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lunedì 12 settembre 2016

Campi Flegrei - Il progetto geotermico Scarfoglio... di MalKo



Pozzuoli (Campi Flegrei) - macellum


Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha in corso di valutazione d’impatto ambientale (VIA), un progetto di sfruttamento geotermico per la produzione di energia elettrica da realizzarsi nella località Scarfoglio (Campi Flegrei), a ridosso del vulcano Solfatara nella zona Pisciarelli di Pozzuoli. Motore del sistema dovrebbero essere le caldissime acque del sottosuolo vulcanico.

La documentazione a corredo della richiesta di autorizzazione ha avuto una partnership scientifica istituzionale per molti versi riconducibili all’Osservatorio Vesuviano (INGV), che dovrebbe essere la struttura di garanzia per le problematiche vulcaniche in Campania. Una situazione per molti versi discutibile, perché se la commissione ministeriale ambientale dovesse respingere il progetto Scarfoglio per motivi precauzionali a fronte dell’incolumità pubblica, metterebbe in seria difficoltà l’immagine dell’Osservatorio Vesuviano che, poco indirettamente, ha espresso invece parere di fattibilità del progetto, minimizzando i rischi indotti dalle trivellazione e dalla reiniezione dei fluidi operativi nel sottosuolo.

Anche noi abbiamo inviato le nostre osservazioni al Ministero dell’Ambiente, rimarcando la necessità che determinati rischi si accettano e si respingono anche in ragione delle alternative possibili. Se Le energie geotermiche sono rinnovabili vuol dire che saranno a disposizione della collettività per migliaia di anni. Quindi, se dovesse subentrare una fame di energia che potrebbe mettere in ginocchio la nostra società iper tecnologica e post industriale, allora i rischi dovuti alle trivellazioni e alla pratica di reiniezione gioco forza diventerebbero accettabili, addirittura auspicabili. Oggi però, non ci sono queste condizioni, perché a muovere questo progetto al momento è solo un business industriale…

Abbiamo chiesto al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano, un’analisi dei fattori che a suo giudizio rendono improponibile le attività geotermiche nell’area calderica flegrea. Il noto vulcanologo ci ha consentito di accedere alle osservazioni che ha sviluppato e inviato al Ministero dell’Ambiente. Ve le proponiamo qui di seguito, anche se in una forma riassuntiva.

<< Nella zona dove è stato presentato un progetto d’installazione di un impianto geotermico, ovvero nell’area epicentrale Solfatara – Pisciarelli nei Campi Flegrei, si è avuto recentemente uno sciame sismico di circa 45 scosse con ipocentri superficiali e a bassa magnitudo. Il 7 ottobre del 2015, eventi sismici analoghi indussero non pochi residenti ad abbandonare le proprie abitazioni, così come in alcune scuole i dirigenti scolastici decisero di evacuare i plessi a loro affidati.    

Una ricerca pubblicata sulla rivista Nature- Scientific Reports nell'agosto del 2015 dal dott. Luca D'Auria e altri ricercatori INGV e CNR, ad oggetto le deformazioni del suolo avvenute tra il 2012 e 2013, ha dimostrato come in detto periodo si sia verificata probabilmente una risalita di magma fino a circa 3 Km. dalla superficie, proprio al di sotto di una zona che potremmo definire centrale della caldera flegrea.

Tale risultato ha evidenziato la scarsa rilevabilità della possibile risalita di corpi magmatici dal profondo, ma anche un’analoga e oggettiva difficoltà a individuare nell’attualità le intrusioni già esistenti, nonostante si disponga di un sistema di monitoraggio areale di una certa efficienza. Quindi, non conoscendo la posizione e l’estensione delle protuberanze magmatiche eventualmente presenti a bassa profondità nell'area di Agnano - Pisciarelli, risulta alquanto sconsigliabile procedere con attività di trivellazioni, onde evitare di innescare indesiderati processi perturbativi nella zona calderica anche di tipo esplosivo.

L’area di Agnano – Pisciarelli (Scarfoglio), è strategica e prioritaria per il monitoraggio geofisico e geochimico della caldera attiva dei Campi Flegrei, soprattutto perché esiste un database ultradecennale di tutto rispetto dei dati di monitoraggio del super vulcano flegreo, che sarebbe il caso di non alterare con valori e misure che sarebbero compromesse nella loro naturalità dai processi di trivellazione, emungimento e reiniezione dei fluidi caldi prelevati dal sottosuolo.

Un database di queste dimensioni è indubbiamente e particolarmente utile per valutazioni di ordine scientifico sulla pericolosità vulcanica, grazie a comparazioni da cui potrebbero discendere indicazioni scientifiche circa i livelli di allerta da assegnare all’area, ai fini dell’attuazione dei piani di salvaguardia delle popolazioni esposte. D’altra parte bisogna anche annotare che la realizzazione di un database come questo quale frutto di una ultradecennale attività di monitoraggio, ha richiesto l’investimento di ingenti risorse pubbliche, tanto umane quanto materiali. 

La realizzazione di uno stabilimento industriale che emunge fluidi caldi (180° C.) dal sottosuolo per poi reiniettarli orientativamente nel bacino di prelievo, renderebbe praticamente indistinguibile, nel caso dovessero presentarsi eventi simici, la differenziazione tra origine naturale o indotta di questi fenomeni in tutti i casi pericolosi. L’incertezza determinerebbe pure implicazioni di natura giuridica nella individuazione delle responsabilità, qualora dovessero riscontrarsi malauguratamente danni a persone o a beni pubblici e privati. 

Il vulcano Solfatara - Pozzuoli (Campi Flegrei)
Le criticità naturali insite nella caldera flegrea, sono altresì aggravate dalla perdurante assenza di piani di evacuazione per l'area dei Campi Flegrei, con un valore esposto destinato a salire perché parliamo di un contesto territoriale dove ancora manca un vincolo vulcanico che renda impossibile l’edificazione ad uso residenziale, alla stregua di quanto è già stato fatto per il Vesuvio con la legge regionale numero 21 del 2003.

