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sabato 15 giugno 2019

Rischio Vesuvio: Ercolano peggio di Pompei... di MalKo



Ercolano

La città di Pompei rappresenta un caso interessante dal punto di vista del rischio vulcanico, perché pur essendo la cittadina emblema della furia eruttiva del Vesuvio, in realtà il suo territorio risulta poco coinvolgibile dai flussi piroclastici di quella che gli esperti chiamano l’eruzione massima di riferimento, cioè quella nell’odierno adottata per la stesura dei piani d’emergenza. Trattasi di un evento sub pliniano dall’indice di esplosività vulcanica VEI 4: un evento simile a quello che si manifestò nel 1631. Sugli effetti di questo tipo di eruzione dovrebbero forgiarsi le politiche di sicurezza delle popolazioni vesuviane.…


Per capire l’assunto, dobbiamo partire dal presupposto che il Vesuvio nella sua ultra millenaria storia geologica annovera eruzioni a diversa intensità e frequenza di accadimento, con fenomeni minimi che fungevano da attrattori turistici, fino ad eventi rari ma immani come le eruzioni pliniane, che hanno sconquassato nel 1850 a.C. i territori a nord del Vesuvio, costringendo a precipitosa fuga gli abitanti dei villaggi dell’età del bronzo antico che hanno lasciato nelle prime coltre di cenere le loro orme dei piedi. Nel 79 d.C. invece, un’ulteriore esplosione pliniana colpì duramente i territori a sud del vulcano, investendo le cittadine di Pompei, Ercolano e Oplonti che furono completamente distrutte e sepolte.

Eruzioni tipo e indice di esplosività vulcanica (VEI)

A optare per politiche di sicurezza areali basate sul presupposto già accennato che la prossima eruzione sarà nella peggiore delle ipotesi di bassa - media intensità e non quella massima conosciuta, è stato il Dipartimento della Protezione Civile, organo decisore per il rischio Vesuvio, che ha fatto proprie le congetture prospettate dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). D’altra parte premesso che la scelta dell’eruzione di riferimento porta seco la perimetrazione della zona rossa, la condivisione è stata concertata anche con la Regione Campania e poi con i comuni del vesuviano più o meno interessati alla zonazione di pericolo.

Per meglio spiegare come si è giunti a questa decisione che contiene dal punto di vista delle garanzie dei vulnus macroscopici, occorre mettere in evidenza la statistica che ha presentato l’INGV, e che qui riproponiamo riassuntivamente in tabella.

Indice probabilistico dello stile eruttivo che verrà

La probabilità che si manifesti una certa tipologia eruttiva è presentata su due differenti archi di tempo: nella tabella A l’intervallo comprende come base di riferimento un periodo di quiescenza del Vesuvio di 60 anni, ma senza un limite superiore. Nella Tabella B invece, la base di riferimento prevede sempre un tempo di quiescenza minima di 60 anni, ma con un tetto temporale massimo fissato a 200 anni. I risultati sono che nel caso A la possibilità che si verifichi una pliniana è dell’11%, mentre nell’ipotesi B è dell’1%. 

La scelta proposta dal mondo scientifico è caduta sulla tabella B, anche sulla scorta di alcune disgressioni a proposito della quantità di magma contenuto nella camera magmatica superficiale del Vesuvio: secondo gli esperti non c’è n’é a sufficienza per una pliniana… Secondo altri ricercatori invece, l’eruzione di Pompei del 79 d.C. attinse magma direttamente dalla camera magmatica più profonda. Questo significa che le eruzioni del Vesuvio possono avvenire attraverso l’espulsione di magmi incamerati tanto superficialmente (~3 Km.) quanto nel sottosuolo a 8 – 10 km. di profondità. In altre parole il magma non dovrebbe avere necessariamente un comportamento da subacqueo, con obbligo di fermata sub superficiale atta alla decompressione prima di dirompere all’aria… D’altra parte non essendoci la possibilità di dare un valore tridimensionale alle camere magmatiche, la stima della quantità di magma presente nel sottosuolo vesuviano a prescindere dalla profondità è alquanto aleatoria e quindi congetturalmente i valori non dovrebbero prestarsi a previsioni deterministiche.  

Gli esperti dell’INGV hanno poi affermato che la loro indicazione di un evento VEI4 similmente sub pliniano, come quello di riferimento per la stesura dei piani di emergenza, rappresenta una mediazione di rischio accettabile per le comunità locali…

In realtà non è un rischio accettabile ma un vero azzardo a cui inconsapevolmente potrebbe essere sottoposta quella parte di popolazione vesuviana che si ritiene al sicuro. La grande incognita è tutta racchiusa nel dato statistico elaborato dall’INGV, secondo il quale per i prossimi 125 anni non dovrebbe esserci un’eruzione pliniana. Ergo, solo tra 125 anni sapremo se le congetture istituzionali si riveleranno fondate come ci auguriamo. In assenza di eruzioni però, in ogni caso il giro di boa statistico imporrà di prendere in considerazione anche gli eventi pliniani fin qui obliati.


Un ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), ripeteva che è inutile pianificare a fronte dell’eruzione massima conosciuta (pliniana), perchè richiederebbe una pianificazione emergenziale ed evacuativa talmente estesa da risultare praticamente inattuabile, mentre è preferibile pianificare su eventi piccoli e medi, cioè quelli più gestibili e anche a maggiore probabilità di accadimento. In pratica è lo stesso modus pensandi dell’ex assessore alla protezione civile della Regione Campania, che amava ripetere che se volessimo prendere come riferimento per i piani di emergenza i massimi eventi conosciuti, nel caso delle alluvioni ci sarebbero grossi problemi per tutti coloro che non si chiamano Noè… Certamente aggiungiamo noi, con le pliniane ci sarebbe qualche problema anche per tutti coloro che non si chiamano Efesto...

