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domenica 14 aprile 2019

Rischio Vesuvio: l'azzardo eruttivo... di MalKo


Vesuvio innevato e orlo calderico del Monte Somma


Con una certa assiduità abbiamo rimembrato in molti articoli che il Vesuvio sarà anche il più controllato e monitorato vulcano del sistema solare, ma non per questo possiamo sottintendere in automatico che il pericolo eruttivo sia sotto controllo.
Il monitoraggio, pure se effettuato con tecnologia spaziale, capace di misurare anche le impercettibili variazioni prodotte dal battito delle ali della famosa farfalla, può solo anticipare il livello di attenzione che a questo punto, e con la spinta sempre più ultratecnologica che ci lascia giocare d’anticipo, l’attenzione potrebbe diventare addirittura permanente. Non è certo però, che la scienza tecnologica associata alle conoscenze attuali, sia giunta allo stadio della risoluzione della previsione vulcanica, che, per molte ragioni, è intricata assai...

La pratica della previsione del rischio vulcanico ha ampi spazi di indeterminatezza, i cui motivi sono tutti da ricercarsi nei limiti dell’orizzonte visibile dei terreni. Certamente il sottosuolo profondo che è anche dinamico, può essere sondato attraverso sistemi indiretti di esplorazione, ma con una forte interpolazione sui dati che non raggiungono definizioni tridimensionali e quindi non soddisfano in pieno i requisiti di attendibilità per una garanzia previsionale.

Gli stessi 4 livelli di allerta vulcanica riportati nella tabella sottostante, sono una indicazione di massima di uno stato crescente d'inquietudine dell'apparato che si avvicina progressivamente all'eruzione. Purtroppo, tutte le energie e soprattutto quella vulcanica, hanno una loro progressione che solo il caso potrebbe rendere uniformemente accelerata. 

Livelli di allerta vulcanica
Questo spiega perché i livelli di allerta vulcanica possono avere una sequenzialità anche talmente veloce da saltare letteralmente un colore. Quindi, anche l’auspicio che in caso di crisi vulcanica si possa transitare per una condizione di preallarme, in realtà è una speranza, che se non dovesse concretizzarsi, comporterebbe ripercussioni sul piano di evacuazione la cui strategia conta moltissimo sull’allontanamento spontaneo della popolazione in questa fase arancione. L’allontanamento preventivo di chi ha già un punto di ricovero fuori dalla zona rossa,infatti, alleggerirebbe la spinta caotica evacuativa determinata da tutti i settecentomila vesuviani che si sposterebbero contemporaneamente alla dichiarazione dell’allarme rosso.

Occorre dire che sull’argomento previsione è sempre filtrata da alcuni ambienti vicini al mondo scientifico e istituzionale, la notizia che le eruzioni sono prevedibili con largo anticipo: addirittura mesi prima… Questo ha consentito a non pochi amministratori di obliare completamente le pratiche di prevenzione del rischio vulcanico, cavalcando la notizia che la salvezza delle popolazioni esposte al pericolo è certamente assicurata dalla previsione dell’evento, mesi o comunque almeno alcune settimane prima che il fenomeno si manifesti.

Non vogliamo né dissentire e né confermare questa interpretazione che rimane una speranza collettiva, però occorre rimanere sul dato reale che è quello dell’indeterminatezza della previsione vulcanica, tanto nel lungo che nel medio e nel breve termine. L'indeterminatezza potrebbe comportare falsi allarmi ma anche ritardati o mancati allarmi.

A questo punto è interessante verificare quello che scrive il competente Dipartimento della Protezione Civile:
Tra i rischi di protezione civile, quello vulcanico viene spesso considerato un rischio “prevedibile” perché si ritiene possano essere riconosciuti e misurati i fenomeni che pre-annunciano la risalita del magma verso la superficie, per questo detti “precursori” (terremoti, fratturazioni del terreno, deformazioni dell’edificio vulcanico, variazioni nell’emissione dei gas e delle temperature dei fluidi, ecc.). Si tratta però di una semplificazione che non tiene conto della complessità e dell’estrema variabilità delle fenomenologie vulcaniche e della difficoltà a valutarle e interpretarle…
…Tuttavia, anche se questi fenomeni vengono studiati e monitorati puntualmente, non è possibile prevedere con certezza, anche per le peculiarità che caratterizzano ogni vulcano, quando e come potrà avvenire un’eruzione vulcanica. Allo stato attuale delle conoscenze, non è infatti ipotizzabile alcuna forma di previsione deterministica.

Ovviamente questo limite predittivo soprattutto per una certa fascia di vulcani è di ordine mondiale e non nazionale, atteso che in questo come in altri campi, l'Italia vanta grandi competenze scientifiche. 
Il limite previsionale influenza quindi anche i livelli di allerta vulcanica che trovano un loro posizionamento all'interno di un quadro più generale di incertezza legata alle dinamiche del sottosuolo con le sue innumerervoli variabili.
Vediamo come il Dipartimento della Protezione Civile affronta il discorso livelli di allerta:

I livelli di allerta sono dichiarati dal Dipartimento della protezione civile, in stretto raccordo con le rispettive strutture di protezione civile regionali, sentito il parere, se i tempi e le modalità di evoluzione delle fenomenologie vulcaniche lo consentono, della Commissione Grandi Rischi - Settore Rischio Vulcanico. La valutazione si basa sulle segnalazioni delle fenomenologie e sulle valutazioni di pericolosità rese disponibili dall’Ingv-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dagli altri Centri di Competenza, con particolare riguardo, per i vulcani siciliani, al Dipartimento di scienze della terra dell’Università di Firenze.
Per ogni vulcano, il passaggio da un livello di allerta al successivo può avvenire in anticipo rispetto al verificarsi delle fenomenologie, se le informazioni fornite dai Centri di Competenza lo consentono. In caso contrario, il passaggio può essere decretato a fenomeno osservato, quindi avvenuto o in corso. A questo proposito è utile sottolineare che il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività dei vulcani, anche del tutto impreviste.

tipo di eruzione e corrispondente VEI

Anche in questo caso facendo la somma delle indeterminatezze, arriviamo alle perplessità legate alla scelta dell’eruzione di piano, cioè la tipologia eruttiva adottata per definire la zona rossa VEI4. Sempre il Dipartimento scrive:

...Le aree a rischio previste per un’eruzione sub-pliniana, assunta come scenario di riferimento per il nuovo Piano Vesuvio, coprono anche quelle previste per un’eruzione stromboliana, di minore energia.
Tuttavia, si sottolinea che nonostante sia stato individuato come evento di riferimento un’eruzione sub-pliniana, allo stato attuale delle conoscenze, qualora si presentassero fenomeni legati ad una probabile riattivazione, non sarebbe possibile stabilire dall’analisi dei precursori di quale tipo sarà l’eventuale eruzione.

