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venerdì 5 gennaio 2018

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: 2018 la verità che mancava... di MalKo



Pozzuoli - L'area del Macellum

Un convegno geologico (27/28 novembre 2017) tenutosi a Napoli presso la sede dell’Osservatorio Vesuviano, ha consentito al ricercatore dell’INGV, Roberto Isaia, di dissertare sulla possibilità di un’eruzione freatica ai Campi Flegrei, improvvisa e senza precursori evidenti, magari favorita da una situazione di inquietezza del sottosuolo o da un’onda sismica capace di scuotere i terreni, producendo pericolosi e massivi rilasci di gas vulcanici che diromperebbero in superficie con boati fumarolici.

Il dato scientifico fa notizia perché il super vulcano dei Campi Flegrei è da alcuni anni già in uno stato di agitazione (attenzione), soprattutto nell’area della Solfatara - Pisciarelli.

La situazione è così riassumibile: si teme che in zona flegrea alcune intrusioni di magma si siano insinuate verso l’alto intrufolandosi tra le rocce... Il movimento avrebbe avvicinato il calore astenosferico alla superficie terrestre, dando vigore energetico alle acque che circolano copiose nel sottosuolo, generando vapori e surriscaldamenti critici, con un’azione chimica e fisica che indebolisce e deforma i sub strati di roccia e terra fin dove si cammina, rendendoli meno resistenti alle sovrappressioni. Le preoccupazioni allo stato dei fatti, onda o non onda sismica, ci sono quindi già tutte…

Zona rossa e gialla del super vulcano Campi Flegrei
Nel convegno napoletano è stato detto pure che gli stati di agitazione (unrest) che caratterizzano anche con il bradisismo il distretto vulcanico dei Campi Flegrei:<<non sempre regrediscono senza fenomeni eruttivi>>.   Una verità disarmante...

In questo contesto è stato pure sottolineato che il convegno scientifico sui Campi Flegrei sarebbe stato doveroso organizzarlo già da un po', perché le caratteristiche della caldera in esame non consentono di stare tranquilli e non è possibile azzardare accurate previsioni sui modi e sui tempi di una eventuale ripresa eruttiva. Il Dott. Giovanni Chiodini, geochimico dell’INGV e grande conoscitore dell’area flegrea, ha sottolineato che quello che succede nel sottosuolo calderico oggi e domani:<<…lo sa Dio>>, perché i progetti di ricerca inspiegabilmente segnano il passo.

Il Dott. Giuseppe De Natale ha sottolineato che gestire un’emergenza nel flegreo è problematico, perché i tempi di valutazione scientifica su aspetti geologici così indeterminati e complessi potrebbero essere superiori alle necessità operative di tutela, in quella che è un’area vulcanica particolarmente singolare.  

L’ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano ha anche suggerito un modello di piano di emergenza simile a quello adottato in Giappone per proteggersi dal vulcano Sakurajima, cioè l’evacuazione progressiva della popolazione in ragione dell’incremento del livello di allerta vulcanica. Una tale metodologia dice, potrebbe essere applicata ad esempio nella zona Solfatara – Pisciarelli… ( quella del progetto geotermico Scarfoglio?)

Il Dott. Giuseppe Mastrolorenzo ha invece invitato a chiarire i limiti della previsione degli eventi vulcanici che si fonda moltissimo su una sofisticata strumentazione capace di dare dati fisici e chimici del sottosuolo molto accurati ma fino all’attualità, senza per questo fornire nessuna indicazione nel secondo successivo. Il messaggio di Mastrolorenzo è perciò un invito a basarsi sulla prevenzione dei rischi piuttosto che sulla previsione dell’evento vulcanico che rimane ancora una meta da raggiungere.  Ovviamente il noto vulcanologo ha anche sottolineato e da tempo, la necessità di mettere a punto seri piani di emergenza ovvero di evacuazione delle aree vulcaniche napoletane, così da rendere operative le uniche misure di concreta salvaguardia delle popolazioni in caso di allarme.

Il capo della protezione civile nazionale, Angelo Borrelli, a margine del convegno tenutosi il 15 novembre 2017 a Pozzuoli su invito del sindaco Figliolia, non ha particolarmente tranquillizzato i presenti, perché ha preso sì un minimo di distanza dagli allarmisti, ma più ancora da coloro che affermavano il contrario, cioè che nel flegreo non ci sono elementi di pericoli su cui riflettere…

Le affermazioni del capo dipartimento sono state chiarissime e riportate anche nel bollettino emesso dal dipartimento della protezione civile che recita testualmente :<< In merito all’incontro informativo sullo stato di attività dei Campi Flegrei, avvenuto martedì scorso, 15 novembre, a Pozzuoli presso la sede del Centro Operativo di protezione civile del Comune, è necessario sottolineare che i messaggi chiave emersi dalla riunione sono lontani dalla semplificazione “non ci sono rischi, rassicurata la popolazione”, così come riportato da alcuni organi di stampa>>.