Le istituzioni pertinenti hanno quindi sposato questa filosofia operativa sfociata poi di fatto nell’assunzione di un’eruzione di media intensità (VEI4) come evento massimo di riferimento su cui basare i piani di emergenza. L’eruzione massima conosciuta che è quella pliniana (VEI5), alla stregua di quella verificatasi nel 79 d.C. è stata scartata dal calcolo delle probabilità senza alcuna citazione per i media. Un evento quest’ultimo dieci volte superiore a una VEI 4 e maggiore di cento volte un’eruzione VEI3. Ovviamente il fenomeno maggiormente temibile che potrebbe svilupparsi in seno a eruzioni tanto VEI 4 quanto VEI 5 sono i flussi piroclastici.
Indice esplosività vulcanica (VEI) e fenomeni maggiormente pericolosi attesi
I flussi o anche colate piroclastiche, sono costituiti da materiale magmatico di svariate dimensioni, misto a gas e vapore acqueo ad elevata temperatura, che si stacca dalla colonna eruttiva scorrendo lungo i fianchi del vulcano per gravità, inoltrandosi poi nella plaga vesuviana per un certo numero di chilometri dipendente dalla forza cinetica ancora posseduta dall’ammasso surriscaldato e dagli ostacoli che si frapporrebbero durante il travolgente cammino.

In base ai modelli utilizzati, lo spazio che si ipotizza che possano percorrere le colate piroclastiche qualora si verifichi un'eruzione del Vesuvio nei prossimi 125 anni, ha consentito di determinare i limiti della zona (rossa) ad alta pericolosità vulcanica, intesa a questo punto come area invadibile e quindi da evacuare prima dell’evento.

Nel nostro caso, premesso che l’eruzione massima di riferimento per i piani di salvaguardia è di intensità media, cioè con indice di esplosività vulcanica non eccedente VEI4, su input della Commissione Grandi Rischi  si è utilizzato un lavoro scientifico della ricercatrice Lucia Gurioli et altri, che attraverso un lavoro campale ebbe a geo referenziare i limiti di massimo scorrimento delle correnti piroclastiche ascrivibili ad eventi VEI4.  La linea nera riportata nella mappa che vi proponiamo più avanti circoscrive la zona rossa scientifica ad alta pericolosità vulcanica, zona poi ampliata fino ai confini della vecchia zona rossa (R1) attraverso un’azione amministrativa  evincibile nel disegno dal segmento chiuso di colore rosso.
Ebbene, in questo perimetro (R1) vigono misure atte ad inibire la realizzazione di manufatti ad uso residenziale (legge regionale Campania 21/2003) per non insediare altri esseri umani in un settore caratterizzato da un rischio vulcanico di tutto rispetto assoggettabile a fenomeni assolutamente letali. Questa legge risponde alle necessità della prevenzione delle catastrofi, ma le incongruenze della politica sempre a caccia di consensi, hanno ridisegnato nell’attualità una zona rossa che non si offre pienamente a meccanismi di tutela, e pecca di nessuna considerazione per i posteri.


Le discrasie nella zonazione della zona rossa rese operative dalle precedenti amministrazioni dipartimentali e regionali, si notano lungo il confine napoletano con le circoscrizioni di San Giovanni a TeduccioBarra e Ponticelli, e con le cittadine di VollaPoggiomarino e Scafati, dove a ridosso della linea nera Gurioli che impropriamente viene utilizzata come limite di pericolo e non di deposito, è possibile edificare palazzi addirittura con regolare licenza edilizia…

La linea nera Gurioli indica il limite di massimo scorrimento della colate piroclastiche
che possono formarsi in seno ad eruzioni non eccedenti l'indice VEI4. 

Il segmento rosso indica la zona R1. Il segmento verde circoscrive la zona R2.

La zona R2 invece, quella asimmetrica a est (tratteggio verde), è il settore dove a causa della massiva pioggia di cenere e lapilli, l’evacuazione della popolazione in caso di allarme vulcanico è imprescindibile: eppure qui è ancora possibile costruire case con licenza edilizia.
Occorre dire, a proposito della prevenzione della catastrofe vulcanica, che nei Campi Flegrei dove è in vigore lo stato di attenzione vulcanica, la situazione è peggiore dal punto di vista della prevenzione rispetto al Vesuvio, perché non è stata varata alcuna norma che proibisca la costruzione di insediamenti residenziali, come in parte è stato fatto pur con certi limiti nel vesuviano…

E allora giocoforza e rifacendoci alle tabelle predittive dell’INGV, i 125 anni di azzardo vulcanico che caratterizzeranno la partita vitale da qui in avanti tra uomo e natura, possono essere obtorto collo accettabili solo se le popolazioni verranno informate dettagliatamente. Non è vero che non c'è possibilità di difendersi da un evento pliniano che nessun scienziato al mondo può escludere, perché domani ci si può spostare sull’antimeridiano in una posizione diametralmente opposta al Vesuvio. E’ vero invece che a distanza di alcuni decenni non ci sono piani di evacuazione e semmai si ultimeranno e funzioneranno davvero grazie a una previsione utile dell’evento, ci sarà oltre un milione di persone immobili e ignare protette solamente dalla statistica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Nel vesuviano occorrono serie politiche di prevenzione, soprattutto in favore delle generazioni che verranno, i posteri, attraverso la riorganizzazione dei territori che dovranno offrirsi alle politiche degli spazi migliorando le difese passive degli edifici e ampliando in maniera debordante una viabilità che dovrà essere capace di drenare dalla zona rossa e all'occorrenza, tutti gli abitanti esposti alla furia del vulcano a prescindere dalla tipologia eruttiva.

