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giovedì 28 maggio 2015

Rischio Vesuvio:le eruzioni passano come le guerre...di MalKo

Vesuvio 

Il pericolo Vesuvio è un problema che può cagionare danni collaterali di tutto rispetto a una quantità di persone maggiore di quelle normalmente indicate nelle valutazioni ufficiali del rischio. Viceversa una possibile eruzione potrebbe produrre un gran botto senza nessuna conseguenza per gli abitanti allontanati per tempo grazie a una serie di congiunture favorevoli, come ad esempio un regolare crescendo dei prodromi eruttivi e un’infallibile previsione dell’evento contato a giorni sulle dita di almeno una mano. In attesa che le istituzioni competenti stilino e pubblichino i piani di evacuazione, bisogna notare che l’argomento tutele continua a essere al nervo della questione nei dibattiti di pochi. La popolazione vesuviana generalizzando ha un interesse superficiale su questi temi tra l’altro approcciati senza convinzione da una platea che gironzola su internet esclusivamente per vedere se la loro indifferenza è minacciata da qualche novità dell’ultima ora. In caso di percezione fisica del pericolo (terremoti), l’attenzione ovviamente diventerebbe immediatamente viscerale e profonda…

Non sono pochi i cittadini vesuviani che nei commenti alle pagine web rilasciano pillole di mistico fatalismo sul Vesuvio: <<A’ muntagna è buona e noi la rispettiamo e lei non ci farà  male...>>. Intanto non è vero che la rispettiamo perché in molti  angoli del grigio monte pezze e televisori sfondati coronano non poche superfici tra le macchie di robinie e ginestre odorose dove capeggia pure qualche orchidea. Senza contare le discariche non ufficiali che marciscono nei lapilli e quelle ufficiali che donano innaturali gobbe artificiali a un profilo vulcanico che racchiude alla base ricchezze archeologiche in parte ancora da svelare. Indubbiamente il Vesuvio è tra i vulcani il vulcano per antonomasia, quello più bello, ricco di storia e superbo protagonista dell’immagine iconografica del Golfo di Napoli. Come si fa a temere la bellezza…

Le eruzioni quando avvengono sono come le guerre: passano… Si contano i danni umani e materiali; disagi e ristrettezze e poi ricostruzione e rinascita secondo cicli che impongono la vita su tutto. Le eruzioni come sapete sono un prodotto naturale dei dinamismi astenosferici, con i loro movimenti lineari e ascendenti e discendenti all’interno del guscio litosferico, con zolle che trascinano continenti che emergono e altri ancora che affondano, perturbando un sistema che oltre certi limiti di tolleranza si riaggiusta rilasciando onde elastiche (terremoti) o spruzzi di magma (eruzione), col fine di ridurre le tensioni endogene, recuperando quindi una condizione di equilibrio isostatico e dinamico che in verità non dura molto.

I fenomeni naturali violenti muovono gli uomini come formiche all’interno di formicai stuzzicati da bastoni. Si generano nelle catastrofi frenesie che favoriscono in ogni uomo il rilascio di sentimenti che possono essere il meglio o il peggio dell’animo umano. Benefattori e sciacalli si muovono sullo stesso terreno, in una condizione che vede nella povertà un aggravante della tragedia e nella ricchezza un lenitivo alla sofferenza.

Noi siamo il prodotto di un attecchimento che si è avuto grazie ai tre elementi fondamentali che ci circondano e che ci hanno animato: aria, acqua e suolo. Elementi che dovremmo curare e che invece consumiamo e modifichiamo a un ritmo troppo sostenuto, in nome del progresso e del business operato dalla longa manus degli speculatori che  metteranno molto presto in azione le trivelle addirittura nelle coltri di ghiaccio polare…

Se ben riflettiamo, noi viviamo nel punto esatto dove aria, acqua e suolo, elementi a diversa densità, si muovono interagendo a volte violentemente grazie alle energie che provengono dal calore terrestre e solare.  Elementi capaci di rilasciare grandi forze quando se ne alterano gli equilibri, capaci di produrre come conseguenza modificazioni del clima e del paesaggio. Processi che non sono altro che una risposta operativa della stessa natura, che dobbiamo intenderla come un sistema autosufficiente che punta a un solo obiettivo: garantire la vita ovunque e comunque e senza alcun riconoscimento e sconto per il genere umano.

Noi stessi siamo animati da energia e quindi campiamo tra elementi energetici. Le catastrofi non hanno niente di punitivo e svolgono un ruolo esclusivamente riequilibrante con tempi talora brevissimi e altre volte millenari. Quelle che noi chiamiamo catastrofi sono la normalità per un sistema in evoluzione… Come ideogramma potremmo dire che ogni catastrofe altro non è che il piombo preformato che il gommista pone sui lati della ruota da riequilibrare che gira incessantemente  …

Anche se non ce ne rendiamo conto, il nostro vivere è un rischio e quindi si accettano compromessi di buon senso con la natura in nome della radicazione sociale sul territorio. La politica dovrebbe essere l’arte di comprendere i bisogni sociali e tutti i fenomeni che regolano la vita sul Pianeta, con una particolare propensione e interesse al futuro, che dovrebbe essere l’argomento più importante dell’umanità. La politica dovrebbe tenere in evidenza la necessità di custodire i tre elementi fondamentali prima citati e di cui abbiamo necessariamente bisogno: d'altra parte lo scenario ambientale sarà il nostro lascito alle generazioni future. L’agire di un politico si misura quindi su quanta parte del suo sapere e della sua azione preventiva e programmatrice e strategica riserverà al futuro, che non può essere solo money e banche e business. Senza futuro noi non siamo niente…

Le ipocrisie che si nascondono dietro agli inviti a non allarmare le popolazioni a rischio, in realtà ledono il diritto all’informazione e al consenso informato sulle caratteristiche del territorio dove si vive, quale atto di civiltà verso ogni cittadino che risiede nella nostra Penisola quale titolare dell’imprescindibile diritto alla sicurezza.

