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venerdì 15 agosto 2014

Rischio Vesuvio: l'editoriale di MalKo.



RISCHIO VESUVIO
C'è il pericolo di una nuova eruzione?
Siamo preparati ad affrontarla?
L'editoriale di MalKo...

Attenti al Vesuvio.
Non siamo pronti per un’eruzione e fortunatamente neanche il Vesuvio lo è stato fino a oggi...  Quanti lo sanno?

Nel 2011 katherine Barnes su Nature definì il Vesuvio una bomba ad orologeria. A distanza di un paio di anni è toccato al vulcanologo giapponese Nakada Setsuya riproporre la questione a margine di un seminario sui geoparchi nel Cilento. Periodicamente gli organi di stampa amplificano o minimizzano il grido di allarme degli esperti sul pericolo Vesuvio e sulla possibilità che possa produrre improvvisamente un’eruzione esplosiva devastante. Ogni allarme è accompagnato dalla ferrea certezza che non siamo preparati a una simile evenienza o anche che lo siamo. Affermazioni differenti che dipendono molto dalla testata giornalistica o dal giornalista e soprattutto se il problema è affrontato da un punto di vista scientifico o tecnico.

Dal dopoguerra a oggi, dopo l’eruzione del 1944, i paesi vesuviani sono stati protagonisti e complici di uno scempio urbanistico senza precedenti, regalandoci un sacco edilizio da guinness dei  primati con Portici e San Giorgio a Cremano che vantano densità abitative da metropoli asiatiche, con oltre 12.000 abitanti per chilometro quadrato.  Altro che bomba... A voler compilare una lista delle scelleratezze compiute in questi ultimi 70 anni di pace vulcanica, rischiamo di mettere insieme più pagine dell’elenco telefonico.
Piuttosto è vero che siamo così impreparati a un’eruzione? Sì! Molto di più di quanto si possa immaginare... Il Vesuvio fortunatamente è uno dei vulcani più monitorati al mondo insieme al Mauna Kea e al monte Fuji. Il possibile risveglio di questi ultimi due è argomento trattato di recente ma senza l’enfasi riservata al nostro Vesuvio. Forse perché questi vulcani d’0ltre oceano non hanno al loro attivo il “merito” di aver sepolto con una sola eruzione intere città come Pompei ed Ercolano al punto da cancellarle per secoli dalle carte geografiche.

A differenza dei terremoti le eruzioni vulcaniche potrebbero essere prevedibili, almeno entro certi limiti (previsione corta del fenomeno), senza nessuna certezza matematica assoluta. Comunque non è possibile  quantificare in anticipo l’intensità eruttiva. Se il Vesuvio dovesse eruttare, avremmo il tempo di limitare i danni ma difficilmente di azzerarli per le incognite che caratterizzano una calca disorientata e in fuga.
Sì, ma i piani di emergenza? Ci sono! Riguardano prevalentemente la parte scientifica con scenari eruttivi e livelli di allerta. E’ anche prevista l’organizzazione della catena di comando e le fasi operative. Un contributo decisivo è stato dato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dal Dipartimento della Protezione Civile e dalla Regione Campania che negli ultimi anni è stata maggiormente investita dalle problematiche di quello che è un piano nazionale, e che vede quindi nel dipartimento di Franco Gabrielli l’autorità centrale (D.L. 225/1992) di riferimento. I comuni non hanno contribuito fino ad oggi alla stesura del piano d’emergenza perché esula dalle loro dirette competenze. Ai comuni toccherà invece l’arduo compito della redazione dei piani di evacuazione, quando il comitato operativo della protezione civile avrà finalmente varato la strategia operativa di allontanamento, che al momento è ondivaga, e si basa su numeri e ipotesi  per niente  convincenti. Vedremo...

L’ex presidente del consiglio Enrico Letta ha firmato il 14 febbraio 2014 non il nuovo piano d’emergenza nazionale Vesuvio, ma gli aggiornamenti sulle aree da evacuare e i gemellaggi comuni - regioni per l'accoglienza delle popolazioni. Inoltre, nella direttiva in questione, si stabilisce anche la necessità di fornire, a cura del capo dipartimento, indicazioni alle strutture operative per l'aggiornamento dei rispettivi piani d'emergenza.

