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giovedì 8 maggio 2014

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei e al Vesuvio: intervista alla Dott. L. Pappalardo...di Malko


Il Golfo di Napoli visto dal Vesuvio

Campi Flegrei, Napoli e il Vesuvio: il trait d’union è una grande camera magmatica? Intervista alla
Dott. Lucia Pappalardo”  di MalKo

Secondo l’ipotesi dello scienziato Alfred Rittman, dove oggi si slarga la caldera flegrea sorgeva un vulcano simile al Vesuvio ma più grande: il noto geologo svizzero lo chiamava Archiflegreo… La collina dei Camaldoli potrebbe essere il brandello più alto di ciò che rimane del possente vulcano, che circa 39.000 anni fa produsse l’eruzione forse più potente in assoluto nell’ambito del bacino mediterraneo: quella dell’ignimbrite campana.

L'Archiflegreo 
L’edificio vulcanico si smembrò per effetto delle dirompenze e lasciò il posto a una caldera poi invasa dal mare e poi rimodellata da tante altre eruzioni e dai fenomeni bradisismici che consentirono al mare di dilagare o di arretrare, secondo i movimenti verticali dei suoli o dei depositi di piroclastiti che accumulandosi scacciavano le acque.
I centri eruttivi che hanno flagellato la zona calderica flegrea sono tanti: disseminati su un’area molto vasta, queste bocche vulcaniche nel corso dei millenni hanno dato corpo a eruzioni prevalentemente esplosive come quelle che 15.000 anni fa produssero nubi ardenti con depositi poi diagenizzati, che hanno formato con il tempo quell’eccezionale e vasto basamento di tufo giallo caotico, meglio noto come tufo giallo napoletano, che ha fornito materia prima alle popolazioni che si sono avvicendate nel corso dei secoli nell’area partenopea.

Di certo sono stati proprio i banchi di tufo (grigio, stratificato e caotico), a invogliare i primi colonizzatori greci che sbarcarono sull’isolotto di Megaride (Castel dell’Ovo), a stanziarsi in zona, non solo perché abbondava il prezioso litoide, ma anche per la malleabilità del tufo, che consentiva con scavi a mano e
Grotta di Seiano - Posillipo (Napoli)
senza opere di contenimento, la realizzazione di tombe, cisterne, acquedotti e vie di comunicazioni, come quella romana di Seiano ricavata nel cuore tufaceo della collina di Posillipo.  (Foto a lato).
Che Napoli sia una città vulcanica a tutti gli effetti è assodato: basti pensare che dal litorale è possibile scorgere il sorgere del Sole alle spalle del Vesuvio, per poi vederlo tramontare a ovest nel ribollire dei fanghi fumarolici del campo vulcanico flegreo. Una città stretta fra due vulcani insomma, il cui trait d’union è appunto una sorta di  parallelo del fuoco che si snoda su una grande camera magmatica…

Alla Dott. Lucia Pappalardo, esperta ricercatrice dell’Osservatorio Vesuviano, formuliamo subito alcune domande:

Cosa si sa di questo vulcano Archiflegreo, che secondo alcune teorie, migliaia di anni fa dominava la scena dei territori flegrei, oggi calderici?

<< L’esistenza dell’Archiflegreo è un’ipotesi formulata, negli anni 50, da Alfred Rittman che, sulla base dell’attuale topografia, riteneva che all’inizio della sua storia eruttiva il vulcano flegreo sarebbe stato costituito da un unico grande stratovulcano dell’ordine di grandezza del Somma-Vesuvio, la cui parte centrale sprofondò in seguito ad un’eruzione di eccezionale potenza che egli identificò con quella del Tufo Grigio Campano (in seguito rinominata Ignimbrite Campana). La parte sommersa comprendeva, secondo il Rittmann, oltre al Golfo di Pozzuoli anche parte del Golfo di Napoli. L’orlo ancora visibile della parte emersa dell’Archiflegreo passava da Miliscola, a Torregaveta, Cuma, Monte S. Severino, e poi per l’orlo settentrionale e orientale del Piano di Quarto e per gli sprofondamenti di Pianura e Soccavo, fino al pendio settentrionale di Posillipo.
La teoria dell’Archiflegreo non è mai stata dimostrata, ed altri studi ipotizzano al contrario che l’eruzione dell’Ignimbrite Campana non avvenne da un unico centro eruttivo ma in corrispondenza di estese fratture >>.

