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sabato 26 ottobre 2019

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: 72 ore per evacuare... di MalKo

Vesuvio


Nel post precedente abbiamo sottolineato, in totale assenza di affiliazione e simpatia politica, l’importanza delle dichiarazioni del presidente regionale della Campania, che ha avuto il merito di dire la verità sulla previsione del pericolo vulcanico, nell’ambito della presentazione dell’esercitazione di protezione civile EXE Flegrei 2019, tra l'altro alla presenza di esperti e rappresentanti istituzionali e del mondo scientifico di alto livello.

Come oramai è noto, tutto il sistema dell’evacuazione cautelativa per mettersi al sicuro dagli effetti di un’eruzione vulcanica è tarato su 72 ore: tanto nel Flegreo quanto nel Vesuviano. Dodici ore per dispiegare i soccorritori. Quarantotto ore per evacuare la popolazione e far retrocedere in coda i reparti intervenuti. Dodici ore per affrontare possibili imprevisti.

Con le 72 ore a disposizione, dicono che si riuscirebbe ad evacuare il territorio flegreo con le modalità di trasporto che hanno immaginato gli strateghi dell’aritmetica. Secondo il nostro punto di vista invece, all’occorrenza l’evacuazione massiva della popolazione avverrebbe attraverso l’utilizzo delle autovetture, alla stregua degli estenuanti esodi estivi che avvenivano negli anni del benessere economico. Diversamente a piedi come fecero nell’età del bronzo antico gli indigeni che dimoravano nella piana vesuviana, per scampare alla più potente delle eruzioni del Vesuvio che si ebbe nel 1850 a.C., come testimoniano le orme dei piedi lasciate dalla popolazione in fuga dai villaggi, impresse nei primi strati di cenere vulcanica ancora calda.

Ebbene il governatore della Campania ha detto con onestà che queste 72 ore potrebbero esserci ma potrebbero anche non esserci… e quindi nella peggiore delle ipotesi tutto si evolverebbe direttamente sul campo, secondo le decisioni del momento adottabili con immediatezza dalla direzione di comando e controllo (Dicomac), se già insediata a San Marco Evangelista (Caserta) o, in assenza dei tempi necessari per la logistica, da indicazioni provenienti presumibilmente dalla sala operativa unificata (SOU) della regione Campania, con una prevalenza di comando da parte dei Vigili del Fuoco che nell’immediatezza delle catastrofi hanno il compito istituzionale di assicurare i soccorsi e il coordinamento interforze deputate al salvataggio della popolazione...

Nella malaugurata ipotesi che non dovessero esserci le 72 ore a disposizione per scappare, si dovrebbero fronteggiare comportamenti del tutto imprevedibili e irregolari e anche irrazionali, che cagionerebbero caos nel sistema di evacuazione che si bloccherebbe inesorabilmente. In queste condizioni i deboli risulterebbero ancora più deboli, e i forti reclamerebbero ancora più spazio in quella che si profilerebbe come una vera corsa per la vita, tra l’altro carica dell’incertezza eruttiva fino all’ultimo secondo, e in un contesto indisciplinato e difficilmente mitigabile dalle forze dell'ordine.

Per la maggior parte dei lettori l’affermazione del presidente De Luca dice poco; per chi ha seguito sul nascere l’attività di pianificazione delle emergenze vulcaniche invece, vuol dire tantissimo. Si pensi che nelle prime bozze di piano Vesuvio che non risalgono alla preistoria, l’autorità scientifica stimò in 20 giorni il tempo intercorrente tra un’attendibile previsione dell’eruzione e l’eruzione stessa. Con questi intervalli a disposizione, l’evacuazione poteva realizzarsi attraverso il sistema delle prenotazioni, con la regia regionale alla consolle, alla stregua di una moderna agenzia di viaggi. Da questa favorevole stima il disinteresse per i piani di evacuazione che ci sembra perduri...

Nel 2001 i tempi di attesa eruzione dalla proclamazione dello stato di allarme, erano stimati in alcune settimane con la precisazione che lo spostamento della popolazione si sarebbe dovuto effettuare comunque in 7 giorni.  Ulteriore riduzione dei tempi pre eruttivi sono stati indicati nell’attualità dal mondo tecnico presumibilmente su suggerimento scientifico, che nelle varie ipotesi previsionistiche hanno mostrato maggiore prudenza, indicando nell'attualità in appena 72 ore il tempo a disposizione per l’evacuazione. Settantadue ore che potrebbero esserci e potrebbero non esserci dicevamo…

Si è da poco conclusa l’esercitazione EXE flegrei 2019, passata inopinatamente, grazie a una forzatura mediatica, come manifestazione nazionale.  In realtà la più grande esercitazione di livello nazionale mai fatta in Italia è stata quella di Portici denominata Vesuvio 2001. Tale evento esercitativo non ebbe la prevalente regia mediatica del Dipartimento, perché l’amministrazione di Portici col sindaco Leopoldo Spedaliere, pretese ed ebbe parte attiva diretta nelle decisioni e nell’operatività e nella buona riuscita dell’intera operazione.

Per dare un metro di misura ai cittadini flegrei, con Vesuvio 2001 si testarono contemporaneamente le modalità evacuative con treno e poi stradale con autovetture private e finanche con mezzo navale (Catamarano) della società Alilauro, procurato direttamente dal sindaco perché il Dipartimento non prevedeva, esattamente come oggi, questa modalità di trasporto alternativo in emergenza.

Il treno in quel periodo venne considerato la chiave di volta dell’evacuazione, perché la strada ferrata attraversa ancora oggi e contiguamente al mare, tutta la zona rossa Vesuvio ad occidente, che è anche quella parte di territorio vulcanico maggiormente e più densamente popolato. Anche in quel caso, gli strateghi come oggi esclusero la via marittima affermando che i fondali portuali potevano gonfiarsi in una fase preeruttiva rendendo inutilizzabile il porto. Facemmo notare che la strada ferrata che attraversa la zona rossa Vesuvio passa praticamente a pochi metri dagli scogli e dal mare e soprattutto a Portici si snoda quasi sulla banchina del porto. Una deformazione del fondo marino avrebbe riguardato anche la linea ferroviaria, tra l’altro bloccabile pure susseguentemente a terremoti con magnitudo maggiori di 4.