Una recente interrogazione parlamentare, prima firmataria senatrice Paola De Pin, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini, pone in evidenza interrogativi di non poco conto circa gli accordi con clausole di esclusività a proposito di alcuni servizi offerti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) al Dipartimento della Protezione Civile. Ed ancora, si chiede nell’atto parlamentare cofirmato anche dall’esponente del Pd Senatrice Laura Puppato, i motivi alla base di provvedimenti disciplinari giunti fino alla decurtazione dello stipendio in danno del Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV). Vorremmo escludere tra le motivazioni della multa quelle inerenti la pubblicazione su autorevoli riviste scientifiche, tradotte in più lingue, di teorie non in linea con quelle dell’istituto di appartenenza (INGV) a proposito del rischio Vesuvio. In tal caso la libertà di ricerca sarebbe gravemente compromessa.

Vogliamo far rilevare ancora una volta, che nella determinazione degli scenari eruttivi il Dipartimento della Protezione Civile ha completamente obliato la possibilità che possa verificarsi un’eruzione del Vesuvio di tipo VEI 5 simile a quella famosa di Pompei del 79 d.C.; ed ancora è stata assunto innaturalmente un limite di deposito da flussi piroclastici (Linea Gurioli) come limite di pericolo; ed ancora non è stata tranciata quella spirale contorta che vede l'edilizia continuamente in fiore in barba a qualsiasi regola di buon senso con lo Stato che addirittura è esso stesso produttore di rischio per non aver esercitato politiche di precauzione in questa plaga a rischio. Non si capisce poi, perché in tanti anni (ventennio), nonostante le discrete risorse impegnate non si sia prodotta alcuna pianificazione d’evacuazione, mentre è stata data enfasi all’ipocrisia degli aggiornamenti e  delle rimodulazioni degli scenari. Dulcis in fundo, il segreto di Stato sui dati geofisici e geochimici del Vesuvio...

Il politico non ha il dono del sapere in assoluto e deve quindi avere a disposizione anche le istituzioni scientifiche che hanno il dovere di illustrare i problemi del vivere fisico su di un mondo dinamico, con una particolare attenzione alla prevenzione delle catastrofi e agli indici di rischio accettabile in assenza di alternative. Le istituzioni però, devono essere luoghi aperti alla politica e ai popoli in pari misura, senza omissioni e senza raccordi eccessivi con i poteri forti che amano l’attualità e il breve periodo piuttosto che gli investimenti sul futuro. Se la scienza diventa ipovedente e smette di essere imparziale, parteciperebbe anche col solo non aprir bocca, alle possibili arroganze di un sistema di comando sociale, che potrebbe decidere in nome di interessi vari, chi deve vivere e chi no. 


venerdì 15 agosto 2014

Rischio Vesuvio: l'editoriale di MalKo.



RISCHIO VESUVIO
C'è il pericolo di una nuova eruzione?
Siamo preparati ad affrontarla?
L'editoriale di MalKo...

Attenti al Vesuvio.
Non siamo pronti per un’eruzione e fortunatamente neanche il Vesuvio lo è stato fino a oggi...  Quanti lo sanno?

Nel 2011 katherine Barnes su Nature definì il Vesuvio una bomba ad orologeria. A distanza di un paio di anni è toccato al vulcanologo giapponese Nakada Setsuya riproporre la questione a margine di un seminario sui geoparchi nel Cilento. Periodicamente gli organi di stampa amplificano o minimizzano il grido di allarme degli esperti sul pericolo Vesuvio e sulla possibilità che possa produrre improvvisamente un’eruzione esplosiva devastante. Ogni allarme è accompagnato dalla ferrea certezza che non siamo preparati a una simile evenienza o anche che lo siamo. Affermazioni differenti che dipendono molto dalla testata giornalistica o dal giornalista e soprattutto se il problema è affrontato da un punto di vista scientifico o tecnico.

Dal dopoguerra a oggi, dopo l’eruzione del 1944, i paesi vesuviani sono stati protagonisti e complici di uno scempio urbanistico senza precedenti, regalandoci un sacco edilizio da guinness dei  primati con Portici e San Giorgio a Cremano che vantano densità abitative da metropoli asiatiche, con oltre 12.000 abitanti per chilometro quadrato.  Altro che bomba... A voler compilare una lista delle scelleratezze compiute in questi ultimi 70 anni di pace vulcanica, rischiamo di mettere insieme più pagine dell’elenco telefonico.
Piuttosto è vero che siamo così impreparati a un’eruzione? Sì! Molto di più di quanto si possa immaginare... Il Vesuvio fortunatamente è uno dei vulcani più monitorati al mondo insieme al Mauna Kea e al monte Fuji. Il possibile risveglio di questi ultimi due è argomento trattato di recente ma senza l’enfasi riservata al nostro Vesuvio. Forse perché questi vulcani d’0ltre oceano non hanno al loro attivo il “merito” di aver sepolto con una sola eruzione intere città come Pompei ed Ercolano al punto da cancellarle per secoli dalle carte geografiche.