Per ritornare al titolo dell’articolo, con le ipotesi introdotte dall’INGV a proposito dell’eruzione massima attesa (VEI4), Pompei è meno esposta al pericolo derivante dai flussi piroclastici anche grazie all’effetto barriera garantito dall’edificato di Boscoreale. Non si può dire la stessa cosa di PorticiErcolano e Torre del Greco e Trecase e Boscotrecase, dove anche in caso di evento sub pliniano, tutto il territorio pertinente può essere interamente attraversato e distrutto dai flussi piroclastici che si spingeranno in pochi minuti fino al mare. Con la situazione attuale degli alberi pietrificati dagli incendi del 2017, eventuali flussi non avrebbero alcun freno, ma solo ulteriore materiale ligneo da rigettare con violenza a valle.

In altri comuni, come le tre municipalità di Napoli, Volla, Poggiomarino e Scafati, non affannatevi a comprar casa a ridosso della linea nera Gurioli, perché nell’attualità si è troppo vicini ai limiti di deposito dei flussi piroclastici, e per il futuro vi ritrovereste ben all'interno del perimetro a maggior rischio vulcanico per le eruzioni pliniane, che nessuno scienziato può cancellare dal calcolo delle probabilità.

Certamente ci sono ottimi auspici che la futura eruzione del Vesuvio venga colta in anticipo e in tempi utili per la salvaguardia delle popolazioni esposte, ma non c’è certezza matematica circa la previsione dell’evento e neanche sull’entità dello stesso.  Quindi i problemi di tutela sono tuttora irrisolti...

La pianificazione delle emergenze è un elemento che richiede scelte molto precise e coraggiose e forse impopolari: purtroppo esiste il non dichiarato presupposto dei costi benefici mitigato dalle politiche del non allarmare; un modus pensandi, vivendi e operandi, che caratterizza la nostra società del pensiero unico che lascia a casa, in nome dell’economia e del consenso politico,  qualche diritto fondamentale come quello di accedere alla corretta informazione quale prodromo fondamentale di democrazia e di libero arbitrio dei popoli nel rispetto delle regole.








domenica 28 ottobre 2018

Rischio Vesuvio e comitati scientifici...di MalKo

Il Vesuvio da Napoli 


Il Vesuvio, specialmente nell’ultimo periodo con l’insorgere di alcuni sciami sismici localizzati all’interno dell’apparato vulcanico, ha suscitato attenzione ma solo in quella piccola fetta di popolazione che, in qualche misura, vive la plaga vesuviana con ansia, e quindi, seppur alla lontana, tenta di seguire le problematiche legate al rischio Vesuvio. La grande massa dei vesuviani invece, il pericolo lo intravede più che nella natura, nell’incertezza sociale: nell’area vesuviana non si progetta il futuro e si vive il presente senza badare all’imponderabile…

Eppure non c’è nessuno pronto a giurare che il Vesuvio abbia trovato la sua pace geologica: di conseguenza e fino a prova contraria, prima o poi il vulcano si cimenterà in una eruzione che sarà tanto più violenta quanto maggiore sarà il periodo di quiescenza che l’ha preceduta: su questo gli scienziati sono tutti d’accordo.

Come i terremoti che di tanto in tanto sferzano la catena appenninica, anche le eruzioni sono l’aspetto eclatante e pirotecnico di una Terra dinamica, che, se da un lato produce a volte rilasci di energia molto violenti, d’altra parte è proprio il dinamismo terrestre che ci consente la biodiversità e la nostra stessa esistenza, che dovrà necessariamente svilupparsi tra le pieghe pericolose di un Pianeta in perenne auto rigenerazione…

Per poter pianificare le azioni necessarie per la salvaguardia dei vesuviani in caso di ripresa eruttiva del Vesuvio, è stato necessario procedere innanzitutto alla definizione di uno scenario eruttivo di riferimento, e quindi di una taglia eruttiva da cui far discendere le varie zone pericolose (rossa 1, rossa 2, zona gialla, zona blu).

Le riflessioni e le deduzioni e le scelte operate dal mondo scientifico e istituzionale, confluite nell’assunzione di un’eruzione media da porre a base degli scenari eruttivi futuri, contengono elementi necessariamente di approssimazione nella elaborazione di teorie volte a contabilizzare “l’economia” complessiva di carico e scarico magmatico dalla camera o dalle camere sotterranee, con stadi di deposito intermedi a volte chiamati in causa senza precisazioni di sorta.

Nel 1990 il prof. Franco Barberi nella pubblicazione “Scenari eruttivi del Vesuvio”, stimava un volume di magma tra i 50 e i 100 milioni di metri cubi ubicato a 8 -10 Km. di profondità. La stima fatta nel 1998 dal prof. Roberto Santacroce invece, tocca i 200 milioni di metri cubi di magma insinuatisi, secondo il ricercatore, nella camera magmatica del Vesuvio dopo l’eruzione del 1944.