Recentemente bisogna pure annoverare la risalita di fluidi fangosi all'interno del pozzo di Bagnoli realizzato nell'area ex ITALSIDER nel 2012 e profondo 500 metri (CFDDP).  Il Commissario dell'Osservatorio Vesuviano, dott. Marcello Martini, ha dovuto disporre nel merito urgenti consulenze, senza escludere interventi di ottimizzazione del sito di perforazione nel senso della sicurezza.   

Una vasta letteratura mondiale documenta i rischi connessi ad attività di trivellazione in generale. Tra i più comuni effetti osservati con questa pratica, segnaliamo gli inneschi di eventi sismici e sequenze sismiche, anche prolungate nel tempo, così come le esplosioni o eruzioni dei pozzi, con innesco di fuoriuscite di fluidi anche per lunghi periodi di tempo. Ed ancora processi di subsidenza del suolo, alterazioni delle falde acquifere ed eventi franosi dai rilievi circostanti. Per tali motivazioni, i siti di perforazione sono generalmente posti a distanza dai centri abitati, e in aree non interessate da strutture tettoniche attive.

Le mie perplessità non sono singolari e convergono anche con quelle dei colleghi dott. Giovanni Chiodini dell'INGV, prof.ssa Tiziana Vanorio dell'Università di Stanford USA e il prof. Franco Ortolani, già professore ordinario presso l'Università di Napoli Federico II. Similmente abbiamo segnalato la pericolosità delle trivellazioni in un’area vulcanica particolarmente dinamica come quella flegrea, dove vige tra le altre cose, lo stato di attenzione vulcanica.

Nel caso delle aree vulcaniche attive come quella in esame (Campi Flegrei), i rischi citati sono notevolmente amplificati dagli elevati valori di temperatura e pressione dei fluidi circolanti nel sottosuolo, titolari anche di un certo fattore chimico di tossicità, in un sistema circolatorio sotterraneo che potrebbe essere caratterizzato da intrusioni magmatiche abbastanza superficiali.

Nel computo delle complicazioni dovute alle trivellazioni in aree vulcaniche, segnaliamo sicuramente il vulcano di fango Lusi nell’isola di Giava. Altri esempi riguardano la caldera del Fogo (Sao Miguel Azzorre), dove da alcuni anni è esplose un pozzo durante una trivellazione profonda circa 600 metri; perforazioni crostali finalizzate alla realizzazione di un impianto geotermico. Questa esplosione è stata associata a sequenze sismiche, processi di fratturazione del suolo e nascita di nuovi campi fumarolici.  

Il vulcano Lusi: il fango invade il villaggio di Sidorajo - Fotografia di John Stanmeyer, National Geographic
Gli eventi esplosivi in campi geotermici associati a rapida decompressione e transizione di fase di fluidi ad alta pressione e temperatura, sono possibili nelle aree ad alto gradiente di temperatura, così come accennavamo in precedenza, e il sistema geotermico dei Campi Flegrei è ottimale da questo punto di vista, risultando quindi appetibile da un punto di vista industriale, inappetibile dal punto di vista della sicurezza di questa zona.

Per quanto riguarda invece, l'innesco di sequenze sismiche a seguito di attività di trivellazione, estrazione e reiniezione di fluidi, la problematica è ben documentata anche in aree non vulcaniche, in prossimità di strutture tettoniche attive, come ad esempio nei pozzi localizzati presso Basilea, in Oklahoma e in Olanda.

Dettagliate documentazioni, relative a sismicità indotta, emissioni gassose nocive, emissioni acustiche, e anche esplosioni idrotermali, sono registrate storicamente in tempi più recenti, in aree geotermiche anche di vulcani non attivi, come ad esempio nei siti italiani del Monte Amiata e di Larderello.

D'altra parte, nel progetto pilota " Scarfoglio", è prevista la possibilità di eventi sismici indotti, ma per tale area è noto come la magnitudo massima attesa possa superare il 4 grado Richter, e in tale zona può produrre danneggiamenti.  Il sito prescelto per le trivellazioni è all'interno dell'area epicentrale delle frequenti sequenze sismiche dei Campi Flegrei e dei maggiori terremoti registrati e avvertiti durante le crisi bradisismiche. In particolare, proprio per il rischio sismico, durante la crisi conclusasi nel 1985 fu decisa la totale evacuazione della popolazione di Pozzuoli, trasferita nel nuovo insediamento di Monterusciello.

Ricerche condotte dal sottoscritto, in collaborazione con altri colleghi dell'INGV e di altri istituti, pubblicate su riviste internazionali già alla fine degli anni 90 e negli anni successivi, dimostrano l'estrema instabilità dei sistemi geotermici, sotto l'effetto anche di minime perturbazioni termiche e meccaniche in profondità, con evoluzione imprevedibile e dagli effetti a volte assolutamente indesiderati. Tali condizioni possono essere indotte proprio dalle attività di trivellazione.

Le insufficienti conoscenze dell'assetto geologico-strutturale e termo-fluidodinamico dell’area calderica (Scarfoglio – Pisciarelli), dove dovrebbe collocarsi l’impianto per la produzione di energia elettrica sfruttando i fluidi caldi circolanti nel sottosuolo, in assenza di modelli robusti e affidabili sul comportamento di tali sistemi perturbabili dalle attività di trivellazione, rendono il progetto Scarfoglio rischioso per le comunità e in netto contrasto con il principio di precauzione.

Oltre ai rischi immediati, previsti tra l’altro da modelli di calcolo di processi termo - fluidodinamici in mezzi porosi, le modificazioni sostanziali che potrebbe interessare il sistema profondo, si potrebbero verificare anche a distanza di alcuni decenni.

Utilizzando i comuni programmi di calcolo per l'evoluzione di sistemi geotermici in caso di attività di estrazione di fluidi, si può infatti prevedere la generazione di una estesa modificazione di temperatura, pressione e regime di circolazione dei fluidi in un raggio di centinaia di metri, centrato presso la massima profondità del pozzo, in un periodo che va da alcuni anni a qualche decennio, a partire dall'inizio delle attività estrattive. Le conseguenze sull'ambiente derivanti da tali processi, sono del tutto imprevedibili.