A fronte di questa situazione che è lo specchio di un’attualità scientifica che tenta attraverso la strada della ricerca di dare risposte tanto per i vulcani quanto per i terremoti, sussiste nell'attualità uno stato di incertezza, magari anche minima, che comunque non garantisce in senso deterministico che il pericolo Vesuvio sia monitorabile in tutte le sue fasi d’insorgenza energetica.

La situazione è un pò più critica per i Campi Flegrei, dove alle difficoltà di previsione anche sul breve del fenomeno eruttivo, si aggiungerebbe l’indeterminatezza del punto dove potrebbe svilupparsi l’eruzione, che potrebbe essere più di uno e in un qualsiasi luogo all’interno della caldera, anche se occorre aggiungere che il maggior sollevamento del suolo (bradisismo) lo si riscontra nel sottosuolo puteolano che si affaccia al mare.

Se da un lato è stata adottata come chiave temporale per un’eruzione pliniana un arco di tempo minimo di 100 anni e massimo di 1000, nel flegreo l’ultima eruzione avvenne circa 500 anni fa: a questo punto quei territori dovrebbero presentare un gap pliniano medio per la posizione mediana che occupa il periodo di quiescenza all’interno della scala che abbiamo menzionato. Le autorità stimano al 4% tale eventualità eruttiva...

Nel discorso complessivo possono esserci d’aiuto i discorsi e le circostanze legate al terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. In quell’occasione la commissione grandi rischi che poi in giudizio non fu considerata tale, asserì una settimana prima del forte terremoto, che le scosse sismiche che si protraevano da mesi non era certo che costituissero un campanello d’allarme predittivo per un evento più intenso. Purtroppo 309 morti e 1.600 feriti testimoniarono il contrario…

In quell’occasione il Sindaco Cialente per il perdurare della fenomenologia sismica, fu fortemente provato ancorchè pressato dalle domande dei cittadini che chiedevano se c’era pericolo a rimanere nelle case. Il Sindaco ovviamente non sapeva cosa rispondere… Nell'area vesuviana o flegrea se venissero percepiti gli eventi sismici incalzanti, verrebbe chiesto ai Sindaci se c'è pericolo a permanere nella zona rossa. Non a caso abbiamo parlato di terremoti perchè nella relazione Barberi del 1990 i sismi e la localizzazione degli ipocentri, pare che siano la discriminante per tentare una previsione sul medio breve termine dell'eruzione.

Teoricamente i sindaci non dovrebbero assumere alcuna iniziativa in questa pianificazione nazionale a proposito dell’evacuazione della zona rossa, che dovrebbe essere una decisione spettante alla Presidenza del Consiglio: ma se la situazione contingente legata al rischio, che è un fattore molto complesso, dovesse suggerire una tale determinazione prudenziale, il Sindaco potrebbe decidere da solo? Il problema è che se l'evacuazione la decide la Presidenza del Consiglio sono previsti per le famiglie che si allontanano dei contributi di autonoma sistemazione (CAS). Diversamente, in assenza di uno stato di preallarme, l'evacuazione diventerebbe spontanea ma fuori dal contesto operativo: quindi, teoricamente nessuno potrebbe vietare l'allontanamento ma nessun cittadino potrebbe chiedere l'aiuto economico.

Sarebbe da discuterne, perchè così come successe a Cialente, nel caso in cui il preallarme dovesse cogliersi grazie alla percezione dei sensi, magari in un contesto temporale esiguo per attendere le decisioni della Commissione Grandi Rischi, il Sindaco avrebbe margini di autonomia decisionale?

  

sabato 8 dicembre 2018

Rischio Vesuvio: gli stoici del pericolo eruttivo... di MalKo


Vesuvio - Eruzione 1944
      
I recenti eventi sismici a bassa magnitudo che hanno interessato per giorni il complesso vulcanico del Somma – Vesuvio, hanno destato nel vesuviano una certa interessata curiosità più che preoccupazione, soprattutto per il protrarsi delle irrequietezze nel sottosuolo del vulcano più famoso del mondo.

Una parte della popolazione che vive alla base dell’arcinoto Vesuvio, percepisce il vulcano come una “montagna” che ha avuto certamente una sua furente giovinezza sancita dall’eruzione di Pompei del 79 d.C., con energie poi sfumate nel corso dei secoli con eventi energeticamente decrescenti fino all’ultima eruzione del 1944. 

I settantaquattro anni che ci separano da questa data, hanno rimosso nell’attuale generazione di giovani e meno giovani, il ricordo dei miti fenomeni vulcanici che si svilupparono in un contesto bellico portatore di molti e più pregnanti problemi: ovviamente in modo direttamente proporzionale alla distanza dall’apparato eruttivo.  Le colate di lava snodandosi molto lentamente nelle terre segnatamente vesuviane, non minacciarono direttamente i vesuviani, ma solo le loro case in modo molto localizzato e in tutti i casi senza intaccare la vicina Napoli.

Vesuvio 1944 - La lava a Terzigno

Neanche la generazione degli scienziati che oggi lavorano e studiano il Vesuvio hanno nel loro curriculum esperienze dirette circa l’osservazione e lo studio dell’andamento dei prodromi prima di un'eruzione. 