E’ vero che l’eruzione dell’ignimbrite campana è stata la più violenta mai registrata nel bacino mediterraneo, finanche superiore a quella minoica ad opera del vulcano Santorini?

<< L’Ignimbrite Campana è stata la più catastrofica tra le eruzioni di tutta l’area mediterranea: del resto la caldera dei Campi Flegrei è l’unico supervulcano attivo in Europa. L’eruzione del tufo grigio si verificò circa 40 mila anni fa, distrusse l’intera area campana e determinò un abbassamento della temperatura terrestre di alcuni gradi centigradi. L’eruzione Minoica del vulcano Santorini in Grecia, ha una magnitudo di circa 10 volte inferiore a quella dell’Ignimbrite Campana, mentre è molto simile all’eruzione flegrea di 15 mila anni fa denominata del Tufo Giallo Napoletano >>.

Nell’ultima intervista che ci ha rilasciato, ha accennato alla possibilità che la super eruzione dell’archiflegreo o dell’ignimbrite campana abbia potuto contribuire notevolmente alla  scomparsa dell’uomo di neanderthal. Una piccola età glaciale? Ma una supereruzione in che termini può influire sul clima globale e per quanto tempo?

<< Durante le supereruzioni sono disperse nell’atmosfera enormi quantità di cenere e gas vulcanici in grado di determinare sull’intero globo una riduzione della temperatura di diversi gradi centigradi e anche per alcuni decenni: un vero e proprio “inverno vulcanico”. Questo fenomeno è principalmente causato dall’emissione durante l’eruzione di molecole di biossido di zolfo, che combinandosi con ossigeno e l’acqua già presenti nell’atmosfera si trasformano in minuscole goccioline di acido solforico in grado di schermare la radiazione solare. Alcune teorie stimano che dopo la supereruzione del vulcano Toba in Indonesia avvenuta circa 75 mila anni fa, gli esseri umani da decine di migliaia si ridussero, a causa dei drastici cambiamenti climatici, a poche migliaia, per cui l’uomo moderno sarebbe un discendente dei sopravvissuti di Toba.
Inoltre, l’immediata conseguenza di una supereruzione sarebbe la perdita di tutti i raccolti su aree vastissime: bastano, infatti, pochi millimetri di cenere per distruggere gran parte delle colture ed inquinare le acque potabili, e causare quindi una drastica riduzione di risorse alimentari per tutti gli esseri viventi. Ovviamente altrettanto grave sarebbe l’impatto di una supereruzione sulla nostra società supertecnologica, con blocco dei trasporti aerei, delle comunicazioni via satellite, della diffusione dell’energia elettrica etc... >>.

Dall’omonimo vulcano ubicato nella centralissima zona di Chiaia (Napoli), si deve una discreta produzione di tufo giallo napoletano, ma anche un allarme attuale  rilanciato dai media a proposito  di territori a rischio che riguardano anche la parte storica della città …  Che ne pensa?

<< Nell’area di Chiaia, nel cuore di Napoli, sono stati riconosciuti relitti di antichi vulcani, che testimoniano che l’attività eruttiva si estendeva anche nel territorio oggi occupato dalla città. I resti di questi vulcani sono testimoni dell’esistenza di un serbatoio magmatico profondo, comune all’intera area vulcanica campana >>.

In alcuni trattati di geologia si ribadisce che le eruzioni esplosive sono generalmente frutto di camere magmatiche superficiali. Quella  ubicata a 8 Km. di profondità e che vediamo in questo interessante spaccato, come dobbiamo inquadrarla? Potrebbe illustrarci  ancora una volta questo figura ? 

Spaccato struttura profonda area vulcanica napoletana
Questa immagine è solo uno schema di quella che potrebbe essere la struttura profonda dell’area vulcanica napoletana. In rosso sono indicate le possibili zone di accumulo del magma. In particolare, gli studi petrologici sulle rocce delle eruzioni passate dei vulcani napoletani, indicano due possibili zone di accumulo di magma. La prima compresa tra i 6-8 km fino a 10 km di profondità al confine tra le rocce carbonatiche e quelle metamorfiche, in cui staziona il magma più “leggero” (più ricco in silice e gas) e quindi più “esplosivo”; è proprio da questa profondità che proveniva il magma che alimentò le eruzioni catastrofiche di 2000 (l’eruzione di Pompei) e di 4000 anni fa (l’eruzione di Avellino) del Vesuvio. Una seconda più profonda, al di sotto dei 15 km, in cui staziona il magma più denso (meno ricco in silice e gas) e quindi meno esplosivo, che ha alimentato le eruzioni minori come l’ultima del Vesuvio nel 1944. Il flusso di calore misurato in superficie, indicato in giallo nella figura, mostra il suo massimo valore al di sotto del supervulcano flegreo dove probabilmente è localizzato il maggior volume di magma.

