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venerdì 1 gennaio 2021

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la fase di preallarme è vicina? ...di MalKo

 



Un avvocato napoletano, Roberto Ionta, ha presentato un esposto per chiedere agli organi di protezione civile di aumentare il livello di allerta vulcanica nei Campi Flegrei: da quello attuale di attenzione (giallo), a quello di preallarme (arancione). Il ricorrente ha poi chiesto di conoscere quali sono i parametri a cui fare riferimento per innalzare il livello di allerta, e contemporaneamente ha diffidato il dipartimento della protezione civile nazionale, ma anche regionale e comunale, affinché innalzino senza titubanza questa soglia scientifica, visto che il territorio flegreo è soggetto al bradisismo, recentemente accompagnato pure da eventi sismici che s’intercalano nella zona della Solfatara con una certa continuità.

Questa situazione indiscutibilmente di irrequietezza geologica e poi questo esposto, hanno creato qualche interrogativo tra i residenti dell’area puteolana: quand’è che la popolazione dei Campi Flegrei dovrà attivarsi per lasciare la zona rossa, nel caso dovessero presentarsi insistenti prodromi di irrequietezza vulcanica? Esistono soglie ben definite per diramare i preallarmi e gli allarmi? In realtà no: soglie numericamente ben definite non esistono nel loro valore minimo, o quantomeno non ci è dato saperlo. In linea di principio si sa che bisognerà lasciare la zona rossa qualora si dovesse presentare una condizione strumentale di assoluto disequilibrio degli elementi fisici e chimici che caratterizzano la quiescenza vulcanica, magari con una soglia di percepibilità diretta fatta di tremori e boati.  

A sancire il superamento di condizioni limiti, può essere solo la commissione grandi rischi per il rischio vulcanico che, dopo aver sentito i centri di competenza, valuterebbe eventuali modifiche da apportare ai livelli di allerta. In tutti i casi sarà poi l’autorità politica a stabilire quale fase del piano di emergenza dovrà attivarsi. Com’è noto infatti, soprattutto in assenza di previsioni deterministiche, la valutazione del rischio deve essere il risultato di più fattori da analizzare complessivamente.


In linea di principio se i dati geologici dovessero inquadrarsi come preoccupanti, si passerebbe a un livello di preallarme vulcanico corrispondente a una fase operativa arancione: ed è quello che chiede l’avvocato Ionta. Questo passaggio di fase consentirebbe ai cittadini che eventualmente decidessero di farlo, di allontanarsi dall’area flegrea in tutta libertà e autonomia, permanendo in una condizione amministrativa idonea per beneficiare di aiuti statali, quali potrebbero essere quelli di autonoma sistemazione (CAS). Ovviamente un cittadino può decidere di andarsene anche nella fase di attenzione, quella che caratterizza l’odierno, ma questa libera scelta non comporta agevolazioni e avverrebbe senza nessun legame con il rischio vulcanico. 

I penitenziari, le case di cura e gli ospedali, in caso di preallarme dovrebbero essere evacuati secondo piani e schemi operativi di dettaglio, che già oggi dovrebbero essere pronti e solo da tirare fuori dai cassetti delle istituzioni competenti, qualora dovesse cambiare la valutazione del pericolo vulcanico nella direzione di un maggior rischio. Una tale misura preventiva renderebbe la zona rossa flegrea mancante di presidi ospedalieri, a meno che nei piani operativi non sia stato previsto il trasferimento dei ricoverati, purtuttavia mantenendo delle strutture di primo soccorso sanitario fino alla fase di allarme con evacuazione generale e autoambulanze in coda. 

Siamo davvero pronti per una eventuale fase di preallarme arancione? Nutriamo forti dubbi, sia da un punto di vista scientifico che operativo. Questa fase appena un gradino sotto a quella di massima allerta, cioè di evacuazione totale dell’area flegrea, è forse la più importante, perché in un certo qual senso l’autorità politica non smentirebbe le preoccupazioni sul rischio eruttivo, lasciando però la decisione dell’allontanamento preventivo direttamente ai cittadini che riceverebbero pure un contributo. I capi famiglia in tal caso si ritroverebbero interamente sul groppone l’interrogativo più pressante e similmente amletico: andarsene o non andarsene… anche perché se ricordiamo bene, verrebbero instaurati i cancelli che consentirebbero l’uscita ma non il rientro in zona rossa. 

Semmai venisse varata la fase di preallarme, il carico abitativo  nel flegreo sarebbe di fatto alleggerito dal preventivo esodo spontaneo della popolazione dalla zona rossa, anche se risulta difficile stimare i numeri in allontanamento. Comunque, con meno abitanti, se si dovesse passare all’ultimo step, le ulteriori operazioni di evacuazione sarebbero sicuramente facilitate. 