Le congetture degli studiosi dell’Osservatorio Vesuviano sono tutte di tipo analitico e tutte da confermare a proposito delle supposizioni che pure è necessario fare, ma occorrerebbe evitare toni da chi ha la situazione in pugno dal punto di vista della previsione delle eruzioni. La comparazione dei dati che si registrano con altri vulcani simili al Vesuvio, certamente aiuta ma non è sinonimo di equivalenza comportamentale dei sistemi magmatici, perché ogni apparato ha caratteristiche diverse, come diverse sono le innumerevoli variabili che entrano in gioco in una scienza, la geologia, che ha limiti esplorativi oggettivi e insormontabili, almeno nell'attualità.

Cosa abbia nel suo grembo il fantomatico Vesuvio nessuno lo sa. Questa crisi sismica che ha riguardato e caratterizzato prevalentemente gli ultimi trenta giorni, è stata definita dalla direttrice dell’Osservatorio Vesuviano assolutamente normale ancorchè rientrante in quegli episodi che periodicamente un vulcano attivo come il Vesuvio manifesta, senza per questo mutare la sua condizione di vulcano quiescente. 
Sono una consuetudine – ripete la Dott.ssa Francesca Bianco - l’insorgere di sciami a bassa magnitudo in questo distretto. Gli strumenti tra l’altro non indicano alcuna variazione dello stato di quiete del Vesuvio, tant’è che l’indice di allerta vulcanica ristagna sul colore verde (Base).

In realtà la stessa cosa la si diceva il 9 ottobre del 1999 quando una scossa di origine vulcanica abbastanza potente (3,6 M) da essere avvertita distintamente dai vesuviani, scatenò paure manifeste. Ne nacque pure una diatriba scientifica tra il Prof. Luongo e la direttrice Civetta, circa la necessità o meno di passare al livello di attenzione vulcanica. In quel periodo però, solo gli addetti ai lavori conoscevano la tavola di allerta con i rispettivi colori e significati. Tra l’altro inizialmente erano 7 i livelli con due di colore giallo: attenzione 1 e attenzione 2.  Su elementi scaturiti dall’esercitazione di protezione civile (Portici) - Vesuvio 2001 -, successivamente furono adottati 4 livelli per 4 corrispondenti fase operative.

La soluzione che adottò l’istituzione scientifica nel 1999 fu salomonica: nei fatti si accentuarono le osservazioni scientifiche ma senza dichiarare alcunché a una popolazione che non era assolutamente in grado di qualificare lo sconosciuto termine attenzione vulcanica, che poteva passare facilmente come allarme vulcanico…

Da un certo punto di vista gli eventi del ’1999 e quelli del ’2018 fanno scuola. Nel primo caso, ne fummo testimoni, si andò molto vicino a una situazione di panico perché i residenti percepirono direttamente il terremoto, e in qualche caso ci furono atteggiamenti molto vicini alla paura. In quel periodo più di qualcuno lasciò la zona rossa…  

Negli eventi di questi giorni invece, la maggior parte della popolazione è stata informata delle scosse sismiche che si susseguivano con frequenza, prevalentemente attraverso i media, spiccatamente i social e i giornali online. Quelli che hanno percepito i leggeri sommovimenti sono stati pochi. Questa condizione ha favorito un’apprensione veramente minima e sonni tranquilli quasi per tutti.  

Come abbiamo avuto modo di dire altre volte, all’occorrenza sarà proprio la percezione diretta che qualcosa stia cambiando nello status del Vesuvio, a minare la compostezza e l’efficacia delle operazioni di evacuazione della popolazione vesuviana. Diversamente, lo stato di allarme dichiarato dalle autorità governative senza che i cittadini avvertano i segnali ambientali di pericolo, favoriranno un esodo meno caotico e pericoloso.

Intanto i reportage giornalistici dalle falde del Vesuvio ci hanno proposto stoici personaggi che affermavano con grande sicumera di non aver paura della montagna buona, con cui condividono amorevolmente e da tanti anni, spazi e percorsi di vita. Premesso che il Vesuvio non ha amici ma neanche nemici, la realtà come sapete è tutt’altra.  

Generalmente quando il pericolo diventa qualcosa di molto più concreto di una sensazione o di una informazione, come può essere quella dettata dall’ambiente circostante che vibra e trema e oscilla e tuona, i freni inibitori del panico cedono in una misura anche legata al perdurare dello stimolo inusuale.  L’eroismo consiste nel governare la paura e l’istinto di sopravvivenza attraverso la contrapposizione di uno stimolo bilanciante ancora più grande, che può essere un alto ideale o il bene supremo che ci porta magari al sacrificio della nostra vita per salvarne altre.

Nella resistenza…nella resilienza al vulcano, non c’è nulla di tutto questo. Offrire il petto non già alle pallottole ma alla colata piroclastica, non avrebbe nulla di eroico, e non si passerebbe alla storia come Leonida alle Termopili, solo perché cenere e lapilli oscurerebbero il cielo… Gli stoici allora dovrebbero dire la verità, cioè -  non abbiamo un altro posto dove andare e soprattutto finché è possibile non vogliamo allontanarci dal teatro delle nostre radicate abitudini perché tutto sommato il Vesuvio dal nostro punto di vista è una imperturbabile montagna minimamente vitale, ma non per questo percepiamo pericoli e in tutti i casi il monte ci darebbe il tempo di scappare -.

