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giovedì 8 maggio 2014

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei e al Vesuvio: intervista alla Dott. L. Pappalardo...di Malko


Il Golfo di Napoli visto dal Vesuvio

Campi Flegrei, Napoli e il Vesuvio: il trait d’union è una grande camera magmatica? Intervista alla
Dott. Lucia Pappalardo”  di MalKo

Secondo l’ipotesi dello scienziato Alfred Rittman, dove oggi si slarga la caldera flegrea sorgeva un vulcano simile al Vesuvio ma più grande: il noto geologo svizzero lo chiamava Archiflegreo… La collina dei Camaldoli potrebbe essere il brandello più alto di ciò che rimane del possente vulcano, che circa 39.000 anni fa produsse l’eruzione forse più potente in assoluto nell’ambito del bacino mediterraneo: quella dell’ignimbrite campana.

L'Archiflegreo 
L’edificio vulcanico si smembrò per effetto delle dirompenze e lasciò il posto a una caldera poi invasa dal mare e poi rimodellata da tante altre eruzioni e dai fenomeni bradisismici che consentirono al mare di dilagare o di arretrare, secondo i movimenti verticali dei suoli o dei depositi di piroclastiti che accumulandosi scacciavano le acque.
I centri eruttivi che hanno flagellato la zona calderica flegrea sono tanti: disseminati su un’area molto vasta, queste bocche vulcaniche nel corso dei millenni hanno dato corpo a eruzioni prevalentemente esplosive come quelle che 15.000 anni fa produssero nubi ardenti con depositi poi diagenizzati, che hanno formato con il tempo quell’eccezionale e vasto basamento di tufo giallo caotico, meglio noto come tufo giallo napoletano, che ha fornito materia prima alle popolazioni che si sono avvicendate nel corso dei secoli nell’area partenopea.

Di certo sono stati proprio i banchi di tufo (grigio, stratificato e caotico), a invogliare i primi colonizzatori greci che sbarcarono sull’isolotto di Megaride (Castel dell’Ovo), a stanziarsi in zona, non solo perché abbondava il prezioso litoide, ma anche per la malleabilità del tufo, che consentiva con scavi a mano e
Grotta di Seiano - Posillipo (Napoli)
senza opere di contenimento, la realizzazione di tombe, cisterne, acquedotti e vie di comunicazioni, come quella romana di Seiano ricavata nel cuore tufaceo della collina di Posillipo.  (Foto a lato).
Che Napoli sia una città vulcanica a tutti gli effetti è assodato: basti pensare che dal litorale è possibile scorgere il sorgere del Sole alle spalle del Vesuvio, per poi vederlo tramontare a ovest nel ribollire dei fanghi fumarolici del campo vulcanico flegreo. Una città stretta fra due vulcani insomma, il cui trait d’union è appunto una sorta di  parallelo del fuoco che si snoda su una grande camera magmatica…

Alla Dott. Lucia Pappalardo, esperta ricercatrice dell’Osservatorio Vesuviano, formuliamo subito alcune domande:

Cosa si sa di questo vulcano Archiflegreo, che secondo alcune teorie, migliaia di anni fa dominava la scena dei territori flegrei, oggi calderici?

<< L’esistenza dell’Archiflegreo è un’ipotesi formulata, negli anni 50, da Alfred Rittman che, sulla base dell’attuale topografia, riteneva che all’inizio della sua storia eruttiva il vulcano flegreo sarebbe stato costituito da un unico grande stratovulcano dell’ordine di grandezza del Somma-Vesuvio, la cui parte centrale sprofondò in seguito ad un’eruzione di eccezionale potenza che egli identificò con quella del Tufo Grigio Campano (in seguito rinominata Ignimbrite Campana). La parte sommersa comprendeva, secondo il Rittmann, oltre al Golfo di Pozzuoli anche parte del Golfo di Napoli. L’orlo ancora visibile della parte emersa dell’Archiflegreo passava da Miliscola, a Torregaveta, Cuma, Monte S. Severino, e poi per l’orlo settentrionale e orientale del Piano di Quarto e per gli sprofondamenti di Pianura e Soccavo, fino al pendio settentrionale di Posillipo.
La teoria dell’Archiflegreo non è mai stata dimostrata, ed altri studi ipotizzano al contrario che l’eruzione dell’Ignimbrite Campana non avvenne da un unico centro eruttivo ma in corrispondenza di estese fratture >>.

