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mercoledì 7 giugno 2017

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: eruzione work in progress?... di MalKo



La Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei

A ovest della città di Napoli sorge il distretto vulcanico dei Campi Flegrei. Dall’altro lato, ad est, capeggia invece il Vesuvio. I due vulcani sono in vista l’uno dell’altro e ricadono geograficamente sullo stesso parallelo a 40° e 49’ di latitudine. La città di Napoli è posta quindi al centro di queste due aree vulcaniche che sono accomunate da un’unica grande camera magmatica che si sviluppa anche sotto la metropoli partenopea…

I Campi Flegrei non hanno un apparato montuoso ma solo brandelli collinari e semi collinari a volte rotondeggianti, che delimitano e punteggiano l’estensione geografica di un territorio forse sede del mitico vulcano Archiflegreo, sbriciolato nell’antichità da immani eruzioni fino alla condizione di caldera depressa, poi riempita da decine di bocche monogeniche che hanno proposto il loro vagito eruttivo molto spesso esplosivo respingendo in parte il mare.

Nell’arco di tre periodi diversi, sono stati espulsi da questo singolare distretto grandi quantità di materiale piroclastico anche a grandi distanze. L’ultima eruzione del 1538 ha segnato la quiescenza macroscopica dell’area, segnata comunque dal fenomeno anche recente e perdurante del bradisismo flegreo, che non sembra mettere tutti gli scienziati d’accordo circa la genesi di un suolo particolarmente irrequieto. In tutti i casi appare inoppugnabile il collegamento con la fonte energetica rappresentata dal calore magmatico sottostante…

Pochi giorni fa è stata formulata una teoria circa le intrusioni magmatiche che caratterizzano l’area flegrea; una tesi secondo la quale il magma insinuatosi fino a pochi chilometri dalla superficie si sia raffreddato dopo aver dato “spettacolo” e apprensione col suo calore oggi disperso…

Macellum - Pozzuoli - Campi Flegrei
Il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, è tra i massimi conoscitori della geochimica dei Campi Flegrei.

Dott. Chiodini, secondo una recente tesi il magma che sembra si sia infiltrato fino a basse profondità nel sottosuolo flegreo, pare possa datarsi e ascriversi alle crisi bradisismiche degli anni 70’ e 80’: è così?

C’è dibattito su questo. Io sono d’accordo con questa interpretazione: altri autori affermano che quel magma si sia già solidificato….

Che ci sia stata un’intrusione magmatica sembra un dato su cui concorrono con qualche distinguo un po’ tutte le tesi. Nel merito possiamo confermarlo questo dato ed ancora conosciamo l’estensione, ovvero le dimensioni di questa protuberanza magmatica insinuatasi nei territori flegrei?

Che nel 1983/1984 ci sia stata una intrusione di magma è un dato su cui concordano la maggior parte dei ricercatori (se non tutti). Si pensa ad un volume di magma relativamente piccolo, dell’ordine di 0,1 Km3.

Dott. Chiodini, se di intrusione magmatica si tratta, il fenomeno è da attribuirsi prevalentemente alla possente spinta magmatica o a una scarsa resistenza della coltre crostale che in questi luoghi è aggredita da una chimica e da una temperatura che ne minano la resistenza? Una Sua recente teoria…

Immagino che la recente teoria a cui fa riferimento sia il lavoro pubblicato nel Dicembre 2016 nella rivista Nature Communications. In quel lavoro consideriamo quanto è avvenuto dopo il 2000. Per quello che riguarda, la crisi del 1983/1984 e la intrusione magmatica che l’ha causata, posso solo dirle come elemento di riflessione che a quelle profondità (4 km) la temperatura è molto elevata. D’altra parte nella zona di massima deformazione non si osservano terremoti a profondità più grandi. E’ la stessa zona dove si ipotizza una intrusione datata di alcuni secoli, quella che ha generato probabilmente e in qualche modo l’evento eruttivo di Monte Nuovo (1538). Ne sappiamo poco, ma in quella zona e a quelle profondità le rocce potrebbero avere un comportamento ‘plastico’ e non rigido.

Se la caldera flegrea è stata sede di alcune decine di bocche eruttive monogeniche, quest’intrusione potrebbe corrispondere a una nuova bocca o a una bocca eruttiva precedente…

Credo che la zona di Pozzuoli col tratto di mare adiacente sia una zona di accumulo di magma… Nel 1538 la deformazione inizialmente era su questa zona, poi si spostò prima dell’eruzione verso ovest, dando così origine all’ultimo evento riscontrato nei Campi Flegrei: quello appunto di Monte Nuovo.

