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sabato 24 ottobre 2015

Rischio Vesuvio: zona blu e lahar... di Malko

Colata di fango (1980) - Mount St. Helens - (fonte USGS)


lahar sono delle colate di fango che si formano soprattutto lungo i fianchi dei vulcani, quando le piogge intense che accompagnano di solito le eruzioni esplosive lasciano cadere molta acqua sui rilievi acclivi. Il prezioso liquido scorrendo prevalentemente lungo i valloni di erosione, si mischia ai prodotti piroclastici che incontra sul suo cammino formando una sorta di fiumara fangosa.
Le colate di fango diventano sovente inarrestabili ed hanno una densità sufficiente a trascinare verso il basso anche pietre e massi che hanno un effetto particolarmente abrasivo e distruttivo sulla vegetazione e sui manufatti che non rappresentano un ostacolo insormontabile al loro dilagare. 

Mount St. Helens - la corsa del fango ha segnato gli alberi

Le eruzioni vulcaniche esplosive che riguardano apparati montuosi ricoperti in cima da neve o ghiacciai, sono ancora più pericolose, perché i flussi piroclastici o anche altre fenomenologie vulcaniche roventi, liquefano velocemente la neve che diventa immediatamente una riserva idrica disponibile e dal grande potenziale energetico per effetto della quota.
Durante le eruzioni, cenere e lapilli possono essere depositati anche sui rilievi montuosi posti a distanza dal vulcano in attività: quindi, in presenza di piogge intense le colate di fango o detritiche torrentizie, possono prodursi pure altrove e dopo molti anni dal deposito. 

Colata di Sarno - Fonte Corriere mezzogiorno
Le colate rapide di fango che sconvolsero i territori del sarnese il 5 maggio del 1998 sono un esempio di lahar posdatati rispetto alle eruzioni del Vesuvio. Infatti, le persistenti piogge impregnarono totalmente le coltri di cenere e lapillo e pomici che giacevano da centinaia di anni su un sub strato calcareo nella zona montuosa di Pizzo D’Alvano (a est del Vesuvio), al punto che l’ammasso perse aderenza e fluidificò con furia nei valloni d’erosione e poi nelle strade di Sarno (Salerno) seminando morte e distruzione soprattutto nella frazione di Episcopio. Morirono 159 persone: nella sola Sarno se ne contarono 137, tra cui un vigile del fuoco, Marco Mattiucci, che rimase imprigionato durante le operazioni di soccorso all’interno del veicolo di servizio investito dal fango.

I lahar, sono il fenomeno vulcanico che ha prodotto il maggior numero di vittime nel mondo. Una delle colate di fango più micidiale che si annovera negli annali a tema, fu quella che caratterizzò l’eruzione del Nevado del Ruiz (Colombia) il 13 novembre del 1985. In questo caso i flussi piroclastici sciolsero il nevaio in cima al vulcano (5400 mt.), e tanta acqua si riversò verso il basso inglobando i prodotti piroclastici che intanto si erano accumulati al suolo. In poco tempo si animò un’enorme colata di fango che si abbatté inaspettata ancorché di notte sulla cittadina di Armero. Fu una strage…

L’immagine che vedete in basso fu scattata dal fotografo Frank Fournier è mostra una delle 23.000 vittime di quella notte: la piccola Omayra Sanchez travolta e poi imprigionata dal fango e dai detriti in una situazione apocalittica che durò sessanta ore. Minuti che segnarono l’impotenza dei soccorritori che nulla poterono fare per trarla in salvo da quella trappola mortale.
La foto fece il giro del mondo e tra mille polemiche perché si disse che non si poteva mostrare l’agonia di una bambina... L’autore dello scatto ha sempre affermato che Omayra è una vittima del Nevado del Ruiz, ma è soprattutto un simbolo di condanna del pressapochismo con cui il governo colombiano gestì quell’emergenza vulcanica…

La piccola Amyra Sanchez - Armero Guayabal 1985 - Foto F. Fournier
Il Vesuvio è uno strato vulcano che durante le eruzioni esplosive produce una gran quantità di ceneri e molto vapore acqueo che legandosi a corpuscoli di condensazione si trasforma in pioggia battente. Questo significa che anche da noi il problema dei lahar non è trascurabile in caso di eruzione. Le zone a maggior rischio sono quelle riportate nella figura sottostante corrispondente grosso modo alla zona rossa Vesuvio.