L’evacuazione a mezzo treno nell’ambito esercitativo Vesuvio 2001, fu in tutti i casi assicurato da un convoglio che trasportò da Portici a Bellaria Igea Marina (Rimini) circa 650 porticesi con una durata del viaggio di circa 6 ore. Proprio in virtù dell'esercitazione si capì che la lunghezza della banchina della stazione d'arrivo non era adeguata alla lunghezza del treno.

Vesuvio 2001 - tracciato ferroviario da Portici a Bellaria Igea Marina (Rimini)

L’evacuazione stradale invece, richiese l’impegno di oltre 250 autovetture per un totale di circa 1000 cittadini che da Portici e con percorsi assistiti raggiunsero anch’essi Bellaria Igea Marina dopo un tragitto di circa 560 chilometri. Ogni autovettura era contraddistinta dal logo esercitativo e monitorata ai check point.

Vesuvio 2001 - Tracciato stradale da Portici a Bellaria Igea Marina


L’evacuazione a mezzo naviglio fu il classico esperimento, anche per testare la manovrabilità in un porto dalle ridotte dimensioni: la nuova strategia impegnò un catamarano per il trasporto di oltre 350 porticesi dal porto borbonico del Granatello fino allo scalo marittimo di Pozzuoli, dove all’approdo i partecipanti furono accompagnati da bus e volontari in una visita guidata alla Solfatara per fare gemellaggio vulcanico e contemporaneamente informazione sul rischio eruttivo a cura dell’Osservatorio Vesuviano.

L’esercitazione durò quattro giorni (27,28,29 e 30 settembre 2001); in quel di Bellaria Igea Marina, quale comune deputato al gemellaggio tra Emilia Romagna e Portici (oggi  è il Piemonte), fu concentrata e assicurata l'accoglienza (29/09/2001), consistente nel censimento e la successiva collocazione dei partecipanti nelle varie strutture ricettive per passare la notte e fino alla giornata successiva 30/09/2001, data del rientro pomeridiano del treno e delle autovetture e della nave. 

La sera del 29 fu fatta la festa dell'accoglienza a Bellaria, nel palasport locale con esibizione di artisti napoletani; spettacolo in favore tanto degli evacuati porticesi quanto dei cittadini bellariesi in un contesto ordinato che vide la partecipazione attiva di politici di entrambe i comuni.

Tutti i percorsi evacuativi furono continuamente e completamente assistiti con l’impiego di radioamatori locali che, basati al Centro Operastivo Misto di Portici, assicurarono ogni forma di collegamento radio di livello provinciale, regionale e nazionale. Nell’ambito esercitativo fu per la prima volta instaurata ex novo pure la funzione 15, secondo le logiche del metodo Augustus, per la tutela dei beni culturali, con attività pratiche di imballaggio sul campo, e a seguire il successivo trasporto con mezzi VVF dei preziosi reperti da Portici a Caserta, con la scorta delle forze dell’ordine.

Furono organizzati posti medici avanzati nei punti strategici, e sul treno fu particolarmente efficace la collaborazione dei gruppi scout che intrattennero i bambini durante il tragitto: una funzione molto utile in percorsi così lunghi. La Polizia ferroviaria seguì di stazione in stazione il convoglio, offrendo notizie al Centro operativo porticese. Il Dipartimento della Protezione Civile curò soprattutto i Check Point lungo il tragitto stradale con i vari servizi assistenziali assicurati dai volontari.

Occorre dire che per garantire la partecipazione dei cittadini fu necessario offrire agli evacuati trasportati dal treno in modalità assistita e a quelli arrivati autonomamente a Bellaria in auto, il vitto e il pernottamento. D’altra parte il viaggio di andata e ritorno senza sosta intermedia era impensabile anche per motivi di sicurezza legati alla stanchezza dei guidatori. Per coloro che aderirono alla simulazione stradale, fu quindi necessaria l’erogazione di buoni carburante e fogli di transito gratuito ai caselli autostradali: anche in questo caso era improponibile far accollare ai cittadini le spese di trasporto. Ci fossero stati più fondi disponibili, le adesioni sarebbero state ancora più numerose.

Quell’esercitazione ha prodotto molti insegnamenti, innanzitutto a proposito dell’informazione e della pubblicità che si fa dell'evento, che in queste circostanze per la maggior parte è stata in capo al Dipartimento… Vesuvio 2001 per una serie di motivi  è stata oggetto di dannatio memoriae mediatica.

Il secondo elemento riflessivo è questo: se si pensa di fare le esercitazioni con il coinvolgimento della popolazione, è necessario munirsi di idee e di fondi per le spese e avere un minimo di fantasia per incentivare la partecipazione dei cittadini senza aspettare la calata dei funzionari dipartimentali che non risolverebbero il problema. Dire andate all’area di incontro e poi tornatevene a casa è a dir poco squallido…Oppure salite sul treno freccia rossa, riscaldate il posto e poi scendete potrebbe essere un non senso esercitativo… per non parlare dell'evacuazione da Pozzuoli alla stazione di piazza Garibaldi con servizio navetta. Pure dal punto di vista dei gemellaggi si è fatto pochissimo, atteso che in EXE flegreo 2019 è stata assicurata semplicemente la presenza di una delegazione della Lombardia che si è recata alla stazione di Napoli a guardare l'immoto treno.