E’ vero che l’eruzione dell’ignimbrite campana è stata la più violenta mai registrata nel bacino mediterraneo, finanche superiore a quella minoica ad opera del vulcano Santorini?

<< L’Ignimbrite Campana è stata la più catastrofica tra le eruzioni di tutta l’area mediterranea: del resto la caldera dei Campi Flegrei è l’unico supervulcano attivo in Europa. L’eruzione del tufo grigio si verificò circa 40 mila anni fa, distrusse l’intera area campana e determinò un abbassamento della temperatura terrestre di alcuni gradi centigradi. L’eruzione Minoica del vulcano Santorini in Grecia, ha una magnitudo di circa 10 volte inferiore a quella dell’Ignimbrite Campana, mentre è molto simile all’eruzione flegrea di 15 mila anni fa denominata del Tufo Giallo Napoletano >>.

Nell’ultima intervista che ci ha rilasciato, ha accennato alla possibilità che la super eruzione dell’archiflegreo o dell’ignimbrite campana abbia potuto contribuire notevolmente alla  scomparsa dell’uomo di neanderthal. Una piccola età glaciale? Ma una supereruzione in che termini può influire sul clima globale e per quanto tempo?

<< Durante le supereruzioni sono disperse nell’atmosfera enormi quantità di cenere e gas vulcanici in grado di determinare sull’intero globo una riduzione della temperatura di diversi gradi centigradi e anche per alcuni decenni: un vero e proprio “inverno vulcanico”. Questo fenomeno è principalmente causato dall’emissione durante l’eruzione di molecole di biossido di zolfo, che combinandosi con ossigeno e l’acqua già presenti nell’atmosfera si trasformano in minuscole goccioline di acido solforico in grado di schermare la radiazione solare. Alcune teorie stimano che dopo la supereruzione del vulcano Toba in Indonesia avvenuta circa 75 mila anni fa, gli esseri umani da decine di migliaia si ridussero, a causa dei drastici cambiamenti climatici, a poche migliaia, per cui l’uomo moderno sarebbe un discendente dei sopravvissuti di Toba.
Inoltre, l’immediata conseguenza di una supereruzione sarebbe la perdita di tutti i raccolti su aree vastissime: bastano, infatti, pochi millimetri di cenere per distruggere gran parte delle colture ed inquinare le acque potabili, e causare quindi una drastica riduzione di risorse alimentari per tutti gli esseri viventi. Ovviamente altrettanto grave sarebbe l’impatto di una supereruzione sulla nostra società supertecnologica, con blocco dei trasporti aerei, delle comunicazioni via satellite, della diffusione dell’energia elettrica etc... >>.

Dall’omonimo vulcano ubicato nella centralissima zona di Chiaia (Napoli), si deve una discreta produzione di tufo giallo napoletano, ma anche un allarme attuale  rilanciato dai media a proposito  di territori a rischio che riguardano anche la parte storica della città …  Che ne pensa?

<< Nell’area di Chiaia, nel cuore di Napoli, sono stati riconosciuti relitti di antichi vulcani, che testimoniano che l’attività eruttiva si estendeva anche nel territorio oggi occupato dalla città. I resti di questi vulcani sono testimoni dell’esistenza di un serbatoio magmatico profondo, comune all’intera area vulcanica campana >>.

In alcuni trattati di geologia si ribadisce che le eruzioni esplosive sono generalmente frutto di camere magmatiche superficiali. Quella  ubicata a 8 Km. di profondità e che vediamo in questo interessante spaccato, come dobbiamo inquadrarla? Potrebbe illustrarci  ancora una volta questo figura ? 