Vesuvio - 1944


Gli stoici del vesuviano in realtà sono intervistati da molte televisioni con intervistatori che si fanno dire da costoro esattamente quello che già sanno che diranno. In altri casi invece, gli intervistati segnalano il fatalismo della loro condizione di “esposti”, della serie il destino ci ha messi su questa ruota territoriale esponendoci a dei rischi, che accettiamo nella consapevolezza delle incognite esistenti abitando in questi luoghi pericolosi. Versione rispettabile…

Lo stoico viene sempre preso con le molle però, e quindi è meno pericoloso mediaticamente di quelli che dall’alto di pulpiti a maggior incidenza persuasiva, dicono che gli strumenti non segnalano variazioni allarmanti. Occorre dire che il mutismo dello strumento per sua natura non allarma, bensì registra: è l’uomo che può allarmare o chetare. Certo, sapere che c’è un accordo di riservatezza tra chi ha gli strumenti in mano e chi dovrà decidere di diffondere l’allarme, non facilita l’instaurarsi di un rapporto di fiducia, visto che si censura il diritto alla conoscenza. Anche in questo caso, sono in pochissimi a conoscere l’esistenza di questi accordi…

Ancora più micidiali sono quelli sempre di collocazione istituzionale o pseudo tale, che dicono che un’eruzione è rilevabile almeno un mese prima, grazie ai formidabili strumenti iper tecnologici ben collocati su ampio raggio, che sono capaci di cogliere ogni piccolo cambiamento nel sottosuolo profondo vulcanico...

Dal nostro punto di vista un po’ pragmatico invece, ogni sciame sismico rappresenta un grosso punto interrogativo, perché la presenza e la persistenza dei sussulti crostali e litosferici non è decifrabile in seno ad un vulcano, e soprattutto non sono prevedibili le intensità dei sismi che potrebbero ancora ripresentarsi come continuità del fenomeno, con esiti magari imprevedibili e indesiderati. La sequenza sismica può interrompersi dopo alcune ore o giorni o settimane, così come può continuare magari per mesi e al rialzo, e non ci sono strumentazioni che hanno il dono della preveggenza dando un significato certo ai valori colti in automatico, anche dal punto di vista della temporalità del fenomeno. La scienza può e dovrebbe solo dire nel merito: per il momento la situazione indicata dai valori strumentali non sembra evolversi verso una condizione diversa dalla quiescenza di base…

In quest’ottica, la lezione che ci proviene dal terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, dovrebbe essere alquanto formativa. In qualsiasi modo la si voglia girare, la riunione di esperti che si riunì nel capoluogo abruzzese pochi giorni prima del forte sisma, a prescindere dal livello di responsabilità personale, escluse che la sequenza di terremoti a bassa energia che si protraeva da mesi in quella zona, potesse poi sfociare in un terremoto ad alta magnitudo. Purtroppo la previsione ad excludendum così formulata dal consesso di esperti, appena una settimana dopo si rivelò fallace: la catastrofe sismica si abbatté su uomini e cose, seguita poi da una spirale di polemiche mai completamente sopite.

l comunicati allora dovrebbero essere maggiormente calzanti alle incognite e ai risultati fin qui raggiunti dalla scienza, per non ricalcare gli antefatti dell’Aquila dove qualcuno per distinguersi volle essere più rassicurante di altri.

Questa ed altre crisi sismiche, che si focalizzano più o meno sempre nello stesso punto, cioè nell’area del condotto centrale del Vesuvio, che dovrebbe essere anche il luogo maggiormente cedevole alle insufflazioni di fluidi e magma, deve essere seguita, e sicuramente lo è, con molta attenzione dal mondo scientifico ma anche dalla popolazione, che ricopre con molta partecipazione il ruolo di mero terminale delle informazioni istituzionali. I cittadini non dovrebbe essere un elemento astratto a cui dar conto solo quando il grande manovratore decide che è arrivato il momento di muovere le leve che lo riguardano…

Vesuvio 1944 - la lava distrugge case


L’autorità scientifica qualche volta e con fastidio chiama in causa i blogger e i social, rei di allarmismo ingiustificato. Viceversa, da alcuni blogger, partono note contrarie che accennano a un eccessivo manifesto ottimismo dell’autorità, perché mancano quei presupposti scientifici incontrovertibili e rigorosi per aspergere certezze. Magari ci sarebbe maggiore serenità se i dati di monitoraggio del vulcano venissero pubblicati online in tempo reale.  

I Sindaci neanche provano ad entrare in questo dibattito e ringraziano caldamente, perché in questo piccolo scambio di vedute utile a concentrare l’attenzione su aspetti diversi dalle loro dirette e fondamentali competenze in tema di sicurezza, possono continuare nel loro collaudato e sostanziale atteggiamento da pesce in barile, almeno fino a quando non dovranno affrontare un primo livello di allerta coi cittadini che batteranno alla loro porta per sapere, fagotti in mano, se devono o non devono lasciare la zona rossa

Vesuvio 1944 - Aeroporto Terzigno/Pompei -
 Bombardiere americano bombardato dalla cenere e dai lapilli dell'eruzione.


martedì 12 dicembre 2017

Rischio Vesuvio: il piano d'emergenza... di MalKo


Il Vesuvio visto dal centro storico di Napoli

Il piano d’emergenza Vesuvio è un documento contenente tutte le istruzioni necessarie per consentire ai vesuviani, in caso di pericolo, di mettersi in salvo qualora l’arcinoto vulcano dovesse manifestare sintomi pre eruttivi. Trattandosi di un piano che prevede una sola tipologia di pericolo (eruzione), e un solo modo per difendersi (la fuga), possiamo ben donde dire che il piano di evacuazione è esso stesso il piano d’emergenza Vesuvio.

La nota dolente è che questo piano di evacuazione è ancora in una fase eufemisticamente parlando diciamo di studio da parte dei comuni e della Regione, e quindi non è ultimato, con buona pace del diritto alla sicurezza di centinaia di migliaia di vesuviani che neanche si sono accorti di questa gravissima omissione. Si tira a campare, e le orecchie si drizzano solo alla parola condono edilizio sussurrata dal possibilismo politico…

La calma geologica dura da settantatré anni, ma potrebbe interrompersi in qualsiasi momento. Le istituzioni ostentano sicurezza sull’argomento, puntando tutto sulla possibilità espressa dall’Osservatorio Vesuviano di cogliere con largo anticipo i segnali di una possibile eruzione del Vesuvio. Potrebbe essere auspicabilmente così, anzi probabilmente sarà così, purtuttavia dobbiamo segnalare per correttezza informativa, che non c’è un dogma sull’argomento e le dinamiche che riguardano il movimento del magma nella camera magmatica del Vesuvio o nelle profondità calderiche dei Campi Flegrei sono sostanzialmente sconosciute; quindi, non si sa con certezza quanto preavviso ci sarà dal momento in cui si coglieranno i sintomi dell’imminenza di un’eruzione e l’eruzione stessa, la cui intensità (VEI) rimarrà in ogni caso un dato impossibile da quantificare preventivamente ma solo al termine del fenomeno eruttivo.  

