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sabato 1 giugno 2019

Rischio Vesuvio: Pompei città resiliente? ... di MalKo




Il Vesuvio visto dagli scavi di Pompei


Il comune di Pompei è inserito in una campagna di sensibilizzazione avviata su scala internazionale dall’ufficio delle Nazioni Unite UNISDR, (United Nations International Strategy for Disaster Reduction), il cui fine è appunto la riduzione delle catastrofi nel senso più ampio del termine. La città degli Scavi che ricade nella zona rossa Vesuvio, fa parte di una rete di municipalità che si propongono l’obiettivo di migliorare la loro capacità di mitigare le calamità, magari in chiave preventiva, e anche di rafforzare la resilienza delle città alle post avversità naturali e antropiche derivanti pure dagli aspetti collaterali e attualissimi delle variazioni e i cambiamenti climatici che incidono sulla sopravvivenza degli uomini.

I rappresentanti delle amministrazioni civiche coinvolte nel progetto, si sono incontrate al tavolo del Dipartimento della Protezione Civile, organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che rappresenta l’ufficio centrale di riferimento per la diffusione dei concetti protettivi emersi dai lavori programmatici di Hyogo Framework for Action 2005-2015 in Giappone, che continuano col Sendai Framework 2015 -2030. Le finalità di questi progetti riguardano la capacità di resilienza delle città, che dovranno adattarsi e organizzarsi per resistere alle avversità naturali classiche, ma anche alle implicazioni legate al riscaldamento globale, portatore di effetti estremi che si ripercuoterebbero sulla sicurezza dei cittadini.
A rappresentare l’amministrazione comunale pompeiana per i temi della protezione civile è stato il vicecomandante della Polizia Municipale Ferdinando Fontanella, che ha precisato che il comune svolge tutte le attività che gli competono, pur disponendo di soli due addetti e pochi mezzi e niente risorse economiche per l’elaborazione del piano di emergenza comunale. È notizia di questi giorni che la Regione Campania ha assegnato 74.000 euro alle necessità di pianificazione del Comune di Pompei, anche per elaborare un piano di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio…
I danni derivanti dall’ambiente naturale dicevamo, certamente sono quelli mediamente più individuabili e comprensibili dalle popolazioni, ma la capacità di sopravvivere deve fare i conti anche con le metamorfosi dettate da altri fattori di rischio su scala planetaria, che oltre a produrre fenomeni estremi come le alluvioni e le siccità, possono comportare effetti collaterali di tutto rispetto, come i rischi legati al cambiamento delle condizioni sociali, economiche, ambientali e dall’uso del suolo.  Si potrebbero avere necessità di affrontare, per esempio, problematiche ad oggetto il mancato approvvigionamento di prodotti primari come l’acqua potabile e addirittura il pane.
Un altro elemento che bisogna tenere in debita considerazione, è il possibile crollo della tecnologia, soprattutto quella che ci offre i servizi in rete: se interrotti infatti, potrebbe scatenarsi il panico più assoluto, perché crollerebbero i servizi finanziari e informativi e organizzativi, oltre naturalmente a una certa solitudine sociale che, per molti individui, è insopportabile. D’altro canto in una globalizzazione a “pensiero unico” incentrata sugli aspetti finanziari e sulle politiche dei costi benefici, i rischi aumentano sensibilmente soprattutto per una certa fascia di popolazione, che in genere è quella povera e quella definita paria della società.
A Hyogo si è discusso sulla necessità di garantire che la riduzione del rischio di catastrofi sia una priorità delle nazioni e una priorità delle amministrazioni locali, forgiando una solida base istituzionale per l'attuazione dei programmi vertenti sul come utilizzare la conoscenza, l'innovazione e l'istruzione per costruire una cultura della sicurezza e della resilienza a tutti i livelli.
