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martedì 28 giugno 2016

Rischio Vesuvio: il risiko dell'attesa... di MalKo


Il Vesuvio da Torre Annunziata


Le fasi di allerta vulcanica previste nel piano d’emergenza Vesuvio, partono dalla soglia base che rappresenta, come suggerisce il termine, lo stato di quiete vulcanica. C’è quindi un livello giallo di attenzione; a seguire un’allerta da preallarme e poi allarme. Questi passaggi indicano la variazione dei parametri geofisici e geochimici del vulcano, in una misura non prestabilita ma da interpretare a cura della Commissione Grandi Rischi, organo istituzionale privilegiato di consulenza del Dipartimento della Protezione Civile. L’Osservatorio Vesuviano (INGV) invece, è centro di monitoraggio, cioè la struttura statale incaricata della sorveglianza dei vulcani campani, fregiandosi anche del titolo di Centro di Competenza. Questo vuol dire che all’occorrenza il pregevole istituto napoletano è chiamato ad esprime un parere autorevole in ordine alla valutazione del pericolo vulcanico. L’organo apicale decisionale è il Presidente del Consiglio che, in seno al comitato operativo del DPC, stabilisce che cosa fare in rapporto ai dati ricevuti in tutta segretezza, per salvaguardare, attraverso l’applicazione dei piani di evacuazione, l’incolumità dei cittadini esposti al rischio Vesuvio o ad altro vulcano partenopeo (Campi Flegrei; Ischia).

In riscontro ai vari livelli di allerta vulcanica, le autorità di protezione civile a iniziare dal Dipartimento e dai sindaci, varano le corrispettive fasi operative che hanno lo stesso trend al rialzo di quelle scientifiche di allerta vulcanica.

Secondo una nostra visione pragmatica di quello che potrebbe succedere nella plaga vesuviana in caso di reale allarme vulcanico, riteniamo che presumibilmente le fasi operative si ridurrebbero a due invece che a tre, con l’esclusione appunto dell’ultima fase, quella rossa, quella di allarme.

Dal nostro punto di vista infatti, è lecito attendersi che la maggior parte della popolazione vesuviana dimorante in zona rossa, prenderà il largo dallo sterminator Vesevo, nel momento in cui verrà diramato lo stato di preallarme vulcanico. Riteniamo che i cittadini anche se a scopo precauzionale, molto probabilmente non attenderanno la proclamazione dell’allarme vero e proprio per andare via.

Questa teorica discrasia operativa è nella normalità delle cose. Pondererete infatti, che si tratterebbe di applicare un piano di sicurezza senza nessun rodaggio e dalle molteplici incognite. Neanche a livello mondiale si è mai vissuta un’esperienza del genere, soprattutto perché trattasi di un piano di protezione civile che riguarda un vulcano esplosivo ubicato in un contesto particolarmente urbanizzato in area metropolitana. In caso di necessità allora, s’inaugurerebbero procedure che francamente e a pelle molti cittadini guarderanno con sospetto.  Troppe incertezze scientifiche e tecniche hanno accompagnato un ventennio di strategie operative a gogò. Piani di emergenza senza piani di evacuazione, un po' machiavellici e soprattutto orfani della prevenzione, aspetti che certamente non hanno favorito un rapporto di grande fiducia tra cittadini e istituzioni.


ll ragionamento che prenderà piega e forma nella mente del comune cittadino vesuviano nel momento del reale pericolo vulcanico annunciato dalle istituzioni, sarà incentrato sulla necessità di muoversi prima degli altri. Si muoverà per primo chi avrà una residenza alternativa in zona sicura. Si muoverà per primo chi rinuncerà a mettere su bagagli. Si muoverà per primo chi annuserà l’incombenza del pericolo senza attendere i proclami ufficiali. Si muoveranno per primi i dipendenti comunali che afferreranno alla fonte la notizia del passaggio da una fase all’altra, cimentandosi in frenetiche comunicazioni telefoniche. Saranno invece penalizzati i comuni mediani stretti fra mare e monte, che nel loro percorso evacuativo dovranno accodarsi ad altri che si sposteranno in maniera massiva. Sarà zavorra operativa la titubanza ad evacuare dei comuni ubicati in zona rossa 2, particolarmente confusi. Sarà imprevisto il movimento evacuativo di municipalità non inserite nella zona rossa ma incastrata ad essa, come ad esempio Striano. Ci sarà poi l’incognita circa le garanzie di presidio della polizia municipale deputata alla viabilità, sperando nel frattempo che le forze dell’ordine accorse in massa, abbiano i nervi saldi per attendere con self control di chiudere il corteo degli evacuati e con esso il cancello d’uscita dalla zona rossa, forse a tempo già scaduto…

La teoria statistica adottata dal dipartimento della protezione civile di assumere come eruzione di riferimento un’eruzione di bassa – media  intensità (VEI 4) in luogo di quella massima conosciuta (pliniana), incomincia ad essere un fattore noto, quindi  non si possono escludere allontanamenti spontanei di cittadini residente oltre la zona rossa.  Infatti,  con l’incalzare dell'informazione, molti vesuviani non accetteranno passivamente l'incognita eruttiva finchè avranno la possibilità di fare un passo indietro e mettersi al sicuro. Parliamo di comuni come Volla, Striano, la parte meridionale di Cicciano e Saviano… lì, ai margini della linea nera Gurioli.

Le eruzioni non sono una pedissequa ripetizione di un copione conosciuto. Le eruzioni non seguono i principi di clonazione stile pecora Dolly. Non sono fotocopie l’una dell’altra. Le eruzioni sono fenomeni di alta vitalità del Pianeta, ma sono anche energie che, come gli incendi, non sono mai uguali. L’eruzione massima che i maghi statistici dell’INGV hanno ritenuto probabile nel medio termine, se il Vesuvio sfortunatamente dovesse porre fine al suo stato di gradita quiete, come dicevamo è stata qualificata con un'intensità VEI 4. Ma una VEI 4 potrebbe essere pure un’eruzione VEI 3.9 oppure 4.1 oppure 4.2… Le energie  dissipate in atmosfera generalmente non sono quantificabili con precisione micrometrica e la scala dei valori avrà senz'altro una linearità al rialzo o al ribasso… L'interpolazione numerica della VEI magari non è prevista dal mondo della vulcanologia, ma rende maledettamente bene l’idea di quello che si vuole dimostrare. Ricordiamoci poi, che i flussi piroclastici non sanno leggere i confini amministrativi…  

Questa nostra idea della linearità energetica serve a dimostrare l’assurdo governo amministrativo della zona rossa 2, terra di cementificazione residenziale con licenza edilizia, ai margini risicati di una VEI 4.0...  In altri punti ancora invece, capeggia l’assenza di una fascia di rispetto a ridosso della linea nera Gurioli.