Come abbiano avuto modo di dire altre volte, il fatto che i distretti vulcanici del vesuviano e del Flegreo siano zone super monitorate, non aggiungono niente in termini di previsione dell’evento eruttivo. La moderna tecnologia messa in campo per misurare la chimica e la fisica di questi vulcani con una precisione mai raggiunta prima, offre dati in tempo reale ma nemmeno uno sul futuro imminente. L’esempio più lampante lo possiamo cogliere col bradisismo. Ammettiamo che il suolo s’innalzi ancora: grazie ai sofisticati e precisi sistemi di monitoraggio registriamo che lo spostamento verso l'alto è stato di un milionesimo di metro. Che importanza bisognerà dare a questa misura super precisa ancorché colta immediatamente, in questa parte del Pianeta dove sollevamenti e abbassamenti e degassamenti si contano a decine di centimetri e a tonnellate?

Il comunicato stampa diramato dal Dipartimento della Protezione Civile che l’8 dicembre 2017 ha innalzato il livello di allerta vulcanica dello Stromboli da base ad attenzione (lo stesso vigente ai Campi Flegrei) è molto istruttivo. Cogliendo il vento della prudenza, la nota dipartimentale di tutta saggezza rimbalzata sui media recita esattamente così:<< Occorre tener presente che alcune fenomenologie dello Stromboli sono del tutto imprevedibili e improvvise, pertanto anche quando il livello di allerta è “verde” il rischio non è mai assente e che, come per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste>>.

Livelli di allerta e responsabilità di emeanazione
L’imprevedibilità dei sistemi vulcanici dovrebbe quindi essere alla base della necessità di agire con la prevenzione per sottrarsi alla pericolosa incognita geologica: inedificabilità e delocalizzazione... Quando la parola prevenzione pur declamandola in tutte le lingue non viene compresa o semplicemente ignorata, ed è il nostro caso, bisogna allora puntare tutto su un sistema capace di svuotare  e molto rapidamente i luoghi che circondano il Vesuvio o quelli che affondano nella depressione calderica flegrea in modo che nessun abitante permani in loco facendosi cogliere dall'eruzione.
Secondo i calcoli degli strateghi della protezione civile nazionale e regionale, i circa 700.000 abitanti della zona rossa Vesuvio o i 550.000 della zona rossa flegrea, verrebbero evacuati all'occorrenza nel giro di 48 ore su 72 ore disponibili.
Una grossa sfida che a livello mondiale non ha eguali. Questa metodologia di salvaguardia però, deve fare i conti con alcune incognite molto importanti superate nell’ambito della pianificazione solo dalla verve ottimistica dei pianificatori che, in qualche passaggio, a leggere bene sono  di vero azzardo.  Le vulnerabilità del piano d’emergenza Vesuvio si evidenziano già in prima battuta con la scelta dell’eruzione di riferimento. Senza un’intensità eruttiva campione infatti, non sarebbe stato possibile tracciare i limiti della zona rossa da evacuare.

La commissione grandi rischi ha quindi individuato un’eruzione VEI4 similmente subpliniana quale evento di riferimento per il piano Vesuvio. La linea nera Gurioli è un segmento curvilineo che definisce intorno al Vesuvio i limiti di massimo scorrimento delle colate piroclastiche nell’ambito delle passate eruzioni di tipo VEI 4. Tale linea è utilizzata nell'attualità per rimarcare la zona ad alta pericolosità vulcanica. 
C'è anche la "linea" Cosenza però, tutta politica, che ha preferito mantenere i contorni precedenti per evitare polemiche coi comuni a proposito dell’inedificabilità.  Apparentemente un allargamento quindi; peccato che ad ovest si sia stati minimi e ad est addirittura teneri con le cittadine di Scafati e Poggiomarino che ancora edificano  allegramente con tanto di licenza edilizia, pur avendo l'obbligo della fuga in caso di allarme vulcanico...

Pianta del Vesuvio e linea nera Gurioli.

Il grosso problema di fondo è che nessun scienziato al mondo può escludere che la prossima eruzione del Vesuvio possa essere di una dirompenza VEI 5, cioè simile a quella che distrusse Pompei ed Ercolano nel 79 d.C. Trattandosi di una eruzione energeticamente parlando ben 10 volte superiore a una VEI 4, i territori su cui dilagherebbero i flussi piroclastici sarebbero molto più estesi in danno di una gran fetta di popolazione provinciale non titolare di misure preventive di allontanamento. Ogni eruzione poi, non è mai simile alle precedenti, caratterizzandosi per fenomenologie e territori investiti, tant’è che le eruzioni più importanti assumono un nome prima ancora che un’intensità. Una maggiore prudenza, era quindi d’obbligo…

Il secondo elemento di vulnerabilità del piano di evacuazione sono i tempi di preallarme eruttivo. La struttura di monitoraggio affidata all’Osservatorio Vesuviano riuscirà a cogliere tutti i segnali prodromi dell’eruzione e ad emettere un bollettino di massima allerta nei tempi giusti per non ingenerare un falso allarme ma neanche un mancato allarme? Obtorto collo bisogna fidarsi di questa organizzazione periferica dell’INGV, nonostante abbia dato prova di modesta precisione nella localizzazione epicentrale e nella profondità del fuoco del terremoto verificatosi a Casamicciola Terme il 21 agosto del 2017. Sono occorsi alcuni giorni all’ente vulcanologico per correggere i dati errati diramati a ridosso dell’evento ischitano… Giorni a disposizione potrebbero non esserci in caso di una crisi vulcanica, e una siffatta disorganizzazione in un momento topico per la salvezza dei cittadini, sarebbe una vera catastrofe.