A differenza dei terremoti le eruzioni vulcaniche potrebbero essere prevedibili, almeno entro certi limiti (previsione corta del fenomeno), senza nessuna certezza matematica assoluta. Comunque non è possibile  quantificare in anticipo l’intensità eruttiva. Se il Vesuvio dovesse eruttare, avremmo il tempo di limitare i danni ma difficilmente di azzerarli per le incognite che caratterizzano una calca disorientata e in fuga.
Sì, ma i piani di emergenza? Ci sono! Riguardano prevalentemente la parte scientifica con scenari eruttivi e livelli di allerta. E’ anche prevista l’organizzazione della catena di comando e le fasi operative. Un contributo decisivo è stato dato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dal Dipartimento della Protezione Civile e dalla Regione Campania che negli ultimi anni è stata maggiormente investita dalle problematiche di quello che è un piano nazionale, e che vede quindi nel dipartimento di Franco Gabrielli l’autorità centrale (D.L. 225/1992) di riferimento. I comuni non hanno contribuito fino ad oggi alla stesura del piano d’emergenza perché esula dalle loro dirette competenze. Ai comuni toccherà invece l’arduo compito della redazione dei piani di evacuazione, quando il comitato operativo della protezione civile avrà finalmente varato la strategia operativa di allontanamento, che al momento è ondivaga, e si basa su numeri e ipotesi  per niente  convincenti. Vedremo...

L’ex presidente del consiglio Enrico Letta ha firmato il 14 febbraio 2014 non il nuovo piano d’emergenza nazionale Vesuvio, ma gli aggiornamenti sulle aree da evacuare e i gemellaggi comuni - regioni per l'accoglienza delle popolazioni. Inoltre, nella direttiva in questione, si stabilisce anche la necessità di fornire, a cura del capo dipartimento, indicazioni alle strutture operative per l'aggiornamento dei rispettivi piani d'emergenza.

La popolazione vesuviana interessata dal piano Vesuvio ammonta a circa  700.000 mila persone dimoranti in 25 comuni prevalentemente del napoletano e uno solo del salernitano (Scafati). L’evacuazione dovrà avvenire in caso di necessità entro tre giorni (72 ore) dall'allarme.
Ultimamente la scena dell'informazione è stata occupata dalle polemiche per un ospedale chiamato del mare progettato incredibilmente nella zona rossa, e che in caso di necessità assorbirà soccorritori e mezzi piuttosto che erogare servizi di prima necessità. E poi è stata battuta grancassa sulla mappa che identifica la nuova zona rossa Vesuvio. Contrariamente a quanto si afferma su qualche rivista, l'informazione in questo caso è stata capillare, ma l'interesse suscitato molto basso. Probabilmente  meritava tutta la pubblicità del caso la parte assurda che è sfuggita a molti commentatori dell'attualità, consistente nella possibilità per alcuni comuni della zona rossa di concedere licenze edilizie in barba al decreto regionale 21 del 2003 di inedificabilità assoluta nelle aree a maggior rischio vulcanico. Decreto intanto pure “lesionato” dalla spallata (31 luglio 2014) offerta dall'approvazione in consiglio regionale Campania del maxi emendamento che riapre condoni e ristrutturazioni fortificanti con ampliamento volumetrico e sottotetti termici finanche  in zona rossa...


La pubblicità alla cartina della nuova zona rossa andava fatta e, infatti, è stata assicurata come notizia da tutti i giornali e dal web. L'enfasi data alla novità ci è sembrata fumo negli occhi per garantire agli inadempienti del piano di evacuazione una sorta di giustifica (alibi) per tentare di pianificare usando a sproposito il termine aggiornamento. L’aggiornamento c’è stato ma solo della superficie a rischio e non dei piani di evacuazione che sono tuttora inesistenti.  Le prove di evacuazione andranno fatte ma solo quando sarà stata varata una concreta strategia operativa, in modo da offrire ai comuni maggiormente volenterosi la possibilità di produrre uno straccio di piano da testare, da pubblicare online e poi da consegnare sotto forma di vademecum a ogni cittadino amministrato.


A dirla tutta, la mappa contenente i percorsi d’evacuazione dalla zona rossa andrebbe affissa nelle classi scolastiche di ogni ordine e grado di fianco a quella obbligatoria d'istituto. Perché prima o poi un’eruzione ci sarà e dobbiamo limitare i danni senza dar colpa a una mancata informazione.  Ed ancora si faccia autocritica e si ammetta che nel vesuviano si è un tantino distratti e indifferenti alle problematiche connesse al rischio Vesuvio, e se le istituzioni risultano  ancora inadempienti, molta responsabilità è addossabile proprio ai cittadini, con l’unica attenuante che non hanno avuto buoni esempi da seguire, con amministrazioni locali un po' schizofreniche che non predicano neanche e razzolano invece malissimo.
Bisogna poi dire che la carta stampata  a volte allarma, celebra o edulcora, in una misura  tale da suscitare  probabilmente disorientamento, favorendo così quella disattenzione e indifferenza richiamata da Marco Cattaneo nell'editoriale della rivista Le Scienze.

