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sabato 1 giugno 2019

Rischio Vesuvio: Pompei città resiliente? ... di MalKo




Il Vesuvio visto dagli scavi di Pompei


Il comune di Pompei è inserito in una campagna di sensibilizzazione avviata su scala internazionale dall’ufficio delle Nazioni Unite UNISDR, (United Nations International Strategy for Disaster Reduction), il cui fine è appunto la riduzione delle catastrofi nel senso più ampio del termine. La città degli Scavi che ricade nella zona rossa Vesuvio, fa parte di una rete di municipalità che si propongono l’obiettivo di migliorare la loro capacità di mitigare le calamità, magari in chiave preventiva, e anche di rafforzare la resilienza delle città alle post avversità naturali e antropiche derivanti pure dagli aspetti collaterali e attualissimi delle variazioni e i cambiamenti climatici che incidono sulla sopravvivenza degli uomini.

I rappresentanti delle amministrazioni civiche coinvolte nel progetto, si sono incontrate al tavolo del Dipartimento della Protezione Civile, organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che rappresenta l’ufficio centrale di riferimento per la diffusione dei concetti protettivi emersi dai lavori programmatici di Hyogo Framework for Action 2005-2015 in Giappone, che continuano col Sendai Framework 2015 -2030. Le finalità di questi progetti riguardano la capacità di resilienza delle città, che dovranno adattarsi e organizzarsi per resistere alle avversità naturali classiche, ma anche alle implicazioni legate al riscaldamento globale, portatore di effetti estremi che si ripercuoterebbero sulla sicurezza dei cittadini.
A rappresentare l’amministrazione comunale pompeiana per i temi della protezione civile è stato il vicecomandante della Polizia Municipale Ferdinando Fontanella, che ha precisato che il comune svolge tutte le attività che gli competono, pur disponendo di soli due addetti e pochi mezzi e niente risorse economiche per l’elaborazione del piano di emergenza comunale. È notizia di questi giorni che la Regione Campania ha assegnato 74.000 euro alle necessità di pianificazione del Comune di Pompei, anche per elaborare un piano di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio…
I danni derivanti dall’ambiente naturale dicevamo, certamente sono quelli mediamente più individuabili e comprensibili dalle popolazioni, ma la capacità di sopravvivere deve fare i conti anche con le metamorfosi dettate da altri fattori di rischio su scala planetaria, che oltre a produrre fenomeni estremi come le alluvioni e le siccità, possono comportare effetti collaterali di tutto rispetto, come i rischi legati al cambiamento delle condizioni sociali, economiche, ambientali e dall’uso del suolo.  Si potrebbero avere necessità di affrontare, per esempio, problematiche ad oggetto il mancato approvvigionamento di prodotti primari come l’acqua potabile e addirittura il pane.
Un altro elemento che bisogna tenere in debita considerazione, è il possibile crollo della tecnologia, soprattutto quella che ci offre i servizi in rete: se interrotti infatti, potrebbe scatenarsi il panico più assoluto, perché crollerebbero i servizi finanziari e informativi e organizzativi, oltre naturalmente a una certa solitudine sociale che, per molti individui, è insopportabile. D’altro canto in una globalizzazione a “pensiero unico” incentrata sugli aspetti finanziari e sulle politiche dei costi benefici, i rischi aumentano sensibilmente soprattutto per una certa fascia di popolazione, che in genere è quella povera e quella definita paria della società.
A Hyogo si è discusso sulla necessità di garantire che la riduzione del rischio di catastrofi sia una priorità delle nazioni e una priorità delle amministrazioni locali, forgiando una solida base istituzionale per l'attuazione dei programmi vertenti sul come utilizzare la conoscenza, l'innovazione e l'istruzione per costruire una cultura della sicurezza e della resilienza a tutti i livelli.