Il terzo elemento di vulnerabilità è il piano di mobilità previsto per l’evacuazione dei vesuviani nella fase operativa di allarme vulcanico. L’organizzazione proclamata che si metterebbe in campo con autobus navette e treni e navi, ci sembra che sia tarata sul taglio dei grandi eventi piuttosto che sui grandi pericoli. La differenza consiste che nel primo caso la popolazione seguirebbe le indicazioni degli esperti in modo più o meno partecipativo, con ansie e angosce misurabili per le sole cose materiali che si lasciano in loco. Di fronte al pericolo manifesto invece, il panico si diffonderebbe sovrano, e tutti gli schemi fin qui elucubrati salterebbero miseramente in quella che potrebbe delinearsi come una grande corsa verso la salvezza.

Il panico è una diretta conseguenza della percezione fisica del pericolo. Alla fase di allarme, quando sarà, noi come ci arriveremo ed è una domanda: in una condizione di stress dettato da sintomi pre eruttivi percepibili direttamente dalla popolazione o l'allarme evacuativo coinciderà con fenomeni microscopici non avvertibili dagli abitanti? La riuscita del pacioccone piano di evacuazione così  stabilito nelle linee guida dalle autorità regionali e dipartimentali, avrà una possibilità di successo solo se il pericolo è dichiarato ma non percepito direttamente dalla popolazione magari attraverso i sussulti sismici.

In questa enormità stagnante fatta di approssimazione e ipocrisia, bisognerà pure che qualcuno faccia notare che non serve un piano Vesuvio di facciata per zittire quei pochissimi whistleblower del mondo scientifico e tecnico che puntano il dito contro le politiche di sicurezza fin qui adottate, e che tra l'altro sono ancora senza un risultato concreto nonostante siano trascorsi oltre venti anni dai buoni propositi.
Il piano di evacuazione Vesuvio ma lo stesso vale per quello dei Campi Flegrei, deve essere uno strumento non basato sull’ottimismo circa le condizioni geologiche e ambientali pre eruttive, così come non può essere utile immaginare una collettività consenziente e pronta ad eseguire alla lettera le istruzioni dettate da uno Stato, generalizzando, criticato e francamente poco efficace  su tutti i fronti istituzionali. Il piano Vesuvio deve essere spartano e convincente...

Come esperti di soccorso possiamo solo dire che se l’allarme dovesse cadere in un momento di diretta percezione del pericolo eruttivo, i 500 e passa autobus previsti da e per la zona rossa rappresenteranno un vero disastro strategico operativo.
Secondo la pianificazione in itinere, la metà della popolazione di Torre del Greco, paese sfavorito per posizione geografica mediana,  dovrebbe lasciare la cittadina attraverso un servizio navetta da 1074 corse: più o meno 22 autobus ogni ora. Gli sfollati attenderebbero il trasporto nelle aree di attesa… Aree di attesa ci sembra una terminologia che, in un quadro di allarme vulcanico, suona leggermente comica…

venerdì 10 novembre 2017

Rischio Vesuvio: chi ci salverà? ...di MalKo

Il Vesuvio

Le peggiori fenomenologie vulcaniche che hanno caratterizzato le dinamiche eruttive del Vesuvio nell’arco di alcune decine di secoli, certamente non sono state contemplate direttamente dalla nostra generazione smartfonica. Il Vesuvio nell’immaginario collettivo sembra consolidarsi come quel vulcano buono che un po’ di tempo fa consentiva di cuocere le patate nella cenere. Un tubero fumante da offrire ai forestieri che si avventuravano in quota fino ai margini della lava incandescente, che offriva un senso di avventura ai turisti che affollavano la metropoli partenopea.

Nel 1787 anche Goethe, nel gran tour italico, rimase affascinato tanto dalla città di Napoli quanto dal Vesuvio, lanciandosi per tre volte lungo i pendii per arrivare sulla sommità dello Sterminator Vesevo, onde ammirare direttamente la lava pulsante che caratterizzava con grosse volute di vapore alcuni anfratti della famosa montagna.

Le immagini o i filmati che ci offrono una testimonianza abbastanza ampia dei fenomeni eruttivi del 1944, cioè dell'ultima eruzione, ci presentano scene di palazzi abbattuti dalle inesorabili colate laviche e i carri stracolmi di masserizie che si allontanano mogi dal fronte del fuoco. Intanto gli aerei americani allineati sul campo d’aviazione ubicato tra Terzigno e Poggiomarino, vennero anch’essi martoriati dalla pioggia di cenere e lapilli probabilmente perché non fecero in tempo a decollare quando il vento cambiò direzione irrorandoli di pietrisco...
Aeroporto Terzigno - 1944 -
Nelle vecchie pellicole si notano quasi sempre spettatori che osservano il movimento lentissimo e strisciante della lava, che avveniva alla stregua delle salvifiche processioni con San Gennaro in testa.

La straordinaria eruzione pliniana del 79 d.C. invece, cataclisma che seminò lutti e sventura in una plaga letteralmente sconquassata dalla potente eruzione, è fuori dalla portata percettiva dei vesuviani e degli interessi della politica e delle istituzioni che non allarmano. Un evento quello pliniano, che tutti conoscono indirettamente grazie all’area archeologica di Pompei, ma che ritengono sostanzialmente irripetibile perché appartenente al passato millenario che non torna, e quindi alla leggenda come il mito di Atlantide.

Che non ci si dovesse preoccupare per un'eruzione pliniana lo diceva spesso l’ex assessore regionale alla protezione civile della regione Campania, che non riteneva utile nelle pratiche di prevenzione delle catastrofi dare spazio ad eventi con tempi di ritorno troppo lunghi. Sovente tirava in ballo e con una battuta il diluvio universale, da cui, diceva, non ci possiamo difendere soprattutto se non ci si chiama Noè… Quindi perché evocarlo?