Spaccato struttura profonda area vulcanica napoletana
Questa immagine è solo uno schema di quella che potrebbe essere la struttura profonda dell’area vulcanica napoletana. In rosso sono indicate le possibili zone di accumulo del magma. In particolare, gli studi petrologici sulle rocce delle eruzioni passate dei vulcani napoletani, indicano due possibili zone di accumulo di magma. La prima compresa tra i 6-8 km fino a 10 km di profondità al confine tra le rocce carbonatiche e quelle metamorfiche, in cui staziona il magma più “leggero” (più ricco in silice e gas) e quindi più “esplosivo”; è proprio da questa profondità che proveniva il magma che alimentò le eruzioni catastrofiche di 2000 (l’eruzione di Pompei) e di 4000 anni fa (l’eruzione di Avellino) del Vesuvio. Una seconda più profonda, al di sotto dei 15 km, in cui staziona il magma più denso (meno ricco in silice e gas) e quindi meno esplosivo, che ha alimentato le eruzioni minori come l’ultima del Vesuvio nel 1944. Il flusso di calore misurato in superficie, indicato in giallo nella figura, mostra il suo massimo valore al di sotto del supervulcano flegreo dove probabilmente è localizzato il maggior volume di magma.

Negli scenari previsti per il Vesuvio, la possibilità che il vulcano possa produrre  un’eruzione pliniana è affrancata all’1% di possibilità in un periodo compreso tra i 60 e i 200 anni. Dell’11% se si considera una fascia temporale semplicemente superiore ai 60 anni.Statisticamente è corretto?

<<Si. Si tratta di stime probabilistiche ottenute considerando l’insieme delle eruzioni del Vesuvio precedute da un periodo di riposo compreso rispettivamente tra 60 e 200 anni (1%) o maggiore di 60 anni (11%). La probabilità che si verifichi un‘eruzione pliniana, in caso di ripresa dell’attività vulcanica al Vesuvio, sale al 20% se nel calcolo vengono considerate anche le eruzioni di vulcani simili al Vesuvio sparsi nel  mondo.
Del resto le eruzioni pliniane sono eventi straordinari ma che si ripetono in natura con una certa frequenza. Nel ventesimo secolo almeno una decina di strato vulcani hanno generato eruzioni pliniane, le più recenti sono quella del vulcano Pinatubo nelle Filippine e del Cerro Hudson in Chile del 1991, del vulcano El Chichòn in Messico del 1982 e l’eruzione del St Helens nello stato di Washington del 1980. Nel secolo precedente si verificarono altrettante eruzioni catastrofiche, tra le quali quelle più note del Krakatoa in Indonesia del 1883 in cui persero la vita circa 36000 persone anche a causa dello tsunami che seguì la tremenda esplosione e quella del Tambora del 1815 che disperse nell’atmosfera grandi quantità di gas e cenere, provocando un forte raffreddamento di tutto il pianeta, tanto che il successivo anno 1816 venne definito come “l’anno senza estate” o “l’anno della povertà”. Il periodo di riposo che ha preceduto questi eventi è molto variabile, da alcuni secoli nel caso già citato del Pinatubo fino a pochi anni nel caso dell’eruzione pliniana del 1913 del Colima in Messico>>.  


In altri testi ancora viene affermato che la camera magmatica del Vesuvio non ha ancora magma a sufficienza per produrre una pliniana… La valutazione attuale in quanta metri cubi stima il prodotto astenosferico esistente?

<<In effetti, gli studi di tomografia hanno individuato all’incirca a 8 km di profondità uno strato a bassissima velocità delle onde P ed S che è stato interpretato come una zona di fusione parziale della crosta superiore che si estende su una superficie di circa 400 km2. Assumendo uno spessore tra 0.5 e 2.0 km, il volume di questa riserva magmatica sarebbe compreso tra 200 e 800 km3>>.

Non ci sono noti scenari di rischio eruttivo per l’isola d’Ischia. Forse che statisticamente una ripresa eruttiva è da considerarsi estremamente remota?