La popolazione vesuviana interessata dal piano Vesuvio ammonta a circa  700.000 mila persone dimoranti in 25 comuni prevalentemente del napoletano e uno solo del salernitano (Scafati). L’evacuazione dovrà avvenire in caso di necessità entro tre giorni (72 ore) dall'allarme.
Ultimamente la scena dell'informazione è stata occupata dalle polemiche per un ospedale chiamato del mare progettato incredibilmente nella zona rossa, e che in caso di necessità assorbirà soccorritori e mezzi piuttosto che erogare servizi di prima necessità. E poi è stata battuta grancassa sulla mappa che identifica la nuova zona rossa Vesuvio. Contrariamente a quanto si afferma su qualche rivista, l'informazione in questo caso è stata capillare, ma l'interesse suscitato molto basso. Probabilmente  meritava tutta la pubblicità del caso la parte assurda che è sfuggita a molti commentatori dell'attualità, consistente nella possibilità per alcuni comuni della zona rossa di concedere licenze edilizie in barba al decreto regionale 21 del 2003 di inedificabilità assoluta nelle aree a maggior rischio vulcanico. Decreto intanto pure “lesionato” dalla spallata (31 luglio 2014) offerta dall'approvazione in consiglio regionale Campania del maxi emendamento che riapre condoni e ristrutturazioni fortificanti con ampliamento volumetrico e sottotetti termici finanche  in zona rossa...


La pubblicità alla cartina della nuova zona rossa andava fatta e, infatti, è stata assicurata come notizia da tutti i giornali e dal web. L'enfasi data alla novità ci è sembrata fumo negli occhi per garantire agli inadempienti del piano di evacuazione una sorta di giustifica (alibi) per tentare di pianificare usando a sproposito il termine aggiornamento. L’aggiornamento c’è stato ma solo della superficie a rischio e non dei piani di evacuazione che sono tuttora inesistenti.  Le prove di evacuazione andranno fatte ma solo quando sarà stata varata una concreta strategia operativa, in modo da offrire ai comuni maggiormente volenterosi la possibilità di produrre uno straccio di piano da testare, da pubblicare online e poi da consegnare sotto forma di vademecum a ogni cittadino amministrato.


A dirla tutta, la mappa contenente i percorsi d’evacuazione dalla zona rossa andrebbe affissa nelle classi scolastiche di ogni ordine e grado di fianco a quella obbligatoria d'istituto. Perché prima o poi un’eruzione ci sarà e dobbiamo limitare i danni senza dar colpa a una mancata informazione.  Ed ancora si faccia autocritica e si ammetta che nel vesuviano si è un tantino distratti e indifferenti alle problematiche connesse al rischio Vesuvio, e se le istituzioni risultano  ancora inadempienti, molta responsabilità è addossabile proprio ai cittadini, con l’unica attenuante che non hanno avuto buoni esempi da seguire, con amministrazioni locali un po' schizofreniche che non predicano neanche e razzolano invece malissimo.
Bisogna poi dire che la carta stampata  a volte allarma, celebra o edulcora, in una misura  tale da suscitare  probabilmente disorientamento, favorendo così quella disattenzione e indifferenza richiamata da Marco Cattaneo nell'editoriale della rivista Le Scienze.

domenica 10 agosto 2014

Rischio Vesuvio e l'informazione di massa: ... di Malko

il Vesuvio visto da Castellammare di Stabia


“Rischio Vesuvio e l’informazione di massa ” di Malko

MalKo è un ex ufficiale pilota di elicotteri del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, tra l’altro esperto di rischio Vesuvio, e vive in uno dei diciotto comuni della prima zona rossa. Se ci fosse stato un piano di evacuazione sarebbe stato probabilmente tra i primi a saperlo, sia per il suo ruolo operativo che ha rivestito fino a qualche anno fa, che per quello di cittadino del vesuviano, tra l’altro per niente distratto o indifferente.
Il 4 agosto 2014 la rivista Le Scienze ha dedicato spazio e copertina al rischio Vesuvio. L’illustre direttore ha invitato ad appendere nelle classi di ogni scuola del vesuviano la mappa della zona rossa per fare cultura e informazione. Ai ragazzi toccherà poi spiegare come mai in alcuni di questi paesi è ancora possibile costruire con tanto di licenza edilizia.  Al momento di cartine da appendere c’è solo quella asimmetrica e rossa, perché quell’altra tematica  contenente a scala locale le vie di fuga corredate da simboli e note, non è stata ancora approntata da quelle autorità competenti richiamate nell’articolo.