La Solfatara e la fumarola di Pisciarelli con i suoi possenti sintomi di degassazione non è detto che sia la parte più vulnerabile all’ascesa del magma in superficie. La Solfatara è una sorta di camino, una specie di collettore zonale, ma il magma non è certo che segua la strada dei vapori.


Porto di  Pozzuoli (Campi Flegrei) - L'agglomerato del Rione Terra
La geochimica fino a che punto riesce a dare risposte sulle dinamiche magmatiche che interessano un fondo calderico come i flegrei?

Noi abbiamo interpretato le variazioni osservate alle fumarole della Solfatara come un processo di depressurizzazione del magma. Ora, secondo me, il magma sta rilasciando fluidi in maggiore quantità ed arricchiti in H2O perché si sta appunto depressurizzando. Penso che l’evento che ha causato questo processo sia in realtà collegabile alle migliaia di terremoti registrati nel 1983/1984 che hanno in qualche modo aperto il sistema alla risalita dei fluidi che, rilasciati dal magma, starebbero riscaldando le parti più superficiali della caldera.

Dott. Chiodini, i dati geochimici e geofisici flegrei cosa segnalano… cosa raccontano nell’odierno?

In sintesi e nell’insieme uno spostamento della crisi verso le zone più superficiali della caldera.

Un po’ di anni fa effettuammo un lavoro ad oggetto i dissesti statici nel napoletano infiltrandoci nei condotti acquedotto del sottosuolo di Napoli. Dissesti molto spesso originati dalle caratteristiche del tufo giallo che perde la sua resistenza statica fino al 40% una volta imbibito… La possente struttura tufacea su cui poggia la città di Napoli trova pari caratterizzazione nell’area flegrea?

Il sottosuolo di Napoli - Centro storico -  San Carlo all'Arena
Quello che diciamo nel lavoro che citava prima, riferendoci a lavori specifici fatti da colleghi stranieri, è che il tufo giallo se sottoposto a riscaldamento diminuisce la sua resistenza meccanica.

Un sottosuolo anche profondo rimaneggiato dalla chimica delle acque e dalle temperatura elevate potrebbe consentire una rapida risalita del magma, magari senza acquistare una veemenza particolarmente dirompente? In altre parole, un’eruzione nel flegreo può essere anche rapida ma contenuta negli effetti? 

A questa domanda è difficile dare una risposta. Credo che nel caso di una futura eruzione l’attuale fase di elevato degassamento possa attenuarne gli effetti dirompenti. Ma gli effetti comunque bisogna relazionarli anche e in gran parte alle quantità totali di magma coinvolgibili in un’eventuale eruzione….

In che modo si può migliorare la sorveglianza vulcanica dell’area flegrea?

La sorveglianza che viene fatta oggi è già a un ottimo livello. Quello che manca non è la sorveglianza ma la ricerca. La gente spesso sopravvaluta le nostre capacità di ‘sorvegliare’ un vulcano. Nel caso dei Campi Flegrei, ad esempio, bisogna tenere presente che non abbiamo mai misurato quello che accade prima di una eruzione.

L’unico modo per cercare di capire cosa potrà succedere e quali sono i processi in corso, è quello di assicurare una interazione tra il sistema di sorveglianza con delle ricerche scientifiche mirate. Penso che servono più cervelli che studiano il problema, piuttosto che ulteriori strumenti di monitoraggio del vulcano.

 
Strumentazione scientifica di monitoraggio - Vulcano Solfatara - Pozzuoli

L’Osservatorio Vesuviano sarebbe saggio che spostasse la collocazione dei suoi uffici e sala di monitoraggio nelle retrovie del fronte vulcanico? 

Secondo me sì. Sarebbe opportuno che la struttura che sorveglia e gestisce la rete dei sensori posti sul vulcano sia ubicata al di fuori di quelle zone che verrebbero evacuate qualora dovesse rendersi necessario diramare un allarme vulcanico….

Ringraziamo il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per averci illustrato con chiarezza la situazione attuale dei Campi Flegrei.

Il quadro complessivo che possiamo farci nelle conclusioni circa la situazione di pericolosità vulcanica esistente ai Campi Flegrei, è quello di una condizione complessiva che suggerisce grande attenzione ai processi magmatici che avvengono nel comprensorio terracqueo di Pozzuoli e per largo raggio. Qualche nodo scientifico incomincia a sciogliersi ma rimane una situazione molto complessa dettata anche dalla mancanza di comparazione scientifica con gli eventi eruttivi e pre eruttivi del passato.