<<… Nella discussione è stato più volte ribadito che allo stato attuale non ci sono particolari motivi aggiuntivi di preoccupazione, ovvero, come confermato dagli scienziati, le variazioni dei parametri monitorati non sono tali da consigliare né un innalzamento del livello di allerta, né un ritorno al livello inferiore, che corrisponderebbe ad un’attività ordinaria del vulcano>>.

<<… A questo proposito è utile sottolineare che, per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste>>.

In un altro comunicato ancora è stato chiarito che anche quando il livello di allerta vulcanica è base, cioè verde, il rischio eruttivo non è mai assente.

Una politica quella della chiarezza, che oggi stupisce soprattutto perché la discorsiva proviene da pulpiti che qualche anno fa minacciavano denunce e provvedimenti disciplinari contro i non allineati al comandamento del non allarmare!
A dirla tutta un tale atteggiamento veritiero doveva essere il modus operandi dell’INGV e della protezione civile già alcuni decenni fa, ma non lo è stato. Se oggi ci troviamo con grandi ritardi nelle politiche di sicurezza delle aree vulcaniche, lo si deve proprio alla stampella scientifica che ha ampiamente e indirettamente supportato le amministrazioni comunali, che hanno fatto i pesci in barile, campicchiando sul dato della previsione degli eventi vulcanici preventivabili addirittura mesi prima. Una notizia quest’ultima che pur non avendo nessun fondamento deterministico, ha consentito ad esempio di mettere sulla carta bozze di piani di allontanamento piuttosto che piani di evacuazione. Nel primo caso lo spostamento massivo della popolazione avverrebbe in un contesto non caotico, di pericolo annunciato ma non manifesto. Nel secondo caso con pericolo incombente…

Nel momento in cui il dipartimento ha chiarito che la sequenzialità dei livelli di allerta vulcanica possono essere imprevedibili nella loro escalation al rialzo, in capo ai sindaci sono state automaticamente rimandate tutte le responsabilità della prevenzione e della redazione dei piani di evacuazione. In altre parole, vengono a mancare gli alibi che fin qui hanno retto il sistema delle inadempienze istituzionali.

Vogliamo poi ricordare che il piano di emergenza ovvero di evacuazione, avrà una sua ufficialità di nascita nel momento in cui ad ogni famiglia del flegreo e del vesuviano e magari di Ischia, verrà consegnato un vademecum con note e disegni che illustrino con chiarezza che cosa fare e dove andare in caso di allarme vulcanico. Fino a quel momento i piani di evacuazione non esistono!
Tutte le applicazioni per smartphone che reclamano la gestione innovativa e operativa dei piani di emergenza, devono considerarsi facilitazioni tecnologiche ma non una sostituzione del classico manualetto cartaceo, che invece deve essere nel possesso di tutti i cittadini. Lo smartphone, ricordiamolo, richiede una linea di accesso ed energia…

I 4 livelli di allerta vulcanica

Il convegno dell’INGV di cui trattavamo è stato registrato e pubblicato su Youtube. I video sono stati molto velocemente ritirati ma, come segnala il Dott. Giuseppe De Natale dell’INGV, nessuna stranezza nel merito perché la loro funzione pubblica era, se abbiamo capito bene, sostanzialmente legata alla durata del summit scientifico. Quelli che a pensar male… ritengono invece che in quell’ambito sono state sviscerate tante di quelle verità da richiedere una precipitosa riservatezza.


L’ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano, consigliava di utilizzare nei piani di evacuazione le strategie utilizzate in Giappone. In realtà la procedura dell’allontanamento progressivo fu indirettamente vagliata nella prima stesura del piano di emergenza Vesuvio datato 1995. In quello scritto i territori comunali erano stati suddivisi in settori. In caso di allarme l’evacuazione era stata prevista con un ordine progressivo dettato dalla vulnerabilità sismica dei fabbricati che andavano sfollati per primi. Poi, attraverso la pianificazione fatta dal Comune di Portici, fu chiarito che non era realistico pensare di cadenzare le partenze, perché lo studio comportamentale della popolazione indica che i vesuviani all’occorrenza si muoveranno tutti insieme, con intervalli dettati esclusivamente dai tempi di organizzazione familiare e senza soluzione di continuità tra il giorno e la notte.