Il terzo elemento di riflessione riguarda l'informazione: il momento meno ideale per fornire notizie sul rischio vulcanico è quello immediatamente esercitativo perché si è presi da altro. Se si vuole la collaborazione dei cittadini bisogna lavorare per anni in un contesto di concretezza sulla sicurezza che non può incentrarsi continuamente e unicamente sull'emerito Osservatorio Vesuviano e solo sul rischio vulcanico. Da anni questa struttura dell'INGV copre ruoli che non gli competono direttamente, come la sicurezza delle zone rosse e l'evacuazione dalle stesse, che dovrebbero invece essere argomento di diretta competenza dell'amministrazione comunale e poi dei rappresentanti politici nazionali e regionali deputati alla prevenzione e al soccorso delle popolazioni. 
Il Comune è in ogni caso l’istituzione più vicina ai cittadini e le risposte in prima battuta devono arrivare da lì. I cittadini dei Campi Flegrei così come quelli del vesuviano, devono essere destinatari di messaggi innanzitutto veri e non edulcorati dal principio del non allarmare. 

I gruppi che sorgono su facebook per scambiarsi pareri e notizie, possono svolgere un ruolo molto importante nell'informazione e nella formazione della coscienza civica di cittadini così intimamente connessi con le realtà del territorio: in tutti i casi però, occorre sviluppare un senso critico sulle notizie da dare,a prescindere dalla provenienza, perchè anche le fonti più autorevoli a volte enunciano una verità assolutamente parziale, che fornisce alibi ma non soluzioni, in un contesto dove vige il principio non dichiarato, che anche sui rischi bisogna operare scelte dettate dal disumano calcolo dei costi benefici. Scenario eruttivo docet...

In altre democrazie l'attività di controllo sulla politica e sulle istituzioni è svolta dal giornalismo investigativo, ma molto possiamo fare anche noi riflettendo sui termini che si utilizzano ma soprattutto analizzando e comparando le notizie diffuse da tutte le fonti. Ad esempio, la citazione mediatica molto usata che il Vesuvio è tenuto sotto controllo è assolutamente irreale. Il controllo lo si esercita se si ha un interruttore fra le mani con on e off...  Questa diapositiva sottostante è stata proposta a un seminario dell'ordine degli ingegneri di Napoli nel dicembre del 2016 :

Il Vesuvio logicamente non è un combustibile che si accende e si spegne ma non è in questa citazione il problema. L'Osservatorio Vesuviano esercita attività di monitoraggio consistente in rilevazioni continue dei parametri fisici e chimici del vulcano, ma non controlla affatto il magma e quindi le eruzioni, perchè il controllo prevede la capacità di governare qualcosa o disporre a piacimento di qualcosa. Nessuno poi, è in grado di prevedere un'eruzione con notevole anticipo, neanche se mettiamo tutti gli scienziati del mondo uno sull'altro impilati nel loro sapere, arriveremmo a una anticipazione deterministica dell'eruzione. A smentire la prevedibilità dell'evento vulcanico in controtendenza con la storica dialettica dei compartecipanti all'inaugurazione di exe 2019, ci ha pensato il presidente De Luca col suo pragmatismo: 72 ore per evacuare potrebbero esserci ma potrebbero anche non esserci... Ecco: proiettate questo!











martedì 13 novembre 2018

Pericolo Vesuvio: si prevede di prevedere... di MalKo

Vesuvio e l'orlo calderico del Monte Somma visti da est


Quando si dimora in un’area vulcanica quiescente, come può essere il Vesuviano o il Flegreo, l’insorgere di terremoti accresce il desiderio di documentarsi: il maglio litosferico per quanto snobbabile cattura sempre attenzione, perché a differenze delle anomalie geochimiche piuttosto puntiformi, i sussulti sono percepiti direttamente dalle popolazioni. Scettici e meno scettici allora, per sedare un minimo d’ansia o di curiosità, cercano sul web notizie sulla possibilità eruttiva, magari accedendo a siti alla dagospia, contenenti, a cura di presunti beninformati, le verità più nascoste su quello che la natura ha in serbo nel sottosuolo…

Occorre dire in proposito, che il sentire comune parte dalla convinzione che le autorità non dicono e né tantomeno diranno la verità sulla reale pericolosità del Vesuvio o del super vulcano flegreo, per non scatenare il panico. Effettivamente la tendenza governativa è quella di non generare paure, tant’è che il Dipartimento della Protezione Civile ha stilato un protocollo d’intesa con l’Osservatorio Vesuviano, che prevede la trasmissione dei dati geochimici e geofisici ad oggetto i vulcani napoletani, secondo procedure di riservatezza tanto più stringenti quanto maggiori saranno le perplessità del mondo scientifico sul reale stato di allerta vulcanica. Sarà il Dipartimento poi, a valutare tempi e modi per notiziare i sindaci e le popolazioni, qualora il progredire dello stato di irrequietezza dei vulcani dovesse assurgere a livelli preoccupanti.

Sull’argomento possiamo affermare con una certa sicurezza, che in realtà sussiste un fattore di oggettiva insondabilità su quello che succede nelle viscere dei due distretti vulcanici in questione, ma lo stesso vale anche per l’isola d’Ischia, un luogo che oltre alla bellezza racchiude come contrappasso un concentrato di problematiche di ordine naturale, come il rischio sismico e quello idrogeologico che si sommano a quello vulcanico ancora poco esplorato.

Gli scienziati possono quindi diffondere i dati strumentali che riguardano i parametri di monitoraggio dei vulcani, magari accompagnandoli con il loro motivato parere che sarà inevitabilmente corredato dai forse, ma nessuna previsione sul lungo periodo è possibile trarre oggi dalla tecnologia strumentale, e qualsiasi azzardo in tal senso difficilmente verrebbe avallato dalle istituzioni competenti. I terremoti isolati o a sciami, nel flegreo ma ultimamente anche nel vesuviano, non sono una rarità, e a cosa preludano, ancorchè si profilano da un sottosuolo ribollente, è impossibile accertarlo.