Negli scenari previsti per il Vesuvio, la possibilità che il vulcano possa produrre  un’eruzione pliniana è affrancata all’1% di possibilità in un periodo compreso tra i 60 e i 200 anni. Dell’11% se si considera una fascia temporale semplicemente superiore ai 60 anni.Statisticamente è corretto?

<<Si. Si tratta di stime probabilistiche ottenute considerando l’insieme delle eruzioni del Vesuvio precedute da un periodo di riposo compreso rispettivamente tra 60 e 200 anni (1%) o maggiore di 60 anni (11%). La probabilità che si verifichi un‘eruzione pliniana, in caso di ripresa dell’attività vulcanica al Vesuvio, sale al 20% se nel calcolo vengono considerate anche le eruzioni di vulcani simili al Vesuvio sparsi nel  mondo.
Del resto le eruzioni pliniane sono eventi straordinari ma che si ripetono in natura con una certa frequenza. Nel ventesimo secolo almeno una decina di strato vulcani hanno generato eruzioni pliniane, le più recenti sono quella del vulcano Pinatubo nelle Filippine e del Cerro Hudson in Chile del 1991, del vulcano El Chichòn in Messico del 1982 e l’eruzione del St Helens nello stato di Washington del 1980. Nel secolo precedente si verificarono altrettante eruzioni catastrofiche, tra le quali quelle più note del Krakatoa in Indonesia del 1883 in cui persero la vita circa 36000 persone anche a causa dello tsunami che seguì la tremenda esplosione e quella del Tambora del 1815 che disperse nell’atmosfera grandi quantità di gas e cenere, provocando un forte raffreddamento di tutto il pianeta, tanto che il successivo anno 1816 venne definito come “l’anno senza estate” o “l’anno della povertà”. Il periodo di riposo che ha preceduto questi eventi è molto variabile, da alcuni secoli nel caso già citato del Pinatubo fino a pochi anni nel caso dell’eruzione pliniana del 1913 del Colima in Messico>>.  


In altri testi ancora viene affermato che la camera magmatica del Vesuvio non ha ancora magma a sufficienza per produrre una pliniana… La valutazione attuale in quanta metri cubi stima il prodotto astenosferico esistente?

<<In effetti, gli studi di tomografia hanno individuato all’incirca a 8 km di profondità uno strato a bassissima velocità delle onde P ed S che è stato interpretato come una zona di fusione parziale della crosta superiore che si estende su una superficie di circa 400 km2. Assumendo uno spessore tra 0.5 e 2.0 km, il volume di questa riserva magmatica sarebbe compreso tra 200 e 800 km3>>.

Non ci sono noti scenari di rischio eruttivo per l’isola d’Ischia. Forse che statisticamente una ripresa eruttiva è da considerarsi estremamente remota?

<< L’isola d’Ischia è un vulcano in attività da almeno 150 mila anni, la sua ultima eruzione risale al 1302 D.C. e produsse la colata lavica dell’Arso. L’isola è un vulcano esplosivo ad alto rischio, specialmente nel periodo estivo quando la popolazione residente aumenta notevolmente per l’arrivo dei turisti. Purtroppo non è possibile stabilire tra quanto tempo ci sarà una nuova eruzione, ma il vulcano è ben monitorato dall’INGV, come del resto tutti gli altri vulcani attivi, e questo consentirà con alta probabilità di rilevare i segnali premonitori di una ripresa dell’attività vulcanica, in tempo utile per allertare la popolazione >>.

Il vulcano di Roccamonfina è spento?

<< Sì: il vulcano Roccamonfina è spento. L’ultima eruzione risale a circa 50 mila anni fa con la nascita di due duomi lavici, il Monte Santa Croce ed il Monte Lattani accresciuti all’interno dell’antico stratovulcano. La sua attività iniziò circa 630 mila anni fa, ed il vulcano è noto soprattutto per le cosiddette “Ciampate del Diavolo”, una serie di orme umane impresse nel tufo vulcanico di un'eruzione esplosiva di 385 mila anni fa. Si tratta di 56 impronte distribuite in tre tracce lasciate da tre diversi individui, appartenenti all'uomo di Heidelberg, vissuto nel Pleistocene medio e progenitore dell'uomo di Neanderthal, che scesero lungo il pendio formato dalle ceneri ancora poco consolidate dell’eruzione. La successiva litificazione della cenere in tufo ha permesso alle impronte di giungere intatte fino a noi >>.