Per le ragioni riportate e vista l'assoluta impossibilità previsionale teorica su quello che potrebbe succedere, tra l’altro una situazione non mitigabile neanche attraverso il monitoraggio delle attività previste nel programma geotermico da realizzare nel sito di Agnano Pisciarelli, le trivellazioni così come la reiniezione dei fluidi da attuarsi nell’area vulcanica flegrea, sono da considerarsi ad altissimo rischio, e quindi, da evitare nell'interesse comune.


martedì 23 agosto 2016

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: nel super vulcano il progetto geotermico Scarfoglio? ... di MalKo



Il vulcano Solfatara - Campi Flegrei - Pozzuoli

Nei Campi Flegrei a ridosso del vulcano Solfatara, dovrebbe sorgere una stazione geotermica finalizzata alla produzione di energia elettrica. Il progetto denominato Scarfoglio, è al vaglio del Ministero dell’Ambiente e prevede l’utilizzo di fluidi a media entalpia emunti dal sottosuolo del super vulcano flegreo.

Il progetto pilota prevede l’installazione degli impianti nella contrada denominata appunto Scarfoglio, limitrofa alla zona di Pisciarelli. Quest’ultima è sede di importanti fenomenologie di vulcanesimo ancorché di massiccia degassificazione di anidride carbonica che ascende in superficie dal ribollente sottosuolo vulcanico.

La società Geoelectric S.r.l. ha scelto questo sito proprio per la presenza di fluidi termali molto caldi rinvenibili già dopo alcune centinaia di metri di profondità. Propositrice del progetto in esame, la Geoelectric ha riproposto al Ministero dell’Ambiente e della Tutale del Territorio e del Mare, quale istituzione competete per la valutazione d’impatto ambientale (VIA), alcuni aggiornamenti progettuali volontari, evidentemente per contrastare le note ostative provenienti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT). Quest’ultimo dicastero lamenta difformità circa l’utilizzo delle aree vincolate e una carenza di progettualità di ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, quale dato di una certa importanza, ai Beni Culturali sembra abbiano a temere la micro sismicità indotta dalle attività di perforazione e da quelle di reiniezione in profondità delle acque termali. Una micro sismicità che potrebbe minare, dicono, il patrimonio archeologico dell’area…

I Campi Flegrei si connotano all’interno di una grande caldera afferente all’omonimo super vulcano. A tutt’oggi si caratterizza per alcune fenomenologie di rilievo, tra le quali il bradisismo ascendente e la rilevazione di picchi di magma fino a tre chilometri dalla superficie, oltre naturalmente una certa attività sismica anche a sciami. Questi ed altri elementi, hanno contribuito a dichiarare lo stato di attenzione vulcanica per l’area calderica flegrea, perché i parametri geofisici e geochimici rilevati presentano delle discordanze rispetto a quelli base di riferimento.
Stazione sismica Osservatorio Vesuviano - Campi Flegrei (Pozzuoli)
La società Geoelectric S.r.l. avvalendosi anche di esperti istituzionali dell’INGV e della società AMRA, ebbe a presentare nel mese di maggio 2015 questo progetto che prevede la realizzazione di un impianto pilota a ciclo binario per la produzione di energia elettrica. Le modalità di funzionamento dell’impianto prevedono il prelievo dei fluidi geotermici a circa 180° C. emungendoli dal sottosuolo a mille metri di profondità. Il fluido bollente viene quindi indirizzato in uno scambiatore di calore dove cede energia termica. In questo processo di scambio, i fluidi bollenti perdono parte della loro temperatura iniziale, e vengono quindi reiniettati nel serbatoio geologico profondo, dove riacquisteranno la loro temperatura iniziale, magari un po’ più in là del punto di prelievo. Questo circolo virtuoso non prevede interscambi con l’ambiente esterno o emissione di vapore nell’atmosfera. Da un punto di vista impiantistico e dell’inquinamento quindi, appare buono…

Il problema della nostra contrarietà al progetto, è il luogo dove quest’impianto pilota vuole collocarsi: cioè in una caldera dove vige un primo livello di allerta vulcanica e addirittura in un punto territoriale particolarmente stressato dalle forze endogene che operano incessanti nel sottosuolo flegreo, a prescindere se sono da ascrivere a intrusioni magmatiche o a fattori idro termali o più verosimilmente un connubio fra le due componenti che rendono il suolo puteolano per niente immobile.

Sarà proprio nel tufo a strati che le trivelle dovrebbero perforare cinque pozzi in totale, di cui tre di prelievo dei fluidi caldi che sono il motore del sistema geotermico e due di reiniezione nel serbatoio geologico d’origine. Al di là degli aspetti amministrativi sollevati dal ministero dei beni culturali, rimane l’incognita della micro sismicità indotta che anche se derivante da modeste fratturazioni,queste potrebbero favorire un disequilibrio nei dinamismi che pregnano il sottosuolo. Secondo lo studio dell’AMRA, il problema dei micro sismi dovrebbe essere alquanto contenuto e limitato a una distanza orizzontale di qualche chilometro dalla testa dei pozzi. L’AMRA si spinge oltre rendendo noto che il sottosuolo flegreo nei primi due chilometri a causa dell’elevata fratturazione è da ritenersi praticamente asismico.

Il problema principale è che certe conclusioni scientifiche comprendono anche dei pareri opposti provenienti dalle apprensioni di alcuni scienziati e tecnici che sollevano dubbi sulla innocuità della pratica di trivellazione e di reiniezione dei fluidi.

Le perplessità tutte scientifiche non si sono avvalse di una consulenza o di un vaglio da parte dell’Osservatorio Vesuviano che si fregia del titolo di Centro di Competenza circa i vulcani campani, perché tale struttura oggi non può definirsi terza sull’argomento in quanto ha contribuito in una certa misura a supportare le relazioni scientifiche a favore della società Geoelectric, corroborate nel merito da apposite conferenze a tema.