L’origine dei terremoti vulcanici appartiene ai dinamismi litosferici di cui il magma insinuandosi dal profondo rappresenta un aspetto sicuramente caratterizzante, accumulandosi nella o nelle camere magmatiche, secondo ritmi sconosciuti e non lineari, che non consentono di decifrare in anticipo i cambiamenti, con l’amalgama incandescente che si riassesta, a volte diramandosi orizzontalmente e altre volte ancora spingendosi verso l’alto sotto forma di intrusione fermandosi ad alcuni chilometri dalla superficie.

Nel 1984 nei Campi Flegrei i terremoti si contarono a migliaia e il sollevamento del suolo si misurava a decine di centimetri: dopo un allarmismo generalizzato vicinissimo all’allerta rossa, la situazione retrocesse a un livello di quiete.  Bisogna dire però, che nel 1984 il bradisismo era considerato un fenomeno abbastanza localizzato e a sé stante, e il timore maggiore per le autorità scientifiche era l’incalzare dei terremoti e quindi la statica dei fabbricati. Quegli stessi fenomeni, nell’odierno, avrebbero comportato una diversa valutazione della situazione e, nella migliore delle ipotesi, sarebbe stato diramato lo stato di pre allarme vulcanico…

Quindi, salterellando nella rete si potranno al massimo carpire dei punti di vista senza alcuna certezza sui tempi che mancano al ripresentarsi di un’eruzione, ed è tutto frutto della statistica l'individuazione della tipologia massima eruttiva che in futuro dovrà essere fronteggiata, con indici di intensità destinati ad aumentare col trascorre del tempo.

Nel campo vulcanico non si può fare gossip, e a ogni sciame sismico o altra anomalia geochimica e geofisica, peggio ancora se accoppiate, si trattiene un po' il fiato, alla stregua del rimescolamento dei 5 dadi in un bicchiere: prima ancora di un valore, piaccia o non piaccia siamo in presenza di una grande incognita…

Il secondo elemento riguarda il piano d’emergenza, ovvero di evacuazione, a cui non si presta attenzione un po’ perché ancora non c’è, e un po’ perché non si crede nella disciplina dei conterranei nei frangenti di pericolo.

Anche in questo caso, nel sentire comune è diffusa la consapevolezza che in caso di necessità a prevalere sarà l’anarchia comportamentale, dove ognuno presumibilmente e sul momento di massimo allarme, elaborerà autonomamente la strategia migliore per allontanarsi, secondo percorsi che riterrà in quel momento maggiormente efficaci per mettersi al sicuro senza badare al prossimo.

Ovviamente per poter raggiungere il successo evacuativo in una condizione diffusa di affollamento veicolare, è necessario anticipare l’antagonista che poi è il vicino di casa, i condomini del palazzo, la gente del rione e del quartiere e la popolazione comunale: ci si muoverà con audacia e forse arroganza, per guadagnare in strada e ad ogni incrocio la pole position.

Per schierarsi per primi in posizione di partenza, è necessario muoversi senza indugi e conoscere la viabilità ma anche le strategie su cui è stato costruito l’impalco del piano d’emergenza: non conoscere il territorio e le regole penalizza enormemente. Innanzitutto bisogna entrare nelle logiche dei livelli di allerta vulcanica che contraddistinguono una scala a diversa pericolosità. Bisogna poi tenere presente, come già accennavamo in precedenza, che l’evacuazione si basa su concetti probabilistici, della serie prevediamo di prevedere.

Anche il passaggio da un livello all’altro è assolutamente imprevedibile come tempistica, cosa tra l’altro solo recentemente chiarita dal Dipartimento della Protezione Civile. I passaggi di livello potrebbe caratterizzarsi per il salto di un colore: ad esempio da attenzione ad allarme, o permanere a un medesimo livello per anni, come succede ai Campi Flegrei, dove lo stato di attenzione fu dichiarato nel 2012 e persiste ancora oggi. In sei anni occorre dirlo, i dubbi su cosa bolla nella caldera flegrea sono tutti intatti e ben custoditi nell’enigmatico sottosuolo chilometrico.

Per capire bene alcuni dei concetti espressi in precedenza, bisogna partire dal presupposto che il piano di evacuazione è tarato su un tempo di 72 ore, perché le autorità dipartimentali e regionali prevedono di prevedere almeno 3 giorni prima l’approssimarsi di un’eruzione. Se dovesse fallire la previsione nel senso del mancato allarme o anche del ritardato allarme, le prime problematiche da affrontare sarebbero da ressa e panico diffuso, in un contesto ambientale caotico e violento, a cui potrebbero aggiungersi effetti meccanici dovuti all’eruzione che presumibilmente incalzerebbe col passare delle ore. In un contesto di questo genere si dubita sulla tenuta dei meccanismi dell’ordine pubblico, e ancora sullo schema generale e locale dell’impianto evacuativo che potrebbe saltare per motivi di disobbedienza civile. Un meccanismo quello dell’evacuazione, che in tutti i casi ancora non c’è…

Livelli di allerta vulcanica e fasi operative.

Viceversa, il falso allarme che è anche la condizione più probabile e in alternativa anche la più auspicabile, non prevede danni causati dall’eruzione, ma potrebbero esserci quelli eventualmente generati dal movimento repentino e massivo delle popolazioni. In altre parole, a fare la differenza, sarà come sempre e come capita in tutti i frangenti di pericolo reale o percepito, il comportamento delle masse.

Il comportamento della popolazione è certamente favorito o comunque fortemente condizionato dai sintomi pre eruttivi capaci di attivare gli organi sensoriali, la cui funzione è anche quella di indurre comportamenti di sopravvivenza per sfuggire a fenomeni magari incomprensibili. Viceversa, un allarme rosso diramato in un contesto di normalità ambientale, cioè con calma geologica apparente senza fenomenologie in atto, indurrebbe probabilmente ansia nei cittadini ma non immediatamente panico, soprattutto in assenza di comportamenti inconsulti che in frangenti di pericolo c’è la tendenza ad imitare.

