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lunedì 12 settembre 2016

Campi Flegrei - Il progetto geotermico Scarfoglio... di MalKo



Pozzuoli (Campi Flegrei) - macellum


Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha in corso di valutazione d’impatto ambientale (VIA), un progetto di sfruttamento geotermico per la produzione di energia elettrica da realizzarsi nella località Scarfoglio (Campi Flegrei), a ridosso del vulcano Solfatara nella zona Pisciarelli di Pozzuoli. Motore del sistema dovrebbero essere le caldissime acque del sottosuolo vulcanico.

La documentazione a corredo della richiesta di autorizzazione ha avuto una partnership scientifica istituzionale per molti versi riconducibili all’Osservatorio Vesuviano (INGV), che dovrebbe essere la struttura di garanzia per le problematiche vulcaniche in Campania. Una situazione per molti versi discutibile, perché se la commissione ministeriale ambientale dovesse respingere il progetto Scarfoglio per motivi precauzionali a fronte dell’incolumità pubblica, metterebbe in seria difficoltà l’immagine dell’Osservatorio Vesuviano che, poco indirettamente, ha espresso invece parere di fattibilità del progetto, minimizzando i rischi indotti dalle trivellazione e dalla reiniezione dei fluidi operativi nel sottosuolo.

Anche noi abbiamo inviato le nostre osservazioni al Ministero dell’Ambiente, rimarcando la necessità che determinati rischi si accettano e si respingono anche in ragione delle alternative possibili. Se Le energie geotermiche sono rinnovabili vuol dire che saranno a disposizione della collettività per migliaia di anni. Quindi, se dovesse subentrare una fame di energia che potrebbe mettere in ginocchio la nostra società iper tecnologica e post industriale, allora i rischi dovuti alle trivellazioni e alla pratica di reiniezione gioco forza diventerebbero accettabili, addirittura auspicabili. Oggi però, non ci sono queste condizioni, perché a muovere questo progetto al momento è solo un business industriale…

Abbiamo chiesto al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano, un’analisi dei fattori che a suo giudizio rendono improponibile le attività geotermiche nell’area calderica flegrea. Il noto vulcanologo ci ha consentito di accedere alle osservazioni che ha sviluppato e inviato al Ministero dell’Ambiente. Ve le proponiamo qui di seguito, anche se in una forma riassuntiva.

<< Nella zona dove è stato presentato un progetto d’installazione di un impianto geotermico, ovvero nell’area epicentrale Solfatara – Pisciarelli nei Campi Flegrei, si è avuto recentemente uno sciame sismico di circa 45 scosse con ipocentri superficiali e a bassa magnitudo. Il 7 ottobre del 2015, eventi sismici analoghi indussero non pochi residenti ad abbandonare le proprie abitazioni, così come in alcune scuole i dirigenti scolastici decisero di evacuare i plessi a loro affidati.    

Una ricerca pubblicata sulla rivista Nature- Scientific Reports nell'agosto del 2015 dal dott. Luca D'Auria e altri ricercatori INGV e CNR, ad oggetto le deformazioni del suolo avvenute tra il 2012 e 2013, ha dimostrato come in detto periodo si sia verificata probabilmente una risalita di magma fino a circa 3 Km. dalla superficie, proprio al di sotto di una zona che potremmo definire centrale della caldera flegrea.

Tale risultato ha evidenziato la scarsa rilevabilità della possibile risalita di corpi magmatici dal profondo, ma anche un’analoga e oggettiva difficoltà a individuare nell’attualità le intrusioni già esistenti, nonostante si disponga di un sistema di monitoraggio areale di una certa efficienza. Quindi, non conoscendo la posizione e l’estensione delle protuberanze magmatiche eventualmente presenti a bassa profondità nell'area di Agnano - Pisciarelli, risulta alquanto sconsigliabile procedere con attività di trivellazioni, onde evitare di innescare indesiderati processi perturbativi nella zona calderica anche di tipo esplosivo.