Nel 2012 Il dott. Giovanni Macedonio e il dott. Marcello Martini, coordinatori del Gruppo di lavoro “A”, hanno stimato in 200 - 800 milioni di metri cubi di magma la massa incandescente presente nel sottosuolo vulcanico.  I due ricercatori vennero incaricati dal Dipartimento della Protezione Civile di produrre una relazione ad oggetto “Scenari eruttivi e livelli di allerta vulcanica per il Vesuvio”.
Nel documento elaborato si accenna alle tomografie sismiche effettuate per carpire i segreti dell’arcinoto monte, dove emergerebbero evidenze che lasciano supporre la presenza di un serbatoio di fusi o fluidi magmatici in una matrice porosa, con dimensioni orizzontali di circa 20 Km per 20 Km, ad una profondità di 8-10 Km. Le dimensioni verticali di questa superficie sotterranea di 400 Kmq. mancano del tutto: probabilmente per difficoltà oggettive dei metodi di prospezione sismica. Su questi aspetti si può solo teorizzare alla lontana quindi, ma senza nessun elemento di attendibilità numerica certificata. Non è da escludere che attraverso muografie dell’apparato vulcanico, si riuscirà nel prossimo futuro, a determinare con buona precisione l’ubicazione e i volumi di magma stipati nel sottosuolo.

Come accennavamo in precedenza, la relazione del Prof. Franco Barberi del Gruppo Nazionale di Vulcanologia (GNV), ebbe a indicare per il Vesuvio, che l’eruzione da introdurre per stabilire gli scenari eruttivi nel breve e medio termine, spaziava da ultra stromboliana tipo 1906 o, nella peggiore delle ipotesi, sub pliniana tipo 1631.

Il Prof. Roberto Santacroce confermò il dato precedentemente indicato dal collega: l’eruzione massima attesa nel breve e medio termine sarebbe stata al massimo una sub pliniana, alla stregua di quella che sconvolse l’area vesuviana nel 1631. Santacroce ebbe pure ad inserire nello scenario complessivo di pericolo la zona blu.

Il gruppo di lavoro “A” invece, formato in larga parte da ricercatori dell’INGV, ebbe ad introdurre il concetto di classificazione delle eruzioni per indice di esplosività vulcanica (VEI), e non per similitudini con eventi del passato che hanno un nome o una data e una loro storia eruttiva caratterizzante.




Il Gruppo di lavoro presentò quindi una relazione, dove sostanzialmente si riconfermava ancora una volta che lo scenario eruttivo massimo atteso di riferimento per i piani d’emergenza, doveva essere di taglia VEI4. In realtà le conclusioni anche in questo caso concordano con l’evento proposto da Barberi, la cui relazione del 90’ ci sembra che rappresenti ancora oggi il solco principale entro cui tutti gli altri ricercatori istituzionalmente consultati si sono mossi.

Nella relazione a sostegno di questa tesi, il maggiore contributo congetturale sembra racchiuso nelle statistiche probabilistiche elaborate dal dott. Marzocchi (INGV). Il ricercatore ha presentato due tabelle, frutto di comparazioni mondiali fra vulcani simili al Vesuvio, che partono entrambe da un limite temporale inferiore fissato su un tempo di quiescenza di 60 anni: la tabella A però, non ha un limite superiore, mentre la tabella B stabilisce un tetto fissato a 200 anni. 

L’ex assessore regionale alla protezione civile, il Prof. Edoardo Cosenza, alla presentazione romana della nuova zona rossa, riferì che nell’odierno la probabilità di un’eruzione pliniana era dello 0,5%. La scelta quindi, era caduta sulla tabella B…


La tabella A si differenzia enormemente dalla tabella B, esclusivamente per la probabilità statistica assegnata all’eruzione pliniana (VEI5): nell’ordine proposto abbiamo una probabilità dell’11%, mentre nel caso della tabella B la percentuale assegnata è dell’1%. Se si fosse adottata la tabella A, il piano nazionale d’emergenza Vesuvio doveva essere, obtorto collo, tarato sull’eruzione massima conosciuta (VEI5) e non su quella massima attesa (VEI4).

Il gruppo di lavoro “A”, ebbe ad addurre le seguenti motivazioni per argomentare l’adozione della tabella B:

1) L’eruzione VEI4 ha una probabilità condizionata di accadimento di poco inferiore al 30%.
2) L’eruzione VEI 4 corrisponde a una ragionevole condizione di rischio accettabile, considerato che l’eruzione pliniana ha un indice probabilistico dell’1% per i prossimi 140 anni.
3) I dati geofisici non rivelano la presenza di una camera magmatica superficiale con volume sufficiente a generare un’eruzione pliniana.
4) Lo scenario VEI4 copre anche lo scenario VEI3 e le problematiche alluvionali.

Il punto 3 ci sembra discutibile, perché il Prof. Raffaele Cioni, membro della commissione grandi rischi, in una sua relazione scientifica ebbe a sancire dallo studio dei cristalli rinvenuti nei reperti petrologici, che l’eruzione pliniana del 79 d.C. attinse magma direttamente dalla camera magmatica ubicata a 8 – 10 chilometri di profondità: per intenderci, quella dei 20 Km per 20 Km, di cui non si conoscono le dimensioni verticali e quindi i contenuti per quanto stimati di magma…

I due ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano citati in precedenza, giudicano un rischio accettabile quello di adottare come salvaguardia progettuale una eruzione (VEI4). In realtà si tratta di media ponderata del pericolo vulcanico, dove il peso è statistico, perchè un’analisi del rischio comporta multidisciplinarietà di valutazioni che vanno ben oltre il dato puramente scientifico.

La Commissione Grandi Rischi (CGR), organo scientifico consultivo del dipartimento di protezione civile, presieduto nel 2012 per il rischio vulcanico dal Prof. Vincenzo Morra, dopo aver esaminato le tesi formulate dai vari comitati scientifici, concordò con le conclusioni del gruppo di lavoro “A”: cioè avallò la VEI 4 come taglia dell’eruzione massima di riferimento da adottare per la stesura dei piani d’emergenza.