Se da un lato quindi sussistono le incognite previsionali legate a una possibile eruzione in uno qualsiasi dei distretti vulcanici napoletani, anche se a destare maggiori preoccupazioni occorre dirlo oggi è il flegreo,  i piani di evacuazione dell’area vesuviana e flegrea e anche ischitana, nonostante siano l’unico elemento di certezza in materia di salvaguardia su cui investire, non sono ancora pronti: mancano le istruzioni per utilizzare la viabilità locale e in alcuni casi, come nel vesuviano,  è ancora da definire l’allocazione dei centri operativi comunali (COM) o intercomunali (COMI) deputati alle funzioni viabilità, soccorso e ordine pubblico.

Il piano di evacuazione, è bene specificarlo, altro non è che la mediazione tra due impossibilità; cioè da un lato quella di spostare o contenere la furia vulcanica, e dall’altro quella di delocalizzare i 700.000 abitanti che popolano la plaga vesuviana. D’altra parte non è neanche possibile proteggere compartimentando la popolazione attraverso barriere protettive resistenti al fuoco e ai fumi dell’eruzione, perché le colate piroclastiche col loro carico di rocce che si staccano in quota e poi scorrono velocemente sul declivio vulcanico, hanno una potentissima azione dinamica di sfondamento e un’elevata temperatura che si conserverebbe per alcuni giorni negli ammassi piroclastici.  

Dicevamo mediazione, perché attraverso l’evacuazione preventiva si separa il pericolo (P) dal valore esposto (Ve) per una distanza (d) rapportata al tipo di eruzione, ma solo nel momento di massima allerta vulcanica, in modo da consentire alle popolazioni esposte di vivere il loro territorio fin quando è possibile.

Nel piano Vesuvio la distanza (d) è quella relativa all’eruzione massima attesa (VEI4) teorizzata e adottata e offertaci dai calcoli probabilistici e poi da indagini campali; questo spazio risulterebbe insufficiente se dovesse verificarsi un evento pliniano, la cui intensità eruttiva supererebbe di dieci volte l’eruzione massima attesa VEI4.
La distanza (d) è quella da interporre tra popolazione ed eruzione.
 Il piano di evacuazione ha questa finalità.
Certamente in caso di allarme i vesuviani prediligerebbero le autovetture per allontanarsi velocemente e diuturnamente, indirizzandosi verso le grandi arterie stradali, superando i cancelli che rappresentano una sorta di valvola di non ritorno presidiata dalle forze dell’ordine.

I cittadini che lo vorranno, all’occorrenza potranno abbandonare le zone rosse già nella fase di preallarme. Devono però sapere, che una volta attraversato il cancello di uscita non potranno più rientrare fino a quando il livello di allerta vulcanica non verrà riportato allo stato di attenzione. Il che non avverrebbe sul breve termine…

L’allarme vulcanico invece, prevede per tutti, residenti e soccorritori, di abbandonare la zona rossa nella sua interezza. Una zona che dopo l’eruzione verrebbe ri-presidiata dalle forze dell’ordine deputate all’anti sciacallaggio, mentre per il ritorno dei cittadini nelle aree evacuate si prospetterebbero tempi abbastanza lunghi, per consentire le difficili valutazioni della situazione post eruttiva dell’area, dei fabbricati e di tutti gli annessi strutturali e infrastrutturali connessi a un vivere civile.

In caso di eruzione, ritorneranno i vesuviani nel vesuviano? La governance ideologica che oggi regna sovrana nel mondo è tutta proiettata sull’economia: quindi, molto presumibilmente e contrariamente al principio di precauzione, sfruttando anche la forte tendenza e volontà reinsediativa degli sfollati, la plaga vesuviana ritornerebbe ad essere antropizzata a partire dai palazzi che hanno superato indenni la prova del fuoco: dipenderà molto dalla tipologia eruttiva che in un futuro, auspicabilmente lontanissimo, segnerà la morfologia dell’area. Dopo l'eruzione che verrà, occorreranno molti anni, ma si ritornerà alla situazione precedente, col familiare monte a farci ombra con un rinnovato pennacchio sommitale e una zona rossa fortemente ridotta, almeno per i primi 60 anni di quiete vulcanica...




domenica 21 ottobre 2018

Rischio Vesuvio:la conventio ad excludendum...di MalKo



Vesuvio da Torre Annunziata

Il Vesuvio è un famosissimo vulcano che per il passato ha dato vita a eruzioni di diversa intensità, anche di tipo esplosivo (pliniana), come quella che nel 79 d.C. devastò e seppellì le città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis: oggi siti archeologici d’importanza mondiale.

Quando un vulcano come il Vesuvio produce un’eruzione esplosiva, forma una colonna eruttiva che spara letteralmente in aria una gran quantità di prodotti piroclastici di varie misure, misti a gas e vapori, che possono raggiungere nelle tipologie pliniane anche i 30 Km. di altezza.


Da questa colonna scura e minacciosa che s’innalza nel cielo accompagnata da scariche elettriche, in genere e dopo poco, si staccano masse di prodotti che, ricadendo lungo i fianchi del vulcano, si trasformano in colate piroclastiche: una sorta di valanghe travolgenti, con ammassi che scorrono velocemente con temperature oscillanti tra i 300° e i 600° Celsius.
Alcune simulazioni hanno consentito di stimare in meno di dieci minuti il tempo occorrente a una colata piroclastica per raggiungere sul versante sud occidentale del Vesuvio il mare.

Pericolosissimi sono anche i lahar, cioè colate rapide, in questo caso di fango, che si sviluppano quando l’acqua espulsa dall’eruzione sotto forma di vapore, condensa e si mescola alla cenere vulcanica, scivolando impetuosamente lungo i valloni erosivi che segnano il monte, per poi dilagare a valle con impeto, dando così spazio agli alluvionamenti melmosi.