Il modo in cui avverrà l’evacuazione della popolazione, richiamerà molto e come concetto un diagramma utilizzato a proposito del fuoco per indicare il flashover, cioè l’incendio diffuso che è preceduto dalla fase di ignizione del combustibile.


Il lancio dell’allarme evacuativo rappresenta una sorta di ignizione per la popolazione che si comporterà come un combustibile solido se non percepirà direttamente i segnali pre eruttivi provenienti dal monte vulcanico.


Viceversa, se i vesuviani riceveranno l’innesco evacuativo direttamente e attraverso i sensi (tremori; sciami sismici; boati), si comporteranno come un combustibile gassoso, cioè si arriverà immediatamente a una notevole pressione ai varchi d’uscita: sarebbe il caos…
Diagramma Flashover

Quello che lascia veramente perplessi è l’inerzia con cui si muove il mondo amministrativo che tenta di tergiversare su molti aspetti che riguardano la sicurezza. Intanto sarebbe indispensabile che la zona rossa dei Campi Flegrei fosse oggetto di una legge simile a quella vigente per il Vesuviano, cioè che sancisca l’inedificabilità totale a scopo residenziale. Occorre poi procedere velocemente anche per l’isola d’Ischia con l’elaborazione degli scenari di rischio. Un documento scientifico quest’ultimo, che consentirebbe di determinare anche qui eventuali zone rosse e su queste probabilmente dovrà essere applicato parimenti il vincolo dell’inedificabilità a scopo residenziale.

Certamente si comprende che vietare la costruzione di case  nella zona rossa Vesuvio, e Campi Flegrei e Ischia, significa inibire una buona porzione del territorio metropolitano agli investimenti cementizi… D’altra parte però, non si possono neanche servire due padroni: la sicurezza e lo sviluppo edilizio. Quello che fino ad ora la classe politica ha raggranellato sull’argomento, è solo il rimando ai posteri del problema sicurezza vulcanica, accrescendolo con mancate verità.

A tal proposito sembrano molto indietro nel tempo quegli incontri a cui partecipavano importanti esponenti dell’Osservatorio Vesuviano, che palesavano e promuovevano l’opportunità energetica offertaci dalla geotermia proprio nella depressione calderica flegrea… Le trivellazioni nel cuore della Solfatara a Pisciarelli, ci avrebbero consentito di carpire conoscenza dicevano, ma anche acqua calda in un posto dove le turbolenze del sottosuolo sono foriere di un calore da commercializzare.

Fortunatamente la proposta industriale è stata archiviata tra l’altro non dalla Commissione Grandi Rischi tramite il Dipartimento della Protezione Civile, bensì dal Ministero dell’Ambiente che ha scartato il progetto in assenza di integrazioni ancorché gravata dal parere sfavorevole della Regione Campania.

Certo rimane ancora in piedi il progetto geotermico di Serrara Fontana ad Ischia: si spera che venga anch’esso abbandonato attraverso ragionamenti finanche politici e non solo scientifici. Le amministrazioni ischitane così come gli isolani non percepiscono appieno il rischio vulcanico che pure caratterizza l’isola, perché godono di una lunga pace geologica e per questo senza ricordi. Purtuttavia il rischio c'è ed è conglobato ad altri non meno pericolosi. Per la messa in sicurezza dell'isola è necessario dedicarsi anche a cose diverse dal turismo, come le politiche di previsione e prevenzione: i sindaci facciano squadra, perché la loro interdipendenza è più stretta di quanto immaginano. 

La Regione Campania e l’autorità di Bacino ma anche la soprintendenza archeologica dell’area metropolitana di Napoli, hanno in ogni caso espresso parere sfavorevole alla realizzazione del progetto geotermoelettrico ischitano.

Sarebbe anche interessante capire, generalizzando, il ruolo della stampa nelle faccende vulcaniche, perché se abbiamo gioco forza una mucca esplosiva nel corridoio metropolitano di Napoli, ancorché senza una soluzione evacuativa degna di tale nome, è anche colpa di qualche penna oltremodo ottimista e pronta a tacciare i cosiddetti allarmisti di produrre bufale...