L’area di Agnano – Pisciarelli (Scarfoglio), è strategica e prioritaria per il monitoraggio geofisico e geochimico della caldera attiva dei Campi Flegrei, soprattutto perché esiste un database ultradecennale di tutto rispetto dei dati di monitoraggio del super vulcano flegreo, che sarebbe il caso di non alterare con valori e misure che sarebbero compromesse nella loro naturalità dai processi di trivellazione, emungimento e reiniezione dei fluidi caldi prelevati dal sottosuolo.

Un database di queste dimensioni è indubbiamente e particolarmente utile per valutazioni di ordine scientifico sulla pericolosità vulcanica, grazie a comparazioni da cui potrebbero discendere indicazioni scientifiche circa i livelli di allerta da assegnare all’area, ai fini dell’attuazione dei piani di salvaguardia delle popolazioni esposte. D’altra parte bisogna anche annotare che la realizzazione di un database come questo quale frutto di una ultradecennale attività di monitoraggio, ha richiesto l’investimento di ingenti risorse pubbliche, tanto umane quanto materiali. 

La realizzazione di uno stabilimento industriale che emunge fluidi caldi (180° C.) dal sottosuolo per poi reiniettarli orientativamente nel bacino di prelievo, renderebbe praticamente indistinguibile, nel caso dovessero presentarsi eventi simici, la differenziazione tra origine naturale o indotta di questi fenomeni in tutti i casi pericolosi. L’incertezza determinerebbe pure implicazioni di natura giuridica nella individuazione delle responsabilità, qualora dovessero riscontrarsi malauguratamente danni a persone o a beni pubblici e privati. 

Il vulcano Solfatara - Pozzuoli (Campi Flegrei)
Le criticità naturali insite nella caldera flegrea, sono altresì aggravate dalla perdurante assenza di piani di evacuazione per l'area dei Campi Flegrei, con un valore esposto destinato a salire perché parliamo di un contesto territoriale dove ancora manca un vincolo vulcanico che renda impossibile l’edificazione ad uso residenziale, alla stregua di quanto è già stato fatto per il Vesuvio con la legge regionale numero 21 del 2003.

Recentemente bisogna pure annoverare la risalita di fluidi fangosi all'interno del pozzo di Bagnoli realizzato nell'area ex ITALSIDER nel 2012 e profondo 500 metri (CFDDP).  Il Commissario dell'Osservatorio Vesuviano, dott. Marcello Martini, ha dovuto disporre nel merito urgenti consulenze, senza escludere interventi di ottimizzazione del sito di perforazione nel senso della sicurezza.   

Una vasta letteratura mondiale documenta i rischi connessi ad attività di trivellazione in generale. Tra i più comuni effetti osservati con questa pratica, segnaliamo gli inneschi di eventi sismici e sequenze sismiche, anche prolungate nel tempo, così come le esplosioni o eruzioni dei pozzi, con innesco di fuoriuscite di fluidi anche per lunghi periodi di tempo. Ed ancora processi di subsidenza del suolo, alterazioni delle falde acquifere ed eventi franosi dai rilievi circostanti. Per tali motivazioni, i siti di perforazione sono generalmente posti a distanza dai centri abitati, e in aree non interessate da strutture tettoniche attive.

Le mie perplessità non sono singolari e convergono anche con quelle dei colleghi dott. Giovanni Chiodini dell'INGV, prof.ssa Tiziana Vanorio dell'Università di Stanford USA e il prof. Franco Ortolani, già professore ordinario presso l'Università di Napoli Federico II. Similmente abbiamo segnalato la pericolosità delle trivellazioni in un’area vulcanica particolarmente dinamica come quella flegrea, dove vige tra le altre cose, lo stato di attenzione vulcanica.