Tutti i pozzi che servono all’impianto pilota dovrebbero raggiungere la profondità di mille metri cadauno… Le domande che quindi galleggiano ancora nell’aria sono queste: cosa significa in termini di rischio perforare i contrafforti di base del vulcano Solfatara? Quali equilibri potrebbero compromettere le perforazioni a ridosso della località Pisciarelli? Le perforazioni accentuerebbero e in che misura il degassamento da anidride carbonica già massiccio in quella zona? Quali effetti avrebbe il fenomeno di sollevamento o abbassamento del suolo sull’impianto industriale una volta realizzato?  

E’ di questi giorni la notizia apparsa sul sito Meteo Vesuvio di Giuseppe D’Aniello, che l’Osservatorio Vesuviano sta stanziando fondi urgenti per mettere in sicurezza la perforazione effettuata a Bagnoli (Campi Flegrei Deep Drilling Project), attraverso una super perizia affidata a un ingegnere esperto del ramo trivellazioni.

Nella perforazione del CFDDP ferma a 500 metri di profondità, pare siano ascesi dei fanghi che potrebbero innescare problematiche di sicurezza del sito. Bisogna allora capire cosa stia succedendo in quel condotto con una urgenza tale da costringere il commissario Martini, altro fautore del geotermico nei Campi Flegrei, a distrarre fondi dal progetto Monica (monitoraggio marino) per dirottarli in quel pertugio profondo da cui bisognava trarre auspici di monitoraggio supertecnologico nei Campi Flegrei. Una trivellazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità “baciando” il magma, ed invece si è fermata a 500 metri e con qualche problema a fronte di un rischio giurato iniziale pari a zero…

Secondo uno studio dell’AMRA, la problematica della micro sismicità legata alle perforazioni e reiniezione è minima, a causa degli strati crostali che nei primi due chilometri della zona vulcanica flegrea possono considerarsi asismici. Mentre le perforazioni non supererebbero i mille metri… Le note scientifiche stimano in una magnitudo non superiore a 3,2 l’energia massima che potrebbe scaturire eventualmente dai microsismi e comunque a breve distanza dalla testa dei pozzi. Se il Ministero della Cultura si preoccupa della micro sismicità in ordine alla tutela dei beni archeologici locali, occorrerebbe pure che qualcuno valuti il rischio complessivo che corre la popolazione puteolana e napoletana…
Pozzuoli - Macellum
Il sindaco di Pozzuoli quale autorità locale di protezione civile e il Sindaco di Napoli titolare amministrativo della città metropolitana, Luigi De Magistris, potrebbero, in ragione del loro ruolo istituzionale, chiedere un illustre parere alla commissione grandi rischi sezione rischio vulcanico, che è un organo consultivo in termini di previsione e anche di prevenzione del rischio vulcanico, ed è presieduta dal Prof. Vincenzo Morra. 

Da un punto di vista tecnico occorre precisare e dire che il rischio è un fattore insito in tutte le attività umane: il rischio zero quindi non esiste. Ma il rischio è anche un fattore che deve contemplare un altro importantissimo e fondamentale elemento che ci aiuta e decidere sul da farsi, e che si chiama alternativa. Il rischio è quindi un elemento non statico, mai esaustivo e variabile nel tempo e a seconda delle necessità che si presentano nella società.

Per meglio comprendere questo ragionamento portiamo un esempio che proponemmo in una dispensa didattica (1992) scritta per gli insegnanti. In alcuni paesi poveri, alcuni bambini poveri in qualche caso mangiano prodotti di scarto prelevati dalle discariche o dai bidoni delle immondizie entrando in competizione coi topi. Il rischio sanitario susseguente a una tale condizione di stremo, per la nostra cultura occidentale è inaccettabile, ma per quei malnutriti e scheletrici bambini, il rischio era più che accettabile in ragione dell’alternativa che era la morte per fame.

Oggi l’alternativa al geotermico è il solare e l’eolico e si spera presto di trarre energia dal moto delle onde. L’Italia non ha notevoli risorse di combustibili fossili, ma il gas ci sembra un’alternativa valida e perdurevole, fino a quando non si miglioreranno le rese delle energie rinnovabili o si scopriranno altre fonti energetiche di rilievo non inquinanti.

Il rischio che comportano le attività di trivellazioni in una zona vulcanica metropolitana, che dovrebbe attuarsi in un punto critico e stressato della caldera flegrea, in una condizione areale di attenzione vulcanica, col suolo che s’innalza seppur di poco ma di continuo,  non è giustificabile in assenza di una condizione di fame energetica.

D’altra parte la costruzione di un impianto geotermico richiede ben poco tempo rispetto ad esempio a una centrale nucleare dove occorrono molti anni per realizzarla e metterla in esercizio. E l’energia geotermica è comunque lì ad aspettarci qualora dovessimo avere questa famosa fame di energia. Ecco, i rischi che oggi rappresentano un ostacolo al geotermico, magari cambieranno in termini di accettabilità quando l’oro nero diminuirà tanto da diventare materia di appannaggio per pochi.

Nei Campi Flegrei le acque che circolano nel sottosuolo sono particolarmente calde. Addirittura il pozzo di San Vito con i suoi 400° Celsius ha il record di temperatura per un sistema geotermico. Purtroppo bisogna fare i conti con una zona che non ha le caratteristiche territoriali di Larderello in Toscana…

Valga allora il concetto che bisogna sì individuare le aree che hanno punti caldi interessanti e che possono quindi essere destinate allo sfruttamento geotermico (carta nazionale?), ma ovviamente l’analisi non deve riguardare solo gli aspetti geotermici del sottosuolo e quindi legati al profitto, ma anche quelli non meno importanti che riguardano la superficie abitata e le necessarie tutele ambientali e strutturali che la zona presenta.

Infatti, i fluidi caldi prelevati dal sottosuolo per uso geotermico, possono essere particolarmente inquinanti al punto da non poter essere riversati sui suoli in superficie per non contaminare le falde freatiche, così come in alcuni casi neanche le volute di vapore possono ritenersi indenni dal contenere sostanze inquinanti come l'arsenico.