<< L’isola d’Ischia è un vulcano in attività da almeno 150 mila anni, la sua ultima eruzione risale al 1302 D.C. e produsse la colata lavica dell’Arso. L’isola è un vulcano esplosivo ad alto rischio, specialmente nel periodo estivo quando la popolazione residente aumenta notevolmente per l’arrivo dei turisti. Purtroppo non è possibile stabilire tra quanto tempo ci sarà una nuova eruzione, ma il vulcano è ben monitorato dall’INGV, come del resto tutti gli altri vulcani attivi, e questo consentirà con alta probabilità di rilevare i segnali premonitori di una ripresa dell’attività vulcanica, in tempo utile per allertare la popolazione >>.

Il vulcano di Roccamonfina è spento?

<< Sì: il vulcano Roccamonfina è spento. L’ultima eruzione risale a circa 50 mila anni fa con la nascita di due duomi lavici, il Monte Santa Croce ed il Monte Lattani accresciuti all’interno dell’antico stratovulcano. La sua attività iniziò circa 630 mila anni fa, ed il vulcano è noto soprattutto per le cosiddette “Ciampate del Diavolo”, una serie di orme umane impresse nel tufo vulcanico di un'eruzione esplosiva di 385 mila anni fa. Si tratta di 56 impronte distribuite in tre tracce lasciate da tre diversi individui, appartenenti all'uomo di Heidelberg, vissuto nel Pleistocene medio e progenitore dell'uomo di Neanderthal, che scesero lungo il pendio formato dalle ceneri ancora poco consolidate dell’eruzione. La successiva litificazione della cenere in tufo ha permesso alle impronte di giungere intatte fino a noi >>.

La redazione ringrazia la Dott.ssa Lucia Pappalardo, primo ricercatore presso L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Vesuviano (Napoli), per la preziosa  e gentile collaborazione giornalistica. 


martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: super camera magmatica? Intervista alla Dott. L. Pappalardo...di Malko

Il Vesuvio innevato visto da Boscotrecase
"Vesuvio e Campi Flegrei: vulcano, supervulcano e supercamera magmatica? Intervista alla Dott. Lucia Pappalardo" di MalKo
La camera magmatica di un vulcano potremmo assimilarla come idea a una sorta di avamposto del magma verso la superficie. Un magma che popola le profondità astenosferiche differenziandosi per caratteristiche chimiche e fisiche. Una differenza non da poco, poiché influenza le diverse tipologie eruttive, quando il materiale incandescente, stressato, balza fuori dal profondo.
I ricercatori affermano che i materiali eruttati da un vulcano sono nettamente inferiori alla capacità volumetrica complessiva della camera magmatica. Pensando all’eruzione delle pomici di Avellino che sconquassò l’area vesuviana circa 3800 anni fa, e a quella dell’ignimbrite campana nei Campi Flegrei, riconosciuta come la più potente in assoluto verificatasi nell’area regionale, c’è da rabbrividire elaborando calcoli sul materiale piroclastico asperso comparandolo poi e per proporzioni al contenitore sotterraneo…

Dott. Lucia Pappalardo - INGV Osservatorio Vesuviano
Di recente è balzata alla cronaca la notizia che Vesuvio e Campi Flegrei attingono da un’unica grande camera magmatica. La Dott.ssa Lucia Pappalardo ha lavorato a questa tesi che è stata ampiamente riportata dai media soprattutto per gli aspetti di pericolo che si colgono. Avendo già arricchito il nostro giornale con un’intervista ad oggetto proprio la camera magmatica del Vesuvio, abbiamo posto alla gentile ricercatrice alcune  domande:

Dott. Pappalardo, la camera magmatica di un vulcano è paragonabile a un pallone sgonfio che si riempie e poi scoppia?
Negli ultimi decenni le indagini geofisiche hanno rilevato al di sotto di vulcani quiescenti, come ad esempio la caldera di Yellowstone negli Stati Uniti d’America, oppure l’isola vulcanica di Santorini in Grecia, serbatoi magmatici più estesi del previsto, il che implicherebbe la possibilità in futuro di eruzioni catastrofiche.
I dati geofisici indicano che la forma di queste camere magmatiche è generalmente allungata, come una lamina estesa e sottile, e che nuovo magma profondo può “ricaricare” questi serbatoi in brevi periodi di tempo, come per impulsi. Ad esempio, tra il gennaio del 2011 e l’aprile del 2012, le immagini radar satellitari hanno rivelato che un flusso di magma ha “rigonfiato” la camera magmatica che si trova sotto il vulcano di Santorini, riempiendola di circa 10-20 milioni di metri cubi di materiale: approssimativamente 15 volte il volume dello stadio olimpico di Londra. Questo rigonfiamento ha causato un sollevamento dell’isola compreso tra gli 8 e i 14 centimetri. Tuttavia, anche paragonando il rigonfiamento osservato a qualcuno che soffia con forza in un palloncino (invisibile), non conoscendo quanto sia piccolo o grande il palloncino, non possiamo sapere quanti “soffi” saranno necessari per farlo scoppiare.
Articoli recenti datati autunno 2012, parlano di uno studio (Lucia Pappalardo & Giuseppe Mastrolorenzo, Rapid differentiation in a sill-like magma reservoir: a case study from the campi flegrei caldera. Nature’s Scientific Reports, 2 Article number: 712 (2012) doi:10.1038/srep00712), dove si accenna a un’unica grande camera magmatica, che alimenta sia il distretto del Vesuvio sia quello dei Campi Flegrei: è così?
Il nostro studio geochimico ed isotopico delle rocce delle eruzioni passate dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio, ha messo in evidenza tra l’altro forti analogie tra le caratteristiche chimiche e fisiche (contenuto in gas, pressione, temperatura ecc…) delle camere magmatiche che hanno alimentato questi vulcani, tanto da farci ipotizzare che si trattasse di un unico esteso strato di magma. Questa teoria spiegherebbe anche la presenza di antichi crateri vulcanici all’interno della città di Napoli, identificati nell’area di Chiaia, che testimoniano la risalita di magma profondo nell’area napoletana localizzata proprio tra i due vulcani. Inoltre, il flusso di calore che oggi si misura in superficie, evidenzia un’unica anomalia positiva estesa al di sotto di tutta l’area napoletana, con il valore massimo in corrispondenza del supervulcano flegreo, dove probabilmente è localizzata la maggior parte del volume di magma.
La camera magmatica di un supervulcano quiescente (Campi flegrei) comprendente anche quella di un secondo vulcano capace di eruzioni del tipo pomici di Avellino, dovrebbe avere dimensioni sbalorditive…
Circa 40000 anni fa i Campi Flegrei eruttarono una quantità di magma considerevole (all’incirca 300 km3) durante la super-eruzione dell’Ignimbrite Campana, considerata la maggiore di tutta l’area mediterranea. L’eruzione fu talmente catastrofica che ricoprì tutta la regione campana di una spessa coltre di tufo grigio, mentre le ceneri più sottili trasportate dai venti raggiunsero distanze elevatissime, fino in Russia. Si ritiene che questa eruzione abbia provocato un vero e proprio “inverno vulcanico”, cioè una riduzione della temperatura terrestre di diversi gradi centigradi per molti anni e addirittura, secondo altre teorie, contribuito alla scomparsa dell’uomo di Neanderthal. Tuttavia, sebbene le super-eruzioni siano eventi altamente distruttivi, sono fortunatamente rarissime.
L’unicità di una camera magmatica condivisa da due distretti vulcanici molto vicini accresce i termini di rischio per le popolazioni?