 
Apron Vesuvio - fonte INGV
Una delle caratteristiche della cenere vulcanica è quella di produrre un effetto di semi sigillatura dei suoli che diventano cattivi recettori dell’acqua piovana, che ristagna o si accumula e scorre in superficie in direzione delle depressioni plano altimetriche. 
Le cronache dell’eruzione del Vesuvio del 1631 (VEI4), riportano fenomeni alluvionali soprattutto per le acque corrive provenienti dal Monte Somma e che si riversarono nella piana di Nola, allagando cittadine come Saviano ed altre località ancora quali Marigliano, Cicciano e Cisterna, con altezza delle acque che raggiunsero e superarono largamente i 3 metri dal piano campagna.

Gli alluvionamenti possono presentarsi prevalentemente nei territori settentrionali dell’area vesuviana, nel settore tra Acerra e Nola, soprattutto, come dicevamo, se i terreni sono stati soggetti in ragione della direzione dei venti alla ricaduta di cenere vulcanica.

La conca di Nola è un settore geografico che per una serie di motivi di ordine altimetrico non è in grado di convogliare le acque meteoriche verso il mare secondo direttrici di percorso minimo (sud) come invece succede nel caso del fiume Sarno. La zona ove è ubicato il centro commerciale definito vulcano buono (Nola), dovrebbe corrispondere alla massima depressione areale. La morfologia dei luoghi costringe quindi le acque meteoriche a scorrere in direzione ovest passando sommessamente tra i comuni di Pomigliano d’Arco e Acerra.
  
Nel vesuviano settentrionale si potrebbero riversare torrenti di acqua e fango anche dalle valli del Clanio e di Quindici. Una situazione eruttiva con caduta di piroclastici concentrati a nord, indurrebbe velocemente un consistente alluvionamento non solo per l’effetto cenere sui terreni, ma anche per l’ostruzione dei canali e del sistema fognario dovuto ai detriti precipitati e mobilitati dalle acque.
L’eruzione massima di riferimento adottata dal dipartimento della protezione civile per la stesura dei piani d’emergenza e di quelli d’evacuazione ancora in itinere, è simile a quella del 1631 (VEI4). Quest’ultima cagionò oltre ai fenomeni dei flussi piroclastici e della pioggia di cenere e lapilli, anche inondazioni diffuse in alcune cittadine tra cui Marigliano e Cicciano che lamentarono vittime a causa dei circa tre metri d’acqua dilagante.

Zone Vesuvio (rossa,gialla e blu)
La zona blu che è una sovra perimetrazione di un settore già ricadente in zona gialla, ha quindi una sua correlazione con le ceneri e i lapilli aspersi dal vulcano, ma ha anche un ulteriore fattore di vulnerabilità rappresentato dalle alture circostanti che prevedono linee d’impluvio che scaricano anche indirettamente in direzione di Nola. Il fenomeno delle inondazioni dicevamo è particolarmente concentrato nella parte a nord, nord est del Somma - Vesuvio, ma nessun luogo del territorio che contorna il vulcano e per 360° può ritenersi esente dal fenomeno dei torrenti di fango (lahar), che andrebbero a caratterizzare soprattutto i canali d’impluvio (lave d’acqua) e i valloni erosivi attuali soprattutto del Somma. Anche alcune strade e tratturi possono essere portatori di fango, e tra l’altro possono essere già oggi rilevati perché spesso in caso di pioggia intensa si trasformano in alvei detritici.


Per avere qualche dettaglio in più sul fenomeno delle colate di fango, chiediamo al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), quali eruzioni del Vesuvio hanno prodotto lahar e quali sono state le zone o i paesi particolarmente colpiti.

Come in quasi tutti i vulcani esplosivi, anche al Somma-Vesuvio gli eventi eruttivi sono spesso associati a fenomeni particolari, quali precipitazioni eccezionali e generalmente colate, la cui definizione precisa è in funzione della concentrazione di particelle solide e dei processi di trasporto. In genere si parla di colate di fango o lahar, ma questi fenomeni spaziano in un più ampio spettro di proprietà fisiche e meccanismi di genesi, trasporto e deposizione dei materiali. I due estremi comprendono fenomenologie simili alle frane con prevalenza di materiale solido accumulato sui fianchi del vulcano e mobilizzato a causa di instabilità, sollecitazioni sismiche e riduzione dell'attrito interno per effetto di precipitazioni, ecc. C’è poi una tipologia di flussi simili a sovralluvionamenti, nella quale abbonda l'acqua, mentre il materiale solido trasportato è fortemente subordinato: in questo caso generalmente si parla di mass flow.