Il sistema a "circuito chiuso" presentato da questa società proponente tecnicamente sembra valido. Occorrerebbe allora che si individuasse un sito periferico al vulcano flegreo, in una zona non particolarmente abitata e senza particolari strutture a rischio nelle vicinanze. Certo, le società investitrici nel geotermico vorrebbero il loro sito ideale in testa al punto più caldo della caldera. Ma come sembra stia succedendo in Basilicata, il business non può sempre avere la meglio in nome di un non meglio specificato progresso...







domenica 2 agosto 2015

Ischia e progetto geotermico a Serrara Fontana...di MalKo



MalKo

Sorvolare l’isola di Pithecusa (Ischia), ci procurava sempre una sensazione di piacere e di particolare ammirazione per questo grande “scoglio” tufaceo considerato la più vecchia colonia greca in Italia. Dal nostro elicottero apprezzavamo la forma trapezoidale e il rilievo centrale del Monte Epomeo, una sorta di pilastro tettonico che domina con i suoi 789 metri un abitato che segna senza soluzione di continuità gli oltre 30 chilometri della fascia costiera. Una conurbazione che elegge Ischia, dopo la Sicilia e la Sardegna, come isola col maggior numero di abitanti…
La sensazione che provavamo volando sull’isola era di ammirazione ma anche di consapevolezza che il gran complesso tufaceo pur mostrandosi monolitico nell’insieme, in realtà risultava fragile, perché il tufo nonostante si presti molto bene ad essere utilizzato come materia prima nelle costruzioni, rimane pur sempre un litoide diagenizzato particolarmente vulnerabile alle inclemenze meteorologiche e all’erosione meteo marina.  


Ischia - entroterra arenile maronti 
Ischia è esposta non solo ai dinamismi esogeni, ma è anche soggetta a significative e poco quantificate sollecitazioni endogene dovute alla parte crostale e alla camera magmatica forse in tensione o forse in rilassamento, ancorché percorsa dal calore vulcanico non sopito e particolarmente vivo intorno e al di sotto dell’Epomeo e dintorni.
Del calore sotterraneo ce ne accorgemmo nel mese di aprile del 2008 quando la nostra base nel salernitano fu allertata per un improvviso boato avvertito con un certo allarme nel comprensorio ischitano di Forio. Col nostro elicottero ci portammo in zona e scartammo subito il centro abitato quale origine del rimbombo perché in tal caso la sorgente emissiva sarebbe stata immediatamente individuata e segnalata. Stessa logica nel braccio di mare perché un eventuale scoppio avrebbe destato l’attenzione istantanea e sarebbero stati percepiti visivamente spruzzi e schiumeggi dalla piatta distesa marina. D’altra parte le indicazione puntavano tutte verso il monte… il Monte Epomeo, vero perno dell’isola.
Iniziammo quindi circuiti metodici fino a quando non notammo nella parte medio montana una zona fumarolica con una bocca emissiva di tutta evidenza, dove le volate di vapore erano più vistose e potenti rispetto alle altre. Terra fresca e pietre accumulate alla base di questo foro roboante ci convinsero che probabilmente l’origine del boato era da ascriversi a una degassazione repentina di una sacca di vapore in pressione nel sottosuolo.
La cosa che maggiormente ci colpì in questo sopralluogo montano non furono tanto le effusioni acquose, bensì la constatazione che non pochi massi costellavano la parete del montagnone in una condizione di equilibrio piuttosto precario. Con la storia sismica della vicina Casamicciola, pensammo subito che un’eventuale terremoto avrebbe potuto cagionare il rotolamento dei massi dabbasso con possibili danni agli abitati sottostanti.
Per il passato le popolazioni locali probabilmente avevano avuto a che fare non poche volte col fenomeno delle frane. Infatti, riuscivano a mettere immediatamente mano ai massi particolarmente grandi che precipitavano dall'Epomeo, perforando e modellando i malleabili blocchi tufacei letteralmente “piovuti dal cielo”, ricavando dall’ammasso litico con un lavoro di grossolano cesello, scale, stanze ben squadrate, e poi antri e finestre… ovvero case, con tanto di camino sommitale.
 
Casa di pietra - Forio (www.ischia.it)

Il fenomeno dell’accentuato dissesto idrogeologico e quindi delle frane, probabilmente è dovuto alle caratteristiche del tufo, spesso a sfoglie, non sempre omogeneo e facilmente attaccabile dagli elementi erosivi e soprattutto dall’acqua che qui e altrove rappresenta uno degli elementi scatenanti dello sbriciolamento dei versanti montuosi. Nel territorio ischitano si sommano vari aspetti all’origine dei dissesti fra cui l'abusivismo edilizio che modifica la regimentazione delle acque superficiali, e gli incendi boschivi che negli anni e a più riprese hanno divorato la vegetazione che copriva in senso protettivo il giallo elemento.
La foto sottostante mostra un enorme blocco staccatosi dal Monte Epomeo nel 1910, con alcuni abitanti che posano per una foto ricordo. In questo caso l’immagine vale più di mille parole…
 
Blocco precipitato dal Monte Epomeo (www.isclano.com)

La nostra sensazione sulle caratteristiche territoriali di Ischia è quella di un’isola dicevamo particolarmente fragile, che ha bisogno di mettere un freno innanzitutto al dilagare dell’edilizia in tutte le sue forme, e soprattutto di tanta manutenzione ai versanti scoscesi che producono per effetto dell’erosione e delle piogge, materiale litoide pronto a smottare o precipitare a valle come le cronache anche recenti ci riportano.
Il progetto di sfruttamento geotermico di Serrara Fontana, in attesa di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA), è un progetto industriale finalizzato alla produzione di energia elettrica attraverso lo sfruttamento di fluidi notevolmente caldi prelevati dal sottosuolo vulcanico dell’isola in un sistema sostanzialmente a ciclo chiuso. L’opera prevede la realizzazione di 3 pozzi che si spingeranno nel sottosuolo tufaceo a una profondità di 1300 metri dal piano campagna.  Due di questi saranno di emungimento e uno di reiniezione dei liquidi condensati. La tecnica di perforazione dovrebbe essere del tipo a raggiera, cioè i pozzi saranno iniziati a pochi metri di distanza l’un dall’altro: praticamente partiranno dallo stesso piazzale, per inoltrarsi poi nel sottosuolo in senso obliquo e in direzioni diverse, allontanandosi dal punto iniziale di perforazione di circa 600 metri.