Questa filosofia ad excludendum non ha aiutato moltissimo il principio di precauzione consentendo all’organizzazione dipartimentale sostenuta dalla commissione grandi rischi e alla stessa Regione Campania di condividere la scelta dello scenario eruttivo di riferimento tarato sul medio evento, cioè su un indice di esplosività VEI 4 (sub pliniano). Il primo risultato è stato quello di consentire ai cittadini di Scafati e di Poggiomarino ubicati in zona rossa 2 (quella dell’aeroporto appena citato), di continuare a edificare palazzi con regolare licenza edilizia.

L’eruzione di taglia pliniana (VEI 5), nei documenti scientifici ufficiali è stata ritenuta poco probabile ma mai obliabile come invece ha fatto la politica. Non c’è una sola nota redatta dagli esperti che la cancelli. Tant’è che i relatori hanno scritto nel documento plenario ad oggetto gli scenari di rischio, che nel breve e medio termine il Vesuvio potrebbe produrre un’eruzione di tipo stromboliano o al massimo di taglia sub pliniana, ma non possiamo escludere, aggiungono congelando il precedente assunto, che il livello energetico possa essere di taglia superiore a quelli fin qui ipotizzato.  Mani avanti insomma...
Statistica eruttiva Vesuvio su due archi di tempo.
Incredibili sono i silenzi del mondo scientifico in generale e dell’INGV in particolare, che nulla hanno fatto e detto circa la magica sparizione dell’eruzione di taglia pliniana dalle carte della politica. Lapidario fu la sintesi espressa da un recente direttore dell’Osservatorio Vesuviano, che ebbe a dire che loro non si occupano di sicurezza e di allarmi ma solo di ricerca e monitoraggio, e quindi non entrano in dibattiti che competono al Dipartimento della Protezione Civile. Ergo, le uniche denunce sull’argomento a tutela di una distratta popolazione, provengono da uno sparuto gruppo di esperti che a contarli si utilizzano poche dita di una sola mano.

Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’INGV, è l’indice di questa mano, tra l’altro oggetto qualche anno fa, di attenzioni amministrative disarmanti, per aver avallato tesi che non escludono il pericolo pliniano e la città di Napoli dalle conseguenze di una possibile per quanto remota eruzione VEI 5. Teorie che comportarono minacce per procurato allarme per mano di Guido Bertolaso, all’epoca deus ex machina del dipartimento della protezione civile.

Qualche anno fa ci fu pure chi ebbe a ridire in risposta a una critica circa l’assenza di un piano di emergenza per fronteggiare un’eruzione pliniana, che sarebbe stato utile anche una pianificazione per fronteggiare un meteorite che piomba nel centro di Roma: ma non c’è un tale piano!   L’esempio naturalmente voleva essere un paradosso sarcastico...  Intanto diciamo subito che ci sono studi anche su quest’argomento ma non certo da parte del Dipartimento della Protezione Civile italiana che non ha razzi e missili e testate esplosive per deviare o disintegrare fuori dall’orbita terrestre i macigni in arrivo che sbucano dallo spazio.  Diversamente, il primo passo per difendersi dai massi che piombano dal cielo è quello di individuare con il maggior anticipo possibile un meteoroide in rotta di collisione con la Terra. Poi, occorrerebbe affidarsi ai calcoli matematici per scappare dal punto stimato d’impatto, con la speranza che le conseguenze fisiche del tremendo botto non colpiscano le popolazioni presumibilmente in fuga magari da regione a regione.

Le incognite che regolano questo rischio proveniente dallo spazio, non consentono di produrre in anticipo un piano di emergenza per i meteoriti perché non siamo in condizione di dare al pericolo (P) una quantizzazione energetica che è assolutamente variabile per composizione e massa e velocità dei bolidi. Elementi di assoluta indeterminatezza che non ci consentono di assegnare una magnitudo al fenomeno che potrebbe anche comprendere un mega asteroide che spazzerebbe totalmente la vita dal Pianeta. Il meteorite quindi, non c'entra niente col Vesuvio di cui si conoscono invece le coordinate geografiche (40° 29’ N – 14° 26’ E) e la massima magnitudo (VEI5) espressa nell’arco di una millenaria esistenza, così come i limiti di territorio (zona rossa) su cui s’infrangerebbero le fenomenologie vulcaniche più deleterie per la vita umana… Come si evince, la differenza c’è…

Per cercare qualche determinatezza nel discorso del rischio vulcanico, alla direttrice dell’Osservatorio Vesuviano inviammo una lettera certificata con richiamo al freedom of Information Act (FOIA), dove chiedevamo se corrispondesse a verità che una eruzione pliniana fosse da escludere nel prossimo futuro perché manca magma a sufficienza nella camera superficiale del Vesuvio. Affermazione quest'ultima di grande importanza strategica, riportata tra l’altro nel documento scientifico redatto dal gruppo di lavoroA”. Un’equipe di esperti nominata dal Dipartimento della Protezione Civile per offrire ai tecnici dipartimentali e regionali lo scenario di riferimento su cui attagliare la relativa pianificazione d’emergenza carente a tutt'oggi e come sapete del piano di evacuazione.

La dirigente dell'INGV - OV direttrice Bianco, non ha trovato tempo per rispondere come non lo trovò parimenti l’ex direttore Martini, nonostante sia stato tra i firmatari del documento in questione.

Intanto le eruzioni del Vesuvio, secondo le analisi petrografiche effettuate sui minerali espulsi durante l’evento del 79 d.C., sono avvenute con materiale magmatico asceso direttamente dalla camera magmatica ubicata allora come nell’attualità, a circa 10 chilometri di profondità.  In assenza di risposte chiarificatrici, si potrebbe pensare che la nota sulla camera superficiale sia un assist alla famosa politica ad excludendum.

