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mercoledì 2 novembre 2016

Rischio Vesuvio: sopravvivere all'eruzione... di MalKo


Vesuvio visto da sud


I terremoti che stanno sconquassando l’edificato soprattutto datato che poggia sulla catena appenninica del centro Italia, riapre come periodicamente succede il discorso sicurezza. Se il terremoto è assolutamente imprevedibile, e pur vero che attraverso una saggia progettazione e del buon cemento armato e ancoraggi e serraggi, è possibile edificare o adeguare palazzi in modo che resistano alle potenti sollecitazioni litosferiche, consentendo quindi la permanenza e la sopravvivenza in zona sismica.

Nel caso del Vesuvio e della sua capacità tutt’altro che astratta di produrre eruzioni esplosive, non c’è invece possibilità di coesistenza con fenomeno in corso. Non c’è difesa preventiva che tenga per i dimoranti vesuviani, se non quella di sperare di cogliere quei segnali geochimici e geofisici quali prodromi di eruzione imminente, per allontanarsi velocemente dal vulcano. Diversamente e in caso di eruzione, la catastrofe potrebbe essere un avvenimento ineluttabile.
Il rischio, come ci suggerisce visivamente il disegno in alto, è dettato dall’eccessiva promiscuità esistente tra uomini e Vesuvio. Doveva definirsi una distanza di sicurezza già all’indomani della terribile eruzione di Pompei del 79 d.C., quando incominciarono nel volgere di pochi anni le pratiche di lenta riurbanizzazione rurale dell’area vesuviana. In assenza di politiche di prevenzione giustificabili nell’antichità ma non nell’attualità, il Vesuvio è diventato un vulcano metropolitano irrimediabilmente serrato e accerchiato da un edificato asfissiante, con una popolazione esposta al pericolo eruttivo che in zona rossa conta ben 700.000 abitanti… Il Vesuvio non è possibile spostarlo da quella sede. Non è possibile neanche imbrigliare o domare le sue manifestazioni eruttive, così come non è possibile difendersi da fenomeni particolarmente violenti come le colate piroclastiche.

Non è possibile azzardare neppure una previsione eruttiva a lungo termine, ma solo sul cortissimo periodo che può essere di alcuni giorni, e comunque non quantificabile con precisione in termini di ore a disposizione. Praticamente l’ordine di abbandonare la zona per non incorrere nei falsi allarmi che non sono indolori, o nelle casistiche dei mancati allarmi che sono catastrofici, deve potersi dare al momento giusto: cioè, quando gli elementi prodromici a disposizione lasciano ritenere probabile con una percentuale del 50% più uno che siamo prossimi all’eruzione.  

Per poter attendere il punto di non ritorno bisogna contare su una pianificazione di evacuazione che richieda, come pianificato, un massimo di 72 ore per allontanare a ritmo ininterrotto tutti i residenti vesuviani. Un sistema di allontanamento che, per poter funzionare, ha bisogno di essere rodato, così come è necessario che la catena decisionale tanto scientifica quanto politica, possa annoverare notevoli competenze in quello che dovrà essere uno staff esperto e allenato allo stress decisionale.

Quando si parla di piani di evacuazione, nelle premesse bisogna tenere fortemente in conto lo stato d’animo della platea da salvaguardare: gli elementi di pericolo che determineranno in futuro gli estremi per dichiarare lo stato di allarme vulcanico, saranno percepibili o non percepibili? Ebbene, se il risveglio del Vesuvio sarà fisicamente percepibile per brontolii o scosse sismiche o tremori, pensiamo che si possa scatenare il panico. Il panico a sua volta produrrà disobbedienza civile, ritardi e intoppi e soprusi e scontri tra le popolazioni in fuga; molti schemi salteranno con i più deboli che inesorabilmente saranno alla mercé della calca.

Avremo un minimo di contegno sociale delle masse, solo se l’ordine di evacuazione arriverà senza percezione fisica del pericolo. Secondo una certa letteratura, dopo lo scoppio della centrale nucleare di Cernobyl (1986), con radiazioni altissime riscontrabili in ogni loco soprattutto nelle zone prossime alla sorgente, l’evacuazione dei cittadini fu ordinata e non furono pochi quelli che decisero di rimanere in loco lasciandoci la pelle. Nonostante i silenzi di stato e la propaganda politica, le informazioni comunque circolarono sotto banco, ma non scatenarono panico perché le radiazioni pur essendo un subdolo elemento di pericolosità estrema, purtroppo non sono percepibili…

Il piano di evacuazione è uno strumento di difesa attiva, aggiungeremmo democratico, perché deve contemplare la salvaguardia di uomini donne e bambini, e tra questi vecchi e malati, senza alcuna distinzione e discriminazione in ordine alla sopravvivenza che è un diritto che va assicurato a tutti, a prescindere da razza, religione, ecc.