L’immagine sottostante evidenzia la nostra proposta di riperimetrazione della zona rossa che, così come presentata, resisterebbe nel senso della prevenzione, a un’eruzione VEI 4 diciamo…“rinforzata”.
I limiti della zona rossa proposta da MalKo

E’ di difficile attuazione una tale reimpostazione sic et simpliciter della zona rossa dilavata da sigle e numeri, nonostante si offra al vantaggio di non disorientare il cittadino. La difficoltà esecutiva è tutta racchiusa unicamente nel fatto che in questa zona ad ampio respiro, troverebbe poi applicazione la legge regionale 21 del 2003 che vieta ulteriori insediamenti residenziali nella zona rossa ad elevato pericolo vulcanico. Oramai e come sapete, appena si tocca l’oro cemento, qualsiasi proposta è messa subito a dura prova anche perché la criminalità e la politica di basso livello  formerebbero subito comitati V - day contro la zona rossa: l’affaire vesuviano è un cane che si morde la coda…

Siffatta proposta sarebbe comunque un primo passo in avanti, insieme all’informazione corretta e puntuale, onde consentire nell’arco di oltre un secolo di mettere mano al riordino del territorio vesuviano e non solo di quello, secondo la linea verde che racchiude in giallo l’invasione dei flussi piroclastici di due pliniane, così come evidenziato dalla mappa sottostante, allegata al lavoro della ricercatrice Lucia Gurioli a proposito dei depositi da colate piroclastiche.

Mappa Gurioli: la linea nera circoscrive l'attuale zona rossa. In giallo i territori
invasi dalle colate  piroclastiche di 2 famose eruzioni pliniane.

Se la prima applicazione reale del piano nazionale d’emergenza rischio Vesuvio andrà buca, cioè fallirà la previsione dell'evento vulcanico e verrà lanciato un allarme senza seguito eruttivo, una seconda edizione probabilmente vedrebbe la popolazione maggiormente propensa all'attesa e sarebbe meno tempestiva nell’allontanarsi, perché avrà sperimentato sulla sua pelle che il preallarme può anche rientrare o durare mesi e anni. Ecco: il problema principale si avrà allora col primo allarme vulcanico… Per concludere le nostre disquisizioni, secondo principi di emulazione che caratterizzano le masse, è difficile pensare davvero che la popolazione del vesuviano vedrà molti concittadini andare via nella fase di preallarme perché hanno la seconda casa altrove, e loro resteranno impavidamente  ad aspettare  il risiko delle 72 ore in un contesto di segretezza dei dati vulcanologici di monitoraggio.
Le grandi incognite di questo piano d'emergenza sono racchiuse nei tempi e nella percezione da parte dei sensi del pericolo vulcanico. Il panico infatti, potrebbe essere il nemico numero uno...


domenica 6 marzo 2016

Rischio Vesuvio: le FAQ... di MalKo



Il sorvolo del Vesuvio


In moltissime pagine istituzionali diffuse sul web, ce ne sono quasi sempre alcune dedicate alle Frequently Asked Question (FAQ), cioè un elenco di risposte preconfezionate che soddisfano i quesiti maggiormente posti all’autore o al titolare del servizio o all’articolista che pubblica sul web. Diversamente le risposte possono essere anche frutto della previsione delle domande, in modo da soddisfare in anteprima e già all’atto della pubblicazione le curiosità o le perplessità dei lettori.
Il rischio Vesuvio è un fattore talmente di rilievo e talmente complicato e con tante inadempienze, che ben difficilmente troverete FAQ che vanno nella direzione della verità e della comprensione dell’argomento in tutte le sue sfaccettature. Per dare un contributo alla corretta informazione allora, indichiamo noi stessi delle domande e, quindi, delle risposte che si rifanno all’ufficialità degli enti amministrativi e delle istituzioni tecniche e scientifiche pertinenti, senza tralasciare le nostre considerazioni, in modo che il lettore abbia dalla sua elementi di comparazione su cui riflettere.

·        Che cos’è lo scenario eruttivo di riferimento?
Nel nostro caso lo scenario di riferimento è la tipologia eruttiva che la scienza, attraverso studi di vario genere, individua come l’evento vulcanico da cui bisognerà presumibilmente difendersi per il futuro.
Secondo alcuni scienziati dell’INGV che hanno trattato il problema, per i prossimi 128 anni e in assenza di novità scientifiche, l’eruzione di riferimento per il Vesuvio dovrebbe essere di stile stromboliano violento (VEI 3), o al massimo d’intensità similmente sub pliniana, ovvero con un indice di esplosività vulcanica pari a VEI 4. Sarà proprio quest’ultima tipologia eruttiva ad essere stata indicata, e quindi adottata per fissare gli scenari eruttivi su cui è stata poi incentrata la pianificazione nazionale d’emergenza per l’area vesuviana.

Per i meno esperti, un indice di esplosività vulcanica VEI 4, corrisponde grosso modo come tipologia all’eruzione del Vesuvio del 1631. Evento particolarmente violento, che sconvolse la plaga vesuviana, ma che non cagionò grossi  danni alla città di Napoli.

Lo scenario di riferimento è importantissimo perché partendo dal tipo di eruzione è possibile stabilire le fenomenologie vulcaniche da cui bisognerà difendersi e i territori probabilmente coinvolti e, quindi, quanti abitanti bisognerà preventivamente mettere in salvo.

Gli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), per individuare lo scenario eruttivo di riferimento hanno operato su basi statistiche probabilistiche. Potevano accettare i principi della distribuzione poissoniana che stabilisce stessa probabilità di accadimento ad eventi rari, invece si sono valutate due tabelle statistiche che prendono in esame fenomeni eruttivi su due diversi intervalli, analizzando rispettivamente un periodo di tempo tarato da 60 anni in su, senza un limite superiore, e una finestra temporale con un range da 60 a 200 anni (vedi schema sottostante).