Nel caso delle aree vulcaniche attive come quella in esame (Campi Flegrei), i rischi citati sono notevolmente amplificati dagli elevati valori di temperatura e pressione dei fluidi circolanti nel sottosuolo, titolari anche di un certo fattore chimico di tossicità, in un sistema circolatorio sotterraneo che potrebbe essere caratterizzato da intrusioni magmatiche abbastanza superficiali.

Nel computo delle complicazioni dovute alle trivellazioni in aree vulcaniche, segnaliamo sicuramente il vulcano di fango Lusi nell’isola di Giava. Altri esempi riguardano la caldera del Fogo (Sao Miguel Azzorre), dove da alcuni anni è esplose un pozzo durante una trivellazione profonda circa 600 metri; perforazioni crostali finalizzate alla realizzazione di un impianto geotermico. Questa esplosione è stata associata a sequenze sismiche, processi di fratturazione del suolo e nascita di nuovi campi fumarolici.  

Il vulcano Lusi: il fango invade il villaggio di Sidorajo - Fotografia di John Stanmeyer, National Geographic
Gli eventi esplosivi in campi geotermici associati a rapida decompressione e transizione di fase di fluidi ad alta pressione e temperatura, sono possibili nelle aree ad alto gradiente di temperatura, così come accennavamo in precedenza, e il sistema geotermico dei Campi Flegrei è ottimale da questo punto di vista, risultando quindi appetibile da un punto di vista industriale, inappetibile dal punto di vista della sicurezza di questa zona.

Per quanto riguarda invece, l'innesco di sequenze sismiche a seguito di attività di trivellazione, estrazione e reiniezione di fluidi, la problematica è ben documentata anche in aree non vulcaniche, in prossimità di strutture tettoniche attive, come ad esempio nei pozzi localizzati presso Basilea, in Oklahoma e in Olanda.

Dettagliate documentazioni, relative a sismicità indotta, emissioni gassose nocive, emissioni acustiche, e anche esplosioni idrotermali, sono registrate storicamente in tempi più recenti, in aree geotermiche anche di vulcani non attivi, come ad esempio nei siti italiani del Monte Amiata e di Larderello.

D'altra parte, nel progetto pilota " Scarfoglio", è prevista la possibilità di eventi sismici indotti, ma per tale area è noto come la magnitudo massima attesa possa superare il 4 grado Richter, e in tale zona può produrre danneggiamenti.  Il sito prescelto per le trivellazioni è all'interno dell'area epicentrale delle frequenti sequenze sismiche dei Campi Flegrei e dei maggiori terremoti registrati e avvertiti durante le crisi bradisismiche. In particolare, proprio per il rischio sismico, durante la crisi conclusasi nel 1985 fu decisa la totale evacuazione della popolazione di Pozzuoli, trasferita nel nuovo insediamento di Monterusciello.

Ricerche condotte dal sottoscritto, in collaborazione con altri colleghi dell'INGV e di altri istituti, pubblicate su riviste internazionali già alla fine degli anni 90 e negli anni successivi, dimostrano l'estrema instabilità dei sistemi geotermici, sotto l'effetto anche di minime perturbazioni termiche e meccaniche in profondità, con evoluzione imprevedibile e dagli effetti a volte assolutamente indesiderati. Tali condizioni possono essere indotte proprio dalle attività di trivellazione.

Le insufficienti conoscenze dell'assetto geologico-strutturale e termo-fluidodinamico dell’area calderica (Scarfoglio – Pisciarelli), dove dovrebbe collocarsi l’impianto per la produzione di energia elettrica sfruttando i fluidi caldi circolanti nel sottosuolo, in assenza di modelli robusti e affidabili sul comportamento di tali sistemi perturbabili dalle attività di trivellazione, rendono il progetto Scarfoglio rischioso per le comunità e in netto contrasto con il principio di precauzione.

Oltre ai rischi immediati, previsti tra l’altro da modelli di calcolo di processi termo - fluidodinamici in mezzi porosi, le modificazioni sostanziali che potrebbe interessare il sistema profondo, si potrebbero verificare anche a distanza di alcuni decenni.