La CGR non menzionò la statistica della tabella B, ma l’eruzione pliniana (VEI5) non è mai più comparsa nei documenti di pianificazione d’emergenza Vesuvio: in altre parole è stata totalmente obliata dalle carte ma anche dai media…  Per capire se la comunità scientifica ha ponderato bene questa scelta relativa all’eruzione di riferimento, dobbiamo aspettare l’anno 2150
In realtà tutte le disquisizioni ad oggetto la taglia eruttiva dell’eruzione che verrà, interessano poco i vesuviani della zona rossa 1, che in ogni caso e a prescindere dovranno evacuare il settore altamente pericoloso e devono quindi attenersi a regole di prevenzione.

Chi dovrebbe dire ai cittadini che dimorano contiguamente alla zona rossa che un'eruzione pliniana è dieci volte superiore a un'eruzione sub pliniana, e i suoli che oggi bordano la zona rossa e che in tutta fretta vengono consumati dall'edilizia residenziale potrebbero in futuro essere spazzati via? La prevenzione delle catastrofi, che nessuno attua, comporterebbe ampie fasce di rispetto dalla Linea nera Gurioli e una diversa organizzazione del territorio....

La Commissione Grandi Rischi ha tra i suoi compiti anche quello di indicare le misure preventive per difendere le comunità future dai grandi cataclismi; certamente le dimensioni della zona rossa pliniana sono enormi, ma non è detto che attraverso misure strutturali di prevenzione non si riesca a limitare i danni... Intanto chiarire questi aspetti è un dovere delle istituzioni politiche e scientifiche e istituzionali…



giovedì 25 maggio 2017

Vesuvio: camera magmatica sopra o sotto?... di MalKo


Cratere del Vesuvio con vista Capri

Un vulcano è possibile definirlo come una spaccatura nella crosta terrestre da dove fuoriescono generalmente e in modo discontinuo, materiali gassosi, liquidi e solidi ad alta temperatura. Le cause alla base del trasferimento dei prodotti magmatici dall’interno del Pianeta e fino alla superficie terrestre attraverso varie tipologie eruttive, sono oggetto di studio con formulazioni di teorie tutte corredate dall’incertezza scientifica, perché i fenomeni eruttivi generalmente non sono continui, e in alcuni casi sono intervallati da secolari quiescenze. Fenomeni tra l’altro, che traggono origine dal sottosuolo chilometrico, quello non direttamente esplorabile…

Certi vulcani in termini di manifestazioni eruttive sono più rari dell’apparizione della cometa di Halley che solca i cieli mediamente ogni 76 anni… Nessuno degli scienziati oggi in servizio permanente effettivo all’Osservatorio Vesuviano ha mai visto un’eruzione dell’arcinoto Vesuvio o del super vulcano dei Campi Flegrei o dirompenze sull’isola d’Ischia. Quindi, la maggior parte delle disquisizioni scientifiche ad oggetto i vulcani napoletani, gioco forza devono trattare la scienza delle eruzioni e le sue innumerevoli variabili analiticamente, magari gettando lo sguardo su altri vulcani in attività come quelli ubicati sulle nostre isole meridionali oppure in altre parti del mondo.

I vulcani “stranieri”, per genesi e comportamenti e storie e contesti, sono completamente diversi l’uno dall’altro: non parliamo della forma, bensì del DNA geologico, frutto di fusioni e rifusioni e mescolamenti del magma, che avvengono nella parte superiore del mantello che assorbe prodotti in ascesa dal profondo, fondendone altri dalla suola litosferica.

La camera magmatica è forse l’elemento più importante di un vulcano, ancorchè dislocata a profondità variabile dai 3 ai 10 chilometri: è qui che ristagna la pasta ignea ad elevata temperatura e pressione ben insinuata nelle rocce incassanti. Se dovesse aumentare la spinta magmatica verso la superficie o, viceversa, dovesse essere minata la resistenza della crosta terrestre in un determinato punto sotto pressione, come sembra prospettarci il Dott. Chiodini per i Campi Flegrei, l’eruzione sarebbe inevitabile.

Alcune congetture sulla tipologia eruttiva e sulle varie manifestazioni vulcaniche ad oggetto il Vesuvio, sono state fatte dal Gruppo di lavoro “A” messo insieme un po’ di anni fa dal Dipartimento della Protezione Civile: una sorta di conclave costituito da scienziati per tracciare gli scenari eruttivi della prossima eruzione dell’arcinoto vulcano semmai dovesse verificarsi un’eruzione nel medio termine. Al massimo un’eruzione VEI 4 (sub pliniana) hanno sentenziato gli esperti: giudizio poi avallato dalla commissione grandi rischi. D’altra parte, nella relazione del Gruppo A si evidenzia a sostegno della tesi VEI 4, che nella camera magmatica superficiale del Vesuvio non c’è magma a sufficienza per una eruzione VEI 5, cioè una pliniana come quella che distrusse nel 79 d.C. Pompei, Ercolano e Stabia.

Secondo il Prof. Raffaele Cioni dell’INGV, tra l’altro membro della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, l’eruzione di Pollena del 472 ha marchiato i prodotti litoidi espulsi dal Vesuvio, lasciando impresso sulle rocce il segno di pressioni dell’ordine di cica 1000 bar. Cioè una pressione mille volte superiore a quella registrabile al livello del mare: compressioni riscontrabili a una profondità terrena di circa 4 - 5 chilometri…

Lo stesso Cioni però, rileva (Evidence for the shallowing of the Vesuvius reservoir in the upper crust over the last 20 kyr), che nell’analisi petrografica dei prodotti eruttati dal Vesuvio nell’eruzione pliniana del 79 d. C. e altre eruzioni particolarmente violente, si nota che il magma è assurto in superficie direttamente dalla camera magmatica più profonda, come quella attualmente dislocata a una profondità di circa 8 – 10 chilometri.