Avere un piano di evacuazione credibile a fronte del rischio Vesuvio, è il desiderio di molti abitanti del vesuviano che credono che un’eruzione del temibile vulcano sia un evento che bisogna necessariamente contemplare nella sfera dei possibili accadimenti, e quindi bisogna adoperarsi per la prevenzione delle catastrofi.

La notizia che i vesuviani non hanno ancora un piano di evacuazione per fronteggiare attraverso l’evacuazione preventiva il pericolo eruttivo, doveva essere uno scoop da prima pagina. I media nazionali e internazionali avrebbero dovuto incalzare per questo il Dipartimento della Protezione Civile, la Regione Campania e la pletora degli inadempienti comuni della zona rossa, alzando la voce e sbandierando la carta dei disattesi diritti dell’uomo, nonostante l’indifferenza pilatesca dimostrata per l’argomento dalla competente corte europea di Strasburgo (CEDU). 

La politica della precedente amministrazione regionale e dell’assessorato alla protezione civile, è stata tutta protesa alle discutibili logiche dei tempi di ritorno delle grandi catastrofi e delle eruzioni vulcaniche pliniane. Attraverso queste disquisizioni singolari è stato adottato come scenario eruttivo da cui difendersi, un’eruzione di media intensità (VEI4). Questo spiega lo scandalo dei comuni di Poggiomarino e Scafati che nicchiano e urbanizzano ancora con licenze edilizie un territorio che potrebbe essere in futuro travolto da un’eruzione pliniana (VEI5). 

A distanza di alcuni decenni il piano di emergenza Vesuvio corredato dall’appendice più importante, il piano di evacuazione, è prossimo a una fine progettuale. L’attuale pianificazione che tra poco dovrebbe vedere la luce nella sua interezza, si basa sulla ottimistica certezza dell’obbedienza civile e della svizzera organizzazione intermodale dei trasporti, con modalità ci sembra, più affini ai grandi eventi che alle grandi catastrofi. Di seguito i dati salienti pubblicati dalla Regione Campania.

Il piano che è stato approntato è pachidermico anche se abbastanza elementare e semplice nella struttura; è un piano di garanzia istituzionale e ricorda a tratti e per la parte aritmetica, la bozza di piano che fu varata nel 1995.

La tabella che vi proponiamo è abbastanza riassuntiva di alcuni disposti regionali da tenere in debito conto in caso di variazione dei livelli di allerta vulcanica.

Chi ha residenza alternativa e autovettura propria (C) può andarsene dal vesuviano già nella fase di pre allarme. Chi si riconosce nella condizione A o B deve attendere la fase di allarme per essere assistito dall’organizzazione di protezione civile comunale, regionale e nazionale. Chi si trova nelle condizioni C ed ha atteso la fase di allarme per andare via, può allontanarsi seguendo esclusivamente i percorsi prestabiliti.

Chi non è autonomo automobilisticamente parlando, dovrà portarsi nelle aree di attesa comunali. Chi non ha residenze alternative ma autovettura a disposizione può portarsi nelle aree di incontro ubicate fuori dalla zona rossa per avere informazioni, oppure direttamente nelle aree di prima accoglienza. L’ubicazione di questi spazi strategici fuori dalla zona rossa sono già stati individuati.

Perché dicevamo che qualcosa di questo piano non ci convince. Innanzitutto ci sembra, ripetiamo,  aritmetico e non affronta il problema panico. Forse che l’Osservatorio Vesuviano o la Commissione Grandi Rischi hanno dato certezze che non ci sarà percettibilità dell’approssimarsi dell’eruzione nella fase di allarme? Ma è soprattutto un elemento a lasciare profondamente perplessi: nell’articolazione dell’allontanamento che dovrà svilupparsi nelle fatidiche 72 ore, il documento ufficiale recita che sono previste 12 ore per organizzarsi e posizionarsi; 48 ore per l’allontanamento della popolazione, e le 12 ore rimanenti rappresentano un margine di sicurezza aggiuntivo. Praticamente grasso che cola…

Sempre nel documento si stimano 4365 corse di autobus al giorno per portare la popolazione non autonoma alle aree di incontro grazie all’impiego di 500 autobus. Facendo qualche calcolo 500 autobus corrispondono a una continuità di circa 6 chilometri. Praticamente oltre 6 chilometri di bus che entrano ed escono dalla zona rossa offrendo un servizio navetta in una condizione di allarme vulcanico. Analiticamente è possibile, ma pensate che sia una operazione praticamente fattibile?