Utilizzando i comuni programmi di calcolo per l'evoluzione di sistemi geotermici in caso di attività di estrazione di fluidi, si può infatti prevedere la generazione di una estesa modificazione di temperatura, pressione e regime di circolazione dei fluidi in un raggio di centinaia di metri, centrato presso la massima profondità del pozzo, in un periodo che va da alcuni anni a qualche decennio, a partire dall'inizio delle attività estrattive. Le conseguenze sull'ambiente derivanti da tali processi, sono del tutto imprevedibili.

Per le ragioni riportate e vista l'assoluta impossibilità previsionale teorica su quello che potrebbe succedere, tra l’altro una situazione non mitigabile neanche attraverso il monitoraggio delle attività previste nel programma geotermico da realizzare nel sito di Agnano Pisciarelli, le trivellazioni così come la reiniezione dei fluidi da attuarsi nell’area vulcanica flegrea, sono da considerarsi ad altissimo rischio, e quindi, da evitare nell'interesse comune.


sabato 29 agosto 2015

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: timori da prima pagina...di MalKo

Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Gli allarmi di questi giorni a proposito del Vesuvio e dell’imminenza di una eruzione, sono partiti presumibilmente e involontariamente da una sbagliata associazione di idee che hanno seguito la notizia concernente la scoperta fatta da alcuni ricercatori, tra cui dott. Luca D’Auria dell’INGV e dott.ssa Susi Pepe del CNR. La novità proposta da questo studio consiste nell’aver individuato attraverso la precisione millimetrica dei satelliti di nuova generazione, alcuni meccanismi all’origine del bradisismo flegreo che dal 2012 al mese di giugno 2013 hanno caratterizzato il sollevamento dell’area puteolana di circa 10 centimetri.

Campi Flegrei: la zona scura indica il picco bradisismico

Secondo i dati dei due esperti infatti, il bradisismo di questo periodo è stato causato non già da condizioni fluidodinamiche ma da una intrusione di magma che da 8 – 10 chilometri di profondità ha raggiunto i 3 chilometri dalla superficie, per poi espandersi in senso orizzontale dando luogo a una sorta di scudo o lamina o lago o spessore per rimanere nella sfera degli esempi adottati dalla stampa, largo alcuni chilometri. 

Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, intervistato da più organi di stampa sugli aspetti vulcanologici di questa recentissima scoperta, ha sottolineato come in una precedente pubblicazione scientifica coprodotta insieme alla dott.ssa Lucia Pappalardo, oltre a confermare l’esistenza di un bacino magmatico superficiale e unico per i Campi Flegrei e per il Vesuvio, metteva in risalto la possibilità che i tempi di risalita del magma potevano essere ben più rapidi rispetto ad alcune proiezioni ottimistiche del passato.  
Col fine di portare un contributo scientifico divulgativo alla faccenda, abbiamo chiesto al Professor Giuseppe Mastrolorenzo di rilasciarci un’intervista sui punti più salienti che riguardano l’area vulcanica napoletana, anche alla luce dei recenti fatti di attualità legati alle trivellazioni e alle richieste di sfruttamento geotermico nell’area calderica flegrea e quella insulare di Ischia. Poi c’è l’annoso problema dei piani di evacuazione.
Schema del Deep Drilling Project (CFDDP)

Professore, un’unica grande camera magmatica quindi…

La prima evidenza di un’unica camera magmatica comune a Vesuvio e Campi Flegrei è stata presentata da me e dalla Dott.ssa Lucia Pappalardo sulla testata internazionale Scientific Reports del gruppo Nature nell’ottobre del 2012. L’iniziativa ebbe un grosso impatto mediatico perché confermava la presenza di una enorme riserva di magma già differenziato e quindi pronto ad essere eruttato anche in tempi brevi. Sulla base delle nostre ricerche magmatologiche, la sommità della camera magmatica ritenemmo che poteva ben localizzarsi mediamente a 8 chilometri dalla superficie. Fu la prima volta che grazie allo studio della composizione e dei rapporti isotopici delle rocce eruttate dal Vesuvio e dai Campi Flegrei si poté individuare una origine comune ai due vulcani napoletani.