Tabella Ae B delle probabilità eruttive in chiave percentuale.
Da notare che sia l’approccio concettuale della logica poissoniana che il compendio statistico con alla base i primi 60 anni di quiescenza e senza limiti in salita, includono l’eruzione pliniana come eruzione tutt’altro che da sottovalutare come evento possibile. Alla fine gli esperti hanno invece optato per la tabella B che vi mostriamo e  che contiene anche le percentuali statistiche assegnate ad ogni tipologia eruttiva, con quella pliniana scartata  per il suo 1% di probabilità…
Ovviamente il lettore avrà intuito che non esistono calcoli matematici ben definiti o strumenti particolari di analisi e di indagini per poter dire con certezza quale sarà la tipologia eruttiva della prossima eruzione del Vesuvio: il dubbio è un elemento comune anche ad altre pianificazioni d’emergenza. Per abbattere ogni incertezza, la prassi tecnica consolidata prevede a scopo precauzionale l’adozione  dell’evento massimo conosciuto come effettivo scenario d’emergenza. Nel nostro caso questo evento è facilmente individuabile nell’eruzione più famosa del mondo: quella pliniana del 79 d.C. che, con il suo indice di esplosività classificato VEI 5, sconquassò completamente l’area vesuviana, circa 2000 anni fa e ancora circa 4000 anni fa,  seppellendo intere città e villaggi che scomparirono letteralmente dalla geografia dei luoghi.

In realtà solo la politica può cancellare dall’elenco dei possibili scenari eruttivi un’eruzione pliniana, ma non la scienza, che in questo caso si è pronunciata attraverso un’esposizione analitica della commissione incaricata del piano d’emergenza denominata Gruppo A, che ha proposto nel 2012 uno scenario eruttivo (VEI4), praticamente identico a quello che propose nel 1995 la precedente commissione, che già a suo tempo indicò una sub pliniana quale eruzione massima attesa (EMA).

La proposta attuale è stata poi adottata con il placet definitivo della Commissione Grandi Rischi Settore Rischio Vulcanico, a cui spetta l’ultima parola. E’ a questa commissione, è bene ricordarlo, che competono tutte le decisioni scientifiche che hanno ad oggetto i vulcani.

La cosa che lascia alquanto perplessi, come vedremo nella prossima FAQ che riguarda la perimetrazione della zona rossa, è un certo fare deterministico delle istituzioni, rispetto a una situazione assolutamente di incertezza statistica.

Intanto risulta interessante un’annotazione del Prof. Giuseppe De Natale, ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano, a proposito dei tempi di ritorno delle eruzioni pliniane:<< non è possibile definire i tempi di ritorno di qualsivoglia tipologia di eruzione, per tutti i vulcani in generale ma in particolare per le eruzioni pliniane del Vesuvio. Il concetto stesso di tempo di ritorno presuppone una regolarità (periodicità) che non sussiste in generale per alcuna eruzione vulcanica. Per quanto riguarda poi le eruzioni pliniane del Vesuvio, quelle a noi note sono in numero talmente esiguo, che qualunque analisi statistica ha una significatività estremamente bassa>>. Affermazione piena di buon senso e alquanto in controtendenza alle decisioni del gruppo incaricato e alle conclusione della commissione grandi rischi…

Su questo argomento si sono spesi diversi esperti, tra cui l’ex assessore alla protezione civile regionale, Prof. Edoardo Cosenza, che ribatteva a chi contestava come Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, l’esclusione di una pliniana dalla rosa delle possibilità di accadimento, che se volessimo prendere sempre le catastrofi peggiori per pianificare le emergenze, per le alluvioni dovremmo allora tenere conto del diluvio universale… specialmente se non ci si chiama Noè!

Nel caso del Vesuvio, ripeteva, le matrici di possibilità sono 4 :

·        Eruzione senza evacuazione;

·        Eruzione con evacuazione;

·        Evacuazione senza eruzione;

·        Evacuazione con eruzione.

In realtà l’accademico professore perseguendo un fare assolutamente deterministico in luogo dello statistico, non ha considerato altre due possibilità, al netto della politica, che sono:

·        Eruzione VEI 5 con evacuazione VEI 4;

·        Eruzione VEI 5 senza evacuazione.

In entrambi i casi, una catastrofe immane, da cigno nero…

Per poter offrire ai lettori comparazioni che aiutano a riflettere, proponiamo l'esempio del terribile terremoto che sconquassò il Giappone l’11 marzo del 2011. Una scossa di magnitudo 9 Richter diede origine a uno tsunami che s’infranse contro la centrale di Fukushima creando un incidente nucleare di tutto rispetto.

I sistemi d’emergenza anti tsunami infatti, erano tarati per altezza delle acque non superiore ai 6,5 metri, mentre in questo caso le onde raggiunsero i 14 metri di altezza. C’è da dire che una scossa così forte non era mai stata registrata prima nel paese del Sol Levante. Nella ricostruzione della centrale nucleare, e quindi nei sistemi di difesa, si terrà conto di questi valori estremi seppur singolari o si manterranno i parametri di sicurezza preesistenti ? Ovviamente se è possibile si terrà in debito conto un evento 9 Richter e onde alte 15 metri…

Lo scenario VEI 4 è uno scenario di media mediata dalla politica in ragione dello stato dei luoghi e anche dell’economia che tiene in debito conto i parametri costi - benefici finanche nella difesa delle catastrofi. Tutte cose che intuiremo meglio nella prossima FAQ ad oggetto la famosa zona rossa Vesuvio...