Un consiglio ai promotori delle iniziative educative: il Vesuvio da rischio a risorsa… Si rifletta sul fatto che tale frase è disorientante. Il Vesuvio rischio ma anche risorsa… rappresenta invece il modo corretto di proporsi.

giovedì 25 maggio 2017

Vesuvio: camera magmatica sopra o sotto?... di MalKo


Cratere del Vesuvio con vista Capri

Un vulcano è possibile definirlo come una spaccatura nella crosta terrestre da dove fuoriescono generalmente e in modo discontinuo, materiali gassosi, liquidi e solidi ad alta temperatura. Le cause alla base del trasferimento dei prodotti magmatici dall’interno del Pianeta e fino alla superficie terrestre attraverso varie tipologie eruttive, sono oggetto di studio con formulazioni di teorie tutte corredate dall’incertezza scientifica, perché i fenomeni eruttivi generalmente non sono continui, e in alcuni casi sono intervallati da secolari quiescenze. Fenomeni tra l’altro, che traggono origine dal sottosuolo chilometrico, quello non direttamente esplorabile…

Certi vulcani in termini di manifestazioni eruttive sono più rari dell’apparizione della cometa di Halley che solca i cieli mediamente ogni 76 anni… Nessuno degli scienziati oggi in servizio permanente effettivo all’Osservatorio Vesuviano ha mai visto un’eruzione dell’arcinoto Vesuvio o del super vulcano dei Campi Flegrei o dirompenze sull’isola d’Ischia. Quindi, la maggior parte delle disquisizioni scientifiche ad oggetto i vulcani napoletani, gioco forza devono trattare la scienza delle eruzioni e le sue innumerevoli variabili analiticamente, magari gettando lo sguardo su altri vulcani in attività come quelli ubicati sulle nostre isole meridionali oppure in altre parti del mondo.

I vulcani “stranieri”, per genesi e comportamenti e storie e contesti, sono completamente diversi l’uno dall’altro: non parliamo della forma, bensì del DNA geologico, frutto di fusioni e rifusioni e mescolamenti del magma, che avvengono nella parte superiore del mantello che assorbe prodotti in ascesa dal profondo, fondendone altri dalla suola litosferica.

La camera magmatica è forse l’elemento più importante di un vulcano, ancorchè dislocata a profondità variabile dai 3 ai 10 chilometri: è qui che ristagna la pasta ignea ad elevata temperatura e pressione ben insinuata nelle rocce incassanti. Se dovesse aumentare la spinta magmatica verso la superficie o, viceversa, dovesse essere minata la resistenza della crosta terrestre in un determinato punto sotto pressione, come sembra prospettarci il Dott. Chiodini per i Campi Flegrei, l’eruzione sarebbe inevitabile.

Alcune congetture sulla tipologia eruttiva e sulle varie manifestazioni vulcaniche ad oggetto il Vesuvio, sono state fatte dal Gruppo di lavoro “A” messo insieme un po’ di anni fa dal Dipartimento della Protezione Civile: una sorta di conclave costituito da scienziati per tracciare gli scenari eruttivi della prossima eruzione dell’arcinoto vulcano semmai dovesse verificarsi un’eruzione nel medio termine. Al massimo un’eruzione VEI 4 (sub pliniana) hanno sentenziato gli esperti: giudizio poi avallato dalla commissione grandi rischi. D’altra parte, nella relazione del Gruppo A si evidenzia a sostegno della tesi VEI 4, che nella camera magmatica superficiale del Vesuvio non c’è magma a sufficienza per una eruzione VEI 5, cioè una pliniana come quella che distrusse nel 79 d.C. Pompei, Ercolano e Stabia.

Secondo il Prof. Raffaele Cioni dell’INGV, tra l’altro membro della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, l’eruzione di Pollena del 472 ha marchiato i prodotti litoidi espulsi dal Vesuvio, lasciando impresso sulle rocce il segno di pressioni dell’ordine di cica 1000 bar. Cioè una pressione mille volte superiore a quella registrabile al livello del mare: compressioni riscontrabili a una profondità terrena di circa 4 - 5 chilometri…

Lo stesso Cioni però, rileva (Evidence for the shallowing of the Vesuvius reservoir in the upper crust over the last 20 kyr), che nell’analisi petrografica dei prodotti eruttati dal Vesuvio nell’eruzione pliniana del 79 d. C. e altre eruzioni particolarmente violente, si nota che il magma è assurto in superficie direttamente dalla camera magmatica più profonda, come quella attualmente dislocata a una profondità di circa 8 – 10 chilometri.

Il dato che ci sembra si possa cogliere allora è questo: il Vesuvio può attingere per le sue eruzioni da una camera magmatica pseudo superficiale quanto profonda, senza rendere necessario accumuli di magma intermedi, che pure potrebbe già esserci come punta di un iceberg incandescente, con spessori orizzontali non particolarmente estesi e quindi non evidenziabili nettamente dalla tomografia sismica.

D’altra parte un magma che ristagna più superficialmente dovrebbe essere un po’ più povero di elementi volatili. Quello che proviene dal profondo invece, ha una forza gorgogliante particolarmente dirompente: da pliniana insomma…

Lo studio del Prof. Cioni è forse un tantino in controtendenza con la relazione presentata dal Gruppo di lavoro A. In questo trattato scientifico infatti, viene dato come elemento rassicurante poco magma nella camera superficiale del Vesuvio...