La terza e non meno pericolosa manifestazione vulcanica, è quella della pioggia di cenere e lapilli, che andrebbe a interessare soprattutto la zona posta sottovento al vulcano, con potenze di deposito inversamente proporzionali alla distanza dal cratere. La cenere, con la sua componente vetrosa, oltre a creare difficoltà alla respirazione e alla circolazione dei veicoli e velivoli, riduce anche la visibilità. Accumulandosi poi in gran quantità sui tetti non spioventi, potrebbe determinare lo sprofondamento dei solai di copertura e a seguire quelli di piano. Inoltre, gli accumuli di prodotti piroclastici nella parte più alta degli edifici, potrebbero rendere i fabbricati maggiormente vulnerabili alle oscillazioni indotte dai terremoti, a causa dell’anomalo sovrappeso in sommità.

Le lave si presentano raramente nelle eruzioni esplosive; in ogni caso non rappresenterebbero un problema per l’incolumità delle persone, ma solo per le case e altri manufatti che si trovano lungo il percorso. Tra l’altro i flussi lavici sono praticamente incontenibili e difficilmente deviabili.

La cartina che vi mostriamo in basso, evidenzia quelle zone vesuviane e provinciali a differente pericolosità, a iniziare da quella più problematica in assoluto: la zona Rossa 1 (R1). Trattasi della prima area concentrica all’apparato vulcanico, che può essere invasa dalle colate piroclastiche, dai surges piroclastici, dalle colate di fango, e inoltre il settore diventerebbe bersaglio di imponenti ricadute di blocchi, bombe e lapilli. 



La zona Rossa 2 (R2) invece, è quella parte del territorio vesuviano ubicata a est del cono vulcanico, dove, per effetto dei venti dominanti spiranti, secondo elementi statistici, prevalentemente in quella direzione, è maggiore il rischio di massiccia ricaduta di cenere e lapilli con tutti i problemi che ne concernerebbero per la sicurezza, la visibilità e la mobilità dei cittadini.

La zona gialla è quella parte piuttosto estesa del territorio esterno alla zona rossa nel suo complessivo, dove in caso di eruzione si concretizzerebbero problematiche da accumulo di cenere in una misura presumibilmente minore rispetto alla zona R2. In ogni caso le conseguenze per la popolazione sarebbero rapportate alla distanza dal centro eruttivo e dalla direzione e intensità del vento in quel momento. Eventuali provvedimenti cautelativi, secondo le strategie adottate dalle autorità competenti, andrebbero assunti durante l’eruzione, dopo che si sia avuta contezza del settore territoriale maggiormente coinvolto dalla pioggia di cenere e lapilli.

Nella foto sottostante, il campo d’aviazione americano di Terzigno durante l’eruzione del Vesuvio del 1944. La pioggia di piroclastiti rese impraticabile l’aeroporto e danneggiò seriamente gli aerei che non ebbero il tempo di decollare.

1944 - Terzigno - Campo di volo americano "bombardato" dal Vesuvio


La zona blu comprende quei territori in zona gialla a nord del Vesuvio, altimetricamente classificabili depressi (conca di Nola), che in seguito all’eruzione potrebbero essere allagati e sommersi da oltre 2 metri d’acqua e fango. Non c’è ancora una chiara strategia operativa a difesa delle popolazioni che dimorano in zona blu, tra Acerra e Nola. L’entità del fenomeno comunque, avrebbe uno stretto rapporto con i depositi di cenere sottili capaci di impermeabilizzare i suoli. Anche in questo caso quindi, la direzione dei venti e l’entità della pioggia di cenere e lapilli condizionerebbe la vulnerabilità di questo settore, purtroppo in scarsa evidenza nei piani d’emergenza.

Un ulteriore elemento di pericolo intrinseco alle eruzioni, è dettato dai terremoti. Infatti, le eruzioni di solito sono precedute da sussulti sismici di tutto rispetto, con scosse e tremori che si manifesterebbero sia nella fase prodromica ma anche in modo piuttosto acuto durante l’eruzione.

La previsione delle eruzioni

Occorre subito dire che non è possibile prevedere sul lungo termine quando ci sarà un’eruzione del Vesuvio. A detta degli esperti, auspicabilmente i segnali geofisici e geochimici che si manifesteranno e anticiperanno l’approssimarsi del fenomeno eruttivo, possono essere immediatamente colti, grazie a una sorveglianza vulcanica diuturna, e potrebbero consentire di formulare, in una chiave probabilistica che andrebbe a perfezionarsi con il passare delle ore, una previsione corta o cortissima del fenomeno, cioè sul breve e brevissimo tempo. Nella fattispecie del discorso, possiamo parlare di ore, giorni e forse settimane.

Il tempo intercorrente tra l’insorgere degli indicatori di variazione dello stato di quiete del vulcano e la ripresa eruttiva, rimane quindi una incognita di fondamentale importanza per la componente tecnico politica deputata alla diramazione dell’allarme, e quindi alla salvaguardia delle popolazioni.

È opportuno precisare che la previsione anche corta come innanzi dicevamo, avrà sempre un taglio probabilistico e mai deterministico, perché la certezza dell’eruzione ci sarà data solo dall’effettiva e tangibile ripresa del fenomeno in tutta la sua virulenza energetica.

In altre parole, il rischio del mancato allarme o del falso allarme sono fattori che non è possibile azzerare in quello che è un ambito disciplinare scientifico (geologia) zeppo di incognite derivanti da un ambiente senza un orizzonte di visibilità, purtuttavia dinamico e in ogni caso inesplorabile direttamente dall’uomo. Le perforazioni hanno raggiunto con grande difficoltà i dieci chilometri di profondità che sono ben poca cosa rispetto a un raggio medio terrestre di 6370 km.