Il dato che ci sembra si possa cogliere allora è questo: il Vesuvio può attingere per le sue eruzioni da una camera magmatica pseudo superficiale quanto profonda, senza rendere necessario accumuli di magma intermedi, che pure potrebbe già esserci come punta di un iceberg incandescente, con spessori orizzontali non particolarmente estesi e quindi non evidenziabili nettamente dalla tomografia sismica.

D’altra parte un magma che ristagna più superficialmente dovrebbe essere un po’ più povero di elementi volatili. Quello che proviene dal profondo invece, ha una forza gorgogliante particolarmente dirompente: da pliniana insomma…

Lo studio del Prof. Cioni è forse un tantino in controtendenza con la relazione presentata dal Gruppo di lavoro A. In questo trattato scientifico infatti, viene dato come elemento rassicurante poco magma nella camera superficiale del Vesuvio...


Complesso Somma_Vesuvio visto da nord


Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo è un noto vulcanologo dell‘INGV – Osservatorio Vesuviano. Autore di alcune pubblicazioni di grande presa sul pubblico mondiale.

Prof. Mastrolorenzo, ha influenza la dislocazione della camera magmatica nelle dinamiche eruttive?

<< Innanzitutto è necessario precisare che tutte le ricerche relative alla identificazione di camere magmatiche sotto i vulcani attivi sono basate su approcci indiretti. Infatti, fatta eccezione per casi rarissimi, relativi ad antiche camere magmatiche solidificate e venute poi a giorno a seguito di processi di erosione, le camere magmatiche non sono rilevabili in modo diretto, e tuttalpiù possono essere intercettati dicchi magmatici nell’ambito di trivellazioni in vulcani attivi.

Nel caso del Vesuvio, dallo studio delle rocce eruttate durante i vari eventi eruttivi che hanno caratterizzato la storia del noto vulcano e da una serie di rilievi e analisi di natura geofisica utili per la comparazione dei dati, sono state ipotizzate le possibili localizzazioni in profondità dei sistemi magmatici responsabili delle eruzioni avvenute in passato, nonché delle zone anomale situate in profondità, quali possibili sedi di attuali camere magmatiche.

In particolare, ricerche condotte da me e dalla dott.ssa Lucia Pappalardo e da altri ricercatori nell'ultimo decennio, hanno evidenziato come le eruzioni sub-pliniane e pliniane del Vesuvio, nel corso degli ultimi ventimila anni siano derivate da camere localizzate a una profondità dell'ordine di circa otto chilometri.

Questo risultato è basato sullo studio dei minerali presenti nelle rocce espulse dal vulcano, e più in generale da particolari indicatori di pressioni pre eruttive che influenzano e favoriscono inclusioni vetrose (gocce di magma intrappolate nei cristalli prima e durante la risalita del magma) rilevabili all'interno dei materiali rocciosi che abbiamo raccolto in zona. Tutti elementi in accordo con le evidenze di strati ad alta temperatura e bassa rigidità risultante dalle indagini di tomografia sismica condotta negli scorsi decenni.

Circa i processi pre eruttivi e le possibili durate e tipologie dei fenomeni precursori che potrebbero accompagnare l'evoluzione delle camere magmatiche verso una possibile eruzione futura, dobbiamo limitarci a semplici ipotesi non verificabili per la mancanza di qualsiasi esperienza diretta in merito, e possiamo solo riferirci alle poche eruzioni di altri vulcani attivi direttamente osservate negli ultimi decenni.

Per tali motivi, è assolutamente doveroso che i vulcanologi dichiarino i loro limiti di conoscenza per non indurre le autorità e le popolazioni a rischio a ritenere che esistano metodi oggettivi e affidabili per la previsione dell’evento vulcanico, in termini sia temporali che di tipologia eruttiva di quello che sarà il futuro evento eruttivo>>.

Ringraziamo il Prof. Mastrolorenzo, primo ricercatore INGV – OV, per questa nota che lascia pochi dubbi interpretativi sull’ubicazione della camera magmatica del Vesuvio e sullo stato della previsione dell’evento vulcanico.

Quello che vorremmo ulteriormente segnalare in conclusione, è che l’attuale politica di prevenzione delle catastrofi vulcaniche, un argomento che ci riguarda molto da vicino, si basa su un modello statistico utilizzato come elemento di certezza deterministica, per tracciare limiti di pericolo addirittura geo referenziati con implicazioni nel campo dell’edilizia residenziale che non segue criteri di prudenza e delle strategie operative di emergenza molto discutibili soprattutto dal punto di vista dei territori classificati coinvolgibili nelle fenomenologie vulcaniche più disastrose.

Con questo non si vuole dire che la prossima eruzione del Vesuvio sarà certamente apocalittica, cioè pliniana in ambito metropolitano; vogliamo semplicemente dire che la vita umana non è un assemblaggio di tessuto vivente ricostruibile in un altro luogo e, quindi, l’umanità deve essere titolare di un qualche diritto di precauzione.

Allora la scienza deve essere in linea con la democrazia, senza essere serva sciocca dell’aristocrazia istituzionale che vuole popoli rabboniti e concilianti… Ogni singolo abitante che vive nelle aree vulcaniche, deve sapere i limiti della scienza e della tecnologia esplorativa. Deve sapere a cosa si può andare incontro permanendo in zona rossa, e deve avere contezza che lo Stato ha l’obbligo di garantire la sicurezza dei propri cittadini attraverso la redazione e l’adozione di un piano d’emergenza corredato da un piano di evacuazione, preferibilmente non mediatico o aritmetico.