I piani di garanzia istituzionale sono quelli che numericamente corrispondono a tutte le esigenze evacuative dettate dai numeri in gioco e dalle tipologie dei trasferimenti individuate. I piani di garanzia istituzionale in sostanza sono giuridicamente inattaccabili anche se un po' surreali, perché non contemplano quei fattori perturbanti che generalmente possono ampiamente prevedersi. 

Il problema è che il pianificatore non può non essersi chiesto che succede se saltano gli schemi da gita scolastica prefissati. Come abbiamo avuto modo di spiegare in altre occasioni, in caso di percezione fisica del pericolo vulcanico, a prescindere a che livello di allerta vulcanica ci troviamo, la zona rossa diventerà nel volgere di poco una pompa centrifuga con 25 fori di uscita che ben difficilmente consentiranno a qualcosa che sia un autobus o un veicolo di emergenza di entrare nell’area da abbandonare…

Nel documento ufficiale di Regione e Protezione Civile si evince una tipologia di evacuazione soft; tocca dire però, che le autorità hanno utilizzato in tutta onestà il termine piano di allontanamento e non piano di evacuazione. Un piano di allontanamento comprende lo spostamento della popolazione senza traumi e in assenza del pericolo manifesto.

Il piano di evacuazione invece, è la pratica ultima per sottrarsi al pericolo incombente. Quindi, i documenti sono tutti garantisti. La classe scientifica riferisce che sapremo mesi prima dell’incalzare di un evento eruttivo grazie alle sofisticatissime strumentazione anche spaziali che ci monitoreranno il suolo al millesimo di millimetro. L’ascesa del magma non passerà inosservata, così come la classe tecnica e politica ci garantisce la movimentazione della popolazione in 72 ore.

I gemellaggi sono stati fatti, anche se mancano le istruzioni operative, quindi possiamo concludere che la meta della sicurezza vulcanica entro il 31 dicembre 2016 dovrebbe essere raggiunta: almeno per il Vesuvio. Ai Campi Flegrei c’è un work in progress…

Nel prossimo articolo vi spiegheremo che significa produrre un piano d’emergenza…d’emergenza, perché molto spesso la realtà anche geologica, supera la fantasia.

giovedì 13 ottobre 2016

Rischio Vesuvio: Habemus piano?... di MalKo



livelli di allerta e fasi operative


Vorremmo tranquillizzare i nostri lettori. Il governatore della Campania De Luca, ha presentato (12/10/2016) il piano di emergenza a fronte del rischio Vesuvio, indicando anche la prassi operativa da rispettare per poter evacuare la zona rossa 1 e 2 nelle 72 ore previste.
Vesuvio: zona rossa 1 (R1) e zona rossa 2 (R2)

Tale presentazione non è un atto dettato dall’incombenza del pericolo eruttivo, ma più semplicemente è un modo per uscire dallo scacco matto delle intollerabili inadempienze comunali.

Il Vesuvio ad oggi permane in uno stato di quiete vulcanica, e nessun segnale lascia presagire che possa mutare la sua annosa e gradita quiescenza nel breve termine.

Per fine ottobre i comuni vesuviani che ancora non hanno stilato il piano di protezione civile comunale, sono stati richiamati dall’autorità regionale e con molta energia affinchè si adoperino per produrlo, o comunque a indicare almeno i punti strategici per accordarsi e raccordarsi al piano generale presentato al pubblico negli uffici regionali.

La bontà del piano così elaborato che prevede il trasporto della popolazione appiedata utilizzando 220 convogli ferroviari e 500 autobus, sarà oggetto del prossimo articolo che pubblicheremo a breve.
Il punto fondamentale che a nostro avviso farà la differenza, sarà la percezione fisica o meno dell'imminenza di un'eruzione... Un problema comunque, che oggi non c'è! 