Complesso Somma_Vesuvio visto da nord


Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo è un noto vulcanologo dell‘INGV – Osservatorio Vesuviano. Autore di alcune pubblicazioni di grande presa sul pubblico mondiale.

Prof. Mastrolorenzo, ha influenza la dislocazione della camera magmatica nelle dinamiche eruttive?

<< Innanzitutto è necessario precisare che tutte le ricerche relative alla identificazione di camere magmatiche sotto i vulcani attivi sono basate su approcci indiretti. Infatti, fatta eccezione per casi rarissimi, relativi ad antiche camere magmatiche solidificate e venute poi a giorno a seguito di processi di erosione, le camere magmatiche non sono rilevabili in modo diretto, e tuttalpiù possono essere intercettati dicchi magmatici nell’ambito di trivellazioni in vulcani attivi.

Nel caso del Vesuvio, dallo studio delle rocce eruttate durante i vari eventi eruttivi che hanno caratterizzato la storia del noto vulcano e da una serie di rilievi e analisi di natura geofisica utili per la comparazione dei dati, sono state ipotizzate le possibili localizzazioni in profondità dei sistemi magmatici responsabili delle eruzioni avvenute in passato, nonché delle zone anomale situate in profondità, quali possibili sedi di attuali camere magmatiche.

In particolare, ricerche condotte da me e dalla dott.ssa Lucia Pappalardo e da altri ricercatori nell'ultimo decennio, hanno evidenziato come le eruzioni sub-pliniane e pliniane del Vesuvio, nel corso degli ultimi ventimila anni siano derivate da camere localizzate a una profondità dell'ordine di circa otto chilometri.

Questo risultato è basato sullo studio dei minerali presenti nelle rocce espulse dal vulcano, e più in generale da particolari indicatori di pressioni pre eruttive che influenzano e favoriscono inclusioni vetrose (gocce di magma intrappolate nei cristalli prima e durante la risalita del magma) rilevabili all'interno dei materiali rocciosi che abbiamo raccolto in zona. Tutti elementi in accordo con le evidenze di strati ad alta temperatura e bassa rigidità risultante dalle indagini di tomografia sismica condotta negli scorsi decenni.

Circa i processi pre eruttivi e le possibili durate e tipologie dei fenomeni precursori che potrebbero accompagnare l'evoluzione delle camere magmatiche verso una possibile eruzione futura, dobbiamo limitarci a semplici ipotesi non verificabili per la mancanza di qualsiasi esperienza diretta in merito, e possiamo solo riferirci alle poche eruzioni di altri vulcani attivi direttamente osservate negli ultimi decenni.

Per tali motivi, è assolutamente doveroso che i vulcanologi dichiarino i loro limiti di conoscenza per non indurre le autorità e le popolazioni a rischio a ritenere che esistano metodi oggettivi e affidabili per la previsione dell’evento vulcanico, in termini sia temporali che di tipologia eruttiva di quello che sarà il futuro evento eruttivo>>.

Ringraziamo il Prof. Mastrolorenzo, primo ricercatore INGV – OV, per questa nota che lascia pochi dubbi interpretativi sull’ubicazione della camera magmatica del Vesuvio e sullo stato della previsione dell’evento vulcanico.

Quello che vorremmo ulteriormente segnalare in conclusione, è che l’attuale politica di prevenzione delle catastrofi vulcaniche, un argomento che ci riguarda molto da vicino, si basa su un modello statistico utilizzato come elemento di certezza deterministica, per tracciare limiti di pericolo addirittura geo referenziati con implicazioni nel campo dell’edilizia residenziale che non segue criteri di prudenza e delle strategie operative di emergenza molto discutibili soprattutto dal punto di vista dei territori classificati coinvolgibili nelle fenomenologie vulcaniche più disastrose.

Con questo non si vuole dire che la prossima eruzione del Vesuvio sarà certamente apocalittica, cioè pliniana in ambito metropolitano; vogliamo semplicemente dire che la vita umana non è un assemblaggio di tessuto vivente ricostruibile in un altro luogo e, quindi, l’umanità deve essere titolare di un qualche diritto di precauzione.

Allora la scienza deve essere in linea con la democrazia, senza essere serva sciocca dell’aristocrazia istituzionale che vuole popoli rabboniti e concilianti… Ogni singolo abitante che vive nelle aree vulcaniche, deve sapere i limiti della scienza e della tecnologia esplorativa. Deve sapere a cosa si può andare incontro permanendo in zona rossa, e deve avere contezza che lo Stato ha l’obbligo di garantire la sicurezza dei propri cittadini attraverso la redazione e l’adozione di un piano d’emergenza corredato da un piano di evacuazione, preferibilmente non mediatico o aritmetico.

