Il Vesuvio da Napoli |
Il
Vesuvio, specialmente nell’ultimo periodo con l’insorgere di alcuni sciami sismici
localizzati all’interno dell’apparato vulcanico, ha suscitato attenzione ma
solo in quella piccola fetta di popolazione che, in qualche misura, vive la
plaga vesuviana con ansia, e quindi, seppur alla lontana, tenta di seguire le
problematiche legate al rischio Vesuvio. La grande massa dei vesuviani invece,
il pericolo lo intravede più che nella natura, nell’incertezza sociale: nell’area
vesuviana non si progetta il futuro e si vive il presente senza badare
all’imponderabile…
Eppure
non c’è nessuno pronto a giurare che il Vesuvio abbia trovato la sua pace
geologica: di conseguenza e fino a prova contraria, prima o poi il vulcano si
cimenterà in una eruzione che sarà tanto più violenta quanto maggiore sarà il
periodo di quiescenza che l’ha preceduta: su questo gli scienziati sono tutti d’accordo.
Come
i terremoti che di tanto in tanto sferzano la catena appenninica, anche le
eruzioni sono l’aspetto eclatante e pirotecnico di una Terra dinamica, che, se
da un lato produce a volte rilasci di energia molto violenti, d’altra parte è proprio
il dinamismo terrestre che ci consente la biodiversità e la nostra stessa esistenza,
che dovrà necessariamente svilupparsi tra le pieghe pericolose di un Pianeta in
perenne auto rigenerazione…
Per
poter pianificare le azioni necessarie per la salvaguardia dei vesuviani in
caso di ripresa eruttiva del Vesuvio, è stato necessario procedere innanzitutto
alla definizione di uno scenario eruttivo di riferimento, e quindi di una
taglia eruttiva da cui far discendere le varie zone pericolose (rossa 1, rossa
2, zona gialla, zona blu).
Le
riflessioni e le deduzioni e le scelte operate dal mondo scientifico e
istituzionale, confluite nell’assunzione di un’eruzione media da porre a base
degli scenari eruttivi futuri, contengono elementi necessariamente di
approssimazione nella elaborazione di teorie volte a contabilizzare “l’economia”
complessiva di carico e scarico magmatico dalla camera o dalle camere
sotterranee, con stadi di deposito intermedi a volte chiamati in causa senza
precisazioni di sorta.
Nel
1990 il prof. Franco Barberi nella pubblicazione “Scenari eruttivi del Vesuvio”, stimava un volume di magma tra i 50
e i 100 milioni di metri cubi ubicato a 8 -10 Km. di profondità. La stima fatta
nel 1998 dal prof. Roberto Santacroce invece, tocca i 200 milioni di metri cubi
di magma insinuatisi, secondo il ricercatore, nella camera magmatica del
Vesuvio dopo l’eruzione del 1944.
Nel
2012 Il dott. Giovanni Macedonio e il dott. Marcello Martini, coordinatori del
Gruppo di lavoro “A”, hanno stimato in 200 - 800 milioni di metri cubi di magma
la massa incandescente presente nel sottosuolo vulcanico. I due ricercatori vennero incaricati dal
Dipartimento della Protezione Civile di produrre una relazione ad oggetto “Scenari eruttivi e livelli di allerta
vulcanica per il Vesuvio”.
Nel
documento elaborato si accenna alle tomografie sismiche effettuate per carpire
i segreti dell’arcinoto monte, dove emergerebbero evidenze che lasciano
supporre la presenza di un serbatoio di fusi o fluidi magmatici in una matrice
porosa, con dimensioni orizzontali di circa 20 Km per 20 Km, ad una profondità
di 8-10 Km. Le dimensioni verticali di questa superficie sotterranea di 400
Kmq. mancano del tutto: probabilmente per difficoltà oggettive dei metodi di
prospezione sismica. Su questi aspetti si può solo teorizzare alla lontana
quindi, ma senza nessun elemento di attendibilità numerica certificata. Non è
da escludere che attraverso muografie
dell’apparato vulcanico, si riuscirà nel prossimo futuro, a determinare con buona
precisione l’ubicazione e i volumi di magma stipati nel sottosuolo.
Come
accennavamo in precedenza, la relazione del Prof. Franco Barberi del Gruppo
Nazionale di Vulcanologia (GNV), ebbe a indicare per il Vesuvio, che l’eruzione
da introdurre per stabilire gli scenari eruttivi nel breve e medio termine, spaziava
da ultra stromboliana tipo 1906 o,
nella peggiore delle ipotesi, sub
pliniana tipo 1631.
Il
Prof. Roberto Santacroce confermò il dato precedentemente indicato dal collega:
l’eruzione massima attesa nel breve e medio termine sarebbe stata al massimo
una sub pliniana, alla stregua di
quella che sconvolse l’area vesuviana nel 1631. Santacroce ebbe pure ad
inserire nello scenario complessivo di pericolo la zona blu.
Il
gruppo di lavoro “A” invece, formato in larga parte da ricercatori dell’INGV,
ebbe ad introdurre il concetto di classificazione delle eruzioni per indice di
esplosività vulcanica (VEI), e non per similitudini con eventi del passato che
hanno un nome o una data e una loro storia eruttiva caratterizzante.