martedì 28 giugno 2016

Rischio Vesuvio: il risiko dell'attesa... di MalKo


Il Vesuvio da Torre Annunziata


Le fasi di allerta vulcanica previste nel piano d’emergenza Vesuvio, partono dalla soglia base che rappresenta, come suggerisce il termine, lo stato di quiete vulcanica. C’è quindi un livello giallo di attenzione; a seguire un’allerta da preallarme e poi allarme. Questi passaggi indicano la variazione dei parametri geofisici e geochimici del vulcano, in una misura non prestabilita ma da interpretare a cura della Commissione Grandi Rischi, organo istituzionale privilegiato di consulenza del Dipartimento della Protezione Civile. L’Osservatorio Vesuviano (INGV) invece, è centro di monitoraggio, cioè la struttura statale incaricata della sorveglianza dei vulcani campani, fregiandosi anche del titolo di Centro di Competenza. Questo vuol dire che all’occorrenza il pregevole istituto napoletano è chiamato ad esprime un parere autorevole in ordine alla valutazione del pericolo vulcanico. L’organo apicale decisionale è il Presidente del Consiglio che, in seno al comitato operativo del DPC, stabilisce che cosa fare in rapporto ai dati ricevuti in tutta segretezza, per salvaguardare, attraverso l’applicazione dei piani di evacuazione, l’incolumità dei cittadini esposti al rischio Vesuvio o ad altro vulcano partenopeo (Campi Flegrei; Ischia).

In riscontro ai vari livelli di allerta vulcanica, le autorità di protezione civile a iniziare dal Dipartimento e dai sindaci, varano le corrispettive fasi operative che hanno lo stesso trend al rialzo di quelle scientifiche di allerta vulcanica.

Secondo una nostra visione pragmatica di quello che potrebbe succedere nella plaga vesuviana in caso di reale allarme vulcanico, riteniamo che presumibilmente le fasi operative si ridurrebbero a due invece che a tre, con l’esclusione appunto dell’ultima fase, quella rossa, quella di allarme.

Dal nostro punto di vista infatti, è lecito attendersi che la maggior parte della popolazione vesuviana dimorante in zona rossa, prenderà il largo dallo sterminator Vesevo, nel momento in cui verrà diramato lo stato di preallarme vulcanico. Riteniamo che i cittadini anche se a scopo precauzionale, molto probabilmente non attenderanno la proclamazione dell’allarme vero e proprio per andare via.

Questa teorica discrasia operativa è nella normalità delle cose. Pondererete infatti, che si tratterebbe di applicare un piano di sicurezza senza nessun rodaggio e dalle molteplici incognite. Neanche a livello mondiale si è mai vissuta un’esperienza del genere, soprattutto perché trattasi di un piano di protezione civile che riguarda un vulcano esplosivo ubicato in un contesto particolarmente urbanizzato in area metropolitana. In caso di necessità allora, s’inaugurerebbero procedure che francamente e a pelle molti cittadini guarderanno con sospetto.  Troppe incertezze scientifiche e tecniche hanno accompagnato un ventennio di strategie operative a gogò. Piani di emergenza senza piani di evacuazione, un po' machiavellici e soprattutto orfani della prevenzione, aspetti che certamente non hanno favorito un rapporto di grande fiducia tra cittadini e istituzioni.


ll ragionamento che prenderà piega e forma nella mente del comune cittadino vesuviano nel momento del reale pericolo vulcanico annunciato dalle istituzioni, sarà incentrato sulla necessità di muoversi prima degli altri. Si muoverà per primo chi avrà una residenza alternativa in zona sicura. Si muoverà per primo chi rinuncerà a mettere su bagagli. Si muoverà per primo chi annuserà l’incombenza del pericolo senza attendere i proclami ufficiali. Si muoveranno per primi i dipendenti comunali che afferreranno alla fonte la notizia del passaggio da una fase all’altra, cimentandosi in frenetiche comunicazioni telefoniche. Saranno invece penalizzati i comuni mediani stretti fra mare e monte, che nel loro percorso evacuativo dovranno accodarsi ad altri che si sposteranno in maniera massiva. Sarà zavorra operativa la titubanza ad evacuare dei comuni ubicati in zona rossa 2, particolarmente confusi. Sarà imprevisto il movimento evacuativo di municipalità non inserite nella zona rossa ma incastrata ad essa, come ad esempio Striano. Ci sarà poi l’incognita circa le garanzie di presidio della polizia municipale deputata alla viabilità, sperando nel frattempo che le forze dell’ordine accorse in massa, abbiano i nervi saldi per attendere con self control di chiudere il corteo degli evacuati e con esso il cancello d’uscita dalla zona rossa, forse a tempo già scaduto…

La teoria statistica adottata dal dipartimento della protezione civile di assumere come eruzione di riferimento un’eruzione di bassa – media  intensità (VEI 4) in luogo di quella massima conosciuta (pliniana), incomincia ad essere un fattore noto, quindi  non si possono escludere allontanamenti spontanei di cittadini residente oltre la zona rossa.  Infatti,  con l’incalzare dell'informazione, molti vesuviani non accetteranno passivamente l'incognita eruttiva finchè avranno la possibilità di fare un passo indietro e mettersi al sicuro. Parliamo di comuni come Volla, Striano, la parte meridionale di Cicciano e Saviano… lì, ai margini della linea nera Gurioli.