giovedì 26 giugno 2014

Rischio Vesuvio: abusi e priorità...di Malko



Rischio Vesuvio e la catena delle priorità… di MalKo

L’argomento Vesuvio col suo carico di rischio e di bellezza naturale, rappresenta purtroppo anche un crocevia di interessi che non lascia molto spazio alle garanzie di sicurezza che dovrebbero essere un importante traguardo sociale da appagare e da riconoscere ad ogni singolo cittadino della repubblica. Lo dice pure la carta dei diritti dell’uomo… Dovrebbe essere così, ma non è così! La sicurezza è un argomento rosicchiato dal malessere quotidiano che ha il sopravvento in termini di priorità su altre cose. In queste contrade il pericolo eruttivo è il più delle volte traccheggiato dalle maestranze locali, che rimandano sempre a responsabilità primitive l’incredibile connubio che si è concretato tra la conurbazione e il focoso monte; una miscela esplosiva definita dai media internazionali come la vera bomba a orologeria d’Europa.
La politica qui non parla di pericoli: ha bisogno solo di voti. Il business invece, ingurgita cemento e mattoni vomitando case abusive invisibili alle istituzioni, come gli stealth ai radar di sorveglianza.

I convegni che si organizzano sul rischio Vesuvio sono veramente tanti al punto che conosciamo tutti i forse possibili a proposito della previsione. Dei piani d’evacuazione invece, non sappiamo un bel niente, eppure molti giurano che esistono, secondo una sorta di postilla contrattuale che prevede di rassicurare a prescindere per non allarmare. Come se bastasse questo modus operandi per esorcizzare il pericolo...

La cattiva politica locale inquinata da influssi nazionali, ha prodotto un raccolto di mala amministrazione e pessima gestione del territorio, dove insani intrecci hanno generato anche l’onta delle discariche d’immondizia all’interno del declamato Parco Vesuvio. Chi capitanò l’interramento dei rifiuti in realtà non aveva una grande considerazione del popolo vesuviano; blaterò, infatti, che un’eruzione non sarebbe stata una grande disgrazia
In nome non si capisce bene di quale sviluppo ristoratore, hanno poi consentito ai bus turistici di transitare all’interno della riserva forestale di protezione integrale Tirone  Alto Vesuvio, un’oasi nell’oasi, facendo impazzire quei pochi animali che ancora esistono e resistono alla spinta antropica, e i sismografi di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano, che segnalano isterici tracciati ad ogni transito dei pesanti furgonati quattro per quattro. La funivia tanto vituperata sarebbe stata certamente più silenziosa, meno invasiva e meno inquinante. Si riprenda allora il progetto bocciato in nome dell’ambiente per riproporlo in nome dell’ambiente…

Nonostante stazioni e tenenze e garitte e comandi e volanti, sono state costruite migliaia di costruzioni abusive nella zona rossa Vesuvio, i cui proprietari oggi reclamano l’impunità e il diritto ad esistere perché le case non sono state sigillate sul nascere dalla legge.  La legge… polifemica ma con un occhio solo, che non si avvede neanche di una villa da seicento metri quadri su due livelli, costruita abusivamente con tanto di strada tra gli alberi di quella natura che tutti dicono di voler difendere.

La politica locale intanto, pressata dai cosiddetti cementificatori di necessità e indigenti con le ruspe alle porte, per salvare il salvabile ha scritto alla politica nazionale che ha trovato la salomonica soluzione del limbo amministrativo per le costruzioni abusive. L’espediente che sa di scientifico, prevede la scaletta delle priorità d’abbattimento… prima quelle pericolanti; poi quelle allo stato rustico; poi quelle utilizzate per scopi criminali e affini; poi quelle a rilevante impatto ambientale; poi quelle a utilizzo turistico o similare; poi quelle utilizzate come seconda dimora; poi quelle costruite per attività produttive; poi le case di coloro che hanno nella disponibilità personale altre case dove andare; poi altri immobili a vario titolo e classificazione diverse dal bisogno, e solo dopo e in ultimo, potranno abbattersi le case abusive realizzate da nuclei familiari che non hanno altro tetto sotto cui ripararsi, e dulcis in fundo, se è rimasto qualche spicciolo, ci saranno da abbattere le abitazioni degli indigenti. I fondi disponibili annualmente per il ripristino della legalità e dello stato dei luoghi reggono il confronto con la famosa conchiglia per svuotare il mare. Secoli…che poi sono proprio quelli necessari per concatenare gli eventi che portano alle catastrofi da cigno nero.

Nella zona vesuviana c’è sempre stato il controsenso del piano d’emergenza che aspetta che si completino alcuni grandi opere come la terza corsia sulla Napoli Salerno e la doppia corsia sulla statale vesuviana 268, di là da venire… In una realtà sana dove la vita umana ha un valore altissimo, si sarebbero dovuto registrare filosofie inverse, cioè uno sviluppo che doveva adeguarsi alle esigenze dei piani d’emergenza e d’evacuazione, perché la prima regola in una società di diritto è quella della protezione di bambini, donne e uomini, tanto per rimanere nel campo delle priorità.
Che non ci sia un granché d’interesse per la pianificazione delle emergenze in area vulcanica lo dimostrano i fatti. E ancora lo dovrebbe dire la corte europea di Strasburgo  sui diritti dell’uomo, che dovrà pronunciarsi sulla bontà delle misure di tutela adottate nel vesuviano. Aspettiamo le risultanze…
La pioggerellina di soldi europei stanziati per la stesura dei piani comunali, state pur certi saranno utilizzati per mettere insieme una dissertazione scientifica sulle eruzioni passate e future, un glossario di termini e un database di provviste e esercizi commerciali da utilizzare all’occorrenza. O ancora una lista di materiale da comprare per farne dotazione ai volontari di protezione civile che sono la foglia di fico dietro di cui si nascondono molte amministrazioni comunali inconcludenti.