Questa scoperta del Dott. Luca D’Auria (INGV) ed altri, cosa aggiunge in termini di conoscenza circa i processi vulcanici dell’area flegrea?

La recente pubblicazione di D’Auria ed altri ricercatori dell’INGV e del CNR sulla stessa rivista Scientific Reports accennata in precedenza, ha confermato le conclusioni riportate sulle nostre pubblicazioni. In base ai loro studi sulla crisi bradisismica del 2012 – 2013, una massa magmatica sarebbe risalita dalla camera superficiale e “fortunatamente” si sarebbe espansa orizzontalmente alla profondità di 3 chilometri nell’area puteolana formando un esteso sill senza causare eruzione.
I vulcani hanno proprio questo tipo di funzionamento, con il magma che può risalire dalla camera magmatica arrestandosi a varie profondità o raggiungere la superficie producendo un’eruzione. Le nostre conoscenza sui sistemi vulcanici non ci consentono di prevedere l’evoluzione di tali processi che possiamo solo ipotizzarli. Quello che possiamo osservare direttamente invece è l’eruzione: ma questa potrebbe essere una magra consolazione in un contesto urbanizzato come il nostro. E’ grave invece, che pur sapendo della possibile presenza di corpi magmatici attivi nella caldera dei Campi Flegrei, nel 2012 mentre il magma risaliva si trivellava il suolo di Bagnoli.


Questa novità dell’iniezione di magma verso la superficie non sembra sia stata colta in precedenza dalla catena di monitoraggio esistente…

I sistemi di monitoraggio rilevano le variazione di parametri fisici e chimici mentre la determinazione delle cause di tali variazioni è oggetto di speculazione scientifica. In pratica anche con le metodologie più avanzate non è possibile definire con certezza parametri geometrici fisici ed evolutivi di strutture profonde quali i sistemi magmatici. Usiamo una serie di indirizzi e modelli generali per ipotizzare quello che avviene in profondità, e da questo deriva l’intrinseca imprevedibilità delle eruzioni vulcaniche. I sistemi magmatici non sono per niente semplici e annoverano una moltitudine di variabili per lo più sconosciute. Quindi, non ha alcun senso parlare di prevedibilità del fenomeno in sistemi così complessi. I dati del monitoraggio forniscono solo indirizzi da inserire in modelli del sottosuolo scarsamente definiti per formulare ipotesi.
 Vulcano Solfatara - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Il direttore dell’Osservatorio Vesuviano ha emanato precipitosamente un bollettino per tranquillizzare quanti si sono allarmati a causa di alcuni articoli di stampa ad oggetto il Vesuvio e una possibile ripresa eruttiva. Non sfugge niente geologicamente parlando all’Osservatorio?

Una cosa è rilevare eventi sismici anche molto deboli così come minime deformazioni del suolo e modificazione dei flussi e della composizione chimica e della temperatura dei gas fumarolici e un'altra e ben diversa è la previsione delle eruzioni. Il monitoraggio ci consente di definire con accuratezza i cambiamenti che avvengono in superficie o anche a modesta profondità e in alcuni punti, ma il monitoraggio non consente alcuna previsione per il futuro. Il monitoraggio può avere una sua importanza per confermare o rigettare modelli interpretativi ed avrebbe un valore una volta scelte delle soglie di riferimento che sarebbero comunque arbitrarie per l’attivazione di un piano di evacuazione. Tra l’altro piani che al momento mancano esponendo oltre misura i 3 milioni di abitanti che vivono nei distretti vulcanici napoletani.

Rione Terra Pozzuoli -  (Campi Flegrei)
Le perforazioni in genere in un’area appunto come quella flegrea o ischitana potrebbero portare elementi utili alla prevenzione delle catastrofi?