Prima di lanciare l’allarme eruzione quindi, anche alla luce della grande quantità di persone da mobilitare, bisognerà attendere qualcosa di più concreto delle prime avvisaglie di irrequietezza vulcanica, perché talune variazioni potrebbero essere sintomi di ripristino degli equilibri interni dell’apparato vulcanico, magari dettati da semplici sommovimenti o modeste intrusioni magmatiche in profondità.

D’altra parte le filosofie della sicurezza inducono ovviamente a ritenere maggiormente accettabile un falso allarme, anche se il medesimo non è scevro da rischi, perché metterebbe in moto un gran numero di cittadini, in un contesto ambientale fatto di assetti stradali modesti e non congeniali alla movimentazione rapida della popolazione vesuviana. Da questo punto di vista la fascia litoranea che è anche quella ad alta densità abitativa, presenta le maggiori criticità perché la popolazione è stretta tra mare e monte.

Va ricordato inoltre, che la diramazione dell’allarme eruzione non è a cura dell’autorità scientifica ma di quella politica ai massimi livelli (Presidenza del Consiglio).

La zona rossa sancita da un apposito decreto, è rappresentata dall’insieme delle zone R1 e R2 (vedi immagine sottostante): trattasi dell’area di totale evacuazione della popolazione, ma anche dei soccorritori in caso di allarme vulcanico. La differenza sostanziale tra le due zone non sono le modalità di allontanamento preventivo, ma la disomogeneità delle attività di prevenzione delle catastrofi...



 Le strumentazioni di monitoraggio vulcanico

Le strumentazioni ipertecnologiche e super sofisticate di monitoraggio del Vesuvio, gestite dall’Osservatorio Vesuviano (INGV), aiutano nella decifrazione dello stato del vulcano, ma non sono la soluzione dell’incognita previsionale. La tecnologia da terrestre a satellitare, serve ad anticipare la cattura dei sintomi di irrequietezza vulcanica, ma nessun strumento è in grado di dire a che cosa porteranno quelle variazione dei parametri vulcanici così precocemente captati dagli strumenti.

Una strumentazione di alto o altissimo livello infatti, può solo anticipare lo stato di attenzione vulcanica, ma non aiuta ad anticipare la valutazione sulla dichiarazione dello stato di allarme, che sarà un’azione decisionale complessa ma necessariamente tutta umana, presumibilmente frutto di pareri interdisciplinari e di analisi del rischio nella sua complessità.
 
Campi Flegrei - Solfatara - Strumentazioni di monitoraggio


A corredo del discorso, occorre segnalare pure un’ulteriore incognita di non poco conto che ha sparigliato i teoremi della prevenzione delle catastrofi collegate al Vesuvio. Nonostante riteniamo che sia auspicabilmente abbordabile la previsione corta del fenomeno eruttivo, in realtà nessuno è in grado di stabilire dai sintomi captati o anche percepiti direttamente dall’uomo, quale sarà la taglia eruttiva (VEI) dell’eruzione che verrà! Cioè quante energie diromperanno dal sottosuolo vesuviano... Nel caso del Vesuvio, che nella sua storia eruttiva annovera range di manifestazioni energetiche molto diverse fra loro (VEI3, VEI4 e VEI5), definire la portata dell’eruzione prima dell’eruzione è puro azzardo, soprattutto se teniamo presente che la differenza tra i vari indici di esplosività vulcanica è a progressione logaritmica.

La pianificazione d’emergenza ruota prima ancora che sull’eruzione di riferimento sulla poco citata previsione ad excludendum dell’eruzione massima conosciuta, che è una VEI5 (pliniana). Una teoria, quella dell’esclusione, non supportata da premesse deterministiche ma solo probabilistiche su un’analisi molto ridotta di dati disponibili.





venerdì 28 luglio 2017

Rischio Vesuvio: la realtà che brucia… di MalKo

Vesuvio e Somma: incendi fase iniziale - 2017

Attraverso gli incendi che hanno totalmente devastato la macchia mediterranea e le aree boscate del Vesuvio e del Monte Somma riducendo i rilievi a una pietra annerita dal fuoco, la popolazione circumvesuviana ha scoperto che le calamità ad ampio raggio d’azione, come l’incendio diffuso, minacciano case e abitanti senza distinzione di sorta. Serve poco a rinchiudersi tra le mura domestiche, pensando che il massiccio battente sia un netto confine col mondo esterno, e soprattutto ostacolo insormontabile alle energie incontrollate...

Come abbiamo sempre detto, la percezione del pericolo si avverte solo attraverso una ferrea cultura della prevenzione o grazie alla stimolazione di uno dei cinque sensi. Nell’ambito dei vari comitati spontanei sorti qua e là nell’area vesuviana per discutere di incendi e mancata prevenzione antincendio, l’analogia con il fuoco vulcanico non è stata colta, neanche dai politici che hanno guidato una moderata protesta concentrata sulla difesa preventiva del parco nazionale del Vesuvio, senza pensare che oltre alle piante ci sono migliaia di esseri umani che costellano il contorno vulcanico, ancorchè soggetti in caso di eruzione alla micidiale furia delle colate piroclastiche. 

Il pericolo vulcanico è sfuggente perché non si percepisce e non fa parte del bagaglio di esperienze dei vesuviani, soprattutto in riferimento alle eruzioni più dure. L’ultima quella del 1944, fu vissuta ai bordi della lava senza nessun timore per l’incolumità dei presenti…

Il fuoco, quello tradizionale fatto di fumo e fiamme che ha avvolto la vegetazione vesuviana, è stato percepito grazie alla vista e all’olfatto. L’organismo ha fiutato l’atavico pericolo e non sono stati pochi quelli che hanno cambiato aria nel vero senso della parola, riparando da amici e parenti ben lontani dalla linea di fuoco che si è estesa dal Vesuvio al Monte Somma.