Ritornando al problema degli abusi edilizi, riteniamo che l’enormità del fenomeno renda la strada degli abbattimenti difficilmente perseguibile, anche perché i cittadini sfollati alla fine orbiterebbero comunque nel vesuviano senza ridurre il valore esposto che rimane tale. D’altra parte non è possibile neanche far passare indenne le malefatte cementizie perché lo Stato ne uscirebbe a pezzi. La necessità non può essere una regola. Deve essere un’eccezione, e le eccezioni non si possono contare a centomila.
Occorre quindi, qualora si scelga la strada del salvataggio, che su tali abitazioni si imponga forte la clausola dell’invendibilità, che deve essere interpretata anche come assunzione di responsabilità diretta del proprietario all’esposizione a un pericolo grave e sancito che non può essere in alcun modo ceduto ad altri.
Bisognerà poi instaurare la clausola della destituzione del sindaco e lo scioglimento dei consigli comunali che non reprimono sul nascere il fenomeno dell’abusivismo edilizio, che va circostanziato da relazioni annuali a cura del comandante della Polizia Municipale e del capo dell’ufficio tecnico, che devono essere titolari dell’osservatorio locale sull’abusivismo. Documenti ovviamente controfirmati dal sindaco quale autorità comunale.

Diversamente, se si ritiene necessario abbattere i manufatti fuorilegge, la priorità la dovrà dare la classificazione della zona dove sorgono i fabbricati recuperando e adattando la cronologia di schedatura iniziale. In questo caso le autorità giudiziarie cui deve rimanere assolutamente la gestione dell’abusivismo edilizio in senso penale, dovrebbero discriminare e reprimere gli abusi perpetrati innanzitutto in zona rossa 1 (R1), che è poi quella più pericolosa delimitata dalla linea nera Gurioli.
La materia è complessa e dobbiamo necessariamente riparlarne…



domenica 23 febbraio 2014

Rischio Vesuvio:i comuni della zona rossa e i gemellaggi con le regioni...di Malko


Arbusto prospiciente la Valle dell'Inferno (Vesuvio) e sullo sfondo l'orlo calderico del Mt. Somma



Rischio Vesuvio: il film Pompeii e i gemellaggi comuni-regioni innescano ansie nella zona rossa” di MalKo

Il governo Letta prima di chiudere i battenti ha firmato gli atti necessari per rendere operativi i gemellaggi tra i venticinque comuni della zona rossa Vesuvio con le Regioni italiane. In caso di necessità, infatti, i circa settecentomila abitanti del vesuviano dovranno essere ospitati dalle diciannove Regioni chiamate in causa da un atto di solidarietà che, probabilmente,dovrà essere foraggiato dallo Stato centrale.
La novità, in effetti, consiste nella firma del decreto e non nei gemellaggi che sono una vecchia argomentazione operativa. Ricordiamo ad esempio che nel 2001 il comune di Portici concepì l’esercitazione di protezione civile (Vesuvio 2001) consistente in una simulazione di evacuazione a fronte appunto del rischio vulcanico.
Si testarono in quell’occasione tutte le vie di allontanamento compreso quella ferroviaria e autostradale per raggiungere il comune di Bellaria, in Emilia Romagna. Infatti, era quella la Regione gemellata con Portici. Oggi hanno scelto il Piemonte: in tutti i casi l’associazione nazionale dei comuni (ANCI) ha chiesto di conoscere le logiche che hanno caratterizzato gli attuali abbinamenti comuni-regioni.
L’esercitazione di Portici tenutasi nel 2001 fu molto formativa e interessante e ricca di aneddoti. Il treno che doveva arrivare alle nove nella stazione di Portici, arrivò con circa un’ora di ritardo perché a Torre Annunziata, luogo di sosta notturna del convoglio, all’ispezione mattutina furono scoperte un certo numero di persone senza fissa dimora che stanziavano nei vagoni. Costoro dormivano placidamente negli scompartimenti con tutte le loro cose sparpagliate in gran disordine sui sedili. Nella ridente cittadina di Bellaria poi, si costatò, e solo all’arrivo, che il treno era più lungo della banchina di stazione…