La redazione ringrazia la Dott.ssa Lucia Pappalardo, primo ricercatore presso L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Vesuviano (Napoli), per la preziosa  e gentile collaborazione giornalistica. 


domenica 26 maggio 2013

The Risk from the Vesuvius: Is The Merapi like Vesuvius?



"Is The Merapi like Vesuvius? Interview with
Professor Giuseppe Mastrolorenzo" by MalKo
 
On the world scene of the most dangerous volcanoes,  meaning those near inhabited areas, the Indonesian volcano Merapi is one of the most formidable.  On October 26 2010 it exerted its force in the form of eruptions and the formation of burning clouds highly dangerous to the inhabitants.  Unfortunately, there have been up until now about three hundred deaths and two hundred thousand people left homeless.
Merapi, whose name means mountain of fire, produces plinian and  sub-plinian eruptive phenomena.  This characteristic leads us to compare it to the historic activity of the Neapolitan Vesuvius.  Both volcanoes have caused vast numbers of deaths, in the case of Merapi as a result of the population not following the evacuation order.  Rescuers found themselves face to face with scenes in many ways similar to those to which the plaster casts of Pompeii so dramatically bear witness following the famous and terrible plinian eruption of the Vesuvius in 79 AD.  From this point of view Merapi seems like an Asiatic Pompeii; many inhabitants were surprised in their sleep by the burning clouds and victims were even found in the village of Argomulyo, eleven miles from the volcano.
To understand the similarities better, we asked Professor Giuseppe Mastrolorenzo for his scientific contribution.
 
a) How would you describe the eruption of Merapi that began on October 26 2010?
It was a mixed type, effusive explosive-eruption characterised in the initial phases by the formation of a lava dome followed by an eruptive column of gas and ashes of a relatively modest height of between about half a mile and four and a half miles.  A sequence of pyroclastic surges and flows was propagated on the flanks of the volcano reaching very high temperatures and speeds.  This eruption typology is recurrent in the Merapi and other volcanoes fed by highly viscous dacitic magma where effusive activity (lava flows and domes) alternate with devastating clouds of gas and ash that are propagated radially in respect to the crater.  An analogous eruption took place in 1902 with the Montagna Pelee on the island of Martique in the French Antilles, causing the total destruction of the city of Saint Pierre and the death off its 30,000 inhabitants.
 
b) Professor Mastrolorenzo, what geological affinites are there between the Merapi and the Vesuvius?
The Vesuvius and the Merapi are both strato-volcanoes formed of a thick succession of lava flows and pyroclastic deposits of ash and lapilli caused by the alternation in the course of thousands of explosive, effusive and mixed eruptions.  These two volcanoes differ, however, in the composition of their magma:phonolitic and tephritic in the Vesuvius and rhyolitic and dacite in the Merapi.  This last type, characterised by greater viscosity than the Vesuvian magmas, in some cases results in the formation of viscous lava flows that gently move to form lavic domes, while in other cases are highly explosive which is dangerous in the presence of even small quatities of magma.
 