L’area campana è tra le aree a più alto rischio vulcanico al mondo. Infatti, i vulcani napoletani attivi (Somma-Vesuvio, Campi Flegrei ed l’isola d’Ischia), in grado di generare eruzioni altamente esplosive, sono localizzati in aree densamente popolate.  I nostri dati sulla velocità di crescita dei minerali nel magma hanno dimostrato che le camere magmatiche individuate dalle tecniche geofisiche a circa 7-8 km di profondità, potrebbero contenere magma parzialmente cristallizzato e ricco in gas, che potrebbe “esplodere” in qualsiasi momento. Tuttavia, i vulcani napoletani sono tenuti sotto controllo 24 ore su 24 da un efficiente sistema di monitoraggio che ci permetterà di registrare eventuali segnali premonitori (terremoti, deformazioni del suolo, variazioni del chimismo e temperatura dei gas fumarolici) in tempo utile per allertare la popolazione esposta al rischio. Certo, affinché la gestione dell’emergenza sia ottimale, è necessario predisporre validi piani di emergenza che devono essere ben noti alla popolazione anche attraverso esercitazioni di protezione civile e prove di evacuazione.
Da un certo punto di vista concernente la promiscuità areale, pure l’Isola d’Ischia con i suoi fenomeni di vulcanesimo potrebbe avere importanti connessioni con la camera magmatica già condivisa dagli altri due vulcani? D’altra parte qualche anno fa si registrarono scosse di terremoto al largo del Golfo di Napoli…
L’isola d’Ischia, la cui ultima eruzione risale al 1302, è parte del distretto vulcanico flegreo, insieme anche all’isola di Procida che però non è più in attività da circa 17000 anni. L’isola d’Ischia è nota anche per il terremoto che nel 1883 distrusse Casamicciola: fu il primo evento catastrofico dopo l’Unità d’Italia. Quasi l’80% dell’abitato andò distrutto con migliaia di morti, di cui molti turisti già allora presenti sull’isola. Tra le vittime del terremoto vi furono anche i genitori e la sorella del futuro filosofo Benedetto Croce, allora diciassettenne, che fu estratto vivo dalle macerie.
Con quali strumenti si identificano i limiti della camera magmatica e con quale grado di affidabilità?
Un potente strumento d’indagine per la caratterizzazione del sottosuolo è una tecnica nota come tomografia sismica. Essa ricalca a grandi linee i principi della TAC utilizzata in campo medico. Infatti, mentre nella TAC si utilizza la propagazione dei raggi X per individuare strutture a maggiore densità, allo stesso modo nella tomografia sismica sono utilizzate le onde sismiche. Queste si propagano in maniera differente a seconda della densità del materiale che attraversano. Nel caso di un liquido, come appunto il magma, le onde viaggiano molto più lentamente rispetto a rocce solide. Con questa tecnica è stato possibile individuare a circa 7-8 km di profondità al di sotto del Vesuvio e dei Campi Flegrei, uno strato a bassissima velocità delle onde P ed S, con spessore dell’ordine di 1 km, che è stato interpretato come un ampio serbatoio di alimentazione magmatica di forma planare, che appare essere una caratteristica comune ai due vulcani.
Un’altra tecnica pionieristica per studiare la struttura interna dei vulcani è la radiografia muonica. Queste particelle sono una sorta di elettroni «pesanti» che, proprio in virtù della loro massa, sono in grado di penetrare strati di roccia dello spessore di 1-2 chilometri. Attraverso un telescopio muonico è possibile determinare con precisione la traiettoria dei muoni che lo attraversano e costruire una mappa del diverso assorbimento che subiscono le particelle a seconda della densità delle rocce attraversate.
Oltre ai limiti è possibile stabilire la composizione chimica del magma in profondità, cioè ravvisarne le modifiche chimiche e fisiche dettate dai nuovi materiali in arrivo?
Quando nuovo magma profondo raggiunge il serbatoio magmatico più superficiale ed eventualmente si mescola con il magma già presente nella camera, è possibile che si verifichi un rilascio di gas magmatici che, attraverso le fratture presenti nelle rocce, arriva in superficie ed alimenta le fumarole. Per questo motivo la temperatura e la composizione chimica dei gas fumarolici sono tenute sotto controllo, poiché una loro variazione potrebbe indicare un aumento nell’apporto di magma profondo.