Come dimostrano i vari disastri avvenuti a seguito di trivellazioni anche in zone per niente sismiche e vulcaniche, è quanto mai opportuno impedire qualsiasi attività di trivellazione superficiale o profonda, soprattutto nelle aree urbanizzate a tutela della collettività.
Per la zona dei Campi Flegrei e per quella di Ischia da tempo mi batto negli ambiti scientifici e istituzionali e governativi per impedire l’effettuazione di perforazioni soprattutto con estrazione e reiniezione dei fluidi sia per scopi scientifici che industriali legati all’energia geotermica. Non si può non condannare la trivellazione operata proprio nei suoli di Bagnoli nel 2012 con una crisi bradisismica in atto in una condizione di misura dei parametri controllati che hanno poi richiesto il passaggio alla fase di attenzione vulcanica come dai modelli di allerta vigenti. La perforazione si è fermata a 520 metri, ma se continuava avrebbe potuto attraversare l’esteso corpo magmatico ubicato a 3 chilometri di profondità con conseguenze non prevedibili ma certamente contrarie a qualsiasi principio di precauzione.

In zone vulcaniche ad altissimo rischio come il Vesuvio e i Campi Flegrei, la mancata redazione dei piani di evacuazione è come un pronto soccorso senza medicinali…

Il piano di evacuazione è l’unica difesa a fronte del rischio a cui sono sottoposte le popolazioni che abitano in aree vulcaniche per l’imprevedibilità del fenomeno eruttivo. Piani che da moltissimi anni ne invoco la disponibilità e che puntualmente viene riferito che sono nella imminenza della pubblicazione ma che di fatto ancora non esistono… Procedere con le rassicurazioni soprattutto da parte dei vertici istituzionali può avere una valenza solo nell’immediato, all’atto dell’affermazione, che potrebbe rivelarsi fallace già nei giorni successivi. Con questo si vuole dire che oggi non c’è allarme, ma è bene sottolineare che la previsione degli eventi vulcanici non è ancora alla nostra portata e che l’unica difesa realmente concreta è la prevenzione delle catastrofi: una disciplina poco o per niente applicata.

Ringraziamo per la cortese attenzione e per il tempo che ci ha dedicato il Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore presso il prestigioso Osservatorio Vesuviano (INGV) di Napoli.

Al termine di questa intervista occorre ribadire alcuni importanti concetti: innanzitutto che il Vesuvio permane ad oggi in uno stato di quiescenza e chi ha responsabilità istituzionali  bene ha fatto a puntualizzare l’assenza del rischio eruttivo a breve,  ma avrebbe fatto ancora meglio se approfittando del picco mediatico avesse puntato il dito contro le mancate politiche di prevenzione che hanno reso le zone vulcaniche napoletane tra le più abitate al mondo e per questo le più rischiose del Pianeta.

L’oggetto dell’attenzione giornalistica doveva concentrarsi sui Campi Flegrei, dicevamo, e non solo per le particolarità calderiche da super vulcano. All’interno dell’area puteolana infatti, si è riscontrata un’intrusione magmatica che dovrà essere meglio studiata per capire come si colloca il fenomeno in un contesto di conclamato stato di attenzione vulcanica, che potrebbe essere forse pure rivisto al rialzo qualora i dati geochimici e geofisici dovessero attestare una impennata bradisismica indotta dal materiale magmatico.

I piani d’emergenza comprensivi di quelli di evacuazione tardano a concretizzarsi come documentazione ufficiale da sintetizzare poi sotto forma di memorandum per i cittadini. Per il resto gli argomenti scientifici e tecnici e politici che riguardano direttamente e indirettamente la platea a rischio vulcanico, devono battere strade nuove con sensibilità nuove, e i problemi devono essere affrontati non già con machiavellismo ma con la convinzione che mai più debbano piovere petali rosa su un mondo istituzionale ingiustificatamente ed eccessivamente distratto…