Il
Gruppo di lavoro presentò quindi una relazione, dove sostanzialmente si
riconfermava ancora una volta che lo scenario eruttivo massimo atteso di
riferimento per i piani d’emergenza, doveva essere di taglia VEI4. In realtà le
conclusioni anche in questo caso concordano con l’evento proposto da Barberi, la
cui relazione del 90’ ci sembra che rappresenti ancora oggi il solco principale
entro cui tutti gli altri ricercatori istituzionalmente consultati si sono
mossi.
Nella
relazione a sostegno di questa tesi, il maggiore contributo congetturale sembra
racchiuso nelle statistiche probabilistiche elaborate dal dott. Marzocchi (INGV). Il ricercatore ha
presentato due tabelle, frutto di comparazioni mondiali fra vulcani simili al
Vesuvio, che partono entrambe da un limite temporale inferiore fissato su un
tempo di quiescenza di 60 anni: la tabella A però, non ha un limite superiore,
mentre la tabella B stabilisce un tetto fissato a 200 anni.
L’ex
assessore regionale alla protezione civile, il Prof. Edoardo Cosenza, alla presentazione romana della nuova zona rossa,
riferì che nell’odierno la probabilità di un’eruzione pliniana era dello 0,5%.
La scelta quindi, era caduta sulla tabella B…
La
tabella A si differenzia enormemente dalla tabella B, esclusivamente per la
probabilità statistica assegnata all’eruzione pliniana (VEI5): nell’ordine
proposto abbiamo una probabilità dell’11%, mentre nel caso della tabella B la
percentuale assegnata è dell’1%. Se si fosse adottata la tabella A, il piano
nazionale d’emergenza Vesuvio doveva essere, obtorto collo, tarato
sull’eruzione massima conosciuta (VEI5) e non su quella massima
attesa (VEI4).
Il
gruppo di lavoro “A”, ebbe ad addurre le seguenti motivazioni per argomentare
l’adozione della tabella B:
1) L’eruzione VEI4 ha una probabilità condizionata di accadimento di
poco inferiore al 30%.
2) L’eruzione VEI 4 corrisponde a una ragionevole condizione di rischio accettabile, considerato che
l’eruzione pliniana ha un indice probabilistico dell’1% per i prossimi 140
anni.
3) I dati geofisici non rivelano la presenza di una camera magmatica
superficiale con volume sufficiente a generare un’eruzione pliniana.
4) Lo scenario VEI4 copre anche lo scenario VEI3 e le problematiche
alluvionali.
Il
punto 3 ci sembra discutibile, perché il Prof. Raffaele Cioni, membro
della commissione grandi rischi, in una sua relazione scientifica ebbe a
sancire dallo studio dei cristalli rinvenuti nei reperti petrologici, che
l’eruzione pliniana del 79 d.C. attinse magma direttamente dalla camera
magmatica ubicata a 8 – 10 chilometri di profondità: per intenderci, quella dei
20 Km per 20 Km, di cui non si conoscono le dimensioni verticali e quindi i
contenuti per quanto stimati di magma…
I
due ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano citati in precedenza, giudicano un
rischio accettabile quello di adottare come salvaguardia progettuale una
eruzione (VEI4). In realtà si tratta di media ponderata del pericolo vulcanico,
dove il peso è statistico, perchè un’analisi del rischio comporta multidisciplinarietà
di valutazioni che vanno ben oltre il dato puramente scientifico.
La
Commissione Grandi Rischi (CGR), organo scientifico consultivo del dipartimento
di protezione civile, presieduto nel 2012 per il rischio vulcanico dal Prof. Vincenzo Morra, dopo aver esaminato le
tesi formulate dai vari comitati scientifici, concordò con le conclusioni del
gruppo di lavoro “A”: cioè avallò la VEI 4 come taglia dell’eruzione massima di
riferimento da adottare per la stesura dei piani d’emergenza.
La
CGR non menzionò la statistica della tabella B, ma l’eruzione pliniana (VEI5)
non è mai più comparsa nei documenti di pianificazione d’emergenza Vesuvio: in
altre parole è stata totalmente obliata dalle carte ma anche dai media… Per capire se la comunità scientifica ha ponderato
bene questa scelta relativa all’eruzione di riferimento, dobbiamo aspettare
l’anno 2150.
In realtà tutte le disquisizioni ad oggetto la taglia eruttiva
dell’eruzione che verrà, interessano poco i vesuviani della zona rossa 1, che in
ogni caso e a prescindere dovranno evacuare il settore altamente pericoloso e devono quindi attenersi a regole di prevenzione.
Chi
dovrebbe dire ai cittadini che dimorano contiguamente alla zona rossa che
un'eruzione pliniana è dieci volte superiore a un'eruzione sub pliniana, e i
suoli che oggi bordano la zona rossa e che in tutta fretta vengono consumati
dall'edilizia residenziale potrebbero in futuro essere spazzati via? La prevenzione
delle catastrofi, che nessuno attua, comporterebbe ampie fasce di rispetto
dalla Linea nera Gurioli e una diversa organizzazione del territorio....
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