Nei Campi Flegrei la popolazione esposta al pericolo vulcanico conta 550.000 abitanti. Nella caldera flegrea l’organizzazione della sicurezza dovrebbe avere precise strategie e idee molto chiare sul da farsi all’occorrenza. Non è sufficiente dare visibilità e risalto a chi rassicura oltre misura: le popolazioni non necessitano di massicce dosi di valeriana mediatica. Alle popolazioni bisogna assicurare il diritto all’informazione, perché la democrazia passa anche attraverso la conoscenza della realtà che ci circonda.

Alle incertezze della previsione vulcanica, si potrebbero contrapporre le certezze della prevenzione come metodo per mitigare le catastrofi: disciplina che nessuno persegue e che molti eludono. Mentre gli scienziati si confrontano con qualche distinguo sui temi vulcanici, la politica e le amministrazioni locali e nazionali sono invece concentrate sulle cubature cementizie da calare sulla ex spianata industriale di Bagnoli (Campi Flegrei), attraverso una cabina di regia che tutti reclamano. C’è pure chi appalesa in quest’area geologicamente attenzionata la possibilità di accedere all’affare energetico trivellando per il geotermico lì dove la crosta è più gonfia e satura di fluidi caldi…

La parola d’ordine allora è il business, in barba a tutti i gufi catastrofisti che pensano di vivere nell’epoca dei dinosauri coi vulcani  sbuffanti ed eruttanti…

venerdì 4 settembre 2015

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: bradisismo, magma e ricerca scientifica... di MalKo



Bordo occidentale Vulcano Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei

A leggere i resoconti delle situazione di rischio che caratterizzano nell’odierno i distretti vulcanici napoletani, per una serie di considerazioni i Campi Flegrei sono quelli che destano qualche preoccupazione in più. Lo dice lo stato di attenzione vulcanica a cui è sottoposta l’area calderica e principalmente la zona puteolana dove i valori geochimici e geofisici segnano mutamenti significativi e al rialzo.
Il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV – Osservatorio Vesuviano, in una interessantissima relazione chiarisce subito che i primi segnali di variazione dello stato di geo quiescenza dei Campi Flegrei si ebbero nel 2000 con una condizione di subsidenza dei suoli. Nel 2005 il fenomeno subisce un’inversione di tendenza e compare un bradisismo negativo che inizia a sollevare i terreni puteolani verso l’alto. L’area ad est della Solfatara comprendente i settori Pisciarelli e Scarfoglio, è sicuramente quella delle evidenze di questi cambiamenti con aumenti di temperatura e soprattutto di importanti emissioni di anidride carbonica dal sottosuolo.
Nel mese di Gennaio 2015 questa zona di degassamento emetteva circa 3000 tonnellate di anidride carbonica al giorno, collocandosi come sorgente naturale tra i primi dieci siti mondiali. Un valore che si registra di solito dai crateri attivi aggiunge Chiodini…
Il ricercatore conclude sottolineando che una eventuale trivellazione in questa zona sarebbe certamente una pratica che cozzerebbe frontalmente con il principio di precauzione, perché una tale portata di anidride carbonica a ridosso dei fabbricati non ha certamente bisogno di essere incrementata da interventi meccanici di fratturazione in un sottosuolo già ribollente e pregno di gas e vapori…

Con questa premessa introduciamo il recente studio a firma dei ricercatori dott. Luca D’Auria (INGV) e dott. Susi Pepe (CNR), che individuano in una sorta di iniezione magmatica il motivo del bradisismo flegreo, cioè l’innalzamento dei suoli, almeno nel periodo compreso da Gennaio 2012 a Giugno 2013. Secondo gli esperti, un filone di magma da una profondità di circa 8 chilometri, quota che localizza l’attuale ed estesa camera magmatica, si è diretto verso la superficie senza raggiungerla. Infatti, il magma in ascesa si è introdotto tra i vari strati crostali raggiungendo la quota di 3 chilometri per poi espandersi in senso orizzontale costituendo una sorta di lago magmatico sotterraneo (vedi disegno).
Schema (bozza) orientativo situazione del sottosuolo flegreo
La caldera vulcanica dei Campi Flegrei viene spesso citata quale sede di un super vulcano, tra l’altro dove dimorano migliaia e migliaia di persone. Una possibile eruzione potrebbe investire anche la città di Napoli, è questo spiega perché il sito è continuamente monitorato e genera apprensioni ad ogni piccolo mutamento.
Il Dott. Luca D’Auria, ricercatore dell’INGV, ha proprio la responsabilità della sala di monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano, ed ha condotto insieme a colleghi del CNR questa interessantissima ricerca che sembra fugare i dubbi circa l’origine del fenomeno bradisismico recente. Approfittiamo quindi di questa gentile disponibilità per approfondire l’argomento.