Un pozzo di emungimento punterà a nord ovest, un altro a sud ovest e quello di reiniezione si diramerà invece verso est, assumendo quindi una posizione equidistante dalle bocche emungitrici che si troveranno a una distanza di 1200 metri. La tecnica è indubbiamente ingegnosa e consente di sfruttare l’obliquità dei pozzi per testare la maggiore superficie possibile.
Le nostre considerazioni sul progetto geotermico Serrara Fontana sono simili a quelle già segnalate per l’analogo progetto Scarfoglio ai Campi Flegrei. La differenza è nella vulnerabilità del territorio che ci sembra maggiore per l’isola verde, sia per i profili geologici del sottosuolo non particolarmente noti e sondati, sia per la possibilità che le trivellazioni e le reiniezioni dei fluidi possano innescare una serie di fenomeni di ordine sismico capaci di scuotere un profilo montuoso non scevro da pericoli statici dettati come detto da una particolare fragilità del tufo all’azione degli agenti erosivi che producono pietre e massi.
D’altra parte il progetto Serrara Fontana è un progetto pilota, cioè esplorativo; infatti, non conoscendo esattamente le caratteristiche dell’ambiente sotterraneo in cui si opererà, è possibile che in corso d’opera si rendano necessari dei cambiamenti a seconda delle risposte che le perforazioni e gli emungimenti e le reiniezioni lasceranno registrare in superficie. Ne consegue che è insito un rischio di fondo seppur minimo, e quindi bisognerebbe evitare affermazioni a proposito di un rischio zero delle trivellazioni tra l'altro in un contesto dove mancano scenari di pericolo e piani d'emergenza.
Trattandosi di un comprensorio isolano non particolarmente esteso ma densamente abitato, è opinione dello scrivente che una decisione politica sulla fattibilità dell’opera spetti al consesso dei sindaci ischitani, anche perché la più estesa concessione Ischia Forio li ingloba praticamente tutti. Una comunità che vive di mare e terme e bellezze naturali, dovrà interrogarsi seriamente sull’insediamento geotermico perché se l’obiettivo dell’indipendenza elettrica sarebbe un grande traguardo energetico, bisognerà comunque intuire che fatta eccezione per l’area portuale di Ischia Porto, tutta l’isola è terra di concessione geotermica.  Se si insedia uno stabilimento industriale che preleva e reimmette fluidi dal sottosuolo, non si capirebbe perché non se ne possa installare un altro…e poi un altro ancora.

Articolo del 02 agosto 2015.






mercoledì 17 giugno 2015

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei : deep drilling project e geotermia Scarfoglio...di MalKo