L’elaborazione di politiche di prevenzioni delle catastrofi dovrebbero essere un disegno politico e istituzionale da porre al vaglio nelle campagne elettorali comunali e regionali e nazionali. Così come può concorrere alla sicurezza areale l’educazione civica delle future leve vesuviane e flegree e ischitane, secondo processi formativi che dovrebbero prevedere l’inoculazione di concetti che riguardano il territorio e il rispetto delle regole, che in un’area vulcanica potrebbe voler dire il concorso civile nella direzione della collettiva e futura sicurezza: “Venturi non immemor aevi ” ossia: “Pensiamo alle generazioni del tempo che verrà… (cartiglio Palazzo Cassano - Napoli -).

domenica 26 maggio 2013

Vesuvio e camera magmatica: intervista alla Dott. Lucia Pappalardo.


Il Vesuvio da Trecase
"Rischio Vesuvio: intervista alla Prof. Lucia Pappalardo" di MalKo
Negli anni novanta, presso le sedi comunali della zona rossa, arrivavano periodicamente delle note via fax diramate dall’Osservatorio Vesuviano, circa gli eventi sismici di magnitudo superiore a una certa soglia minima (2,5 Richter) che avvenivano nel distretto vulcanico del Somma-Vesuvio.
Oltre all’energia registrata, veniva segnalato l’ipocentro del sisma. Ricordiamo bene che alcuni di questi “fuochi” energetici avevano origine a una profondità di alcuni chilometri. Molti ritenevano che la superficialità degli ipocentri, rispetto a una camera magmatica posta a circa dieci chilometri di profondità, lasciasse presagire una risalita del magma in superficie.
Nell’immaginario collettivo la camera magmatica è una sorta di pentola ribollente posta a una certa profondità al di sotto del camino vulcanico. La gente del vesuviano più addentro alla materia, ha quindi sempre arzigogolato disquisendo sia sulla profondità sia sull’estensione di tale struttura geologica, azzardando ipotesi varie sulla pericolosità del Vesuvio. Una pericolosità che molti esperti correlano agli anni che passano tra un’eruzione e un’altra, lasciando intendere che il sistema di “ricarica” energetica del vulcano è direttamente proporzionale al fattore tempo (T). Tant’è che nella determinazione degli scenari eruttivi del Vesuvio è stato indicato come eruzione massima di riferimento, nel breve e medio termine, quella del 1631 (EMA).
La Dott.ssa Lucia Pappalardo
Grazie alla gentile collaborazione della ricercatrice, Dott.ssa Lucia Pappalardo, esperta di ciò che accade nel sottosuolo vulcanico, lì dove il magma si accumula, siamo in grado di offrire ai nostri lettori una disquisizione su camera magmatica e rischio Vesuvio, articolata secondo i dettami di un’intervista che vi proponiamo integralmente.
a) Gentile Dott.ssa, potrebbe chiarirci che cos’è una camera magmatica? Il concetto della pentola che contiene lava è verosimile?