Il piano di emergenza Vesuvio di cui si blatera da anni, esiste e contiene tutto lo scibile umano, tranne le istruzioni operative di tutela della popolazione. Per decidere quest’ultimo e delicatissimo punto, infatti, occorre innanzitutto una strategia operativa che deve essere illustrata a tutti gli attori del servizio nazionale della protezione civile. Bisogna quindi delineare e approvare le linee strategiche su cui dovranno poi operare i comuni supportati dalla grande macchina istituzionale statale in un piano che si definisce appunto nazionale.

Ed è quello che è stato fatto l’8 agosto 2014 a Roma nella riunione dell’apposito comitato operativo della protezione civile presieduto dal Prefetto Franco Gabrielli. Nella nota diffusa agli organi di stampa dall’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, si legge tra l’altro che <<…è stato fornito alle diverse componenti e strutture operative del Servizio nazionale della Protezione civile, le indicazioni per l'aggiornamento delle rispettive pianificazioni di emergenza ai fini dell'evacuazione cautelativa della popolazione in caso di emergenza. In tale contesto, il Dipartimento, in raccordo con la Regione Campania, aveva già predisposto una bozza di tali indicazioni ed era indispensabile un momento di condivisione con tutte le istituzioni coinvolte. Entro settembre si avrà la versione finale del documento, che dovrà poi essere sottoposto alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome>>.
Il  piano è ancora in itinere… lo sa bene l'elenco telefonico. Se poi c’è qualche zelante giornalista d’assalto che vuole vederci chiaro, incominci a chiedersi  come mai in questa storia dei piani di evacuazione i sindaci dei 25 comuni interessati non si fanno sentire e risultano particolarmente defilati sui media e sull’argomento...  

Che qualcosa non quadra nell’informazione è abbastanza evidente. Prendiamo ad esempio la condanna della commissione grandi rischi. In quel caso la prevalenza dei mass media ha criticato il tribunale dell’Aquila per aver condannato esimi scienziati rei di non aver previsto il terremoto del 6 aprile 2009. E’ una colossale bugia, perché la condanna è giunta per i motivi opposti, cioè perché la commissione aveva dato frettolosamente delle rassicurazioni su argomenti non supportati da certezze scientifiche.
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Un altro caso evidente riguarda il vulcanologo Nakada Setsuya, le cui dichiarazioni alla stampa sono state sminuite dai colleghi italiani come delle semplici ovvietà.  In realtà alla conferenza mondiale sui geoparchi tenutasi nel 2013 ad Ascea nel Cilento, il ricercatore nipponico rilasciò un’intervista, dove evidenziava che il Vesuvio da vulcano quiescente può eruttare ma non si hanno certezze sui tempi di previsione del fenomeno, perché i segnali premonitori potrebbero comparire anche solo poche ore prima dell’evento. Sarebbe quindi il caso di parlarne e approntare un adeguato piano d’intervento. Con tutta la gentilezza orientale, il messaggio del ricercatore nipponico era un invito a non starsene con le mani in mano…

L’articolo contenuto nella rivista Le Scienze è istituzionalmente perfetto. La giornalista si lancia in un’accorata spiegazione dei progressi fatti dal mondo scientifico e istituzionale che addirittura ha aumentato la superficie del territorio considerato a rischio Vesuvio (zona rossa). In realtà non è proprio così: è stata sì aumentata la superficie da evacuare (25 comuni) e con essa il numero di abitanti passati a 700.000 unità, ma è stata ridotta l’area a maggior rischio (area Gurioli) circoscritta da una linea nera, offrendo tra l’altro ai cittadini una falsa percezione del pericolo, dando ad alcuni comuni, come quello di Boscoreale, la possibilità di potersi addirittura svincolare dalla tenaglia dello stop al cemento, chiamando in causa il TAR che gli ha dato pure ragione. 