Occorre allora formare le comunità su quelle che sono le vulnerabilità dettate dai sistemi energetici naturali e in prospettiva sociali (finanza), che possono tradursi in rischi per le popolazioni. In un’ottica più grande e globale del pericolo del vivere in un mondo di interazioni e di rapide evoluzioni, occorre che i cittadini imparino ad acquisire il potere dell’adattabilità per rispondere alle necessità della sopravvivenza, a fronte delle possibili inclemenze che potrebbe riservarci il futuro. Essendo che ogni processo formativo parte innanzitutto dalla comprensione dei fenomeni da cui difendersi, forse è il caso di iniziare a formarci, magari anche come gioco per i giovani, in modo che la resilienza fisica e psicologica diventi intanto una disciplina da approfondire…
Per una problematica ad alta complessità come quella della resilienza delle comunità, occorre che i governi mondiali e centrali, aiutino i governi periferici, nel nostro caso spiccatamente i comuni, che rappresentano l’amministrazione più vicina ai bisogni di sicurezza dei cittadini. Per questo motivo, sarebbe auspicabile che si aprano finestre di reale dialogo tra le popolazioni e le municipalità anche in rete fra di loro, accomunati da fattori di rischio omogenei, pure per individuare innanzitutto i punti deboli dei territori che possono inficiare potenzialmente la resilienza delle comunità esposte.
Gli obiettivi che si prefiggono le organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, sono quello di proseguire il percorso già avviato con le iniziative di Hyogo Framework for Action (2005/2015), incentrate sulla gestione delle catastrofi, con altri obiettivi previsti successivamente dai protocolli di Sendai Framework 2015/2030, quest'ultimi maggiormente volti alla gestione del rischio di catastrofe (prevenzione). In tutte e due i casi comunque, occorre dare diretta importanza alla capacità preventiva di mitigare le avversità naturali con tutti gli aspetti evolutivi dei cambiamenti climatici, ma anche quelle derivanti dalla tecnologia e dalla biologia che interesseranno per il futuro, nel breve e medio e lungo termine, tutta l’umanità. Il mondo non è statico e non è un comparto chiuso, e noi occupiamo quella parte superficiale del Pianeta dove tutti gli elementi a differente densità (aria, acqua, suolo), si toccano, si confrontano e si agitano grazie a due grandi motori: il calore solare e quello insito all’interno della massa terrestre…
La capacità di resilienza delle popolazioni che devono districarsi fra questi tre elementi tra l’altro in un contesto di conflittualità umana, deve essere accompagnato da una concreta attenzione delle classi governative ai più svariati livelli decisionali nazionali e internazionali, anche per garantire un’azione coordinata degli aiuti in favore delle comunità più deboli. Politiche che richiedono impegni finanziari notevoli, ma anche capacità di programmazione con approccio multidisciplinare su quello che generalmente viene definito lo sviluppo sostenibile e aggiungeremmo sicuro ed equo.
Il forum europeo sulla riduzione dei rischi da catastrofe naturale e antropica e climatica, ha acceso una particolare attenzione alla cosiddetta resilienza ai disastri delle città. I competenti uffici delle Nazioni Unite, su questi grandi temi hanno elaborato una Score card, cioè una sorta di check - list per aiutare i comuni anche italiani che aderiscono al progetto, a monitorare al meglio i progressi della loro azione mitigatrice dei pericoli e di capacità alla resilienza a fronte delle catastrofi, attraverso la sinergia tra le attività di prevenzione strutturale, di protezione civile e di costruzione di una cultura del rischio.
La card indica in 10 punti le azioni fondamentali a cui ogni comune deve o dovrebbe tendere per raggiungere i risultati anzidetti e così riassumibili:

  1. Organizzarsi per la resilienza ai disastri.
  2. Identificare, comprendere e utilizzare gli scenari di rischio presenti e futuri.
  3. Rafforzare le capacità finanziarie per la resilienza.
  4.  Perseguire uno sviluppo umano resiliente.
  5.  Salvaguardare le interfacce naturali per migliorare le funzioni protettive offerte     dagli ecosistemi naturali.
  6.  Rafforzare la capacità istituzionale alla resilienza.
  7.  Comprendere e rafforzare la capacità della società alla resilienza.
  8.  Aumentare la resilienza delle infrastrutture.
  9.  Garantire una risposta efficace ai disastri.
  10. Accelerare il recupero e garantire una migliore ricostruzione. 
      Di questa score card, possiamo offrire il nostro punto di vista sull’attuale stato dell’arte con una disanima critica dei punti appena proposti, che al momento rimangono traguardi da raggiungere. Speriamo che il comune di Pompei diventi battistrada di un pensiero e di un'azione  volta innanzitutto alla mitigazione delle catatrofi in tutte i loro aspetti, forme e intensità.

  1.            Ovviamente la città di Pompei che fa parte di una più grande zona rossa composta da 25 municipalità, non ha ancora una progettualità di resilienza, così come non ha una pianificazione adeguatamente operativa per fronteggiare il pericolo eruttivo dettato dal Vesuvio.
  2.           Gli scenari di rischio a fronte del rischio Vesuvio sono stati elaborati sulla scorta dell’eruzione media di riferimento e non su quella massima conosciuta. Operazione decisionale proposta dall’INGV su basi statistiche… Questo significa un vulnus permanente anche in caso di successo evacuativo di quella che sarà la futura pianificazione d’emergenza e di evacuazione dell’area vesuviana.
  3.       I circa 74.000 euro che ha ricevuto il comune di Pompei dalla Regione Campania, non sono soldi integrativi per la causa della resilienza della città: una resilienza che ricordiamo comporterebbe di affrontare anche le variazioni e i cambiamenti climatici con tutte le conseguenze. In realtà tale cifra fa parte dei fondi europei di qualche anno fa finalizzati all’elaborazione di un piano di protezione civile comunale omnicomprensivo dei rischi e segnatamente quello vulcanico.
  4.       Lo sviluppo umano resiliente nella città di Pompei può riguardare solo il miglioramento delle vie di fuga e un adeguamento statico degli edifici alle sollecitazioni sismiche e ai depositi piroclastici. Ovviamente nella speranza che le correnti piroclastiche non vadano oltre il limite degli scavi archeologici…
  5.       A Pompei non ci sono particolari interfacce naturali capaci di migliorare la difesa passiva della cittadina mariana alle eruzioni. L’unica interfaccia utile a Pompei, è triste dirlo, è quella rappresentata dall’edificato dei Comuni di Boscotrecase e Boscoreale che s’interpongono fisicamente ad eventuali correnti piroclastiche che si staccherebbero dalla colonna eruttiva scorrendo lungo le pendici del vulcano verso sud sud est.
  6.       Non ci sono istituzioni che comprendono spiccatamente nei loro statuti il perseguimento delle politiche di rafforzamento della resilienza delle città. In Italia la risposta alle avversità è  prevalentemente post catastrofe. All’Aquila col terremoto del 6 aprile 2009, il modello d’intervento operativo è stato di tipo verticale senza concessioni particolari per la popolazione che non deve interferire con l’autorità costituita…
  7.       La società dell’area vesuviana, nella sua complessità e interezza, non ha dimostrato alcuna predisposizione alla resilienza bensì al business cementizio, buttandosi alle spalle qualsiasi avvertimento di pericolo sulla pericolosità dell'area vulcanica.
  8.       Le infrastrutture vesuviane, come tante altre, non hanno grande capacità di resilienza soprattutto perché i terreni vulcanici possono subire deformazioni che inficerebbero la rete dell’acqua, del gas e anche dell’elettricità, posto che i tralicci passano anche nella zona pedemontana del Vesuvio. Le reti fognarie e gli alvei e i canali sarebbero rapidamente invasi dai materiali piroclastici creando alluvionamenti dovuti alle precipitazioni copiose che accompagnano sovente le eruzioni. La viabilità è ai limiti della decenza. La cittadina di Pompei tra l’altro ricade in un quadrante statisticamente soggetto alla ricaduta dei prodotti piroclastici quale fenomeno susseguente qualsiasi tipo d'eruzione.
  9.       La risposta istituzionale ai disastri di bassa entità energetica è sufficientemente assicurata dalle istituzioni competenti (Vigili del Fuoco) in via ordinaria, ma anche dal sistema nazionale della protezione civile in un momento successivo all’emergenza. Per i grandi rischi invece, come può essere un’eruzione vulcanica, il sistema di aiuti è impreparato per una molteplicità di fattori, tra cui la mancata esperienza del mondo scientifico e istituzionale a un cotale evento naturale molto energetico. La possibilità di fronteggiare l’eruzione sul posto  al suo insorgere è inesistente. La difesa dalla catastrofe vulcanica quindi, con tutte le indeterminatezze che porta seco, può essere solo in chiave preventiva, evacuando la plaga vesuviana prima dell’eruzione. Questo vale per Pompei ma anche e soprattutto per i comuni costieri.
  10.       In caso di evento vulcanico non è possibile garantire una rapida ricostruzione e il rispristino della vita sociale in tempi brevi. Bisognerà allora e dopo la catastrofe, valutare col senno del poi il tessuto urbano compromesso, decidendo dove poter riedificare o recuperare o obliare…  Una interlocuzione chiara in tutti i suoi aspetti con le regioni deputate ad ospitare gli sfollati del Vesuvio poi, dovrà essere fatta adesso con il pieno coinvolgimento delle municipalità a rischio. In caso di evento vulcanico, la convivenza che non sarà brevissima, non sarà neanche facile: homo homini lupus
I piani di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio, sono ancora incompleti e quindi la plaga vesuviana in caso di pericolo sarà molto probabilmente e nell’attualità alla mercé dell’approssimazione e dei disordini. I piani di evacuazione sono in una condizione permanentemente di aggiornamento: una sorta di saga della rivisitazione programmatica, che dura da ben 24 anni ininterrottamente, segnando così un tempo ben più lungo dei limiti imposti da Penelope per la realizzazione della famosa tela… e i Proci bivaccano ancora...





domenica 14 aprile 2019

Rischio Vesuvio: l'azzardo eruttivo... di MalKo


Vesuvio innevato e orlo calderico del Monte Somma


Con una certa assiduità abbiamo rimembrato in molti articoli che il Vesuvio sarà anche il più controllato e monitorato vulcano del sistema solare, ma non per questo possiamo sottintendere in automatico che il pericolo eruttivo sia sotto controllo.
Il monitoraggio, pure se effettuato con tecnologia spaziale, capace di misurare anche le impercettibili variazioni prodotte dal battito delle ali della famosa farfalla, può solo anticipare il livello di attenzione che a questo punto, e con la spinta sempre più ultratecnologica che ci lascia giocare d’anticipo, l’attenzione potrebbe diventare addirittura permanente. Non è certo però, che la scienza tecnologica associata alle conoscenze attuali, sia giunta allo stadio della risoluzione della previsione vulcanica, che, per molte ragioni, è intricata assai...