Quello che desta disappunto e quindi generalizzando si contesta, è che i cittadini non possono essere trattati come sudditi non partecipativi delle scelte e quindi non informati su quello che succede e sulle decisioni che si adottano a cura della politica in un ordinamento rappresentativo. I cittadini sono titolari di qualche diritto, ma qui sembra che in questo mondo globalizzato ad avere  ragione è sempre e solo il biglietto verde...








venerdì 10 ottobre 2014

Rischio Vesuvio: Intervista al Prof. G. Mastrolorenzo...di MalKo

Napoli e il Vesuvio

 “Rischio Vesuvio: quale eruzione?
Intervista al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo.”
di MalKo

Uno degli assilli che arrovella o che dovrebbe arrovellare l’intellighenzia tecnica preposta alla redazione dei piani d’evacuazione dell’area vesuviana, è la impossibilità di stabilire i tempi che ci separano da una prossima eruzione del Vesuvio. Anche al comparire dei sintomi precursori infatti, è parimenti azzardato profondersi in una previsione corta del fenomeno eruttivo.
La sicurezza delle istituzioni scientifiche circa la possibilità che si colgano i sintomi del risveglio del Vesuvio in netto anticipo sugli eventi, in realtà è una speranza che non rappresenta però la svolta nella previsione dell’eruzione. La “vitalità” vulcanica infatti, è un insieme di valori fisici e chimici che possono portare una notevole dose di indeterminatezza nell’interpretare senza errori un fenomeno che, ricordiamo, si evolve nel sottosuolo e che può quindi irrompere all’aria o ricomporsi di nuovo nel profondo.
La verità mediata allora, è che le sentinelle vulcaniche coglieranno probabilmente e con un certo anticipo tutti gli sbadigli geologici del Vesuvio, ma non potranno affermare con certezza se questi rappresentano il preludio al risveglio o semplicemente una riossigenazione da stato soporifero che nulla toglie al sonno letargico. Pertanto, il problema vero sarà quello di riuscire a decifrare i segnali in modo da << non indurre un’evacuazione senza eruzione o essere colti da un’eruzione senza evacuazione…>>.

Nell’ultimo articolo abbiamo accennato alla coraggiosa previsione prospettata dal gruppo di lavoro incaricato di redigere gli scenari eruttivi del Vesuvio e dei Campi Flegrei, con l’avallo della Commissione Grandi Rischi (CGR-RV) che ha comunque condiviso le scelte insieme al Dipartimento della Protezione Civile.  Secondo le stime prospettate, per i prossimi 130 anni l’eruzione massima di riferimento attesa al Vesuvio è quella sub pliniana, mentre la più probabile è una stomboliana violenta. La differenza tra i due eventi consiste che nel secondo caso non sono preventivabili flussi piroclastici.
Il sistema di protezione civile nell’area vesuviana si sta quindi basando ed evolvendo proprio su queste due tipologie eruttive, con la prima che congloba la seconda.
La Commissione Grandi Rischi oltre a condividere gli scenari eruttivi ha introdotto la linea nera Gurioli come reale limite della zona rossa Vesuvio. Il Comune di Boscoreale ha preso molto sul serio la zonazione così operata dalla scienza, ricorrendo e con successo, addirittura al potere giuridico (TAR), per vedersi riconosciuto il diritto ad estrapolare quelle parti di territorio che si trovano oltre la linea nera, in modo da sfuggire al severo regime di inedificabilità assoluta (Legge regionale 21/2003) per gli usi residenziali.  Alle amministrazioni comunali infatti, interessa soprattutto il cemento, e intanto non risulta alcuna impugnazione della sentenza del TAR da parte della Regione Campania o del Dipartimento della Protezione Civile.

Al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, esperto vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano - INGV, giriamo subito una domanda: Professore, è possibile prevedere in anticipo un’eruzione attraverso i precursori vulcanici che il mondo scientifico asserisce di poter cogliere mesi prima?

<< Non c’è una specifica teoria sui precursori, ovvero non abbiamo ancora adeguate conoscenze sui meccanismi che generano i precursori spesso osservati nelle aree vulcaniche prima di un’eruzione. Questo è il motivo per cui ancora oggi non è possibile definire e individuare una rigorosa correlazione deterministica tra precursori ed evento eruttivo. In particolare, anche durante le crisi pre eruttive, in cui si manifestano precursori geofisici e geochimici quali terremoti, deformazioni del suolo e modificazione della portata e della composizione dei gas fumarolici, non è possibile in alcun modo prevedere se l’evento si manifesterà, e ancora quando e con quale tipologia e intensità si presenterà l’eruzione. L’assenza di qualsiasi correlazione di tipo deterministico tra precursori ed eruzione, mista alla debolezza della previsione statistica in sistemi molto complessi come quelli vulcanici, rendono necessarie ai fini della tutela l’adozione di rapidissime procedure per garantire l’evacuazione di tutta la popolazione esposta all’evento>>. 

La comunità scientifica ha di fatto concordato una previsione di evento massimo atteso al Vesuvio, tarato su una tipologia eruttiva di tipo sub pliniana. E’ d’accordo?

<< Qualsiasi previsione sull’evoluzione dei precursori e sulla tipologia e intensità del possibile evento eruttivo, dato la forte dipendenza del risultato statistico dai modelli adottati costituisce un azzardo, e pertanto ogni previsione deve essere valutata come opinione e come tale può variare da ricercatore a ricercatore.
E’ chiaro che la sicurezza di una collettività a rischio non si può basare, come ho detto in più circostanze, sull’adozione di uno scenario sub pliniano che è del tutto arbitrario, dati i risultati contrastanti che emergono dalle diverse ricerche scientifiche degli ultimi anni, relativamente alla dinamica interna del sistema vulcanico, alla storia eruttiva e al confronto con altri vulcani analoghi.
Paradossalmente, gli stessi ricercatori che su base prettamente probabilistica hanno fornito un valore basso ma comunque assolutamente non trascurabile di probabilità di un evento pliniano, in studi comparativi con altri vulcani analoghi sono giunti alla conclusione di una assoluta imprevedibilità dell’evoluzione di vulcani a condotto chiuso come il Vesuvio, per i quali non c’è memoria del passato. In altre parole, per un vulcano a condotto chiuso non avrebbe alcuna rilevanza la durata del periodo di quiescenza ai fini della previsione dell’intensità massima della possibile eruzione futura.
E’ paradossale che nell’esercitazione Mesimex 2006, benché sulla base dei risultati scientifici del gruppo consulenti della Protezione Civile sia stato dichiarato l’11% come valore medio di probabilità di un evento pliniano al Vesuvio, si sia poi scelto uno scenario esercitativo sub pliniano. E’ evidente come l’11% di probabilità che si verifichi un evento catastrofico pliniano in un’area abitata da tre milioni di persone, renda l’eruzione pliniana un evento assolutamente non trascurabile e da assumere certamente come scenario di riferimento nei piani d’emergenza. D’altra parte, date le ampie differenze e incongruenze tra le evidenze vulcanologiche, le valutazioni statistiche e le opinioni scientifiche dei diversi ricercatori impegnati da decenni nello studio dell’area vulcanica napoletana, con ricerche di pari dignità pubblicate su autorevoli riviste scientifiche, la scelta da parte degli organi preposti di una specifica tesi come base operativa per la realizzazione del piano d’emergenza, dovrebbe essere dichiarata e presentata alla collettività evidenziando come tale tesi non sia condivisa da tutti i ricercatori. In altre parole, dovrebbero essere dichiarati i limiti e le potenziali conseguenze dovute alla scelta di scenari che potrebbero poi rivelarsi inadeguati.
Prof. Giuseppe Mastrolorenzo - Osservatorio Vesuviano - INGV