E’ vero anche che ai comuni di fresca nomina è stata data la possibilità di decidere se inglobare nella zona rossa tutto il territorio comunale fino ai limiti amministrativi o solo parte di esso. Ma non come riferisce la gentile giornalista per decidere chi evacuare. La mappa della zona rossa parla chiaro: sono tutti da evacuare. Ai sindaci è stato semplicemente lasciato l’arbitrio di decidere quale porzione di territorio lasciare in zona rossa 1 e quale in zona rossa 2. La differenza consiste che in zona rossa 1 vale la legge regionale 21 del 2003 (inedificabilità assoluta per fini residenziali), mentre in quella rossa 2 tale legge non trova applicazione…  

L’esperto ingegnere Fabrizio Curcio del Dipartimento della Protezione Civile chiamato in causa sempre nell’articolo pubblicato su Le Scienze, riferisce di una ingiusta critica rivolta ai progettisti dell’Ospedale del Mare perché lo hanno ubicato in zona rossa 1.  <<Settecentomila persone hanno diritto all’assistenza>>, afferma… La piccola nota è che il nosocomio del mare serve a garantire servizi sanitari su vasta scala con 500 posti letto e 18 camere operatorie e un eliporto. Non ci sembra cosa da poco. L’ingegnere in questione ha anche incredibilmente affermato: <<E non c’è nessun motivo per pensare che, siccome da oggi abbiamo una nuova e più ampia zona rossa, dobbiamo comportarci come se il Vesuvio dovesse eruttare domani senza alcuna ragione scientifica per dirlo>>. Affermazione disastrosa...
Anche il consigliere regionale Gennaro Salvatore del gruppo politico Caldoro presidente, ha usato quasi le stesse parole per difendere condono e cemento in zona rossa… << Se il rischio Vesuvio è reale, scientificamente reale, o viene a Napoli il presidente del Consiglio, Matteo Renzi e con il presidente Caldoro e i sindaci della Zona Rossa si dispone un Piano Straordinario di evacuazione, oppure si lasci ai cittadini la possibilità di rendere le proprie case quanto meno più sicure>>.  Che non ci sia un piano d’evacuazione, è ripetuto dall’illuminato consigliere...



Alla giornalista de Le Scienze va comunque tutta la nostra comprensione perché non è facile districarsi in questo labirinto di differenziazioni che caratterizza un territorio dove si tenta da anni di far quadrare sviluppo, business e sicurezza, attraverso la mediazione di una politica tutt’altro che garantista e veritiera e largamente miope. La maggior parte degli articoli che riguardano il Vesuvio, compreso quelli di note firme del giornalismo, non sempre riescono a centrare l’obiettivo della corretta informazione che si caratterizza purtroppo per essere sempre di più la cassa di risonanza delle amministrazioni centrali e periferiche che veicolano quello che vogliono. Il potere di verifica da parte dei media è ben lontano dal giornalismo investigativo alla anglosassone.

Lo sviluppo di internet ha consentito comunque di aggirare questi filtri passando a un reperimento diretto delle notizie che vengono diffuse in rete dagli stessi utilizzatori del web, a volte credibili e a volte incredibili nella doppia funzione del termine. Ovviamente l’assenza di filtri potrebbe consentire la diffusione di false notizie: ma è un rischio che dobbiamo necessariamente correre, se vogliamo sapere cosa succede in certi paesi, incluso il nostro, che non occupa i primi posti nella classifica dedicata alla libertà di stampa… 
Solo di recente si sta squarciando quel velo fatto di informazioni fuorvianti creato ad arte sul rischio Vesuvio e i piani d'emergenza. Sarà anche interessante conoscere le conclusione della corte europea di Strasburgo sulle misure di tutela che lo Stato italiano ha fin qui approntato per proteggere i vesuviani... Ma ancora più interessante sarà conoscere la strategia operativa che si intende adottare nei piani d'evacuazione che verranno: da lì capiremo se l'operazione sarà mediatica, amministrativa od operativa. Da esperto di sicurezza, posso solo dirvi che finchè sarà possibile impastare cemento, il rischio Vesuvio non esiste...