Tempio di Serapide - Pozzuoli

Le operazioni di trivellazione del suolo e del sottosuolo, in mare e in terra, pare siano diventate il business della nuova economia mondiale, con torri perforanti che s’innalzano e s’innalzeranno dai deserti alle coltre polari, dalle tundre ai mari e finanche nelle spianate vulcaniche. Tra un paio di secoli trivelleremo pure i pianeti…Si cerca spasmodicamente petrolio o gas o fluidi caldi o chissà cosa da convertire in calore ed energia sonante… Una necessità è vero, ma non siamo ancora al punto da dover mollare tutte le garanzie di sicurezza.
Il sottosuolo è un ambiente sconosciuto, e in alcune località del mondo le perforazioni in qualche caso hanno causato danni catastrofici, come quelle che nel 2010 caratterizzarono l’inquinamento nel Golfo del Messico, con l’asfaltatura dei fondali marini, o le inarrestabili fuoriuscite di fango bollente a Giava (Lusi 2006). Problemi  si sono avuti pure alle Canarie e in Svizzera e in California e in Emilia Romagna e in altri siti che contano gli effetti diretti e indiretti delle sequenze sismiche provocate dalle trivellazioni e dalla pratiche di reiniezione dei liquidi in profondità.
Anche nel napoletano si è rimesso mano alle trivelle qualche anno fa con un progetto di perforazione profonda della caldera flegrea, che in prima battuta si associava al geotermico, anche se rapidamente e in corso d’opera si trasformò in pura ricerca scientifica. Forse si trattò di un lapsus giornalistico della prima ora…
Stiamo parlando del famoso deep drilling project (CFDDP), che suscitò non poche perplessità in alcuni ricercatori e proteste da parte di diversi movimenti di cittadini che ritennero assurda un’operazione di scavo profondo all’interno di un’area vulcanica e metropolitana come quella di Napoli. Così, il pozzo che doveva avvicinarsi ai 4000 metri di profondità, raggiunta la quota pilota di 502 metri nel ventre tufaceo di Bagnoli, si è fermato per consentire l’analisi del primo carotaggio, ma non si esclude una pausa più lunga del necessario dovuta a un impasse di tipo giudiziario.
Il tentativo corrente offerto anche da una conferenza stampa a tema, sembra quello di riavviare in qualche modo la trivella, o comunque di magnificarne virtù e assenza di controindicazioni, forse per dare forza a un nuovo progetto geotermico da attuarsi nella zona fumarolica di Pisciarelli a ridosso del vulcano Solfatara a Pozzuoli. Praticamente nel punto più stressato del super vulcano flegreo… L’operazione che si profila all’orizzonte si chiama progetto Scarfoglio,  e la consulenza scientifica è offerta dall’amra, un consorzio con nomi molto noti alla scienza e alle istituzioni statali.
I risultati scientifici conseguiti con il pozzo pilota del deep drilling project di Bagnoli (502 mt.), sono stati presentati a palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli, nel corso di una conferenza stampa dell’INGV napoletano. Non sono pochi quelli che sperano che dallo scavo scientifico emergano alibi sufficienti per spalmare sui suoli contaminati dell’ex italsider palazzi di lusso con vista sul Golfo  calderico… Paradosso? Non scherzava affatto l’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, quando disse in un recente convegno che le proibizioni edilizie a uso residenziale  valevoli per la zona rossa Vesuvio non valgono automaticamente  per la zona rossa del super vulcano dei Campi Flegrei: occorre una legge ad hoc…
Tra i dati offerti al pubblico, è stato posto in rilievo la scoperta di materiale tufaceo ascrivibile a un’eruzione di 45000 anni fa. Se, come viene scritto altrove, l’attività vulcanica nell’area flegrea è iniziata 60000 anni fa, riteniamo che il minimo che possa accadere carotando in giro per i Campi Flegrei, è di trovare tracce di eruzioni antecedenti o successive a quella famosa dell’ignimbrite campana…Tra l’altro, una buona parte della caldera flegrea è sommersa è non è da escludere che sorprese verranno prima o poi anche dall’ambiente sottomarino.
Un altro elemento che lascia dubbiosi ma probabilmente per difetto interpretativo della stampa, riguarda la scoperta che il bradisismo flegreo dipende un po’ dai fluidi e un po’ dal magma, al 50% dicono…
Emeriti scienziati anche del passato accennavano già a questa caratteristica dei campi ardenti, anche se da una interessante disquisizione del Prof. Giuseppe Luongo, ci è sembrato di capire che non si possa esclude che le forze in gioco all’origine del bradisismo ascendente lascino propendere per un intervento del magma piuttosto che dei fluidi, ovvero con una prevalenza del primo sul secondo. Che il contestatissimo Campi Flegrei deep drilling project con il suo pozzo esplorativo a 502 metri di profondità abbia rivoluzionato, come tuona in questi giorni la stampa, le conoscenze sulla caldera flegrea e sulle dinamiche del bradisismo, ci sembra un’affermazione forse un po’ eccessiva. Leggiamo infatti, da una pubblicazione del 2009 del Prof. Benedetto De Vivo, che il bradisismo è un fenomeno ampiamente studiato… Su un’autorevole rivista scientifica poi (amraGiovanni OrsiAldo Zollo), si cita che la caldera flegrea è stata indagata in dettaglio negli ultimi 30 anni attraverso perforazioni profonde (1 - 3 Km.), studi tomografici basati su dati di terremoti locali e telesismi, indagini gravimetriche e magnetiche, misure di temperatura in profondità e di flussi di calore in superficie. Immagini ad alta risoluzione della struttura calderica, sono state ottenute dall’analisi di dati di sismica a riflessione acquisiti durante l’esperimento SERAPIS nel 2001, supportate dalla nave oceanografica Nadir dell’ifremer e dall’installazione di più di 60 sismometri da fondali marini nelle baie di Napoli e Pozzuoli >>. Potremmo continuare con l’analisi delle perforazioni profonde e meno profonde dell’AGIP e di ENEL che si contano a diecine per poi passare ai satelliti e a tutte le altre tecnologie applicate in loco…
Certamente le trivellazioni sono un elemento pragmatico dello studio del sottosuolo della caldera flegrea con la sua struttura particolarmente complessa e dinamica. Il carotaggio però, consente di conoscere ciò che prospetticamente si vede dal buco della serratura ma non nelle stanze accanto come dimostra appunto il ritrovamento di tufi mai prima censiti… La caldera flegrea racchiude diverse decine di bocche eruttive e come dicevamo è in parte sommersa. La complessità del sottosuolo in siffatta area richiede sicuramente uno studio continuo e approfondito e quindi meritevole di finanziamenti mirati. Trattandosi di un territorio densamente abitato e metropolitano però, sede anche di importanti strutture viarie e ferroviarie, bisognerebbe privilegiare sistemi di esplorazione necessariamente indiretti, non solo per tenere alto il famoso principio di precauzione, ma anche perché lì dove ci sono agglomerati urbani  non è consentito dalla legge apportare modifiche artificiali a un sistema naturale che racchiude pericoli imprecisabili dettati da un sottosuolo sotto stress, con presenza di fluidi allo stato critico e supercritico.
Per quanto riguarda la stazione avanzata di monitoraggio installata nel pozzo pilota ubicato lì nel sottosuolo tufaceo di Bagnoli, questa coglie e coglierà anche i sommovimenti micrometrici, probabilmente consentendo di avere elementi meno perturbati su cui elaborare teorie endodinamiche. Difficilmente però, questi dati sui microsismi potranno essere definiti concreti elementi di previsione delle eruzioni flegree, perché nella zona i movimenti del suolo in realtà si contano a metri, e le scosse sismiche a migliaia durante le fasi acute di sollevamento. Segnali anche vistosi che potrebbero non approdare a un’eruzione, ma fenomeni certamente capaci di minare nel concreto la statica dei fabbricati.
Il deep drilling project, ovvero il progetto di perforazione profonda in zona calderica (Bagnoli), non ebbe il nulla osta dal sindaco d’allora, Rosa Russo Iervolino, e solo con l’avvento del successore è stato possibile perforare almeno il pozzo pilota (502 metri).
Oggi in Campania il problema delle perforazioni si pone in modo piuttosto serio, perché sono stati dati permessi (iter in corso) per lo sfruttamento geotermico dei fluidi caldi sia per l’isola d’Ischia, che per il settore occidentale e orientale dei Campi Flegrei con i progetti Forio, Cuma e Scarfoglio.
Certamente l’idea di collocare una centrale geotermica a ridosso della Solfatara di Pozzuoli è interessante in termini di strategia commerciale e rispetto del paesaggio. In questa zona ci sono i fluidi più caldi, e ciò che potrebbe fuoriuscire dalla centrale geotermica sarebbe sostanzialmente ciò che fuoriesce dalla Solfatara, il che non farebbe temere impatti ambientali dalla direzione dei venti, così come la eventuale sismicità indotta dalle trivelle e dalle rieiniezioni dei fluidi sul fondo del cratere sarebbe difficilmente discriminabile dai normali microsismi che interessano quella zona in particolare.

La Solfatara - Pozzuoli

Il problema principale è rappresentato dalle incertezze circa i possibili squilibri che si causerebbero a un sistema complesso e stressato come quello che caratterizza il sottosuolo flegreo, tra l’altro parliamo di un territorio che vive una condizione di bradisismo ascendente e un livello di allerta vulcanica in una fase di attenzione.