La pratica della previsione del rischio vulcanico ha ampi spazi di indeterminatezza, i cui motivi sono tutti da ricercarsi nei limiti dell’orizzonte visibile dei terreni. Certamente il sottosuolo profondo che è anche dinamico, può essere sondato attraverso sistemi indiretti di esplorazione, ma con una forte interpolazione sui dati che non raggiungono definizioni tridimensionali e quindi non soddisfano in pieno i requisiti di attendibilità per una garanzia previsionale.

Gli stessi 4 livelli di allerta vulcanica riportati nella tabella sottostante, sono una indicazione di massima di uno stato crescente d'inquietudine dell'apparato che si avvicina progressivamente all'eruzione. Purtroppo, tutte le energie e soprattutto quella vulcanica, hanno una loro progressione che solo il caso potrebbe rendere uniformemente accelerata. 

Livelli di allerta vulcanica
Questo spiega perché i livelli di allerta vulcanica possono avere una sequenzialità anche talmente veloce da saltare letteralmente un colore. Quindi, anche l’auspicio che in caso di crisi vulcanica si possa transitare per una condizione di preallarme, in realtà è una speranza, che se non dovesse concretizzarsi, comporterebbe ripercussioni sul piano di evacuazione la cui strategia conta moltissimo sull’allontanamento spontaneo della popolazione in questa fase arancione. L’allontanamento preventivo di chi ha già un punto di ricovero fuori dalla zona rossa,infatti, alleggerirebbe la spinta caotica evacuativa determinata da tutti i settecentomila vesuviani che si sposterebbero contemporaneamente alla dichiarazione dell’allarme rosso.

Occorre dire che sull’argomento previsione è sempre filtrata da alcuni ambienti vicini al mondo scientifico e istituzionale, la notizia che le eruzioni sono prevedibili con largo anticipo: addirittura mesi prima… Questo ha consentito a non pochi amministratori di obliare completamente le pratiche di prevenzione del rischio vulcanico, cavalcando la notizia che la salvezza delle popolazioni esposte al pericolo è certamente assicurata dalla previsione dell’evento, mesi o comunque almeno alcune settimane prima che il fenomeno si manifesti.

Non vogliamo né dissentire e né confermare questa interpretazione che rimane una speranza collettiva, però occorre rimanere sul dato reale che è quello dell’indeterminatezza della previsione vulcanica, tanto nel lungo che nel medio e nel breve termine. L'indeterminatezza potrebbe comportare falsi allarmi ma anche ritardati o mancati allarmi.

A questo punto è interessante verificare quello che scrive il competente Dipartimento della Protezione Civile:
Tra i rischi di protezione civile, quello vulcanico viene spesso considerato un rischio “prevedibile” perché si ritiene possano essere riconosciuti e misurati i fenomeni che pre-annunciano la risalita del magma verso la superficie, per questo detti “precursori” (terremoti, fratturazioni del terreno, deformazioni dell’edificio vulcanico, variazioni nell’emissione dei gas e delle temperature dei fluidi, ecc.). Si tratta però di una semplificazione che non tiene conto della complessità e dell’estrema variabilità delle fenomenologie vulcaniche e della difficoltà a valutarle e interpretarle…
…Tuttavia, anche se questi fenomeni vengono studiati e monitorati puntualmente, non è possibile prevedere con certezza, anche per le peculiarità che caratterizzano ogni vulcano, quando e come potrà avvenire un’eruzione vulcanica. Allo stato attuale delle conoscenze, non è infatti ipotizzabile alcuna forma di previsione deterministica.

Ovviamente questo limite predittivo soprattutto per una certa fascia di vulcani è di ordine mondiale e non nazionale, atteso che in questo come in altri campi, l'Italia vanta grandi competenze scientifiche. 
Il limite previsionale influenza quindi anche i livelli di allerta vulcanica che trovano un loro posizionamento all'interno di un quadro più generale di incertezza legata alle dinamiche del sottosuolo con le sue innumerervoli variabili.
Vediamo come il Dipartimento della Protezione Civile affronta il discorso livelli di allerta:

I livelli di allerta sono dichiarati dal Dipartimento della protezione civile, in stretto raccordo con le rispettive strutture di protezione civile regionali, sentito il parere, se i tempi e le modalità di evoluzione delle fenomenologie vulcaniche lo consentono, della Commissione Grandi Rischi - Settore Rischio Vulcanico. La valutazione si basa sulle segnalazioni delle fenomenologie e sulle valutazioni di pericolosità rese disponibili dall’Ingv-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dagli altri Centri di Competenza, con particolare riguardo, per i vulcani siciliani, al Dipartimento di scienze della terra dell’Università di Firenze.
Per ogni vulcano, il passaggio da un livello di allerta al successivo può avvenire in anticipo rispetto al verificarsi delle fenomenologie, se le informazioni fornite dai Centri di Competenza lo consentono. In caso contrario, il passaggio può essere decretato a fenomeno osservato, quindi avvenuto o in corso. A questo proposito è utile sottolineare che il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività dei vulcani, anche del tutto impreviste.

tipo di eruzione e corrispondente VEI

Anche in questo caso facendo la somma delle indeterminatezze, arriviamo alle perplessità legate alla scelta dell’eruzione di piano, cioè la tipologia eruttiva adottata per definire la zona rossa VEI4. Sempre il Dipartimento scrive:

...Le aree a rischio previste per un’eruzione sub-pliniana, assunta come scenario di riferimento per il nuovo Piano Vesuvio, coprono anche quelle previste per un’eruzione stromboliana, di minore energia.
Tuttavia, si sottolinea che nonostante sia stato individuato come evento di riferimento un’eruzione sub-pliniana, allo stato attuale delle conoscenze, qualora si presentassero fenomeni legati ad una probabile riattivazione, non sarebbe possibile stabilire dall’analisi dei precursori di quale tipo sarà l’eventuale eruzione.

A fronte di questa situazione che è lo specchio di un’attualità scientifica che tenta attraverso la strada della ricerca di dare risposte tanto per i vulcani quanto per i terremoti, sussiste nell'attualità uno stato di incertezza, magari anche minima, che comunque non garantisce in senso deterministico che il pericolo Vesuvio sia monitorabile in tutte le sue fasi d’insorgenza energetica.

La situazione è un pò più critica per i Campi Flegrei, dove alle difficoltà di previsione anche sul breve del fenomeno eruttivo, si aggiungerebbe l’indeterminatezza del punto dove potrebbe svilupparsi l’eruzione, che potrebbe essere più di uno e in un qualsiasi luogo all’interno della caldera, anche se occorre aggiungere che il maggior sollevamento del suolo (bradisismo) lo si riscontra nel sottosuolo puteolano che si affaccia al mare.

Se da un lato è stata adottata come chiave temporale per un’eruzione pliniana un arco di tempo minimo di 100 anni e massimo di 1000, nel flegreo l’ultima eruzione avvenne circa 500 anni fa: a questo punto quei territori dovrebbero presentare un gap pliniano medio per la posizione mediana che occupa il periodo di quiescenza all’interno della scala che abbiamo menzionato. Le autorità stimano al 4% tale eventualità eruttiva...

Nel discorso complessivo possono esserci d’aiuto i discorsi e le circostanze legate al terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. In quell’occasione la commissione grandi rischi che poi in giudizio non fu considerata tale, asserì una settimana prima del forte terremoto, che le scosse sismiche che si protraevano da mesi non era certo che costituissero un campanello d’allarme predittivo per un evento più intenso. Purtroppo 309 morti e 1.600 feriti testimoniarono il contrario…

In quell’occasione il Sindaco Cialente per il perdurare della fenomenologia sismica, fu fortemente provato ancorchè pressato dalle domande dei cittadini che chiedevano se c’era pericolo a rimanere nelle case. Il Sindaco ovviamente non sapeva cosa rispondere… Nell'area vesuviana o flegrea se venissero percepiti gli eventi sismici incalzanti, verrebbe chiesto ai Sindaci se c'è pericolo a permanere nella zona rossa. Non a caso abbiamo parlato di terremoti perchè nella relazione Barberi del 1990 i sismi e la localizzazione degli ipocentri, pare che siano la discriminante per tentare una previsione sul medio breve termine dell'eruzione.

Teoricamente i sindaci non dovrebbero assumere alcuna iniziativa in questa pianificazione nazionale a proposito dell’evacuazione della zona rossa, che dovrebbe essere una decisione spettante alla Presidenza del Consiglio: ma se la situazione contingente legata al rischio, che è un fattore molto complesso, dovesse suggerire una tale determinazione prudenziale, il Sindaco potrebbe decidere da solo? Il problema è che se l'evacuazione la decide la Presidenza del Consiglio sono previsti per le famiglie che si allontanano dei contributi di autonoma sistemazione (CAS). Diversamente, in assenza di uno stato di preallarme, l'evacuazione diventerebbe spontanea ma fuori dal contesto operativo: quindi, teoricamente nessuno potrebbe vietare l'allontanamento ma nessun cittadino potrebbe chiedere l'aiuto economico.

Sarebbe da discuterne, perchè così come successe a Cialente, nel caso in cui il preallarme dovesse cogliersi grazie alla percezione dei sensi, magari in un contesto temporale esiguo per attendere le decisioni della Commissione Grandi Rischi, il Sindaco avrebbe margini di autonomia decisionale?