L’elaborazione di politiche di prevenzioni delle catastrofi dovrebbero essere un disegno politico e istituzionale da porre al vaglio nelle campagne elettorali comunali e regionali e nazionali. Così come può concorrere alla sicurezza areale l’educazione civica delle future leve vesuviane e flegree e ischitane, secondo processi formativi che dovrebbero prevedere l’inoculazione di concetti che riguardano il territorio e il rispetto delle regole, che in un’area vulcanica potrebbe voler dire il concorso civile nella direzione della collettiva e futura sicurezza: “Venturi non immemor aevi ” ossia: “Pensiamo alle generazioni del tempo che verrà… (cartiglio Palazzo Cassano - Napoli -).

martedì 23 maggio 2017

Campi Flegrei: eruzione o non eruzione?... di MalKo



Campi Flegrei - Macellum di Pozzuoli -

In questi giorni a tenere banco sul rischio vulcanico ci hanno pensato i giornali che hanno riportato in prima pagina la notizia che, dallo studio - Progressive approach to eruption at CampiFlegrei caldera in southern Italy -, condotto dai ricercatori Christopher R. J. Kilburn, Giuseppe De Natale e Stefano Carlino, risulta che un’eruzione ai Campi Flegrei è più vicina del previsto.

Lo studio in questione pubblicato il 15 maggio 2017 sulla rivista Nature Communications, segue a distanza di tempo i primi allarmi lanciati dal geochimico dell’INGV Chiodini e altri (2012) dalle pagine di Geology - Early signals of new volcanic unrest at Campi Flegrei caldera? Insightsfrom geochemical data and physical simulations - e poi da Amoruso e Crescentini e altri, che nel 2014 con la loro ricerca Clues to the cause of the 2011–2013 Campi Flegrei caldera unrest,Italy, from continuous GPS data - orientativamente assegnavano una sorgente magmatica all'origine del sollevamento dei suoli flegrei.

C’è poi un’ulteriore studio di Chiodini -  Vandemeulebrouck ed altri del 15 marzo 2015 - Evidence ofthermal-driven processes triggering the 2005–2014 unrest at Campi Flegrei caldera -  dove si evidenzia un ruolo fondamentale del riscaldamento delle rocce causato da fluidi magmatici, quale fattore che indebolisce la resistenza degli strati tra magma e superficie.

In un altro lavoro ancora datato agosto 2015:<< Magma injection beneath the urban area of Naples: a new mechanism forthe 2012–2013 volcanic unrest at Campi Flegrei>>,  i ricercatori D’Auria e Pepe ed altri ipotizzano la presenza di magma a bassa profondità (3 Km) nel flegreo anche marino.

Significance of the 1982–2014 Campi Flegrei seismicity: Preexisting structures, hydrothermal processes, and hazard assessment è un ulteriore rapporto scientifico firmato da Di Luccio, Pino, Piscini e Ventura, pubblicato il 28 settembre del 2015, dove anche in questo caso si richiama un’intrusione magmatica nei suoli del bradisismo.

Magmas near the critical degassing pressure drive volcanic unresttowards a critical state, è un altro lavoro scientifico pubblicato da Chiodini e Paonita su Nature Communications il 20 dicembre del 2016, dove, in conclusione, si pone in rilievo ancora una volta e per i Campi Flegrei, un indirizzo geologico di criticità. 

Nel compendio scientifico - Space-weighted seismicattenuation mapping of the aseismic source of Campi Flegrei 1983–1984 unrest - di De Siena, Amoruso e altri pubblicato il 22 febbraio 2017, si ipotizza magma nella parte marina prospiciente Pozzuoli.

La relazione pubblicata su Nature Communications da Kilburn, De Natale e Carlino, ci sembra che evidenzi maggiormente e come elemento capace di indebolire la crosta flegrea, i movimenti meccanici dovuti al bradisismo, inteso come fenomeno destabilizzante dell’elasticità delle rocce che viene persa a favore di una maggiore fragilità complessiva della coltre crostale.

L’allarme eruzione di questi giorni dicevamo, è stato prevalentemente consumato a livello giornalistico e mediatico , in quanto l’attenzione della popolazione puteolana e napoletana non ha avuto un particolare picco di interesse alla faccenda, con De Natale che ha poi tranquillizzato in Italia e Kilburn invece, che pare abbia allarmato in Inghilterra…

Il Prof. De Natale al momento dell’ondata giornalistica allarmistica si trovava a un seminario a Rotterdam. E’ subito intervenuto cercando di chiarire il senso che si voleva dare alla ricerca pubblicata su Nature C. che non paventava un’eruzione vicina, rimandando al suo rientro in patria le spiegazioni del caso. Cosa che poi ha fatto intervenendo innanzitutto a un seminario assicurato dalla struttura comunale di Pozzuoli e dall’attento sindaco Figliolia a capo della municipalità dai terreni ballerini.