Dott. D’Auria, cosa hanno indicato i satelliti circa le deformazione del suolo ai Campi Flegrei?
Che tra il 2012 ed il 2013 all’interno dei Campi Flegrei c’è stato un aumento di volume di circa 4 milioni di metri cubi. Le nostre analisi hanno rivelato che questo incremento volumetrico è stato causato dall’espansione di una piccola camera magmatica superficiale, con una forma molto appiattita. Tecnicamente questo tipo di strutture geologiche è nota come sill.

E’ stata accertata l’intrusione magmatica all’origine del bradisismo recente? Esiste un punto d’iniezione preciso o la risalita del magma è diffusa seppur localizzata in una determinata zona flegrea?
Possiamo affermare che si tratta di magma anche attraverso il confronto con altre misure: ad esempio la composizione chimica delle fumarole. Dopo la crisi bradisismica del 1982-1984, anch’essa di origine prevalentemente magmatica, il movimento del suolo ai Campi Flegrei è stato causato essenzialmente dai fluidi idrotermali (acqua, gas e vapore) che permeano il sottosuolo calderico. Ogni volta che fluidi idrotermali vengono iniettati nelle rocce del sottosuolo flegreo, causano un piccolo sollevamento del suolo e, con mesi di ritardo, un cambiamento nella composizione chimica delle fumarole. In genere questi piccoli sollevamenti sono temporanei, perché il gas viene gradualmente disperso nell’atmosfera ed il suolo torna ad abbassarsi. Uno di questo episodi è accaduto ad esempio tra il 2006 ed il 2007.  Tra il 2012 ed il 2013, invece, il sollevamento del suolo non è stato seguito da importanti variazioni nella composizione delle fumarole e soprattutto il sollevamento è stato permanente. Tutte queste evidenze indicano abbastanza chiaramente che si è trattato principalmente di un’iniezione di magma.
Il punto da cui risale il magma è grossomodo localizzato al centro della caldera, ovvero al di sotto del Rione Terra a Pozzuoli. Quindi, arrivato a circa 3 chilometri di profondità, il magma ha smesso di salire e si è distribuito orizzontalmente in un raggio di pochi chilometri.

Rione Terra - Pozzuoli - Campi Flegrei
 Potremmo definire questa ascesa di magma una mancata eruzione?
E’ difficile rispondere a questa domanda. Ai Campi Flegrei, cosi come in altri vulcani simili, queste intrusioni superficiali di magma potrebbero essere molto più comuni delle eruzioni. Quindi, probabilmente è più corretto definire le eruzioni come “mancate intrusioni”.

I volumi di magma iniettati verso la superficie senza raggiungerla, sono inferiori a quelli che caratterizzarono l’eruzione del Monte Nuovo?
La quantità di magma iniettato (4 milioni di metri cubi) è piccola ma è dello stesso ordine di grandezza del magma emesso durante le eruzioni minori dei Campi Flegrei, come ad esempio quella di Monte Nuovo. C’è però da considerare che durante un’eruzione solo una piccola percentuale del magma presente nella camera magmatica viene effettivamente eruttata. Prima dell’eruzione di Monte Nuovo, infatti, il sollevamento del suolo ai Campi Flegrei fu molto rilevante, forse anche più di 10 metri.  Questo significa che l’iniezione di queste piccole quantità di magma, che tra l’altro si raffreddano e solidificano molto rapidamente, non dovrebbe essere particolarmente allarmante. Ogni episodio di sollevamento, comunque, viene attentamente seguito dai sistemi di monitoraggio.