c) Is the Merapi monitored in the same way as the Vesuvius?
The Merapi has a network that monitors seismic activity, ground deformation and magnetic anomalies that altogether make it possible to follow the precursory events of an eruption.
It should be emphasised, however, that the monitoring systems on the Merapi, as on the Vesuvius and other active volcanoes in the world, detect changes deep in the magmatic system but cannot give any information about the duration of the precursors nor about the type and size of the eruption.  Therefore, in terms of mitigating risk, for a monitoring system to be useful it always needs to be supported by an adequate emergency plan.  Obviously, it is also necessary, as soon as precursory events have taken place,  for the competent authorities to rapidly decide  on what course of action to take, and to evaluate the necessity or not of evacuating an area at risk previously defined according to scientific analysis.
d) Should the deaths recorded in this eruption be blamed on an undervaluation of the danger of the pyroclastic flows and surges?
There is no doubt that the undervaluation of the risks associated with the generation and movement of the pyroclastic clouds is amongst the basic factors that caused the disaster.  Infact, although in the early days of the eruption evacuation had been predisposed, the area considered to be at risk was limited to about six miles from the eruptive centre, a decidedly optimistic evaluation of the potentially maximum limit of the propagation of the pyroclastic clouds.  This decision was fatal for many, as the  high temperature pyroclastic surge caused victims in a radius even beyond ten and a half miles from the volcano.  This initial underevaluation made it necessary to carry out a desperate operation to modify the evacuation plan while the eruption was already taking place.
On this subject, I have been drawing attention for years in scientfic research carried out with other colleagues as well as in conferences and interviews given to the national and international mass media to the paradoxical dangerousness of the present Vesuvius emergency plan. I have underlined, infact, how the sub-plinian scenario adopted by the Civil Protection on the recommendation of the Commission for Great Risks is utterly inadequate in the event of a plinian eruption. Research carried out both by my own group and by others has shown the strong likelihood of a plinian eruption with its extreme dangerousness and would put at risk atleast three million people who live in a radius of about twelve miles from the volcano.  The present emergency plan provides for the preventive evacuation of only 600,000 people including those who live in the red zone less than 6 miles from the volcano.
It is obvious that the present situation of the Vesuvius is very similar to what was tragically experienced in the recent eruption of the Merapi.  Given, as revealed in parliamentary questioning, that the risk management system is incapable of providing an adequate emergency plan in the light of scientific evidence, it is essential that a revision of the entire risk management system for the Vesuvius area be carried out immediately.
A few months before the eruption of the Merapi, my research group published the results of a study of the eruption of Pompeii in 79AD and of the victims caused by it. We showed that the exposure to high temperatures and not suffocation, as had been previously erroneously, was the main cause of death in the Pompeiian population.  Studying the Merapi victims from the photographic material available, it can be seen that their postures are identical to those of the Pompeii plaster casts, so much so as to make us consider the Merapi disaster to be a new Pompeii.


In October 2010, when the eruption of the Merapi had already begun, the Journal of Geophysical Researchpublished a paper written by me together with the volcanologist Lucia Pappalardo of the Ossevatorio Vesuviano, on all the possible eruptive scenarios of the Somma Vesuvius.  We set forth the results of the most advanced numerological simulations applied to volcanology, calling world attention to researchers and the authorities of the necessity of adopting the worse case scenario as the basis for an emergency plan which would be the only way to guarantee the survival of the population at risk in the event of an explosive volcanic event.  We also showed how any other optimistic choice constitutes not only a limit to the efficacity of a preventive protective intervention but also a further cause of risk since it creates an unfounded perception of safety to the community.

 
d) How soon did the Indonesian authorities order the evacuation of the population living around the volcano?
In the case of the eruption of the Merapi, the first clear precursory phenomena occurred September 1, but the commencement of the eruption was observed, although in a limited way, on September 12.  The evacuation order was given on September 25, more than 40 days after the effective beginning of the eruption and only a day before the beginning of the most intensive explosive phase.  Such a long wait before giving the evacuation order did not cause a disaster on the Merapi only by good luck….whereas such a hazardous decision in the case of the eruption of the Vesuvius would result in a catastrophe since it would obviously be impossible to evacuate millions of inhabitants in the area at risk in a very short period of time.
e) The Merapi like the Vesuvius is on a short list of highly dangerous volcanoes. But what is the most dangerous volcano in the world?
Unfortunately, as I have already underlined in other circumstances, our volcanoes, the Vesuvius and the Phlegraean Fields compete for the title of most dangerous volcano in the world.  This is obviously in relation to normal volcanic activity and the effects on the territory on a regional scale (millions of lives at risk).  In relation to possible planetary catastrophes, events which are little talked about as they take place only every hundreds of thousands of years, without doubt the most dangerous volcano in the world is theYellowstone caldera in the United States which 600,000 years ago erupted well over a hundred thousand cubic miles of magma in a few days with serious consequences for the climate on a global scale.
  The figure on the left shows a diagram of the deep structure of the Somma-Vesuvius. The results of a recent study (Lucia Pappalardo and Giuseppe Mastrolorenzo, Earth and Planetary Science  Letters  296 2010, 133-143), indicating the presence at a depth of 6 miles of an extensive phonolitic magma chamber (full of silica and gas) ready to feed any typology eruption not excluding a plinian eruption.


The figure on the left the image of an electron microscope scan of  bone from a victim of the eruption of Pompeii in 79AD.   The micro fractures are caused by the heat from the pyroclastic surge.

(The editors of Hyde Park would like to thank Professor Giuseppe Mastrolorenzo, as always, for kindly giving us his time to clarify scientific questions.)

Translation: by Lisa Norall