Ritornando all’odierno, se gli allarmismi che si registrano in giro circa la possibilità di una prossima eruzione del Vesuvio sono frutto degli accordi sui gemellaggi appena sanciti, si risparmino pure ansie: l’argomento gemellaggi è decisamente vecchio e non è scaturito da allarme geologico. Per quanto riguarda il film Pompei, gustatevelo, soprattutto per il romantico finale senza lavorare di fantasia. Un accostamento lo si potrebbe fare tra film e realtà soprattutto per la parte politica relativa alla voglia di cemento...
Come successe con il terremoto dell’Aquila, occorre però, e ancora una volta ricordare, che una possibile eruzione non può essere predetta con largo anticipo (pena falsi allarmi) e neanche può essere esclusa. Gli esperti intanto prevedono di prevedere la risalita del fuoco astenosferico dal profondo in tempi comunque utili. Anche questa teoria o affermazione è un po’ vacua, perché per sostenere il concetto di tempo utile, è necessario conoscere prima i tempi d’evacuazione occorrenti ai settecentomila abitanti del vesuviano, soprattutto per darsela a gambe levate da quel misurato e affollato contesto territoriale litoraneo, stretto tra mare e monte e ricadente per intero nella  zona nera Gurioli.  
Oggi, la nuova zona rossa, quella da evacuare all’occorrenza, comprende l’area sotto riportata: come si vede i soli comuni di Nola e Napoli e Pomigliano d’Arco hanno ricevuto uno “sconto” sulla quantità di territorio soggetto ad evacuazione preventiva completa.
Ultima (?) riperimetrazione della zona rossa Vesuvio

La nostra impressione è che ci sia sempre qualche piccola furberia che regola la prevenzione in area vesuviana. Ad esempio, il territorio di Poggiomarino alla fine è stato deciso che dovrà essere evacuato in toto in caso di allarme: le statistiche, come anche per Scafati, gli sono sfavorevoli per quanto riguarda la pioggia di piroclastiti (cenere e lapilli). Buona parte dello stesso territorio non è sottoposto però ai limiti previsti dalla legge regionale 21/2003, per intenderci, quella che non consente più di edificare in termini residenziali. In altre parole, Poggiomarino non ha limiti nell’edilizia pur permanendo in zona rossa. A dire il vero non si capisce un granché…qualcosa non quadra. Dovremmo chiedere lumi all’assessore regionale Professor Edoardo Cosenza o al Dipartimento della Protezione Civile che sembra abbia ratificato il tutto.
La nostra teoria è che finché non si confeziona e si vara il piano di evacuazione della zona rossa Vesuvio, tutti i piani di fabbrica dovrebbero essere sospesi. Il baricentro dell’edilizia nel frattempo dovrebbe essere spostato sulle opere di pubblica utilità e sulle arterie stradali da farsi soprattutto in senso radiale al vulcano, senza narcotizzare la pubblica opinione con la sola strada statale 268 che non è per niente la risoluzione di tutti i problemi di viabilità evacuativa del vesuviano. Vorremmo poi capire quali sono i limiti dei 100 Km2 della zona blu: nessuno ne parla se non con propositi futuri. Eppure in questa zona gli scenari previsti avvertono che nella conca di Nola si debbano prevedere, soprattutto in seno ad eruzioni esplosive (portatrici d’acqua e di cenere impermeabilizzante), importanti fenomeni di alluvionamento. Durante l’eruzione del 1631 (EMA), infatti, i paesi di Marigliano e Cicciano furono sommersi da circa 2-3 metri d’acqua con fenomeni di dilagamento che cagionarono numerose vittime.
Prima di mettere mano a qualsiasi decisione operativa, dovremmo incominciare a lavorare di prevenzione, senza macchiavellismi e tour comunali a cura della Regione Campania per assicurare ai sindaci e non solo a quelli, che tutto sommato qualche pietra si può ancora mettere. Che ipocrisia…

TAVOLA DEI GEMELLAGGI COMUNI-REGIONI



BOSCOREALE
CALABRIA
BOSCOTRECASE
BASILICATA
CERCOLA
LIGURIA
ENCLAVE POMIGLIANO D’ARCO
VENETO
ERCOLANO
EMILIA ROMAGNA
MASSA DI SOMMA
MOLISE
NAPOLI - BARRA
LAZIO
NAPOLI - PONTICELLI
LAZIO
NAPOLI - SAN GIOVANNI A TEDUCCIO
LAZIO
NOLA
VALLE D’AOSTA
OTTAVIANO
LAZIO
PALMA CAMPANIA
FRIULI VENEZIA GIULIA
POGGIOMARINO
MARCHE
POLLENA TROCCHIA
TRENTINO ALTO ADIGE
POMPEI
SARDEGNA
PORTICI
PIEMONTE
S. GENNARO VESUVIANO
UMBRIA
S. GIUSEPPE VESUVIANO
VENETO
SAN GIORGIO A CREMANO
TOSCANA
SAN SEBASTIANO AL VESUVIO
PUGLIA
SANT’ANASTASIA
VENETO
SCAFATI
SICILIA
SOMMA VESUVIANA
LOMBARDIA
TERZIGNO
ABRUZZO
TORRE ANNUNZIATA
PUGLIA
TORRE DEL GRECO
LOMBARDIA
TRECASE
SICILIA

martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio: work in progress... di Malko