A tale proposito è interessante notare come in alcuni articoli scientifici da parte di ricercatori impegnati nelle valutazioni di pericolosità vulcanica per l’area napoletana, pur riconoscendo una probabilità non trascurabile di un evento di natura pliniana, in base a valutazioni di costi - benefici si suggerisca di optare per uno scenario di riferimento sub pliniano. È evidente come un criterio costi - benefici possa essere adottato ma per correttezza verso le collettività dovrebbe essere esplicitamente dichiarato. Una tale dichiarazione equivarrebbe ad affermare che benché si sia consapevoli che oltre 3 milioni di persone siano costantemente esposte a rischio catastrofe, per ragioni economiche si valuti di porne in salvo solo settecentomila.
In conclusione, specificando che comunque le mie opinioni derivano analogamente a quelle di altri colleghi, anche referenti delle autorità preposte, dai risultati delle mie ricerche scientifiche e dell’esperienza in ambito vulcanologico e pertanto non costituiscono posizioni di istituzioni ma esclusivamente scientifiche. Ricordo come i risultati delle mie ricerche condotte negli ultimi decenni sulle catastrofi del Vesuvio, hanno dimostrato che nel caso di un evento massimo pliniano, è a rischio tutta la popolazione della provincia di Napoli e parzialmente quella della provincia di Avellino e Salerno. Ho spesso ricordato che molti disastri avvenuti sul nostro pianeta negli ultimi decenni, sono derivati dalla combinazione di eventi naturali estremi e da una generale sottovalutazione del rischio. In eruzioni quali quella del Mt. St. Helens avvenuta nel 1980, del Pinatubo nel 1991 e del Merapi nel 2010, fu necessario estendere rapidamente la zona da evacuare in piena eruzione a causa di una drammatica sottovalutazione dell’evento atteso. Di fatto non esistono criteri standard di riferimento per la redazione di piani d’emergenza per le aree vulcaniche, contrariamente a quanto avviene in altri ambiti, pertanto, tutto il processo decisionale e le conseguenti responsabilità che possono derivarne, ricadono sugli organi e le istituzioni e sui soggetti incaricati della mitigazione del rischio vulcanico. E per tale motivo, le informazioni dettagliate dei criteri adottati per la messa in sicurezza delle popolazione e dei relativi limiti, devono essere elementi portati a conoscenza della collettività>>.

Ringraziamo il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo per la preziosissima e cortese collaborazione che ci ha assicurato su un tema particolarmente attuale e complesso come il rischio Vesuvio, al centro delle nostre attenzioni e quelle dei nostri lettori.

Per concludere e come redazione, al di là delle disquisizioni che da più parti vengono sollevate in tema di rischio Vesuvio, vorremmo annoverare alcune cose che riguardano l’argomento appena trattato. Innanzitutto la scelta dello scenario eruttivo come sapete è propedeutico e come avete intuito nel caso Vesuvio è stato scelto quello un gradino in più del probabile e non quello massimo conosciuto. La commissione incaricata di effettuare quest’analisi del probabile si è basata su dati statistici che indicano differenti elementi appunto di probabilità. Ogni qualvolta un vulcano esplosivo si zittisce e a condotto chiuso ricomincia la quiescenza, pensiamo che con il passare dei decenni diventi insondabile, enigmatico, e ogni previsione sul divenire potrebbe essere un azzardo, soprattutto quando la calca che lo avvolge rifugge dal concetto stesso di rischio. Il vulcano Vesuvio non è quello del 79 d.C. e non è neanche quello del 1631 o del 1944... cosa sia lo scopriremo il giorno dopo che si sarà risvegliato. 

Il piano di emergenza, perché solo di quello possiamo parlare visto che non esiste ancora quello di evacuazione, non è frutto del garantismo ma figlio di un adeguamento cerchiobottista alle enormità che ci rimanda il territorio fortemente compromesso e dove ogni decisione e non solo di sicurezza si scontra con numeri inapprocciabili. Incapaci di inseguire la prevenzione allora, inseguiamo come sempre l’emergenza con piani basati appunto sul probabile. Non vorremmo però, che scienziati e organi d’informazione, così come hanno fatto all’Aquila col terremoto anch'esso improbabile, abbiano poi a dire che la colpa è delle case ubicate in zona rossa…

L’assessore regionale Edoardo Cosenza ha giubilato all’affermazione del capo dipartimento della protezione civile Franco Gabrielli circa gli interventi antisismici e anti lapillo in zona rossa che vanno fatti. Solo quelli aggiunge Cosenza promettendo: <<in zona rossa non si aggiungerà un solo metro cubo di cemento a uso residenziale…>>.
Se mettiamo insieme i ruderi però, i fabbricati diroccati e gli spiccati di palazzi a più piani consentendone il ripristino statico e l’ultimazione, che sarebbe gioco forza a uso abitativo, senza aggiungere un solo metro cubo di nuovo cemento, si aggiungerebbero migliaia di nuovi abitanti nella zona rossa: molti di questi poi, sarebbero stranieri, che non sempre risultano nei registri dell'anagrafe.
Il problema rimane il futuro. Anche i teorici del probabile come la commissione grandi rischi e quella incaricata degli scenari al Vesuvio e ai Campi Flegrei, dovrebbero riconoscere come dicono, che con il passare del tempo andremo sempre di più in una condizione di eruzione a maggiore intensità. Qual’è allora la politica che stiamo mettendo in campo per garantire la sicurezza ai nostri posteri? Quella dei condoni e del cemento ristoratore? Fateci sapere le architetture del territorio previste per la metropoli vulcanica