Tornando a fattori più generali, una caldera che ha visto imponenti eruzioni partorite nel corso dei millenni da circa una quarantina di bocche eruttive con fenomeni sussidiari di bradisismo negativo e positivo in suoli e sottosuoli pregni di liquidi e vapori soprassaturi con temperatura fra le più calde riscontrabili in Italia, sono tutti elementi che pongono e presentano all’investigatore scientifico, indizi di un tessuto crostale diciamo monoliticamente un tantino compromesso.

Un po’ tutti gli studi vanno nella direzione dell’indebolimento crostale ipotizzato ci sembra per primo da Chiodini. Una matrice magmatica sembra plausibile quale fonte di calore e di riscaldamento dei fluidi nel sottosuolo, anche se qualche lavoro scientifico va verso la direzione di un’intrusione magmatica presente sì nei primi chilometri, ma datata e in via di raffreddamento. Tutti i lavori scientifici concorrono con pari dignità a fare chiarezza sulla fragilità dei suoli flegrei e su cosa spinge dal basso, e quindi la proposta di Chiodini di invitare le massime autorità scientifiche mondiali a pronunciarsi su un eventuale stato pre eruttivo dei Campi Flegrei, ci sembra particolarmente sensata.

In questo panorama d’incertezza, c’è chi offre la certezza che procedendo nella trivellazione profonda dei suoli di Bagnoli verso il mare e fino a profondità dell’ordine dei 4000 metri, si riuscirà a prelevare campioni di rocce su cui “leggere” lo stato attuale della caldera flegrea incidendo così e positivamente sulla previsione del fenomeno eruttivo.

Bagnoli - Napoli
Senza entrare nel dibattito scientifico che non ci compete, entriamo con qualche argomentazione in quello tecnico e forse politico. Tutte le disquisizioni scientifiche sull’argomento flegreo sono corredate dall’incertezza e non potrebbe che essere così.

Il quadro d’insieme a proposito del deep drilling project (CFDDP) inteso come progetto scientifico internazionale, intanto è stato inquinato in partenza da una certa euforia legata al geotermico piuttosto che alla scienza,  da una propaganda iniziale che accomunava CFDDP ed energia geoelettrica da produrre nell’area in un momento in cui il progetto geotermico Scarfoglio era scientificamente supportato direttamente o indirettamente dall’INGV, nonostante una certa contrarietà locale degli abitanti dettata anche da uno stato di attenzione vulcanica che non è regredito: anzi...

Riferire che il progetto di trivellazione profonda sia esente da rischi è molto azzardato perché dire flegreo significa dire area metropolitana di Napoli, ovvero 550.000 abitanti. Tentare di raggiungere il magma superficiale (4 km) interagendo attraverso le trivellazioni in strati rocciosi dichiarati nell’ultimo lavoro scientifico fragili, è francamente incomprensibile e forse sconsigliabile, anche perché bisognerà trapanare porzioni di territorio ad elevata temperatura e pressione dei fluidi in quello che è considerato da tutti, ripetiamo,  un territorio ballerino e non certo per propensione artistica.

I Campi Flegrei godono di un livello di allerta vulcanica tarato sullo stato di attenzione, che potrebbe essere forse poca cosa nelle condizioni di unrest attuale. Nessuno è in grado di dirlo però, e a dirla tutta, attualmente in termini di allerta vulcanica, si sta campando un po’ alla giornata sperando che gli strumenti di monitoraggio non virino al rialzo…

Il progetto di sfruttamento geotermico denominato Scarfoglio (Solfatara), è oggetto dal 2015 a Valutazione di Impatto Ambientale a cura della commissione tecnica ministeriale incaricata di decidere sulla fattibilità e innocuità del progetto. Commissione a cui sono giunte tutte le osservazioni possibili ad oggetto trivellazioni e reiniezione dei fluidi in quell’area calderica, con relazioni non favorevoli di Mastrolorenzo e Vanorio e Ortolani e altri. Il CFDPP non prevede reiniezioni, ma trivellazioni accentuate in area vulcanica agitata sì. Le valutazioni del Ministero dell’Ambiente quando saranno pronte porteranno quindi ulteriori e nuovi elementi su cui riflettere anche da questo punto di vista (trivellazioni).