L’Osservatorio Vesuviano è anche quella istituzione scientifica che in occasione del terremoto di Ischia del 21 agosto 2017 ebbe bisogno di alcuni giorni per indicare la posizione esatta dell'epicentro del sisma, inizialmente dato a nord, in mare e lontano dalla costa. Si scoprì poi che la localizzazione esatta era sotto i piedi degli abitanti di Casamicciola Terme, così come segnalarono alcuni esperti in diretta televisiva analizzando semplicemente i danni che si riscontrarono sull’isola. Se l’errore epicentrale fosse stato sbilanciato verso est, si sarebbe dovuta attivare la commissione grandi rischi perché l’evento si collocava al di sotto dei Campi Flegrei che già gode di un livello di allerta gialla: con un sussulto da 4.0 si sarebbe dovuto seriamente valutare il passaggio a una fase operativa di pre allarme…

Alcuni accademici hanno rumoreggiato su questo svarione che segue e anticipa una serie di perplessità sull’organizzazione interna dell’istituto napoletano dell’INGV. Tra l’altro incomincia ad essere noto a una platea sempre più ampia che i dati di monitoraggio dei vulcani napoletani ricavati dall’Osservatorio Vesuviano non possono essere forniti in tempo reale alle popolazioni. Infatti, c’è un’esclusiva contrattuale che prevede l’invio dei valori strumentali corredati da note ad oggetto Vesuvio e Campi Flegrei e Ischia, in prima battuta al dipartimento della protezione civile. E solo successivamente pare che possano essere immessi sul mercato dell’informazione libera in favore dei sudditi…

In questi giorni il corriere del mezzogiorno ha pubblicato la notizia che un certo numero di costose attrezzature di monitoraggio giacciono inutilizzate in un deposito dell’Osservatorio Vesuviano. Altri media recitano il contrario. In un altro articolo ancora viene pubblicato un pourparler telefonico tra due tecnici della sede dell’Osservatorio Vesuviano (INGV): non si capisce bene se trattasi di una intercettazione, ma la discorsiva abbraccia temi delicati come l'efficienza del sistema di vigilanza e i dati di monitoraggio che a loro dire e a proposito dei Campi Flegrei, non vengono commentati nella loro reale gravità...  C’è anche una preoccupante allusione al discusso progetto geotermico di Serrara Fontana.  Un progetto tra l’altro ancora al vaglio del Ministero dell’Ambiente che intanto ha archiviato con buona pace di tutti l‘ipotesi di un impianto pilota geotermico a Scarfoglio (Pozzuoli). L’idea proposta prevedeva di perforare il ventre della Solfatara e carpire calore dai fluidi caldi che poi sarebbero stati reiniettati in profondità… la provvida archiviazione e non bocciatura ha salvato i promoters anche istituzionali che si sono spesi moltissimo per la geotermia nel flegreo e più in generale sulle trivellazioni.

Cosa bolla realmente nel sottosuolo della caldera flegrea non è dato saperlo con certezza. I segnali colti dalle strumentazioni sono certamente preoccupanti e da tenere sotto stretto controllo. Occorre pure dire che gli strumenti per quanto sofisticati registrano i dati in tempo reale ma non come questi evolveranno un minuto dopo. Le apparecchiature quindi non prevedono le eruzioni, che è una pratica complicata e sovente imperfetta e che resta tutta nelle mani degli scienziati e a seguire in quelle del premier…

Secondo alcune teorie recenti, la coltre rocciosa e tufacea che ricopre la camera magmatica flegrea è stata intaccata dal calore, dalla chimica termale e dalle sollecitazioni fisiche dettate dal bradisismo. Questo significa che se gli strati litoidi che coprono il magma agissero come una sorta di porta tagliafuoco, ebbene la struttura di contenimento così provata potrebbe cedere in qualsiasi momento alle "fiamme" astenosferiche e più velocemente rispetto a una copertura monolitica indenne. Questa bassa resistenza potrebbe allora innescare più facilmente eruzioni ma di piccola taglia in ragione della cedevolezza? Impossibile prevederlo… il mondo della vulcanologia è ancora oggi costellato di forse.
Statistica eruttiva Campi Felgrei
Chi ci salverà dai vulcani non lo sappiamo… Il quadro generale è disarmante e non c’è una reale opinione pubblica che lamenti efficienza e chiarezza su questi grandi argomenti tra l’altro relegati erroneamente a un ambito regionale. La classe politica locale è tutta protesa ad accaparrarsi la proposta contenuta nel decreto Falanga che non è altro che un disposto di tolleranza dell’abusivismo edilizio anche in zona rossa.

I brontolii del pubblico si sono avuti con gli incendi boschivi al Vesuvio perché il fuoco era ben visibile come i fumi e le vampe nella boscaglia che in alcuni casi hanno lambito le case. Il fuoco vulcanico non si vede perché interrato come gli incubi, e quindi non si coglie la pericolosità che è un fattore assegnato alla percezione dei sensi o a una grande cultura della prevenzione che latita...

I piani di evacuazione del Vesuvio, paciocconamente e realisticamente appellati di allontanamento, così come quello dei Campi Flegrei sono ancora in itinere, mentre Ischia non compare neanche nel computo degli inadempienti perché manca ancora uno scenario di rischio. Terme e turismo intanto, diciamola tutta, non si conciliano con gli allarmi sismici e vulcanici…

In conclusione, per superare la china dell’indifferenza e della sfiducia e della inefficienza, occorre che l’Osservatorio Vesuviano, quale struttura di riferimento per il rischio vulcanico, intanto riprenda la sua autonomia e il suo ruolo di attenta sentinella vulcanica.  Occorre poi che si riporti ordine nell'organizzazione e che si valuti una sede diversa da quella ubicata all'interno del super vulcano flegreo.
La nomina del direttore deve essere sicuramente corroborata da alte competenze scientifiche, ma anche da un credo istituzionale volto a garantire ai cittadini l'imprescindibile diritto alla sicurezza, attraverso un operato che non lasci niente di intentato per evitare che un evento naturale, come un'eruzione vulcanica, possa trasformarsi in catastrofe.
A volte per raggiungere questo obiettivo, risulta necessaria mantenere una certa distanza dal mondo politico e  da quei poteri forti che fanno business...