La commissione grandi rischi ha tra le sue funzioni (art.2) anche quella di fornire indicazioni per migliorare la capacità di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi. Allora, l'emanazione di una nota sul cemento sarebbe auspicabile, anche correndo il rischio,quello sì, di essere invisi a qualche politico. Il futuro ringrazierebbe…

martedì 10 giugno 2014

Rischio Vesuvio: la geologia dei forse... di Malko




“Il rischio Vesuvio e la geologia dei forse…” di MalKo

Il rischio Vesuvio è un argomento che può essere approcciato da diversi punti di vista e ovviamente con logiche che dipendono moltissimo dall’osservatore e da quello che si vuole dimostrare chiamando in causa il famoso gigante.
Ci sono alcuni aspetti oggettivamente problematici e di difficile risoluzione per chi tratta i piani d’emergenza, come l’imprevedibilità del fenomeno eruttivo, sia da un punto di vista del quando (Qd) avverrà che del quanto (Qe) energetica potrà essere la futura eruzione che nessuno esclude.
Due acronimi (Q) allora, quello del tempo e dell’energia, su cui gli scienziati di tutto il mondo si scervellano palesando pareri anche ben articolati ma mai suffragati da certezze matematiche, col risultato finale di un’abbondanza di forse.  Ovviamente trattandosi di argomenti in una certa misura opinabili per le incognite in gioco (un limite internazionale), in Italia e per i pericoli naturali si tiene conto più che del parere del singolo ricercatore, degli istituti a vocazione scientifica chiamati a soddisfare i bisogni istituzionali di consulenze. L’INGV ad esempio, risponde per la parte geologica assumendosi anche l’onere del monitoraggio di certi fenomeni, della ricerca e della sorveglianza vulcanica.
Poi succede come nel caso del terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, che una commissione istituzionale di altissimo livello, una settimana prima del sisma rassicura frettolosamente la popolazione che vedrà in pochi giorni la propria città devastata proprio da quel terremoto che gli scienziati avevano escluso.
Il sistema istituzionale in questo caso non ha analizzato criticamente la catena degli eventi, ma ha serrato i ranghi e ha adottato l’exit strategy fornitagli da mass media amici che all’unisono hanno battuto grancassa sulla carta stampata, bollando la magistratura aquilana inquirente come medievale e inquisitrice, perché condanna a sei anni di reclusione la commissione grandi rischi. Di quella stavamo parlando…
Un attacco alla scienza! Condannati per non aver previsto il terremoto si gridò il giorno della sentenza. Inquisizione medievale aggiunse qualcun altro… Tra questi l’ex ministro Clini, oggi forzatamente ai domiciliari, che attaccò la magistratura criticando processo e sentenza contro i luminari inviati all’Aquila da Guido Bertolaso. Nell’eloquio con i giornalisti, l’ex ministro dell’ambiente scomodò addirittura Galilei e gli eretici…
Quando avverrà un eruzione del Vesuvio non è dato saperlo. La scienza ufficiale riferisce che i segnali premonitori si avvertiranno con mesi di anticipo. Il problema è che le variazioni dei parametri controllati del vulcano potrebbero essere sintomi pre eruttivi ma anche semplici sommovimenti di riequilibrio delle dinamiche sotterranee. Differenze non da poco, perché nel secondo caso non ci sarebbe eruzione. Per discriminare e interpretare correttamente certi segnali è richiesta un’analisi comparativa e qualitativa dei dati strumentali su un periodo sufficientemente grande per capire il trend del fenomeno. Questo significa che se serve più tempo per decidere è necessario che ci sia meno tempo a disposizione per evacuare. Attualmente le autorità hanno indicato in settantadue ore la misura limite per mettersi in salvo dal Vesuvio all'occorrenza.
Per quanto riguarda l’intensità eruttiva che potrà caratterizzare un possibile risveglio del Vesuvio, le autorità scientifiche attraverso una relazione firmata da due ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), hanno indicato come probabile nel medio termine un’eruzione stromboliana violenta (VEI 3) o una sub pliniana (VEI 4). Un’eruzione pliniana (VEI 5) invece, come quelle di Avellino o di Pompei nel 79 D.C., è stata scartata sul nascere dagli esperti incaricati di aggiornare gli scenari futuribili, perché dicono, avrebbe un indice di accadimento non superiore all’1%.  Almeno per i prossimi 130 anni…
Nella malaugurata e remota ipotesi che dovessero sbagliarsi, un’eruzione VEI 5 investirebbe con i flussi piroclastici anche i territori posti oltre la linea Gurioli, e per un bel po’ di chilometri…

Gli scenari eruttivi 2014 sono stati aggiornati sulla base di considerazioni che in verità non sono molto dissimili da quelle precedenti. Il ventennio di commissioni e sotto commissioni e gruppi ha lavorato sostanzialmente sempre sulla stessa probabilità massima eruttiva che gira intorno a un’eruzione sub pliniana. Nel corso degli anni non abbiamo avuto stravolgimenti di fronti se non una sostanziale conferma dei limiti dell’attuale  zona rossa di prima fascia che non ha subito nel concreto e nel tempo variazioni notevoli.  
Le novità apportate negli anni consistono nell’introduzione della zona blu quale area soggetta ad allagamenti diffusi senza che alcuno vi dedicasse attenzione. Con la recente rivisitazione e a cura della commissione grandi rischi, è stata introdotta la linea nera Gurioli, che da limite di deposito delle colate piroclastiche è stata in realtà utilizzata impropriamente come limite di pericolo.
Altre novità di rilievo consistono nell’inserimento parziale di alcuni quartieri napoletani nella zona rossa e la perimetrazione del settore circolare orientale (R2), che definisce la zona marrone a maggiore rischio di ricaduta di cenere e lapillo durante i frangenti eruttivi. Tra l’altro, è difficile dimorando nella parte orientale del vulcano, non essere coinvolti da quest’ultimo fenomeno, non solo perché statisticamente i venti stratosferici soffiano in quella direzione, ma anche perché in tutte e tre le tipologie vulcaniche citate le precipitazioni piroclastiche sono una costante.
I distretti vulcanici della Provincia di Napoli sono tre e indipendenti tra loro, pur se sono in vista l’un dell’altro.  Questo significa che le statistiche eruttive con le percentuali assegnate a ogni singolo indice di esplosività vulcanica, potrebbero in un certo qual senso discostarsi fra loro o accavallarsi al punto da rendere la città di Napoli ad altissimo rischio.
La metropoli del Sole dovrebbe varare progetti di prevenzione perché i secoli passano e con essi aumenta il numero di abitanti che si stabilisce sui fertili suoli vulcanici. Gli architetti del territorio dovrebbero muoversi di prevenzione con progetti ineluttabilmente a lungo termine. Bisognerà utilizzare ogni mezzo per favorire l’urbanizzazione futura verso le province di Caserta e Benevento, proprio dove i rispettivi territori si congiungono con quelli di Napoli.  
La realizzazione in primis di sistemi di mobilità veloce da e per il capoluogo partenopeo, potrebbero spianare la strada a questi che potrebbero essere i nuovi indirizzi  insediativi.

