, fatta eccezione per casi rarissimi, relativi ad antiche camere magmatiche solidificate e venute poi a giorno a seguito di processi di erosione, le camere magmatiche non sono rilevabili in modo diretto, e tuttalpiù possono essere intercettati dicchi magmatici nell’ambito di trivellazioni in vulcani attivi.

Nel caso del Vesuvio, dallo studio delle rocce eruttate durante i vari eventi eruttivi che hanno caratterizzato la storia del noto vulcano e da una serie di rilievi e analisi di natura geofisica utili per la comparazione dei dati, sono state ipotizzate le possibili localizzazioni in profondità dei sistemi magmatici responsabili delle eruzioni avvenute in passato, nonché delle zone anomale situate in profondità, quali possibili sedi di attuali camere magmatiche.

In particolare, ricerche condotte da me e dalla dott.ssa Lucia Pappalardo e da altri ricercatori nell'ultimo decennio, hanno evidenziato come le eruzioni sub-pliniane e pliniane del Vesuvio, nel corso degli ultimi ventimila anni siano derivate da camere localizzate a una profondità dell'ordine di circa otto chilometri.

Questo risultato è basato sullo studio dei minerali presenti nelle rocce espulse dal vulcano, e più in generale da particolari indicatori di pressioni pre eruttive che influenzano e favoriscono inclusioni vetrose (gocce di magma intrappolate nei cristalli prima e durante la risalita del magma) rilevabili all'interno dei materiali rocciosi che abbiamo raccolto in zona. Tutti elementi in accordo con le evidenze di strati ad alta temperatura e bassa rigidità risultante dalle indagini di tomografia sismica condotta negli scorsi decenni.

Circa i processi pre eruttivi e le possibili durate e tipologie dei fenomeni precursori che potrebbero accompagnare l'evoluzione delle camere magmatiche verso una possibile eruzione futura, dobbiamo limitarci a semplici ipotesi non verificabili per la mancanza di qualsiasi esperienza diretta in merito, e possiamo solo riferirci alle poche eruzioni di altri vulcani attivi direttamente osservate negli ultimi decenni.

Per tali motivi, è assolutamente doveroso che i vulcanologi dichiarino i loro limiti di conoscenza per non indurre le autorità e le popolazioni a rischio a ritenere che esistano metodi oggettivi e affidabili per la previsione dell’evento vulcanico, in termini sia temporali che di tipologia eruttiva di quello che sarà il futuro evento eruttivo>>.

Ringraziamo il Prof. Mastrolorenzo, primo ricercatore INGV – OV, per questa nota che lascia pochi dubbi interpretativi sull’ubicazione della camera magmatica del Vesuvio e sullo stato della previsione dell’evento vulcanico.

Quello che vorremmo ulteriormente segnalare in conclusione, è che l’attuale politica di prevenzione delle catastrofi vulcaniche, un argomento che ci riguarda molto da vicino, si basa su un modello statistico utilizzato come elemento di certezza deterministica, per tracciare limiti di pericolo addirittura geo referenziati con implicazioni nel campo dell’edilizia residenziale che non segue criteri di prudenza e delle strategie operative di emergenza molto discutibili soprattutto dal punto di vista dei territori classificati coinvolgibili nelle fenomenologie vulcaniche più disastrose.

Con questo non si vuole dire che la prossima eruzione del Vesuvio sarà certamente apocalittica, cioè pliniana in ambito metropolitano; vogliamo semplicemente dire che la vita umana non è un assemblaggio di tessuto vivente ricostruibile in un altro luogo e, quindi, l’umanità deve essere titolare di un qualche diritto di precauzione.

Allora la scienza deve essere in linea con la democrazia, senza essere serva sciocca dell’aristocrazia istituzionale che vuole popoli rabboniti e concilianti… Ogni singolo abitante che vive nelle aree vulcaniche, deve sapere i limiti della scienza e della tecnologia esplorativa. Deve sapere a cosa si può andare incontro permanendo in zona rossa, e deve avere contezza che lo Stato ha l’obbligo di garantire la sicurezza dei propri cittadini attraverso la redazione e l’adozione di un piano d’emergenza corredato da un piano di evacuazione, preferibilmente non mediatico o aritmetico.

L’elaborazione di politiche di prevenzioni delle catastrofi dovrebbero essere un disegno politico e istituzionale da porre al vaglio nelle campagne elettorali comunali e regionali e nazionali. Così come può concorrere alla sicurezza areale l’educazione civica delle future leve vesuviane e flegree e ischitane, secondo processi formativi che dovrebbero prevedere l’inoculazione di concetti che riguardano il territorio e il rispetto delle regole, che in un’area vulcanica potrebbe voler dire il concorso civile nella direzione della collettiva e futura sicurezza: “Venturi non immemor aevi ” ossia: “Pensiamo alle generazioni del tempo che verrà… (cartiglio Palazzo Cassano - Napoli -).