Occorre allora formare le comunità su quelle che sono le vulnerabilità dettate dai sistemi energetici naturali e in prospettiva sociali (finanza), che possono tradursi in rischi per le popolazioni. In un’ottica più grande e globale del pericolo del vivere in un mondo di interazioni e di rapide evoluzioni, occorre che i cittadini imparino ad acquisire il potere dell’adattabilità per rispondere alle necessità della sopravvivenza, a fronte delle possibili inclemenze che potrebbe riservarci il futuro. Essendo che ogni processo formativo parte innanzitutto dalla comprensione dei fenomeni da cui difendersi, forse è il caso di iniziare a formarci, magari anche come gioco per i giovani, in modo che la resilienza fisica e psicologica diventi intanto una disciplina da approfondire…
Per una problematica ad alta complessità come quella della resilienza delle comunità, occorre che i governi mondiali e centrali, aiutino i governi periferici, nel nostro caso spiccatamente i comuni, che rappresentano l’amministrazione più vicina ai bisogni di sicurezza dei cittadini. Per questo motivo, sarebbe auspicabile che si aprano finestre di reale dialogo tra le popolazioni e le municipalità anche in rete fra di loro, accomunati da fattori di rischio omogenei, pure per individuare innanzitutto i punti deboli dei territori che possono inficiare potenzialmente la resilienza delle comunità esposte.
Gli obiettivi che si prefiggono le organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, sono quello di proseguire il percorso già avviato con le iniziative di Hyogo Framework for Action (2005/2015), incentrate sulla gestione delle catastrofi, con altri obiettivi previsti successivamente dai protocolli di Sendai Framework 2015/2030, quest'ultimi maggiormente volti alla gestione del rischio di catastrofe (prevenzione). In tutte e due i casi comunque, occorre dare diretta importanza alla capacità preventiva di mitigare le avversità naturali con tutti gli aspetti evolutivi dei cambiamenti climatici, ma anche quelle derivanti dalla tecnologia e dalla biologia che interesseranno per il futuro, nel breve e medio e lungo termine, tutta l’umanità. Il mondo non è statico e non è un comparto chiuso, e noi occupiamo quella parte superficiale del Pianeta dove tutti gli elementi a differente densità (aria, acqua, suolo), si toccano, si confrontano e si agitano grazie a due grandi motori: il calore solare e quello insito all’interno della massa terrestre…
La capacità di resilienza delle popolazioni che devono districarsi fra questi tre elementi tra l’altro in un contesto di conflittualità umana, deve essere accompagnato da una concreta attenzione delle classi governative ai più svariati livelli decisionali nazionali e internazionali, anche per garantire un’azione coordinata degli aiuti in favore delle comunità più deboli. Politiche che richiedono impegni finanziari notevoli, ma anche capacità di programmazione con approccio multidisciplinare su quello che generalmente viene definito lo sviluppo sostenibile e aggiungeremmo sicuro ed equo.
Il forum europeo sulla riduzione dei rischi da catastrofe naturale e antropica e climatica, ha acceso una particolare attenzione alla cosiddetta resilienza ai disastri delle città. I competenti uffici delle Nazioni Unite, su questi grandi temi hanno elaborato una Score card, cioè una sorta di check - list per aiutare i comuni anche italiani che aderiscono al progetto, a monitorare al meglio i progressi della loro azione mitigatrice dei pericoli e di capacità alla resilienza a fronte delle catastrofi, attraverso la sinergia tra le attività di prevenzione strutturale, di protezione civile e di costruzione di una cultura del rischio.
La card indica in 10 punti le azioni fondamentali a cui ogni comune deve o dovrebbe tendere per raggiungere i risultati anzidetti e così riassumibili:

  1. Organizzarsi per la resilienza ai disastri.
  2. Identificare, comprendere e utilizzare gli scenari di rischio presenti e futuri.
  3. Rafforzare le capacità finanziarie per la resilienza.
  4.  Perseguire uno sviluppo umano resiliente.
  5.  Salvaguardare le interfacce naturali per migliorare le funzioni protettive offerte     dagli ecosistemi naturali.
  6.  Rafforzare la capacità istituzionale alla resilienza.
  7.  Comprendere e rafforzare la capacità della società alla resilienza.
  8.  Aumentare la resilienza delle infrastrutture.
  9.  Garantire una risposta efficace ai disastri.
  10. Accelerare il recupero e garantire una migliore ricostruzione. 
      Di questa score card, possiamo offrire il nostro punto di vista sull’attuale stato dell’arte con una disanima critica dei punti appena proposti, che al momento rimangono traguardi da raggiungere. Speriamo che il comune di Pompei diventi battistrada di un pensiero e di un'azione  volta innanzitutto alla mitigazione delle catatrofi in tutte i loro aspetti, forme e intensità.

  1.            Ovviamente la città di Pompei che fa parte di una più grande zona rossa composta da 25 municipalità, non ha ancora una progettualità di resilienza, così come non ha una pianificazione adeguatamente operativa per fronteggiare il pericolo eruttivo dettato dal Vesuvio.
  2.           Gli scenari di rischio a fronte del rischio Vesuvio sono stati elaborati sulla scorta dell’eruzione media di riferimento e non su quella massima conosciuta. Operazione decisionale proposta dall’INGV su basi statistiche… Questo significa un vulnus permanente anche in caso di successo evacuativo di quella che sarà la futura pianificazione d’emergenza e di evacuazione dell’area vesuviana.
  3.       I circa 74.000 euro che ha ricevuto il comune di Pompei dalla Regione Campania, non sono soldi integrativi per la causa della resilienza della città: una resilienza che ricordiamo comporterebbe di affrontare anche le variazioni e i cambiamenti climatici con tutte le conseguenze. In realtà tale cifra fa parte dei fondi europei di qualche anno fa finalizzati all’elaborazione di un piano di protezione civile comunale omnicomprensivo dei rischi e segnatamente quello vulcanico.
  4.       Lo sviluppo umano resiliente nella città di Pompei può riguardare solo il miglioramento delle vie di fuga e un adeguamento statico degli edifici alle sollecitazioni sismiche e ai depositi piroclastici. Ovviamente nella speranza che le correnti piroclastiche non vadano oltre il limite degli scavi archeologici…
  5.       A Pompei non ci sono particolari interfacce naturali capaci di migliorare la difesa passiva della cittadina mariana alle eruzioni. L’unica interfaccia utile a Pompei, è triste dirlo, è quella rappresentata dall’edificato dei Comuni di Boscotrecase e Boscoreale che s’interpongono fisicamente ad eventuali correnti piroclastiche che si staccherebbero dalla colonna eruttiva scorrendo lungo le pendici del vulcano verso sud sud est.
  6.       Non ci sono istituzioni che comprendono spiccatamente nei loro statuti il perseguimento delle politiche di rafforzamento della resilienza delle città. In Italia la risposta alle avversità è  prevalentemente post catastrofe. All’Aquila col terremoto del 6 aprile 2009, il modello d’intervento operativo è stato di tipo verticale senza concessioni particolari per la popolazione che non deve interferire con l’autorità costituita…
  7.       La società dell’area vesuviana, nella sua complessità e interezza, non ha dimostrato alcuna predisposizione alla resilienza bensì al business cementizio, buttandosi alle spalle qualsiasi avvertimento di pericolo sulla pericolosità dell'area vulcanica.
  8.       Le infrastrutture vesuviane, come tante altre, non hanno grande capacità di resilienza soprattutto perché i terreni vulcanici possono subire deformazioni che inficerebbero la rete dell’acqua, del gas e anche dell’elettricità, posto che i tralicci passano anche nella zona pedemontana del Vesuvio. Le reti fognarie e gli alvei e i canali sarebbero rapidamente invasi dai materiali piroclastici creando alluvionamenti dovuti alle precipitazioni copiose che accompagnano sovente le eruzioni. La viabilità è ai limiti della decenza. La cittadina di Pompei tra l’altro ricade in un quadrante statisticamente soggetto alla ricaduta dei prodotti piroclastici quale fenomeno susseguente qualsiasi tipo d'eruzione.
  9.       La risposta istituzionale ai disastri di bassa entità energetica è sufficientemente assicurata dalle istituzioni competenti (Vigili del Fuoco) in via ordinaria, ma anche dal sistema nazionale della protezione civile in un momento successivo all’emergenza. Per i grandi rischi invece, come può essere un’eruzione vulcanica, il sistema di aiuti è impreparato per una molteplicità di fattori, tra cui la mancata esperienza del mondo scientifico e istituzionale a un cotale evento naturale molto energetico. La possibilità di fronteggiare l’eruzione sul posto  al suo insorgere è inesistente. La difesa dalla catastrofe vulcanica quindi, con tutte le indeterminatezze che porta seco, può essere solo in chiave preventiva, evacuando la plaga vesuviana prima dell’eruzione. Questo vale per Pompei ma anche e soprattutto per i comuni costieri.
  10.       In caso di evento vulcanico non è possibile garantire una rapida ricostruzione e il rispristino della vita sociale in tempi brevi. Bisognerà allora e dopo la catastrofe, valutare col senno del poi il tessuto urbano compromesso, decidendo dove poter riedificare o recuperare o obliare…  Una interlocuzione chiara in tutti i suoi aspetti con le regioni deputate ad ospitare gli sfollati del Vesuvio poi, dovrà essere fatta adesso con il pieno coinvolgimento delle municipalità a rischio. In caso di evento vulcanico, la convivenza che non sarà brevissima, non sarà neanche facile: homo homini lupus
I piani di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio, sono ancora incompleti e quindi la plaga vesuviana in caso di pericolo sarà molto probabilmente e nell’attualità alla mercé dell’approssimazione e dei disordini. I piani di evacuazione sono in una condizione permanentemente di aggiornamento: una sorta di saga della rivisitazione programmatica, che dura da ben 24 anni ininterrottamente, segnando così un tempo ben più lungo dei limiti imposti da Penelope per la realizzazione della famosa tela… e i Proci bivaccano ancora...





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