Alcuni politici dell’opposizione hanno cavalcato le polemiche sorte anche sui media a proposito della mancata prevenzione antincendio, puntando l’indice contro la macchina regionale e la sua insipienza preventiva e operativa volta allo spegnimento delle fiamme. Il governatore però, ha spalle larghe…

La percezione del pericolo i vesuviani l’hanno vissuta attraverso le vampe e il fumo acre che ha avvolto lo sterminator Vesevo dalla cima alla bassa fascia pedemontana, costringendo i cittadini a barricarsi all’interno delle loro abitazioni patendo caldo e senso d’impotenza. Il fumo si è sprigionato dagli incendi che hanno carpito combustibile dalla fascia arborea di pini e ontani e castagni e robinie e rovere e macchia mediterranea. Fiamme striscianti nel sottobosco che hanno covato brace nelle radici rinsecchite degli alberi più vecchi. L’incedere degli incendi non ha risparmiato materiale plastico e scarti delle industrie tessili ed elettrodomestici sgangherati buttati in ogni loco. Il fumo a tratti molto acre, si è diffuso nell’aria scivolando poi silenzioso sulle case come cappa malevole, avvolgendole e ammorbandole.



Ben altri effetti si sarebbero registrati, se al posto della caligine a calare sull’abitato fossero stati i micidiali flussi piroclastici, col loro incedere distruttivo capace di carbonizzare qualunque cosa si fosse opposto e frapposto al loro cammino rapido e ferale. 


La situazione attuale di prevenzione del rischio vulcanico, a studiarne le carte, segna punti di spossante mediocrità. La stoffa di cui è fatto il piano di emergenza infatti, è di assoluta inconsistenza operativa, trattandosi di un prodotto dall’iniqua strategia, con il piano di evacuazione che segna un’impasse che non si riesce a superare nonostante il modello sempliciotto su cui sono basate aritmeticamente le partenze dei profughi all’occorrenza.


Il vulnus di questa pianificazione di emergenza in itinere, ha nelle sue fondamenta una premessa fallace che assegna a molti cittadini la salvezza solo se l’ordalia statistica resisterà col suo pronostico eruttivo. 

Il vaticinio INGV stabilisce che da qui ai prossimi due secoli circa, la massima intensità eruttiva che può scaturire dalle viscere del Vesuvio sarà di taglia sub pliniana, ovvero e secondo l’indice di esplosività vulcanica, una VEI4.

Ogni intensità eruttiva corrisponde in linea generale a una porzione di territorio che potrà essere investito dai fenomeni previsti per quella formula eruttiva. A un’eruzione VEI 4 corrisponderà un territorio VEI 4 che ne pagherà le pene… Ovviamente a un evento vulcanico di intensità VEI 5, cioè pliniano, corrisponderà un territorio ben più ampio che verrà devastato.


La morale che se ne ricava è che la pianificazione di emergenza prevede di fronteggiare al massimo un evento VEI 4 stabilendo che il piano di evacuazione debba spostare i soli vesuviani che popolano il territorio VEI 4 oggi classificato come zona rossa Vesuvio.

Nel caso in cui l’eruzione che dovesse malauguratamente presentarsi nel medio termine sia invece di intensità VEI 5, anche mettendo in pratica e con successo il piano di evacuazione nelle 72 ore previste, sarebbe una colossale catastrofe perché le colate piroclastiche andrebbero ben oltre i confini della zona VEI 4 portando morte e distruzione nella corona circolare dichiarata indenne.

Quali garanzie abbiamo che la prossima eruzione non sarà eccedente una VEI 4… Garanzie esclusivamente di taglio statistico! Infatti, il prospetto proposto dagli esperti dell’INGV, si basa sulle varie tipologie eruttive con una probabilità di accadimento condizionato misurato a partire dai 60 anni di quiescenza vulcanica.

Le due tabelle hanno pari dignità, purtuttavia gli esperti hanno optato per la tabella B onde procedere alla stesura del piano di emergenza col suo annesso più importante: il piano di evacuazione ancora in itinere. Scegliendo la tabella B, i tecnici del Dipartimento della Protezione Civile hanno inteso obliare l’accadimento pliniano ritenendo l’1% previsto più che improbabile. Il problema è che tra quasi due secoli possiamo confermare la bontà del prodotto statistico offertoci: non prima…

Il Gruppo di Lavoro – A - incaricato di studiare e riferire quale sia l’eruzione di riferimento da cui difendersi, ha indicato statisticamente una sub pliniana (VEI4); ipotesi avallata e condivisa dalla commissione grandi rischi - sezione rischio vulcanico - che ha ritenuto congruo il lavoro del Gruppo A introducendo solo la linea nera Gurioli come margine d’invasione dei flussi piroclastici.

La linea nera Gurioli indica i limiti di scorrimento de flussi
piroclastici in seno ad eventi eruttivi  VEI 4.
 
In altre parole, se dovesse verificarsi un’eruzione superiore a quella limite adottata nel piano d’emergenza attuale, cosa che nessuno può escludere, alcuni comuni non previsti nella zona rossa si ritroverebbero nell’inferno vulcanico alla mercé delle nubi ardenti.

Il cerchio rosso che abbiamo tracciato nella figura a lato, rappresenta secondo la nostra concezione delle garanzie ovvero secondo il principio di precauzione, la vera zona rossa da evacuare per potersi ritenere al sicuro dai peggiori fenomeni insiti in un’eruzione appena VEI4 accentuata.
Speriamo che i cittadini del vesuviano e del flegreo attraverso gli incendi boschivi che hanno imperversato e minacciato ampie fette del territorio campano, si siano resi conto che non si può affidare bovinamente alla politica e alle istituzioni, la sicurezza di un’intera plaga geografica che li comprende, senza seguirne criticamente le attività e le iniziative di previsione e prevenzione delle catastrofi.