mercoledì 25 dicembre 2013

Rischio Vesuvio: tema da palazzo di giustizia?...di Malko

Il palazzo di Giustizia di Torre Annunziata col Vesuvio alle spalle

 “Rischio Vesuvio: la soluzione è in un piano giudiziario?”  di MalKo

Il Vesuvio cattura sempre un certo interesse per le possenti energie che racchiude nel grembo litosferico sormontato da una platea di settecentomila persone. I vesuviani in parte sono consapevoli del rischio a cui sono sottoposti  vivendo in zona rossa, ma nella maggioranza dei casi le idee sul vulcano localmente sono molo confuse e tendenti giocoforza a sottostimare quello che realmente potrebbe  accadere se il Vesuvio dovesse porre fine alla sua annosa quiescenza.
Il vulcano oggi sonnecchia… in qualsiasi momento però, anche ora mentre si legge, la terra potrebbe iniziare a tremare sotto i piedi e allora l’angoscia assurgerebbe a sentimento diffuso. La fame di notizie sull’interpretazione da dare al fenomeno sussultorio attanaglierebbe tutti. Corrucciati, si guarderà verso la montagna che non è montagna, sperando che il tremore crostale appena avvertito sia semplicemente un colpo isolato, un assestamento gravitativo, un evento tettonico appenninico, incrociando le dita acchè non sia invece l’inizio della furibonda ascesa della lava in superficie che fratturerebbe e s’insinuerebbe con tempi incerti nelle rocce che la costipano da decenni, per aprirsi roboante un varco in superficie, spazzando via tutto il gravame litoideo sugli inveterati uomini che ne affollano le pendici.
Tutti avrebbero dovuto interiorizzare che il problema Vesuvio è rappresentato dal fatto tutt’altro trascurabile che non è possibile prevedere quando avverrà un’eruzione e di che tipo questa sarà. L’incognita geologica avrebbe dovuto rendere insostenibile la conurbazione che è stata invece perpetrata intorno al vulcano che svetta isolato e accerchiato dai palazzi. Un dato noto, anche se i tentativi di porre di nuovo mano al cemento sono numerosi e solo un personale inconveniente giudiziario ha fermato di recente il sindaco di Sant’Anastasia, capofila di altri comuni pronti alla sommossa in nome di un territorio da sanare con condoni e da mettere in sicurezza non già con la politica degli spazi, ma con nuovo cemento ristoratore che fortifica e munifica pure l’economia zonale. A voler essere veramente sintetici, diremmo che tale cordata voleva o vuole dare spazio alla politica della cicala senza temere alcun inverno vulcanico…
L’edificazione nel vesuviano è stata perpetrata senza scrupoli da amministratori che hanno cavalcato, generalizzando, una scienza a volte disarticolata e servizievole che ben poco ha fatto per frapporsi alla spinta speculativa del cemento. I moniti circa la necessità di prestare maggiore attenzione al rischio Vesuvio arrivano da isolati cattedratici nostrani e soprattutto dall’estero come di recente è avvenuto attraverso le parole del Prof. Nakada Setsuya  dell’Università di Tokyo. 
In nome della pseudo necessità di non allarmare il popolo napoletano, sono state invece rilasciate nel tempo e da più parti troppe dichiarazioni confortanti, come quella sui tempi di previsione di un’eruzione del Vesuvio, “diagnosticabili” addirittura mesi prima dell’evento. Bisognerebbe dare un peso alle parole, che nel nostro caso hanno trasformato un rischio da inaccettabile ad accettabile.
Nelle bozze di piano d’emergenza che si sono susseguite nel corso dell’ultimo ventennio, da una previsione di previsione eruzione ottimisticamente misurata a mesi, si è passati a settimane e poi alle attuali settantadue ore di preavviso che deve essere anche il tempo a disposizione per allontanarsi lestamente dal vesuviano. Dal mondo istituzionale si auspica addirittura che si trovino sistemi e risorse per evacuare in un tempo massimo di ventiquattro ore.
Il rischio di una previsione fallace, infatti, purtroppo esiste e sussiste perché l’indice di attendibilità previsionale di un’eruzione può essere tentata nel momento in cui si presentano i prodromi pre eruttivi, e potrebbe rivelarsi un inaccettabile azzardo in un senso o nell’altro, se la previsione andrebbe a snodarsi su tempi troppo lunghi (settimane).
Che la struttura scientifica dell’Osservatorio Vesuviano possa essere sottoposta a stress decisionale è normale e lo ipotizzammo il 9 ottobre 1999 in seguito ad un evento sismico di 3.6 Richter centrato sul bordo meridionale del Vesuvio. Serpeggiò il panico tra gli abitanti con amministratori comunali esagitati che pretendevano con affanno notizie precise dalla struttura di sorveglianza e dalla Prefettura di Napoli. Nessuno aveva certezze, e proprio l’assenza d’informazioni cristallizzò l’angoscioso momento che si sciolse solo dopo che ritornò una perdurante pace sismica.