I piani d’emergenza e, quindi d’evacuazione che verranno, si baseranno sul concetto del prevediamo di prevedere tre giorni prima l’incalzare dell’eruzione. La previsione della previsione insomma, che potrebbe racchiudere statisticamente un errore maggiore della sola  previsione. Un concetto che in ultima analisi potrebbe essere un chiaro monito a non tralasciare le politiche di  prevenzione.
La condanna della commissione grandi rischi all’Aquila è stata una faccenda maledettamente importante perché ha dato la misura di un brutto sistema dove la scienza è stata utilizzata come mazza per qualcuno e carota per tutti gli altri. Ma questo episodio per quanto drammatico è solo la punta  di un iceberg fatto di politica e di business, che galleggia su finanziamenti e incarichi e consulenze. La prova provata di questo sistema non proprio genuino ci viene esattamente dalla Campania. Gli scienziati avrebbero dovuto dire a gran voce che in zona rossa dovrebbero esserci solo alberi e che in quella gialla alberi e poche case. Invece la politica con la mediazione della scienza  si è inventata la zona rossa 2. Una zona dove bisogna scappare a gambe levate in caso di eruzione, ma dove è ancora possibile insediare abitanti e rilasciare licenze edilizie. Dall’altro lato, nei Campi Flegrei invece, è in corso la politica della trivella che affonderà lo scalpello rotante nel ventre calderico metropolitano, non per inseguire fluidi caldi dicono, ma spessori da carotare. Rischio zero hanno detto! Lo disse pure il capo ingegnere che guidò l’esercitazione nella centrale di Chernobyl il 26 aprile del 1986…
La politica di sicurezza nel vesuviano è un guazzabuglio secondo i collaudati principi del  “Facite ammuina”. Si confida segretamente sulle paure della popolazione che quando avvertirà i prodromi eruttivi scapperà volontariamente dall’area vesuviana senza attendere alcun ordine. Un’evacuazione fuori dagli schemi ovviamente,  non ha responsabili  e qualcuno potrebbe uscirne pure come eroe… 
La lapide di Portici, un’incisione marmorea incastonata in un basamento di piperno posto sulla pubblica via acchè i viandanti vesuviani la leggessero strada facendo, grazie anche alla lentezza dei carretti, è il primo manifesto di protezione civile. L’iscrizione risale al 1632: esattamente un anno dopo la terribile eruzione sub pliniana del 1631, quella che gli scienziati prevedono possa verificarsi se il Vesuvio dovesse porre fine alla sua annosa quiescenza nel medio termine e nella sua forma più intensa. Il testo scolpito (qui tradotto), dimostra la chiarezza delle autorità dell’epoca sul da farsi che così  recita:
Posteri! Posteri!
Si tratta di voi.
L’oggi illumina il domani con la sua luce. Ascoltate.
Venti volte da che è sorto il Sole se la storia non narra favole
il Vesuvio divampò sempre con immane sterminio di coloro
 che esitarono . Vi ammonisco perché non vi trovi incerti.
Questa montagna ha il ventre gravido di pece,
allume, ferro, zolfo, oro, argento,
salnitro e sorgenti d’acqua.
Prima o poi prende fuoco e con il concorso
del mare partorisce. Ma prima di partorire
si scuote e scuote il suolo. Fuma, s’arrossa, s’avvampa,
sconvolge orrendamente l’aria. Mugge, emette boati, tuona,
caccia  gli abitanti dalle zone vicine.
Fuggi finchè ne hai tempo. Ecco già lampeggia scoppia vomita
materia liquida mista a fuoco che si riversa precipitosa tagliando la via della fuga a chi si è attardato. Se ti raggiunge è finita. Sei morto.
In tal modo tanto più umano quanto più sovrabbondante (il fuoco), se temuto disprezza, se disprezzato punisce gli imprudenti e gli avari che hanno più care la casa e le suppellettili della vita. Se hai senno ascolta la voce di questa pietra.
Non preoccuparti del focolare. Non preoccuparti dei fagotti fuggi senza indugio.

Anno 1632, 16 Gennaio. Sotto il regno di Filippo IV Emanuele Fonseca y Zunica Conte di Monterey Vicerè




martedì 13 maggio 2014

Rischio Vesuvio e la teoria del cigno nero: ...di Malko

Vesuvio visto da sud al tramonto.
 “Rischio Vesuvio e la teoria del cigno nero” di MalKo

Come avevamo ipotizzato nell’articolo del 28 maggio 2013, il comune di Boscoreale ha fatto ricorso al tribunale amministrativo regionale (TAR), a proposito della difformità di trattamento scaturita dalla nuova rivisitazione della zona rossa Vesuvio, dettata dall’introduzione della linea nera Gurioli. La sentenza dell’8 maggio 2014 non poteva avere esito diverso, visto l’incredibile pastrocchio combinato dalla Regione Campania con la delibera che varava i nuovi scenari che avrebbero a loro dire addirittura allargato la zona rossa in favore di una maggiore tutela delle popolazioni esposte al rischio Vesuvio. Il TAR, per farla breve, ha dovuto dare ragione al comune vesuviano ricorrente…