Le eruzioni non sono una pedissequa ripetizione di un copione conosciuto. Le eruzioni non seguono i principi di clonazione stile pecora Dolly. Non sono fotocopie l’una dell’altra. Le eruzioni sono fenomeni di alta vitalità del Pianeta, ma sono anche energie che, come gli incendi, non sono mai uguali. L’eruzione massima che i maghi statistici dell’INGV hanno ritenuto probabile nel medio termine, se il Vesuvio sfortunatamente dovesse porre fine al suo stato di gradita quiete, come dicevamo è stata qualificata con un'intensità VEI 4. Ma una VEI 4 potrebbe essere pure un’eruzione VEI 3.9 oppure 4.1 oppure 4.2… Le energie  dissipate in atmosfera generalmente non sono quantificabili con precisione micrometrica e la scala dei valori avrà senz'altro una linearità al rialzo o al ribasso… L'interpolazione numerica della VEI magari non è prevista dal mondo della vulcanologia, ma rende maledettamente bene l’idea di quello che si vuole dimostrare. Ricordiamoci poi, che i flussi piroclastici non sanno leggere i confini amministrativi…  

Questa nostra idea della linearità energetica serve a dimostrare l’assurdo governo amministrativo della zona rossa 2, terra di cementificazione residenziale con licenza edilizia, ai margini risicati di una VEI 4.0...  In altri punti ancora invece, capeggia l’assenza di una fascia di rispetto a ridosso della linea nera Gurioli.

L’immagine sottostante evidenzia la nostra proposta di riperimetrazione della zona rossa che, così come presentata, resisterebbe nel senso della prevenzione, a un’eruzione VEI 4 diciamo…“rinforzata”.
I limiti della zona rossa proposta da MalKo

E’ di difficile attuazione una tale reimpostazione sic et simpliciter della zona rossa dilavata da sigle e numeri, nonostante si offra al vantaggio di non disorientare il cittadino. La difficoltà esecutiva è tutta racchiusa unicamente nel fatto che in questa zona ad ampio respiro, troverebbe poi applicazione la legge regionale 21 del 2003 che vieta ulteriori insediamenti residenziali nella zona rossa ad elevato pericolo vulcanico. Oramai e come sapete, appena si tocca l’oro cemento, qualsiasi proposta è messa subito a dura prova anche perché la criminalità e la politica di basso livello  formerebbero subito comitati V - day contro la zona rossa: l’affaire vesuviano è un cane che si morde la coda…

Siffatta proposta sarebbe comunque un primo passo in avanti, insieme all’informazione corretta e puntuale, onde consentire nell’arco di oltre un secolo di mettere mano al riordino del territorio vesuviano e non solo di quello, secondo la linea verde che racchiude in giallo l’invasione dei flussi piroclastici di due pliniane, così come evidenziato dalla mappa sottostante, allegata al lavoro della ricercatrice Lucia Gurioli a proposito dei depositi da colate piroclastiche.

Mappa Gurioli: la linea nera circoscrive l'attuale zona rossa. In giallo i territori
invasi dalle colate  piroclastiche di 2 famose eruzioni pliniane.

Se la prima applicazione reale del piano nazionale d’emergenza rischio Vesuvio andrà buca, cioè fallirà la previsione dell'evento vulcanico e verrà lanciato un allarme senza seguito eruttivo, una seconda edizione probabilmente vedrebbe la popolazione maggiormente propensa all'attesa e sarebbe meno tempestiva nell’allontanarsi, perché avrà sperimentato sulla sua pelle che il preallarme può anche rientrare o durare mesi e anni. Ecco: il problema principale si avrà allora col primo allarme vulcanico… Per concludere le nostre disquisizioni, secondo principi di emulazione che caratterizzano le masse, è difficile pensare davvero che la popolazione del vesuviano vedrà molti concittadini andare via nella fase di preallarme perché hanno la seconda casa altrove, e loro resteranno impavidamente  ad aspettare  il risiko delle 72 ore in un contesto di segretezza dei dati vulcanologici di monitoraggio.
Le grandi incognite di questo piano d'emergenza sono racchiuse nei tempi e nella percezione da parte dei sensi del pericolo vulcanico. Il panico infatti, potrebbe essere il nemico numero uno...