  

domenica 22 novembre 2015

Rischio Vesuvio, terremoto dell’Aquila e commissione grandi rischi: un unicum?... di MalKo



 


La cassazione il 20 novembre 2015 ha completamente e definitivamente scagionato non già la commissione grandi rischi, bensì il gruppo di accademici composto da Franco Barberi, Enzo Boschi, Giulio Selvaggi, Gian Michele Calvi, Claudio Eva e Mauro Dolce. Nella sostanza parliamo dell’equipe che si presentò all’Aquila il 31 marzo 2009 per discutere di rischio sismico e forse dell’indice di pericolosità incombente sulla cittadina abruzzese. Pur firmando in tempi diversi un verbale di riunione che sembrava da commissione, in realtà per il tribunale lo staff inviato da Guido Bertolaso era una cosa diversa dalla commissione grandi rischi, e quindi, probabilmente non aveva un particolare titolo giuridico responsabilizzante.

Gli scienziati escursionisti furono catapultati nel capoluogo abruzzese per rassicurare con la loro presenza e curriculum, gli abitanti in apprensione per gli incessanti eventi sismici a bassa intensità che da mesi toglievano il sonno. Non pochi invece pensarono e pensano ancora oggi, che forse gli esperti erano giunti fin lì anche e soprattutto per zittire un ricercatore locale, Giampaolo Giuliani, che profetizzava con previsioni al radon, l’imminenza di un terremoto distruttivo. In quel momento e in quel contesto politico, col dipartimento in tutt’altre faccende affaccendato, gli allarmi di Giuliani risultavano intollerabili per tutti gli uomini del presidente…

Bernardo De Bernardinis, vice capo Dipartimento della Protezione Civile, all’epoca dei fatti comandante di questa spedizione primaverile quale fido indiscusso del navigato Bertolaso, andò oltre nella missione elargitrice di sopore, offrendo alla stampa mediatici ottavini e tesi stupefacenti sugli scarichi energetici che a suo dire alleggerivano la tensione litosferica che non avrebbe così dato vita al micidiale colpo sismico che invece giunse puntuale una settimana dopo… le vittime furono 309.  Portavoce del gruppo, De Bernardinis si beccò la condanna senza menzione poi confermata nei vari gradi di giudizio a due anni di reclusione per negligenza e imprudenza. Parlò troppo e fu troppo in vista… Non sappiamo con quanta buona fede, ma riscatterebbe interamente la sua posizione di colpevole offrendo qualche verità recuperata dagli armadi delle quinte del potere.

La cassazione con la sentenza del 20 novembre 2015 ha allora prosciolto definitivamente da qualsiasi responsabilità il gruppo di esperti dichiaratosi tra l’altro ignaro delle rassicurazioni che improvvidamente il capo cordata dette alla popolazione aquilana quel giorno…

La faccenda non può ritenersi ancora conclusa però, perché rimane un appiglio giudiziario in danno a Guido Bertolaso in merito ad un’altra previsione che non ha nulla a che fare con la geologia, ma è tutta racchiusa in un’intercettazione telefonica in cui il potente Capo Dipartimento anticipa all’assessore regionale alla protezione civile, Daniela Stasi, che da quella riunione di esperti del 31 marzo 2009 usciranno solo rassicurazioni. Semplice preveggenza?

Da notare che nella settimana successiva al 31 marzo 2009, gli eventi sismici incominciarono a intensificarsi come le richieste di verifica statica ai fabbricati presentate ai Vigili del Fuoco. I pompieri in assenza di rassicurazioni avrebbero probabilmente accorpato i turni in modo da raddoppiare il personale disponibile in caso di necessità. Quando il terremoto colpì il 6 aprile 2009, il comando provinciale purtroppo era presidiato da un esiguo numero di soccorritori…

Questo processo, ma in realtà l’intera faccenda ha insegnato qualcosa: innanzitutto se a fronte di un rischio si riunisce la commissione grandi rischi in una qualsiasi delle sue branche specialistiche, bisogna chiedere il visto di certificazione istituzionale dell’adunata, per evitare che successivamente e a posteriori, si sancisca che non era affatto una riunione commissariale ufficiale. Chiedere sempre al portavoce poi, se le sue affermazioni sono state condivise con la commissione grandi rischi magari in quel momento distratta.
Il secondo elemento da cui trarre insegnamento è il ruolo di una certa parte della stampa particolarmente sbilanciata sulla difesa nel nostro caso degli imputati, al punto da creare ad arte la ridicola storia della scienza sotto processo. Si è gridato allo scandalo inquisitorio perché il tribunale dell’Aquila si permetteva, come i più classici tribunali dell’inquisizione, di processare la pseudo commissione grandi rischi per non aver previsto il terremoto. Il quarto potere in questo caso non è stato equidistante, forse per aiutare gli amici degli amici in un momento di difficoltà processuale: buttarla sul ridicolo funziona sempre.