Con questo non si vuole dire che si ha la certezza che le perforazioni creino problemi di sicurezza diversi da quelli di cantiere; si vuole semplicemente affermare che se sussistesse questa possibilità anche minima, non è possibile accrescere artificialmente il rischio a un’area che di rischio sismico e vulcanico ne somma a sufficienza, tra l’altro in una condizione oggettiva di urbanizzazione spiccata e senza piani territoriali di protezione civile.
Nella valutazione del rischio poi, visto che una centrale geotermica richiede come nel caso in esame reiniezione dei fluidi con pratica non occasionale, il rischio di squilibrio nel sottosuolo si manterrebbe nel tempo con una certa indeterminatezza dovuta alle interazioni date da un sottosuolo in evoluzione. Soprattutto nella zona di trivellazione dei pozzi che ricadono nella zona Solfatara – Pisciarelli, dove dal 2006 si sono segnalati aumenti di temperatura e dei flussi delle emissioni fumaroliche.
Nell’analisi del rischio bisogna contemplare le caratteristiche territoriali per una misura in senso estensivo almeno pari alla distanza ricopribile dagli effetti delle energie che potrebbero rilasciarsi dalla sorgente emettitrice artificiale. In tutte le disquisizioni sul rischio poi, un ruolo fondamentale lo giocano le alternative che molte volte non vengono prese in considerazione perché più costose.
E’ chiaro che le uniche zone dove i fluidi presenti nel sottosuolo hanno temperature significative al punto da rendere interessante uno sfruttamento geotermico, sono quelle in Toscana, Tirreno Meridionale, Ischia e Campi Flegrei e il Canale di Sicilia. E’ altrettanto chiaro che gli impianti di sfruttamento terrestre hanno meno costi di esercizio rispetto a quelli ubicati in mare, così che l’Amiata, Ischia e i Campi Flegrei, sono probabilmente le zone più appetitose per il geotermico italiano.
L’area di Larderello è molto sfruttata e gli abitanti sono in subbuglio e tutt’altro che convinti dell’impatto zero del geotermico soprattutto con tecnologia non a circuito chiuso: rimane allora quella ischitana e flegrea da esplorare. Purtroppo o per fortuna, nel nostro caso quelle meridionali sono anche tra le zone più belle d’Italia e tra le più urbanizzate e con un flusso turistico di tutto rispetto. Al momento alternative alla produzione di energia elettrica ce ne sono e quindi dovrebbe essere preferibile non correre alcun rischio tra l’altro in una zona (Campi Flegrei) che registra parametri di alterazione geochimica e geofisica con punte localizzate soprattutto nella località Scarfoglio dove s’intende procedere con le trivellazioni per la realizzazione di tre pozzi emungitori, e due di reiniezione dei liquidi.
Il comune di Pozzuoli ovviamente dovrebbe avere un ruolo di vigilanza in questa faccenda visto che il progetto Scarfoglio dovrebbe attuarsi sui territori puteolani, e ci si augura che oltre all’accordo collaborativo con l’INGV, sia garantito innanzitutto il diritto all’informazione, pubblicizzando l’impegno geotermico in loco.
Nella relazione d’impatto ambientale prodotta dall’amra a firma del Prof. Paolo Gasparini, si legge che:<< l’attività sismica associata alle applicazioni geotermiche che è tipicamente di bassa energia (M< 3), è la risultante di differenti effetti, come l’iniezione e l’estrazione di fluidi che producono variazioni dello stress statico, sia per l’effetto della pressione di poro che per l’effetto dello stress termico…>>. Per quanto riguarda l’interferenza con il sistema vulcanico, Gasparini afferma che << non ci sono osservazioni o modelli collaudati in proposito e che, in linea teorica, poiché l’attività geotermica sottrae energia al sistema vulcanico, potrebbe semmai essere considerata stabilizzante allontanandola dal punto critico (eruzione)>>.
Gli aspetti delle trivellazioni napoletane è possibile dividerli in due filoni. Uno riguarda la zona (Bagnoli) dei Campi Flegrei, dove permane la possibilità  che il progetto scientifico (deep drilling project) di perforazione profonda riprenda vigore. Questo progetto non è stato soggetto a valutazione d’impatto ambientale (VIA), che d’altra parte dovrebbe essere un processo di garanzia e di sicurezza a prescindere dalle finalità della trivellazione. E’ particolarmente interessante rilevare che proprio il direttore del deep drilling project chiarisce che non c’è bisogno di valutazione d’impatto ambientale perché il progetto è di semplice carotaggio, e non comporta alcun prelievo o immissione di fluidi, quindi non può assolutamente turbare gli equilibri idrologici e di sforzo nel sottosuolo. L’annotazione è di rilievo…  Nei documenti d’impatto ambientale che riguardano il progetto Scarfoglio invece, ci sembra di cogliere elementi di garanzia per considerazioni opposte, cioè le operazioni si attuerebbero solo negli strati superficiali (1000 metri) sostanzialmente asismici e non nel profondo...

Le centrali geotermiche che sfruttano i fluidi caldi operando nell’ambito dei mille metri di profondità con un ciclo binario, cioè chiuso, pare che siano quelle più affidabili da un punto di vista dell’impatto ambientale di superficie. Il problema rimane nelle profondità e nelle eventuali alterazioni che si porterebbero agli equilibri presenti nel sottosuolo sotto forma di tensioni e circolazione dei fluidi caldi. Se in una terra “normale” questo tipo di attività richiede una certa attenzione, riteniamo che su terra bradisismica intracalderica caratterizzata da suoli  ballerini e super vulcano latente, i benefici economici che mai ritroveremo in bolletta, non valgono la candela di un rischio che difficilmente potrà essere a livello zero.

Per quanto riguarda la perforazione a uso non commerciale (CFDDP), questa riteniamo fortemente che debba essere parimenti e alla stregua di altre soggetta a Valutazione d’Impatto Ambientale, soprattutto per mantenere alto il concetto che non esistono attività che possano autoescludersi dalle necessità di verifica, onde non aprire il campo a scorciatoie scientifiche per analisi tutte commerciali.
Bagnoli ( Campi Flegrei) Quasi sul lungomare l'area del deep drilling project