Si ha l’impressione, anche valutando una serie di dati, che il processo ascendente del magma in questione, non abbia prodotto particolari dirompenze magari in termini di terremoti: è così?
Il processo fisico dell’intrusione del magma all’interno del sill è abbastanza “silenzioso”. Ciò non toglie che durante crisi violente, come quella bradisismica del 1982-84, la deformazione del suolo sia in grado da causare numerosi terremoti. Durante quella crisi, infatti, furono registrati ai Campi Flegrei circa 16000 terremoti, con magnitudo fino a 4. Nell’ultimo decennio, invece, ai Campi Flegrei ci sono in media solo un centinaio di piccoli terremoti ogni anno, con magnitudo sempre inferiori a 2.
Tuttavia, prima di una eventuale eruzione, il magma dovrà farsi strada attraverso circa 3 chilometri di rocce fragili. Sicuramente sarà un processo che non passerà inosservato e che consentirà di stimare l’avvicinarsi di una eventuale eruzione.

Il dato sismico fino a che punto può essere definito un precursore eruttivo in una zona calderica dove i sollevamenti si contano a metri e gli eventi sismici a migliaia in particolari periodi di crisi ad oggi sempre rientrate?
La previsione delle eruzioni, in particolar modo nelle caldere, si deve basare necessariamente sull’analisi contemporanea di diversi tipi di misure (terremoti, deformazioni, composizione chimica dei gas, etc…). Solo in questo modo è possibile avere una visione ragionevole di quello che accade all’interno del vulcano.
Inoltre, l’uso di tecniche di analisi avanzate, come quella che abbiamo recentemente proposto per i Campi Flegrei, aiuta a comprendere con maggiore chiarezza i processi che avvengono nel vulcano, e quindi a fornire uno strumento che non è solo di interesse scientifico, ma che può avere anche risvolti pratici in situazioni di emergenza.
Il vulcano Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei


Secondo le sue conoscenze e studi effettuati sull’argomento, cosa sta succedendo al di sotto dei Campi Flegrei? Le trivellazioni in area calderica sono pericolose soprattutto alla luce della Sua recente scoperta?
I Campi Flegrei attraversano una fase di irrequietezza che si protrae probabilmente sin dagli anni ’50 del secolo scorso. In questo periodo i Campi Flegrei hanno alternato periodi di tranquillità a fasi di rapido sollevamento del suolo, verosimilmente causati dall’iniezione di magma a profondità più superficiali.
La quantità di magma iniettato ogni volta è stata di piccola entità e si è quindi già solidificato. La mia opinione è che in questo momento non vi siano rilevanti quantità di magma fuso a profondità superficiali (circa 3 chilometri).
Purtroppo non possiamo prevedere quello che succederà nei prossimi anni o decenni. Quello che facciamo è monitorare costantemente il vulcano alla ricerca anche di piccoli segnali che indichino un cambiamento nella sua attività.
Per quanto riguarda le trivellazioni a scopo scientifico, personalmente non ritengo comportino rischi significativi. Diverse trivellazioni profonde effettuate nei decenni scorsi ai Campi Flegrei non hanno prodotto alcun effetto particolare. Una perforazione avente lo scopo di studiare la struttura del vulcano, in particolare nell’area del Golfo di Pozzuoli che è ancora poco conosciuta, sarebbe sicuramente di utilità anche per interpretare meglio eventuali segnali precursori di una possibile futura eruzione.

La previsione degli eventi simici a che punto è?
Sfortunatamente la previsione dei terremoti, nonostante decenni di studi, non ha prodotto ancora risultati che possano essere di utilità. Al contrario sono stati fatti grossi passi avanti nella mitigazione del rischio sismico. Oggi esistono, almeno per l’area italiana, delle mappe del rischio molto accurate anche se, purtroppo, raramente vengono prese in giusta considerazione da chi dovrebbe amministrare il territorio. Inoltre, nell’ultimo decennio, sono stati sviluppati sistemi di Early Warning sismico, che forniscono tempestivamente un allarme appena inizia un forte terremoto.
Diverso è il discorso per la previsione delle eruzioni che, negli ultimi tempi ha fatto enormi passi in avanti. La maggior parte delle eruzioni avvenute negli ultimi decenni sono state previste ed è stato possibile evacuare la popolazione a rischio. Rimane ancora molto da imparare, ma il rapido sviluppo delle tecnologie di monitoraggio (satellitari e terrestri) e l’avanzamento delle conoscenze scientifiche per la sorveglianza dei vulcani, procedono speditamente.

Esprimiamo un particolare ringraziamento al Dott. Luca D’Auria per la importante intervista che ci ha rilasciato, tra l’altro con una chiarezza ideale per la diffusione scientifica di argomenti che riguardano aspetti particolarmente complessi del nostro territorio vulcanico.