Dopo questa storia aquilana, chi abita alle falde del Vesuvio dove il destino delle popolazioni potrebbe essere affidato come da programma a una decisione della commissione grandi rischi (ramo rischio vulcanico) che passerebbe poi alla politica la bandierina dello start evacuativo, quanto seguito avranno nei settecentomila abitanti le decisioni che si prenderanno? C’è ancora chi pensa sul serio di mandare i lettori vesuviani beatamente a letto sulla scorta dell’editoriale del direttore? Un dubbio amletico grava oramai sulla credibilità di una scienza forse concupiscente con la politica in un contesto di totale assenza di giornalismo investigativo…

Una scienza che ha applicato al Vesuvio la statistica nella definizione dell’eruzione massima da cui difenderci ridimensionandola *(VEI 4), in modo da mantenere fuori da una pliniana (VEI 5) dei territori su cui si costruiscono, ohibò, ancora case con licenza edilizia. I cittadini sono quindi alla mercé della probabilità statistica e delle politiche non dichiarate dei costi-benefici. L’ex assessore alla protezione civile della regione Campania, ing. Edoardo Cosenza, amava ripetere che nel vesuviano possiamo avere solo 4 matrici di possibilità: un’eruzione (VEI 4) senza evacuazione; un’eruzione (VEI 4) con evacuazione; un’evacuazione senza eruzione (VEI 4); un’evacuazione con eruzione (VEI 4). Il successo a suo dire era del 50%, concentrato sulle due possibilità favorevoli alla tutela, cioè eruzione con evacuazione e l’evacuazione con eruzione.

Già oggi e ancora di più col passare del tempo, stante la situazione attuale bisognerà aggiungere altre due matrici di probabilità: eruzione (VEI 5) con evacuazione; evacuazione con eruzione (VEI 5). Questo significa che se si dovesse verificare un’eruzione pliniana che nessun scienziato al mondo può escludere, anche in caso di successo evacuativo potremmo arrivare a settecentomila salvati e a un milione di morti.
Schema non in scala e semplicemente concettuale dei territori invadibili dai fenomeni 
eruttivi con differenti VEI. La linea nera è quella Gurioli...
Potrebbe anche essere un discorso drammaticamente valido quello dei costi benefici, cinicamente ineluttabile in un mondo dove il business ha il sopravvento su tutto, esseri umani compresi… Bisogna però dichiararlo questo cinismo, perché il cittadino non è un suddito e quindi bisogna dargli una possibilità di scelta attraverso l'informazione. D’altro canto non c’è nessuna moralità in queste criteri di realpolitik circa l’accettazione dell’ineluttabilità statistica…nessuna, se ancora oggi la politica si ostina e consente di costruire in quelle zone che potrebbero subire tutti gli effetti di un’eruzione pliniana, che può essere esclusa solo dalla politica ma non dalla scienza che avrebbe dovuto puntare il dito sulle facili costruzioni in zona rossa.

Per fronteggiare e sul serio il rischio vulcanico in Campania, bisogna sostenere le iniziative in corso circa la necessità di costituire una commissione d’inchiesta parlamentare, che faccia luce sui rapporti tra scienza e politica, a iniziare dai fatti legati al terremoto dell’Aquila, alla riunione del 31 marzo 2009, e anche e soprattutto cosa è successo e cosa si è fatto nella settimana che ha preceduto il sisma del 6 aprile 2009. Da queste risultanze bisognerà capire quale virata dare alle politiche di sicurezza nel loro insieme, ai compiti istituzionali dei vari corpi dello Stato comprensivi dei Prefetti, forse troppo sbilanciati sulle ragioni di Stato e sul principio di non allarmare… 

Terzigno-Poggiomarino : eruzione del Vesuvio 1944. I bombardieri americani non fecero 
in tempo  ad alzarsi in volo e furono "bombardati" dalla pioggia di cenere e lapillo.

Bisognerà rimettere il rischio Vesuvio e Campi Flegrei e anche Ischia di nuovo al centro dell’attenzione mediatica per varare delle serie politiche di prevenzione. Si proceda poi con l’analisi dei progetti di edilizia che gravano nel settore orientale e occidentale della città di Napoli, e sul piano urbanistico ischitano, onde evitare di accrescere il rischio vulcanico in queste aree già fortemente compromesse da una spiccata urbanizzazione mangia spazio. Lo sviluppo non è nelle pratiche cementizie di edilizia residenziale di cui non se ne sente francamente il bisogno in certi luoghi, esattamente come le trivellazioni in terreni che si gonfiano per la circolazione di fluidi caldi o per il magma che sale o da entrambe le cause all'origine di fenomeni bradisismici tutt'altro che rassicuranti...