Spaccato che evidenzia l'incongruenza
dei settori a rischio
Il territorio di pertinenza di Boscoreale, infatti, insieme con altri 17 comuni, era storicamente inserito e per  l’intero limite amministrativo nel perimetro a maggior rischio vulcanico (zona rossa R). Ora, con la nuova classificazione (R1 e R2) adottata dal Dipartimento della Protezione Civile, il territorio di Boscoreale è stato sostanzialmente spaccato in due dalla Linea nera Gurioli, che segna un limite di massimo pericolo introdotto dalla commissione grandi rischi.  Quindi, mentre da un lato la Regione Campania e il Dipartimento della Protezione Civile hanno offerto ai nuovi comuni entrati a far parte della nuova zona rossa, escamotage utili per  suddividere i loro territori in R1 e R2, ai vecchi 18 comuni questa possibilità è stata negata, e i loro tenimenti dovevano considerarsi per intero in  R1, anche se in parte gravavano, come nel caso di Boscoreale, a valle della linea Gurioli. A essere chiari, una vera assurdità giuridica…
 Questo modo di operare che non si capisce se è frutto di dabbenaggine o malizia, ha creato un grosso pateracchio burocratico, perché era logico aspettarsi un ricorso da parte dei comuni diversamente inquadrati rispetto alla nuova zona rossa. Boscoreale ha aperto la strada: siamo sicuri però, che anche altri comuni percorsi in senso secante dalla linea Gurioli ne seguiranno le orme. La figura sottostante ci aiuta  a individuarli…

I motivi del ricorso al TAR, instradato dal Comune di Boscoreale, convergono e vertono tutti sul fatto che la zona rossa 1 (R1) è soggetta ai limiti di inedificabilità totale per scopi residenziali, sanciti dalla invisa legge regionale Campania n° 21 del 2003, che individua nella zona a maggior rischio vulcanico il divieto di costruire per scopi abitativi: tentativo ultimo per sperare di contenere il valore esposto (vita umana) al pericolo eruttivo.

Veduta d'insieme della nuova classificazione della zona rossa Vesuvio


La zona rossa 2 (R2) invece, è esclusa da questa legge, e anzi consentirà pure ai proprietari degli immobili già esistenti di realizzare ampliamenti e mansarde a spiovente, quale strumento di difesa passiva degli edifici, a fronte del pericolo rappresentato dalla ricaduta di cenere e lapillo. Da qui la corsa dei comuni di fresca nomina a cavalcare la provvida possibilità offertagli dalla Regione Campania, per estrapolare quanta più terra possibile dalla tenaglia edilizia dettata dalle rigide norme vigenti nei settori R1. In questa folle corsa il primo classificato risulta essere il Comune di Poggiomarino
Molto probabilmente la stessa cittadina di Boscoreale e altre municipalità che ne percorreranno le orme, utilizzeranno l’esito favorevole del ricorso al TAR, per raggiungere pure il mai sottaciuto e ambitissimo obiettivo di un condono edilizio largheggiante da estendere nei settori R2. Un doppio risultato insomma… Come sempre però, il business creerà malumori politici e bagarre in questi consigli comunali che, probabilmente, sono già in una fase di fibrillazione.

Con siffatte e risibili strategie, stiamo facendo grossi passi in avanti nella direzione di un disastro futuribile assimilabile per portata alle famigerate teorie del cigno nero. Un concetto evocato sulla base delle sottovalutazioni che si fanno su eventi rari, anche vulcanici ad altissima energia, che potrebbero flagellare nel nostro caso tutta l’area metropolitana di Napoli e anche oltre, lasciando esterrefatti e impotenti gli abitanti e quanti ne hanno sancito, senza dati incontrovertibili, l’invulnerabilità statistica del territorio. Gli scavi di Pompei prima di essere uno spaccato di storia, dovrebbero essere innanzitutto un monito...

Secondo alcuni esperti che hanno tirato in ballo addirittura asteroidi e realpolitik, la possibilità che avvenga un’eruzione pliniana è talmente bassa da non richiedere sacrifici per stilare un piano d'emergenza di vasta portata e per questo irrealizzabile. La gravità di certe affermazioni risiede nella incapacità di chi le pronuncia, nel capire che le parole vengono esaltate o ignorate da terzi, a seconda della convenienza, per giustificare politiche di sopraffazione del territorio anche nelle aree cosiddette a rischio estremo.
Il latore della realpolitik, avrebbe dovuto aggiungere:<<...utilizziamo tutti gli anni di clemenza geologica che abbiamo ancora a disposizione, per operare soprattutto nel campo della prevenzione, in un’area dove per rimettere ordine urbanistico, occorrono appunto i secoli >>. 

Nell’immagine in basso si notano casette in rosso e in verde. Quelle rosse indicano i comuni (vecchia zona rossa o in R1) dove il giro di vite all'edilizia prevede l'inedificabilità residenziale assoluta. Quelle verdi invece, indicano i territori dove è ancora possibile edificare e adeguare e ampliare i fabbricati esistenti con tecniche di difesa passiva consistenti  soprattutto nella realizzazione di   mansarde con tetti spioventi.
Il Vesuvio accerchiato dalla conurbazione. La zona d'inedificabilità assoluta potrebbe rimanere, in assenza
d'interventi legislativi, la sola zona R1

Con la sentenza del TAR, le casette rosse a iniziare da Boscoreale, potrebbero diventare tutte verdi. Tale decisione comporterebbe che il Vesuvio sarà sempre più accerchiato da un edificato asfissiante, che si svilupperà anche a distanza dal cratere secondo uno scalare che sarà dato dall’occupazione metodica degli spazi liberi a iniziare dalla linea nera Gurioli. Ci si allontanerà anche dalla bocca eruttiva, ma non tanto da potersi ritenere al sicuro dagli effetti di un’eruzione pliniana, le cui colate piroclastiche possono espandersi in una misura ben più dilagante di quelle rappresentata dalla linea Gurioli che, lo ricordiamo, indica un limite campale dei depositi derivanti dai flussi di eruzioni di portata inferiore.
Secondo le statistiche, fra 130 anni passeremo all’11% di possibilità che avvenga un’eruzione pliniana. Questi anni dovremmo utilizzarli per pianificare uno sviluppo sostenibile in area vulcanica, magari lanciando un concorso mondiale fra gli architetti per il miglior progetto possibile di riordino territoriale in linea con le esigenze di tutela di un’ignara popolazione, che non sa di andare incontro magari in danno alle generazioni future, ai grandi disastri dettati dalle logiche alla base delle teorie del cigno nero.
Bisognerebbe puntare il dito contro quelli che sono inchiodati immeritatamente sulle poltrone di comando o di gestione, mettendo a rischio con la loro miope mediocrità le generazioni future... personaggi che minano il futuro, in danno di alcuni milioni di persone che sono e saranno lasciate in balia di assurdi giochi di potere, favoriti dalle istituzioni troppo spesso girate dall'altra parte…