Il terremoto del 1999 fu il più forte avvertito in area vesuviana dal 1944 e anche il più istruttivo per chi studia le problematiche legate al piano d’evacuazione e la reazione delle istituzioni tecniche e amministrative nei momenti di crisi. In quei frangenti ricordiamo bene, molte famiglie preferirono intanto cambiare subito aria…
Oggi, un’eventuale anomalia dei valori chimici e fisici del Vesuvio (parametri controllati) sarebbe segnalata con la linea telefonica rossa dall’Osservatorio Vesuviano al Dipartimento della Protezione Civile che convocherebbe la commissione grandi rischi per adottare presumibilmente su indicazioni politiche le decisioni necessarie per affrontare l’emergenza nazionale. Una catena comando non sappiamo quanto veloce, ma sappiamo che lo deve essere se si opta per un margine di ventiquattro ore a disposizione per allontanare inizialmente settecentomila persone dalla zona rossa…
Se i politici e gli amministratori e le istituzioni scientifiche, e non solo quelle, riflettessero sui fatti, concorderebbero nelle conclusioni che la fortuna dei vesuviani è stata fino ad oggi la clemenza geologica e non la lungimiranza di chi per ruolo amministrativo e dovere istituzionale avrebbe dovuto mettere in sicurezza un territorio che potrebbe essere invaso da flussi piroclastici con temperature da forno e velocità da fuoriserie.
I giornali stranieri parlando del Vesuvio lo classificano come una bomba a orologeria. Purtroppo è così, anche se non udiamo il ticchettìo e non vediamo le lancette. Il Vesuvio come tutti i vulcani esplosivi ha un indice di pericolosità zero in fase di quiescenza e quasi cento nel momento dell’eruzione con un picco di pericolosità massima che si raggiunge in concomitanza del collasso della colonna eruttiva.
Le autorità scientifiche chiamate in causa dal dipartimento della protezione civile, hanno ritenuto plausibile e statisticamente possibile il risveglio del vulcano con una tipologia eruttiva massima attesa del tipo sub pliniana, cioè simile a quella che devastò la plaga vesuviana nel 1631. Partendo da quest’assunto, la commissione grandi rischi di recente ha deciso di adottare la demarcazione offerta dalla linea nera Gurioli, per definire i limiti di maggior pericolo (R1) su cui gli amministratori locali e regionali devono focalizzare la loro attenzione preventiva di tutela piuttosto che quella cementizia.
Occorre poi rilevare che, se invece di un’eruzione sub pliniana, il Vesuvio ridestandosi dovesse offrire il meglio di se con una fenomenologia pliniana, il risultato sarebbe una tragedia di proporzioni belliche, favorita in questo caso e strano a dirsi, proprio dall’attuale perimetrazione del pericolo che, di fatto, ne esclude altre.  
Purtroppo non è possibile al momento e ragionevolmente preparare un piano di evacuazione anti pliniana che comprenderebbe l’area metropolitana di Napoli, perno di tutto il problema. Rimanere nel solco di una stima eruttiva sub pliniana allora, bisogna dirlo chiaramente, è stata una scelta non garantista in assoluto, ma certamente obbligata e mediata come tutte le perimetrazioni a rischio che hanno a che fare con problemi naturali in gran parte e come in questo caso ancora imprevedibili.
Alcuni cittadini del vesuviano e il politico radicale Marco Pannella hanno di recente presentato un ricorso alla corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo, contro lo Stato italiano che non ha messo in atto strumenti adeguati di tutela dei cittadini esposti al rischio vulcanico in zona vesuviana.
In realtà la consapevolezza delle inadempienze istituzionali riguardanti i piani di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio dovrebbe essere un argomento già noto almeno alla Procura della Repubblica di Torre Annunziata che nel 2011 ha ricevuto nel merito un esposto in cui si richiamavano a proposito del rischio Vesuvio, alcuni concetti di un qualche interesse come il principio di precauzione oggi particolarmente evocato e diffuso.
Intanto la trasmissione televisiva crash del 5 dicembre 2013, ha mandato in onda su RAI 3 approfondimenti sul rischio Vesuvio. E’ stata sicuramente un programma che ha fornito chiari indizi sulle problematiche che riguardano i piani di evacuazione. Per far emergere le incongruenze però, bisognava spostarsi non già nella sede del mediatico dipartimento della protezione civile o nello studio dell’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, bensì nei municipi della zona rossa Vesuvio per farsi dire dai sindaci in quali cassetti sono riposti i piani d’evacuazione comunale di cui accenna l’assessore Cosenza nell’intervista televisiva.