Il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) ha reso noto i territori dell’area vesuviana che potrebbero essere colpiti dagli effetti più deleteri di un’eruzione esplosiva dell’arcinoto Vesuvio. In tal caso sono state definite delle aree che abbiamo schematizzato concettualmente nel disegno di figura 1.
Zona nera (R1) : Interessa la parte montana e pedemontana del Vesuvio con un limite verso il basso segnato sulle mappe ufficiali da una linea nera asimmetrica (black line). In questa zona il pericolo maggiore è dettato dai flussi piroclastici che potrebbero interessare qualsiasi versante del vulcano. Entro tale circonferenza, oltre alle nubi ardenti il pericolo potrebbe provenire anche dalla copiosa caduta di cenere, lapilli e bombe vulcaniche.
Zona rossa (R2): in quest’area la pioggia di materiale piroclastico potrebbe assumere intensità tale da costituire comunque un problema per le persone e per la statica delle coperture in piano dei palazzi, che potrebbero sprofondare sotto il peso di cenere e lapillo. Gli accumuli dei prodotti eruttati renderebbe i fabbricati più vulnerabili anche alle scosse sismiche che, probabilmente, accompagnerebbero le fenomenologie vulcaniche durante le varie fasi parossistiche.



nuovi scenari pubblicati dal dipartimento della protezione civile, contengono alcune note per consentire ai comuni di fresca nomina (Scafati, Poggiomarino, Nola, San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Pomigliano d’Arco e Napoli con i quartieri di Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio), di modificare il tracciato della linea rossa portandola a ridosso della linea nera.
Per operare in tal senso, i comuni indicati dovranno dimostrare che i tetti sono stati rinforzati e possono reggere al sovrappeso dei prodotti piroclastici, e ancora che sono stati predisposti piani zonali intercomunali di evacuazione (???). I sindaci interessati dovranno quindi dimostrare carte (calcoli) alla mano, il requisito di resistenza statica delle coperture, e non il <<basta la parola!>> come recitava una famosa e storica propaganda del “Carosello” televisivo.
Il comune di Poggiomarino evidentemente questi calcoli li ha già fatti. Infatti, qualche giorno fa ha licenziato un documento contenente la nuova perimetrazione. Il consiglio comunale all’unanimità ha proposto di spostare i confini della zona rossa ai limiti della linea nera. Gli amministratori poggiomarinesi hanno varato la loro idea di demarcazione, precisando che hanno dovuto lavorare non poco per estrapolare quanta più terra possibile dalla tenaglia della legge regionale 21 del 2003, che proibisce l’edificazione residenziale nella zona rossa e nera. Il risultato è stato ottenuto non sposando la tesi di assumere strade e canali come cippi di confine, ma molto più proficuamente con i segmenti delle particelle catastali… si è operato al metro se non al centimetro insomma.
Per capire in pratica cosa significa l’addossamento della linea rossa alla black line, dobbiamo tener conto che, se tutti i comuni della zona rossa (R1 – R2) applicassero il modello Poggiomarino, nella figura 1 scomparirebbe la zona rossa (R2) e rimarrebbe solo quella nera, blu e una gialla; quest’ultima molto più vasta, ma svincolata dai disposti di assoluta inedificabilità residenziale.
La Zona gialla è da ridefinire completamente anche sulla scorta del rimodellamento perimetrale della linea rossa tuttora in corso. Il settore ha un indice di pericolosità non valutabile puntualmente e a priori, perché legato alla caduta di materiale piroclastico un po’ più leggero rispetto alle zone interne (nera e rossa). Il pericolo maggiore in questo caso sarebbe a carico degli agglomerati urbani posti sottovento e in linea col centro eruttivo e con la direzione dei refoli. La fig. 2 rende bene l’idea. E’ ovvio poi, che l’ellisse gialla sarà proporzionalmente più allungata e più stretta in ragione dell’intensità del vento. Un effetto similare ma più contenuto si riscontrerebbe pure nella zona rossa per i proietti più piccoli espulsi dal vulcano. In caso di eruzione possono riscontrarsi sostanziali variazioni della protuberanza gialla, il cui orientamento sarà dettato dalla direzione di provenienza dei venti stratosferici dominanti. Statisticamente però, pare che questi il più delle volte provengono da occidente. Nulla cambierebbe invece per le zone nera e rossa che mantengono intattoil loro indice di massima pericolosità, a prescindere dai fattori esterni all’area… escamotage amministrativi compresi.

La Zona blu è legata in termini di pericolosità alle curve di livello del terreno. Le copiose acque piovane che caratterizzano spesso le eruzioni, scorrerebbero in direzione della Conca di Nola allagandola. Problemi anche molto seri si riscontrerebbero in modo direttamente proporzionale alla quantità d’acqua che precipiterebbe e si riverserebbe dai rilievi circostanti, e dai suoli la cui permeabilità potrebbe essere compromessa dall’effetto sigillante delle ceneri sottili asperse dal vulcano. La zona blu non dovrebbe subire modifiche particolari per il futuro, se non alla luce d’importanti opere artificiali di drenaggio delle acque superficiali.