Molte eruzioni esplosive del Vesuvio sono state accompagnate e seguite da mass flow, talvolta devastanti, anche se in genere questi sono più frequenti in eruzioni di tipo pliniano o subpliniano.  Le aree interessate comprendono tutti i versanti del vulcano, con particolare concentrazione nelle aree di maggior accumulo di materiale piroclastico. I lahar, possono raggiungere distanze notevoli dal vulcano, e possono accumularsi con spessori anche superiori ai 10 metri in canali o pianure perivulcaniche; così come possono originarsi pure da altri rilievi montuosi sottovento e interessati da notevoli accumuli di materiale vulcanico, poi mobilizzato per effetto di instabilità legata ad elevata pendenza dei versanti e precipitazioni.
Ugualmente eruzioni di minore portata, quali stromboliane o vulcaniane, occasionalmente hanno generato lahar, per lo più localizzati sui versanti del Somma-Vesuvio con modesta mobilità.

L’eruzione del Vesuvio del 472 si caratterizzò tra l’altro anche per le colate di fango. Ma quest’eruzione è da ritenersi una pliniana, una sub pliniana o, energeticamente parlando, mediana tra le due?

L'eruzione del 472 A.D è una eruzione molto particolare che meriterebbe una più ampia trattazione. In base agli attuali criteri di classificazione è una sub-pliniana, ma per l'estensione degli effetti associati può essere considerata e alla stregua una pliniana. Le ricerche che ho condotto alla fine degli anni '90 hanno consentito di evidenziare proprio gli effetti secondari (lahar e mass flow), che in generale hanno conferito all'eruzione del 472 uno straordinario potere di devastazione e modificazione del territorio in un raggio di decine di km dal vulcano. L'eruzione avvenne quasi alla fine dell'Impero Romano, quando il territorio vesuviano era in progressivo abbandono. L'effetto combinato del carattere freatomagmatico di alcune fasi dell'eruzione e del degrado degli insediamenti umani, fecero sì che l'eruzione seppellendo le pianure intorno al Vesuvio sotto metri di pomici, ceneri e fango poi consolidato, assestasse un duro colpo in termini di vivibilità all'area nolana e sarnese in particolare.


Ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per le risposte che ha assicurato ai nostri lettori su questo tema delle colate di fango spesso sottovalutato come fenomeno vulcanico complementare e dirompente.

Nelle conclusioni dobbiamo sottolineare che il fango composto da acqua e cenere vulcanica è una vera trappola mortale, perché pur riuscendo a respirare, un eventuale malcapitato sarebbe sottoposto suo malgrado a problemi di ipotermia e probabilmente da sindrome da schiacciamento soprattutto col progredire del processo di disseccamento.

In alcuni casi sono stati fatti esperimenti per valutare lo sforzo necessario a un uomo per liberarsi dal fango viscoso: ebbene, occorrerebbero centinai di chilogrammi... D’altra parte è anche il caso di ricordare che mentre sull’acqua si galleggia e sulle macerie si cammina, sul fango non si galleggia e non si cammina, e questo per un soccorritore è un grosso limite operativo.  







sabato 29 agosto 2015

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: timori da prima pagina...di MalKo

Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Gli allarmi di questi giorni a proposito del Vesuvio e dell’imminenza di una eruzione, sono partiti presumibilmente e involontariamente da una sbagliata associazione di idee che hanno seguito la notizia concernente la scoperta fatta da alcuni ricercatori, tra cui dott. Luca D’Auria dell’INGV e dott.ssa Susi Pepe del CNR. La novità proposta da questo studio consiste nell’aver individuato attraverso la precisione millimetrica dei satelliti di nuova generazione, alcuni meccanismi all’origine del bradisismo flegreo che dal 2012 al mese di giugno 2013 hanno caratterizzato il sollevamento dell’area puteolana di circa 10 centimetri.

Campi Flegrei: la zona scura indica il picco bradisismico

Secondo i dati dei due esperti infatti, il bradisismo di questo periodo è stato causato non già da condizioni fluidodinamiche ma da una intrusione di magma che da 8 – 10 chilometri di profondità ha raggiunto i 3 chilometri dalla superficie, per poi espandersi in senso orizzontale dando luogo a una sorta di scudo o lamina o lago o spessore per rimanere nella sfera degli esempi adottati dalla stampa, largo alcuni chilometri. 

Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, intervistato da più organi di stampa sugli aspetti vulcanologici di questa recentissima scoperta, ha sottolineato come in una precedente pubblicazione scientifica coprodotta insieme alla dott.ssa Lucia Pappalardo, oltre a confermare l’esistenza di un bacino magmatico superficiale e unico per i Campi Flegrei e per il Vesuvio, metteva in risalto la possibilità che i tempi di risalita del magma potevano essere ben più rapidi rispetto ad alcune proiezioni ottimistiche del passato.  
Col fine di portare un contributo scientifico divulgativo alla faccenda, abbiamo chiesto al Professor Giuseppe Mastrolorenzo di rilasciarci un’intervista sui punti più salienti che riguardano l’area vulcanica napoletana, anche alla luce dei recenti fatti di attualità legati alle trivellazioni e alle richieste di sfruttamento geotermico nell’area calderica flegrea e quella insulare di Ischia. Poi c’è l’annoso problema dei piani di evacuazione.
Schema del Deep Drilling Project (CFDDP)

Professore, un’unica grande camera magmatica quindi…

La prima evidenza di un’unica camera magmatica comune a Vesuvio e Campi Flegrei è stata presentata da me e dalla Dott.ssa Lucia Pappalardo sulla testata internazionale Scientific Reports del gruppo Nature nell’ottobre del 2012. L’iniziativa ebbe un grosso impatto mediatico perché confermava la presenza di una enorme riserva di magma già differenziato e quindi pronto ad essere eruttato anche in tempi brevi. Sulla base delle nostre ricerche magmatologiche, la sommità della camera magmatica ritenemmo che poteva ben localizzarsi mediamente a 8 chilometri dalla superficie. Fu la prima volta che grazie allo studio della composizione e dei rapporti isotopici delle rocce eruttate dal Vesuvio e dai Campi Flegrei si poté individuare una origine comune ai due vulcani napoletani.


Questa scoperta del Dott. Luca D’Auria (INGV) ed altri, cosa aggiunge in termini di conoscenza circa i processi vulcanici dell’area flegrea?

La recente pubblicazione di D’Auria ed altri ricercatori dell’INGV e del CNR sulla stessa rivista Scientific Reports accennata in precedenza, ha confermato le conclusioni riportate sulle nostre pubblicazioni. In base ai loro studi sulla crisi bradisismica del 2012 – 2013, una massa magmatica sarebbe risalita dalla camera superficiale e “fortunatamente” si sarebbe espansa orizzontalmente alla profondità di 3 chilometri nell’area puteolana formando un esteso sill senza causare eruzione.
I vulcani hanno proprio questo tipo di funzionamento, con il magma che può risalire dalla camera magmatica arrestandosi a varie profondità o raggiungere la superficie producendo un’eruzione. Le nostre conoscenza sui sistemi vulcanici non ci consentono di prevedere l’evoluzione di tali processi che possiamo solo ipotizzarli. Quello che possiamo osservare direttamente invece è l’eruzione: ma questa potrebbe essere una magra consolazione in un contesto urbanizzato come il nostro. E’ grave invece, che pur sapendo della possibile presenza di corpi magmatici attivi nella caldera dei Campi Flegrei, nel 2012 mentre il magma risaliva si trivellava il suolo di Bagnoli.


Questa novità dell’iniezione di magma verso la superficie non sembra sia stata colta in precedenza dalla catena di monitoraggio esistente…

I sistemi di monitoraggio rilevano le variazione di parametri fisici e chimici mentre la determinazione delle cause di tali variazioni è oggetto di speculazione scientifica. In pratica anche con le metodologie più avanzate non è possibile definire con certezza parametri geometrici fisici ed evolutivi di strutture profonde quali i sistemi magmatici. Usiamo una serie di indirizzi e modelli generali per ipotizzare quello che avviene in profondità, e da questo deriva l’intrinseca imprevedibilità delle eruzioni vulcaniche. I sistemi magmatici non sono per niente semplici e annoverano una moltitudine di variabili per lo più sconosciute. Quindi, non ha alcun senso parlare di prevedibilità del fenomeno in sistemi così complessi. I dati del monitoraggio forniscono solo indirizzi da inserire in modelli del sottosuolo scarsamente definiti per formulare ipotesi.
 Vulcano Solfatara - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Il direttore dell’Osservatorio Vesuviano ha emanato precipitosamente un bollettino per tranquillizzare quanti si sono allarmati a causa di alcuni articoli di stampa ad oggetto il Vesuvio e una possibile ripresa eruttiva. Non sfugge niente geologicamente parlando all’Osservatorio?