Una camera magmatica è un’area al di sotto della superficie terrestre in cui il magma si accumula per tempi anche relativamente lunghi. Non è una cavità ma un volume di roccia solida (chiamata roccia incassante) attraversata da una fitta rete di fratture riempite di magma (roccia fusa ricca in silice che può contenere anche gas e cristalli) ad altissima temperatura, generalmente tra 800 e 1200°C.
Le camere magmatiche sono molto difficili da identificare anche con le moderne tecniche di indagine, e generalmente si trovano nei primi 10 km di profondità al di sotto dei vulcani attivi della Terra. La camera magmatica è, quindi, la roccia serbatoio che contiene il magma, quest’ultimo si trasforma in lava quando, risalendo in superficie attraverso il condotto vulcanico, erutta in modo effusivo (senza esplosioni). La lava, infatti, ha la stessa composizione del magma da cui deriva, senza però i gas che si liberano durante l’eruzione.
b) I dati più aggiornati cosa dicono in termini di ubicazione ed estensione della camera magmatica del Vesuvio?
La camera magmatica del Vesuvio è estesa 400 chilometri quadrati e si trova a circa otto chilometri di profondità al di sotto del vulcano, cosi come indicato dai dati della tomografia sismica (che è una tecnica di indagine simile alla Tac in medicina). In particolare, vengono generate onde sismiche attraverso delle esplosioni, poi misurando la velocità e direzione delle onde sismiche viene ricostruita una immagine della crosta terrestre al di sotto del vulcano. Questo tipo di indagine ha rivelato quindi che un esteso volume di magma potenzialmente in grado di eruttare in qualsiasi momento è già presente al di sotto del Vesuvio. Tuttavia il magma modifica continuamente le sue caratteristiche chimiche e fisiche poiché raffredda e cristallizza, dal momento che scambia calore con le rocce incassanti più fredde. Solo quando il magma raggiunge un valore critico di viscosità e contenuto in gas sarà in grado di produrre eruzioni fortemente esplosive. I nostri studi sulla velocità di crescita dei cristalli nelle camere magmatiche indicano che i magmi vesuviani raggiungono tali condizioni critiche anche dopo brevi periodi di riposo del vulcano (dell’ordine di alcune decine di anni), e quindi la camera magmatica del Vesuvio potrebbe già contenere magma ricco in silice e gas in grado di produrre anche eruzioni pliniane. Se una eruzione esplosiva di questo tipo dovesse verificarsi, un’area estesa fino ad almeno 15 km dal vulcano sarebbe a rischio di distruzione; questo territorio include anche l’area metropolitana di Napoli fino ad oggi non inserita nel piano di emergenza e abitata da circa 3 milioni di persone. Lo studio di passate eruzioni pliniane al Vesuvio ha infatti dimostrato che il territorio oggi occupato dalla città di Napoli fu distrutto dal passaggio delle cosiddette nubi ardenti. Queste sono valanghe di lapilli e gas vulcanici ad elevata velocità e temperatura, che scorrono lungo i fianchi del vulcano distruggendo ed incenerendo qualunque cosa incontrino sul loro percorso. I depositi di cenere vulcanica lasciati dal passaggio di queste nubi ardenti dell’eruzione pliniana di 4000 anni fa (detta eruzione di Avellino) li abbiamo ritrovati al di sotto del Maschio Angioino al centro della città di Napoli, a testimonianza di questa antica catastrofe .
c) La pericolosità del Vesuvio è correlata in modo direttamente proporzionale al tempo di quiete?
No, oggi sappiamo che per i vulcani simili al Vesuvio non esiste alcuna correlazione tra il tempo di riposo e l’entità della futura eruzione. Un esempio è la famosa eruzione pliniana del 1980 al Monte Saint Helens nello stato di Washington (USA)  che si verificò dopo un breve periodo di riposo del vulcano.
d) Lo studio della camera magmatica potrebbe essere all’origine della previsione di eventi vulcanici?
Per eruttare il magma, presente nella camera, deve aprirsi un passaggio verso la superficie fratturando le rocce al tetto della camera magmatica. Questo insieme di fratture che mette in comunicazione la camera con la superficie viene chiamata condotto vulcanico. Durante la formazione del condotto e la risalita del magma in superficie si originano terremoti, rigonfiamenti del suolo, variazioni della composizione chimica e temperatura dei gas fumarolici. Questi fenomeni sono i cosiddetti precursori delle eruzioni e possono manifestarsi mesi, giorni, o ore prima dell’eruzione; se registrati in superficie dalle reti di monitoraggio possono permettere ai vulcanologi di prevedere l’avvicinarsi di una nuova eruzione.
I nostri studi sulla tessitura delle rocce vesuviane indicano che la risalita dei magmi dalla camera alla superficie può essere molto rapida.  In particolare nel caso di eruzioni pliniane il magma potrebbe raggiungere la superficie in meno di qualche ora. I tempi di risalita sono invece più lunghi e variabili nel corso delle eruzioni effusive. La presenza di un condotto centrale individuato dalla tomografia e i tempi di risalita calcolati con gli studi tessiturali su rocce di passate eruzioni indicano che una eventuale futura eruzione pliniana al Vesuvio avrà luogo in corrispondenza del cono vulcanico e che una volta fratturato il tetto della camera magmatica, il processo eruttivo potrebbe svilupparsi anche in poche ore, con un breve pre-allarme.
e) I tre distretti vulcanici campani, Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia non hanno nessuna interconnessione in termini di lava e magma?
I nostri studi basati sulle caratteristiche chimiche delle rocce eruttate nelle passate eruzioni da questi vulcani, indicano che il serbatoio magmatico a 8-10 km di profondità potrebbe essere esteso al di sotto dell’intera area vulcanica campana.
f) Nei famosi bollettini informativi citati in precedenza, che valore interpretativo bisogna dare agli ipocentri che si verificano più o meno in superficie ?
Oggi sappiamo che i terremoti superficiali di bassa magnitudo (inferiore a tre) sono legati alla presenza di antichi condotti magmatici estesi per km sotto il cratere e riempiti di magma ormai solidificato. Vengono chiamati  terremoti vulcano-tettonici, e si ritiene che siano generati dai forti sforzi gravitativi dovuti al peso del vulcano stesso, che si focalizzano intorno all’asse craterico a causa delle forti variazioni di rigidità in quella zona.
g) Un’ultima domanda: i piccoli terremoti registrati nel camino vulcanico non potrebbero essere originati dalle masse terrose e rocciose che gravano nel condotto e che periodicamente si assestano?
Come indicato prima, i dati sismici hanno mostrato la presenza nella parte centrale del vulcano fino a circa 5 km di profondità, di un antico condotto vulcanico attualmente non più attivo e riempito da magma solidificato. Intorno a questa area si generano ogni anno un centinaio di terremoti di bassa magnitudo generalmente non avvertiti dalla popolazione vesuviana, ma registrati dai sistemi di monitoraggio. Questi terremoti sono legati principalmente al peso dell’edificio vulcanico e alla concentrazione degli sforzi gravitativi in corrispondenza dell’antico condotto, e non possono essere considerati quindi come fenomeni precursori di una ripresa dell’attività vulcanica. Tuttavia a questi eventi si sovrappone una sismicità di origine diversa legata a variazioni della dinamica interna del vulcano, principalmente dovuta alla migrazione del magma, che può generare crisi sismiche con grande numero di eventi per anno, come accaduto ad esempio nel 1989, 1995-’96, 1999. Questi terremoti indicano che anche se il Vesuvio è in quiescenza dall’ultima eruzione del 1944 è tuttavia ancora un vulcano attivo; come abbiamo detto la sua sorgente,  l’area cioè in cui il magma continua ad accumularsi è stata identificata intorno a 8-10 km di profondità, dove i dati sia sismici che chimici evidenziano una zona di accumulo di magma molto estesa e probabilmente comune anche agli altri vulcani attivi della Campania cioè i Campi Flegrei e l’isola d’ Ischia.

(La redazione di Hyde Park ringrazia la Dott.ssa Lucia Pappalardo per la gentile collaborazione e per la chiarezza con cui ha affrontato gli argomenti proposti).