* VEI: indice di esplosività vulcanica




domenica 26 maggio 2013

Rischio Vesuvio parte sesta.



"Rischio Vesuvio parte sesta" di MalKo
Per dare una completa informazione ai  lettori interessati al problema rischio Vesuvio, dobbiamo specificare ed ancora una volta ribadire un concetto fondamentale che riguarda il piano d’emergenza.
Non c’è bisogno che un esperto precisi se i piani esistono e se hanno una valenza operativa. Un  piano  d’emergenza per essere tale deve essere immancabilmente conosciuto dai possibili e potenziali utilizzatori. Non se ne può fare a meno. Ne consegue quindi, che finché non viene recapitato (parliamo ovviamente dei cittadini del vesuviano), a ogni singola famiglia, una sorta di vademecum a firma del Sindaco in cui s’informano i cittadini sulla necessità di attenersi a delle procedure in caso di allarme vulcanico, il piano d’emergenza di fatto non esiste.


Quando sarà pronto questo famoso aggiornamento del piano d’emergenza Vesuvio, come annunciato dalla Regione Campania da oltre un anno, molto probabilmente questo documento contenente linee guida dovrà poi essere elaborato e attagliato alle realtà e alle esigenze di ogni singolo comune.
Saranno quindi i sindaci, in armonia con le indicazioni sancite a livello nazionale dall’apposita commissione incaricata delle strategie, a varare le istruzioni a livello locale circa il da farsi in caso di emergenza vulcanica.
Quando un sindaco firma un piano d’emergenza, automaticamente dovrebbe anche adoperarsi acchè il territorio non sia stravolto da quella frenesia tutta politica di costruire ovunque e comunque, pensando, di fatto, più a quello che si costruisce che dove si costruisce.


Tuttavia e proprio in virtù di modifiche che possono portare cambiamenti alle realtà territoriali, i piani d’emergenza Vesuvio (uno per ogni comune), dovranno essere periodicamente aggiornati alla luce di eventuali modifiche che dovessero subentrare nel tempo, riguardanti quegli aspetti che possono avere una valenza operativa, come ad esempio la viabilità. Dovrebbe essere una commissione comunale a redigere il piano e, quindi, la stessa dovrebbe riunirsi per apportare eventuali varianti.
Il rischio Vesuvio non è stato mai trattato nella sua vera dimensione che implica trecentossessanta gradi di competenze. Ogni settore di sviluppo regionale, provinciale e comunale dovrebbe, infatti, tener conto delle necessità operative del piano d’emergenza Vesuvio per evitare assurdità in altri articoli evidenziate. La mano destra dovrebbe sempre sapere cosa fa la mano sinistra, perché altrimenti assisteremo a delle contrapposizioni paradossali.


L’informazione in questo campo, e parliamo del piano Vesuvio, non è mai stata genuina. Un esempio concreto lo offre fra i tanti un articolo apparso sulla famosissima rivista del Reader’s Digest, datato marzo 1998. L’articolo che riportava i nomi reali di alcuni protagonisti istituzionali s’intitolava: E se si sveglia il Vesuvio? … pagina 29 esattamente al capitolo Diciassette giugno. 
<<… oramai era stato raggiunto il quinto livello e non si poteva più tornare indietro: il vulcano era ad alto e immediato rischio di eruzione. La zona rossa era completamente deserta. Se n’erano andati non solo gli abitanti, ma anche gli ultimi addetti alle operazioni del piano d’emergenza. Pattuglie di agenti e di soldati sorvegliavano il perimetro per impedire agli sciacalli di entrare o uscire. Ogni giorno venivano arrestate decine e decine di persone. Il 25 giugno l’emergenza giunse al sesto livello. Alle 21 una densa colonna di fumo rossastro si levò ribollendo verso il cielo, e il vulcano, sembrò minuscolo sotto la sua immensità. Il giorno dopo nubi ardenti e colate di fango bollente spazzarono i pendii del Vesuvio e cancellarono dalla carta geografica alcuni centri. Onde di marea si abbatterono sulla costa , e la terra fu scossa da violenti terremoti.
Guardando il telegiornale dalla casa nei pressi di Roma dove aveva trovato alloggio, F. R. provò un’immensa tristezza, ma anche un profondo senso di orgoglio. Grazie a una minuziosa pianificazione fatta in anticipo da un piccolo esercito di esperti e pubblici funzionari di cui anche lui aveva fatto parte, e grazie al lavoro senza risparmio delle migliaia di  uomini che avevano fronteggiato l’emergenza, il vulcano non aveva fatto neanche una vittima.
Era stata un’impresa degna delle fatiche di Ercole, ma l’avevano portata a termine. E per quanto grandi fossero le difficoltà future, nulla poteva essere paragonato a ciò che aveva appena compiuto. Era bello poter cominciare una nuova vita con questa sensazione dentro>>.
(continua…)