Se la valutazione del rischio eruttivo fosse solo una competenza scientifica, la diramazione dello stato di pre allarme e allarme sarebbe lanciato all’occorrenza dal direttore dell’Osservatorio Vesuviano. Ma non è così. Per contratto il monitoraggio dei Campi Flegrei è affidato all’INGV – OV classificato - Centro di Competenza - per gli affari vulcanici, i cui bollettini, analisi e indagini, sono leggermente imbavagliati da una clausola di riservatezza imposta dal dipartimento della protezione civile che invece decide livelli e fasi di allerta vulcanica  in seno alla presidenza del consiglio.

tavola allerta vulcanica e livelli decisionali
Il rischio però, per sua natura, non è la valutazione di un solo fattore critico per quanto importante. Il rischio prevede l’analisi di più fattori fisici, geochimici, statistici, filosofici, giuridici, meteorologico, compreso il modello di società e i livelli di garanzia e di valore assoluti che si assegnano alle popolazioni, anche in nome del diritto europeo (CEDU) e di precauzione… Tutti gli elementi che possono condizionare le scelte confluiscono quindi sui tavoli politici fino al primo dei politici, a cui è demandata l’unica estrema risposta possibile al pericolo eruttivo manifesto, cioè la dichiarazione dello stato di allarme con evacuazione preventiva della popolazione esposta.

Non essendoci eruzioni pregresse di riferimento, non sappiamo se lo stato di preallarme e allarme saranno dichiarati quando i precursori vulcanici incominceranno ad essere un elemento percepibile da uno dei cinque sensi e direttamente dalla popolazione. In questo caso si scatenerebbe il panico e qualsiasi piano di allontanamento, termine per chiarire che si procede in assenza di panico ovvero di pericolo palpabile, fallirebbe già nei primi minuti.
Guardate la strategia evacuativa prevista nel piano di evacuazione del Vesuvio: 500 Bus per portare gente dall’interno del vesuviano, ad alcuni punti posti fuori dalla zona rossa come ad esempio il cortile della stazione Trenitalia di Nocera. 500 Bus attaccati l’uno all’altro formano una colonna di 6 chilometri. Infilare una “supposta” di 6 chilometri in un culo per quanto grande da elefante (zona rossa), è praticamente impossibile. Se la si spezzetta questa colonna, formerà alfine un tappo… Allora?

In Italia non siamo riusciti a sconfiggere mafia e camorra, a gestire il fenomeno migratorio, a risolvere il problema della corruzione, ad avere una giustizia giusta, ad avere forze di polizia che siano di prevenzione e non di constatazione, una sanità che non lascia indietro nessuno, un fisco equo, l'integrità dei parchi e del territorio anche marino invece trivellato. Non siamo riusciti a combattere l’evasione fiscale, a risolvere i conflitti con le banche, a varare una legge elettorale degna di questo nome, una buona scuola che sia davvero competitiva e creativa, a creare posti di lavoro, a non vedere più figli all'estero per sopravvivere, a sconfiggere il caporalato, a sconfiggere l’abusivismo edilizio, le caste, i vitalizi, auto blu, ecc. L’elenco potrebbe continuare per molto ancora...

Noi siamo forse la protezione civile più bella del mondo, dicono. Sicuramente la più costosa. In termini di pianificazione e di manipolazione mediatica delle realtà siamo al top: all’epoca di Bertolaso del piano di emergenza Vesuvio si diceva che ci era addirittura invidiato  all’estero, come affermavano con piglio d’orgoglio gli addetti dipartimentali: eppure l’invidiato piano nazionale Vesuvio, mancava come oggi del piano di evacuazione…una piccolezza.

In questo contesto di ampia democrazia non molto partecipata ma subita, cosa vi fa ritenere che l’organizzazione scientifica e tecnica e politica salverà milioni di persone dal rischio vulcanico flegreo, vesuviano o ischitano? L'attuazione di un piano aritmetico di evacuazione? Il piano con certe premesse fallirà, ma la colpa sarà addossata al popolo popolino in preda al panico... 
E dov'è la prevenzione delle catastrofi se sui suoli d Bagnoli, in piena caldera, si possono costruire ancora palazzi e palazzoni per la mancanza di una legge anti edilizia residenziale? E l'abusivismo di necessità vale anche in zona rossa ad alta pericolosità vulcanica? Bisogna essere davvero degli inguaribili ottimisti per credere nella salvezza proveniente da questo modello effimero di società... Speriamo solo che l’evacuazione non si traduca magari dovesse verificarsi nel periodo estivo ad alberghi pieni, in un imbarco degli sfollati sui treni verso l’estero, come la monnezza…