Una cosa è rilevare eventi sismici anche molto deboli così come minime deformazioni del suolo e modificazione dei flussi e della composizione chimica e della temperatura dei gas fumarolici e un'altra e ben diversa è la previsione delle eruzioni. Il monitoraggio ci consente di definire con accuratezza i cambiamenti che avvengono in superficie o anche a modesta profondità e in alcuni punti, ma il monitoraggio non consente alcuna previsione per il futuro. Il monitoraggio può avere una sua importanza per confermare o rigettare modelli interpretativi ed avrebbe un valore una volta scelte delle soglie di riferimento che sarebbero comunque arbitrarie per l’attivazione di un piano di evacuazione. Tra l’altro piani che al momento mancano esponendo oltre misura i 3 milioni di abitanti che vivono nei distretti vulcanici napoletani.

Rione Terra Pozzuoli -  (Campi Flegrei)
Le perforazioni in genere in un’area appunto come quella flegrea o ischitana potrebbero portare elementi utili alla prevenzione delle catastrofi?

Come dimostrano i vari disastri avvenuti a seguito di trivellazioni anche in zone per niente sismiche e vulcaniche, è quanto mai opportuno impedire qualsiasi attività di trivellazione superficiale o profonda, soprattutto nelle aree urbanizzate a tutela della collettività.
Per la zona dei Campi Flegrei e per quella di Ischia da tempo mi batto negli ambiti scientifici e istituzionali e governativi per impedire l’effettuazione di perforazioni soprattutto con estrazione e reiniezione dei fluidi sia per scopi scientifici che industriali legati all’energia geotermica. Non si può non condannare la trivellazione operata proprio nei suoli di Bagnoli nel 2012 con una crisi bradisismica in atto in una condizione di misura dei parametri controllati che hanno poi richiesto il passaggio alla fase di attenzione vulcanica come dai modelli di allerta vigenti. La perforazione si è fermata a 520 metri, ma se continuava avrebbe potuto attraversare l’esteso corpo magmatico ubicato a 3 chilometri di profondità con conseguenze non prevedibili ma certamente contrarie a qualsiasi principio di precauzione.

In zone vulcaniche ad altissimo rischio come il Vesuvio e i Campi Flegrei, la mancata redazione dei piani di evacuazione è come un pronto soccorso senza medicinali…

Il piano di evacuazione è l’unica difesa a fronte del rischio a cui sono sottoposte le popolazioni che abitano in aree vulcaniche per l’imprevedibilità del fenomeno eruttivo. Piani che da moltissimi anni ne invoco la disponibilità e che puntualmente viene riferito che sono nella imminenza della pubblicazione ma che di fatto ancora non esistono… Procedere con le rassicurazioni soprattutto da parte dei vertici istituzionali può avere una valenza solo nell’immediato, all’atto dell’affermazione, che potrebbe rivelarsi fallace già nei giorni successivi. Con questo si vuole dire che oggi non c’è allarme, ma è bene sottolineare che la previsione degli eventi vulcanici non è ancora alla nostra portata e che l’unica difesa realmente concreta è la prevenzione delle catastrofi: una disciplina poco o per niente applicata.

Ringraziamo per la cortese attenzione e per il tempo che ci ha dedicato il Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore presso il prestigioso Osservatorio Vesuviano (INGV) di Napoli.

Al termine di questa intervista occorre ribadire alcuni importanti concetti: innanzitutto che il Vesuvio permane ad oggi in uno stato di quiescenza e chi ha responsabilità istituzionali  bene ha fatto a puntualizzare l’assenza del rischio eruttivo a breve,  ma avrebbe fatto ancora meglio se approfittando del picco mediatico avesse puntato il dito contro le mancate politiche di prevenzione che hanno reso le zone vulcaniche napoletane tra le più abitate al mondo e per questo le più rischiose del Pianeta.

L’oggetto dell’attenzione giornalistica doveva concentrarsi sui Campi Flegrei, dicevamo, e non solo per le particolarità calderiche da super vulcano. All’interno dell’area puteolana infatti, si è riscontrata un’intrusione magmatica che dovrà essere meglio studiata per capire come si colloca il fenomeno in un contesto di conclamato stato di attenzione vulcanica, che potrebbe essere forse pure rivisto al rialzo qualora i dati geochimici e geofisici dovessero attestare una impennata bradisismica indotta dal materiale magmatico.

I piani d’emergenza comprensivi di quelli di evacuazione tardano a concretizzarsi come documentazione ufficiale da sintetizzare poi sotto forma di memorandum per i cittadini. Per il resto gli argomenti scientifici e tecnici e politici che riguardano direttamente e indirettamente la platea a rischio vulcanico, devono battere strade nuove con sensibilità nuove, e i problemi devono essere affrontati non già con machiavellismo ma con la convinzione che mai più debbano piovere petali rosa su un mondo istituzionale ingiustificatamente ed eccessivamente distratto…