L’attuale estensione della camera magmatica del Vesuvio, contiene materiale a sufficienza per quale tipo di eruzione? In termini pratici cosa differenzia una camera magmatica foriera di eruzioni di tipo Avellino da quella che indusse l’eruzione del 1944?
I nostri studi sulle caratteristiche chimiche ed isotopiche dei magmi che hanno alimentato le eruzioni passate, indicano camere magmatiche distinte per le eruzioni poco esplosive o effusive del tipo dell’ultima eruzione stromboliana del marzo del 1944 rispetto alle eruzioni esplosive intermedie (supliniane) e catastrofiche (pliniane).
Il serbatoio che alimenta le eruzioni più modeste infatti, è caratterizzato da magma di tipo tefritico, poco viscoso e povero in gas, che staziona a profondità comprese tra 16 e 20 km. Le eruzioni più violente invece, sono alimentate da magmi più evoluti di tipo fonolitico, cioè più viscosi e ricchi di gas, che stazionano a profondità comprese tra i 6 e gli 8 Km. L’attuale camera magmatica è stata individuata proprio a questa profondità, dove del resto esiste un’importante discontinuità litologica dovuta al passaggio da rocce sedimentarie a rocce cristalline, che favorirebbe l’accumulo di grandi quantità di magma.
In molte publicazioni viene continuamente affermato che la potenza eruttiva di un vulcano è rapportata ai tempi di quiescenza… la moderna vulcanologia conferma questa tesi?
In effetti questa tesi che risale ad alcuni decenni fa, è stata superata dai più moderni studi scientifici. Ad esempio, una recente ricerca (Druitt et al., Nature 2012) ha dimostrato che nel caso della violenta eruzione che interessò il vulcano di Santorini nel 1600 a.c., e che si ritiene provocò la scomparsa della civiltà Minoica, il serbatoio di magma iniziò a ricaricarsi solo 100 anni prima della catastrofe e il processo si concluse solo pochi mesi prima dell’eruzione.  Anche i nostri studi sulla velocità di crescita dei cristalli nei magmi vesuviani e flegrei hanno dimostrato che le camere magmatiche che alimentano questi vulcani sono in grado di raggiungere condizioni critiche che possono culminare in un’eruzione esplosiva violenta in tempi relativamente rapidi, dell’ordine di poche centinaia di anni.
 I tempi di risalita in superficie del magma dal profondo sono imprevedibili?
Una stima sulla velocità di risalita del magma in superficie può essere dedotta dalle caratteristiche tessiturali delle rocce vulcaniche, in particolare dalle dimensioni e forma delle vescicole e dei microcristalli che si formano via via che il magma degassa durante la risalita nel condotto vulcanico. I nostri studi sulla tessitura delle rocce vulcaniche dei Campi Flegrei e del Somma Vesuvio hanno dimostrato che, nel caso di alcune delle eruzioni passate, il magma ha raggiunto la superficie in tempi relativamente rapidi. Tuttavia, per quanto riguarda una eventuale futura eruzione, nessuna previsione può essere formulata. In nessun modo infatti, è possibile definire con certezza quanto potrà durare il periodo di crisi che normalmente precede un’eruzione.


Spaccato della struttura profonda
dei vulcani napoletani
Nel grafico a colori è riportata la struttura profonda dei vulcani napoletani dedotta dallo studio geochimico delle rocce vulcaniche delle eruzioni passate dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio. In rosso sono indicate le possibili aree di accumulo di magma. Il magma silicico ricco in gas localizzato intorno ai 6-8 km di profondità, ha alimentato le eruzioni intermedie e altamente esplosive, mentre il serbatoio di magma mafico più profondo ha alimentato le eruzioni meno violente

Con cordialità la redazione di Hyde ParK ringrazia la gentile ricercatrice, Dott. Lucia Pappalardo, per la preziosa collaborazione che ci ha assicurato, consentendoci con chiarezza di entrare nei dettagli più vivi e aggiornati delle caratteristiche geologiche dei vulcani che dominano il territorio cittadino e provinciale della città di Napoli.