Il Dipartimento della Protezione Civile, sulla scorta del parere favorevole della commissione grandi rischi (CGR), ha ritenuto il lavoro della ricercatrice Lucia Gurioli valido per la definizione della zona rossa 1, adottando la black line ivi riportata sulla carta a tema, per delimitare l’area (nera) a maggior pericolo.
Fra un po’ di tempo,comuni permettendo, avremo un quadro preciso delle zone su cui potrebbero abbattersi gli effetti dirompenti di un’eruzione sub pliniana, che è quella massima attesa (E.M.A.) e assunta come intensità di riferimento dagli esperti.
Stabilito l’evento eruttivo da tenere in debito conto e le aree a differente pericolosità, bisognerà poi modulare la strategia operativa e poi quella organizzativa e poi attendere che i 25 comuni dell’area rossa elaborino i loro piani di evacuazione che, messi insieme come un enorme puzzle, daranno origine a un unicum che si chiamerà piano d’emergenza Vesuvio, contenente in allegato e in primogenitura il piano d’evacuazione areale.
Indi, a ogni singola famiglia del vesuviano dovrà essere consegnato un vademecum contenente poche note introduttive e organizzative del piano, per dare spazio alle istruzioni sui modi di sfollamento, arricchite da cartine con i percorsi da impegnare all’occorrenza, in ragione dei vettori pubblici o privati previsti o disponibili. Anni di lavoro…
Stampa e televisioni solo di recente e in assenza <<del rischio di querela per procurato allarme>>, hanno un po’ invertito la tendenza ottimistica sul problema Vesuvio, iniziando a profferire timidamente parole come piano d’emergenza sottostimato. In realtà, e come più volte è stato scritto, la bozza di piano esistente come anche l’attuale revisione degli scenari, non tratta in alcun modo i “sentieri” da percorrere per mettersi in salvo. Quindi, questo famoso piano Vesuvio in passato iperpubblicizzato, in termini di salvaguardia non è inadeguato, bensì semplicemente inesistente… Confondere le due cose non aiuta a inquadrare i due problemi che sono scientifici per gli aspetti attinenti gli scenari eruttivi e i livelli di allarme, e tecnici per quanto riguarda i piani d’evacuazione. Però, giacché la scienza, quella di ogni ordine e grado,dipartimentale, istituzionale e universitaria, asserisce in modo sostanzialmente concordante che non è possibile prevedere quando un’eruzione accadrà e di che tipo sarà, le istituzioni che hanno competenze per il soccorso tecnico urgente, dovranno ad un certo punto prendere atto di questo limite, uscendo dall’empasse in cui si trovano, e muoversi anche con motu proprio per mettere in campo tutte le iniziative possibili a tutela della distratta popolazione vesuviana.
L’organizzazione operativa dei soccorsi dovrà evolversi: occorre un salto di qualità, perché altrimenti i Vigili del Fuoco corrono il rischio d’intervenire alla cieca in caso di eruzione, senza produrre un’efficace azione di protezione. Si pensi al massimo operativo e non all’intervento da tarare sulla media statistica e probabilistica eruttiva. Un’eruzione tipo 1944 sarebbe già sufficientemente drammatica e sarebbe già un successo operativo possedere un piano per fronteggiarla.
Riesce difficile far comprendere ai non tecnici che il rischio è una cosa che va al di là del pericolo, superandolo…. Se in uno stadio di calcio qualcuno lancia l’allarme bomba, ci saranno grossi problemi e danni alle persone per la fuga disordinata a cui si aggiungeranno quelli meccanici letali provocati dallo scoppio. Se l’allarme bomba è infondato, ci saranno solo danni alle persone per la fuga disordinata… in entrambi i casi però, pericolo o non pericolo, nelle prime file ci saranno problemi… Necessita architettare quindi un piano d’evacuazione semplice ma efficace, in surroga a quello d’emergenza che è ancora in una fase iniziale di concepimento.
La più protettiva delle formule di tutela consisterebbe nel prendere a riferimento l’evento eruttivo massimo conosciuto (E.M.C.) che, nel nostro caso, è assimilabile a un’eruzione pliniana di tipo Avellino. Questa scelta implicherebbe probabilmente e indirettamente una conclamata impossibilità di mettere a punto un piano di evacuazione per tre milioni di persone: i numeri in gioco che superano il concetto di esodo biblico, farebbero decadere immediatamente l’attenzione al problema.
Quando il cataclisma ipotizzato nella sua forma massima lascia poco spazio alla tutela per una complessità di fattori geografici e antropici, lo stratega opererà al massimo delle possibilità che gli sono offerte, senza “consumarsi” nell’attesa di risposte previsionali attualmente impossibili e controverse. Pianificherà il soccorso come detto, sfruttando tutte le risorse umane e materiali e infrastrutturali disponibili sul territorio che va coinvolto in primis, rimandando alla politica il compito di far quadrare i conti che non tornano in termini di numero di abitanti esposti al pericolo.
Questi nuovi scenari made in DPC , hanno introdotto limiti ma anche possibilità. Non è da escludere che ci sarà baraonda nel prossimo futuro. Perché Pompei e Torre Annunziata e Boscoreale e Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, probabilmente qualche discriminazione la lamenteranno quando capiranno la sperequazione che è stata attuata in loro danno da scenari contenenti alchimie che rischiano addirittura di restringere (amministrativamente) la zona rossa (R1+R2) piuttosto che allargarla…
I pompeiani non sapevano che il Vesuvio fosse un vulcano e in tanti perirono per la novità. I vesuviani sanno perfettamente cos’è quel monte grigio, eppure ne affollano anche i più piccoli meandri e anfratti montani e pedemontani, lasciando alle pratiche scongiuristiche (corna) e poi religiose (San Gennaro), il compito di proteggerli.
In questa plaga sussistono troppe commistioni pubbliche e private deleterie per la sicurezza. Il fatto che i palazzi in R1 freneranno le colate piroclastiche, non dovrebbe essere motivo per autorizzare deregolamentazioni edilizie nelle zone contigue a quella nera.
La nostra impressione è che nel vesuviano ci sia un Work in Progress, ma in direzione del caos…