Passando a una condizione di preallarme dopo quanto tempo scatterebbe l’allarme vero e proprio? Impossibile precisarlo, anche se teoricamente tale condizione è più facile da raggiungere, perché basterebbero poche e piccole variazioni chimiche e fisiche per cambiare lo scenario d’allerta: a un vaso pieno infatti, necessita una sola goccia per farlo traboccare. Occorre tener presente però, che anche cogliendo tutti i benché minimi segnali strumentali, la previsione d’eruzione che ne scaturirebbe sarebbe sempre di taglio probabilistico e mai deterministico: solo il pennacchio grigio scuro che si srotola nel cielo, può darci il 100% della previsione d’eruzione. Fino a quel momento le probabilità saranno magari altissime ma sempre a due cifre. 

La fase attuale di allerta (attenzione), dovrebbe indurre i cittadini ad abituarsi all'idea che permanere in una zona pericolosa, deve necessariamente prevedere la comprensione del da farsi in caso di necessità. Chi dovrebbe magari approfittare delle possibilità che gli vengono offerte con la proclamazione della fase di preallarme è abbastanza intuitivo: coloro che per età e condizioni fisiche e di deambulazione, potrebbero costituire un appesantimento operativo che nuocerebbe innanzitutto a loro stessi e poi ai loro cari. Chi ha una seconda casa fuori dal perimetro a rischio ha un minimo di vantaggio, soprattutto se l’abitazione è stata conformata per essere abitabile ogni stagione. 

Ogni cittadino dovrebbe prendere confidenza col piano d’emergenza locale a fronte del rischio vulcanico, e quindi conoscere perfettamente dove sono ubicate le aree di attesa da raggiungere con le modalità previste dal piano di protezione civile. Nello stesso documento ci sono le destinazioni fuori zona rossa meglio note come aree di incontro, che saranno raggiunte con gli autobus messi a disposizione dalla Regione Campania. Il trasporto dalle aree di incontro fino ai punti di prima accoglienza, sono una competenza i cui oneri ricadrebbero sulla regione con cui si è gemellati, che provvederebbe poi a distribuire gli sfollati dalla prima stazione di accoglienza alle strutture di accoglienza permanenti. 

Qualche perplessità sul piano d’emergenza dei Campi Flegrei a fronte del rischio vulcanico c’è, sia sulla strategia generale che sulle elaborazioni prodotte dalle municipalità interessate. Ad esempio, nel caso del comune di Pozzuoli che è anche quello più grande, l’autorità comunale ha stilato un manuale che prevede l’allontanamento della popolazione sia con autovetture private che con mezzi pubblici e collettivi. La Regione con cui i puteolani sono gemellati è la Lombardia

Il comune di Pozzuoli prevede tre aree (terminal) di attesa, che bisognerà raggiungere rispettando cadenzamenti e scaglionamenti e orari assegnati ai cittadini da allontanare. Gli abitanti che vogliono lasciare le loro abitazioni in anticipo sui tempi prefissati, possono farlo recandosi nelle aree di attesa generiche del piano generale comunale di protezione civile, per poi portarsi un’ora prima dell’orario prestabilito verso l’area terminal o di attesa navetta. Dall’area di attesa (terminal), i cittadini verrebbero trasportati a piazza Garibaldi (Napoli), praticamente a ridosso della stazione centrale dei treni. Da qui, con imbarco sui freccia rossa, raggiungerebbero la regione Lombardia. 

Coloro che invece intendono raggiungere la Lombardia con la loro autovettura, devono impegnare la viabilità di uscita varcando uno dei due cancelli previsti dal piano di evacuazione  e che riportiamo integralmente come da documento comunale: il primo cancello di uscita (G04) è quello stradale di Monte Rusciello Sud, direzione Roma; il cancello coincide con l’ingresso in Domitiana (SSQuater) in direzione Roma, da Via Monte Rusciello. Il secondo cancello invece (G05), è quello di Cuma Averno, direzione Roma; il cancello coincide con l’ingresso in Domitiana (SSQuater) in direzione Roma, da Via Monte Nuovo Licola Patria, poco dopo il bivio per Toiano. Nelle indicazioni del manuale comunale, si legge poi che entrambi i cancelli lavorano per 48h, considerando il funzionamento del G05 spostato su Agnano nelle prime 4h (dopo le 12h di preparazione dopo la dichiarazione di Allarme) e nelle ultime 8h su 48h previste…(?) 

Questo piano di evacuazione contiene dei nodi operativi indistricabili molto condizionati e a tratti insormontabili. In altre parole assegnare un orario per essere trasferiti o per impegnare la viabilità evacuativa, è una opzione che si può utilizzare nelle gite scolastiche o in una condizione di pericolo impercepibile e certamente lontano dal divenire. Le problematiche legate al rischio vulcanico invece, sono racchiuse proprio nella incertezza predittiva e nella percepibilità o meno del pericolo da parte dei cinque sensi. Se l’evacuazione avvenisse in una condizione di pericolo latente e non manifesto, potrebbero esserci le condizioni per tentare lo scaglionamento e gli appuntamenti previsti dagli strateghi della protezione civile. Ma la condizione di pace deve essere assicurata senza interruzione per almeno 72 ore, quelle necessarie, secondo le autorità, per l’evacuazione assistita. Se invece la percepibilità del pericolo è plateale o comunque incalzante,  non c’è appuntamento e scaglionamento che tenga: i cittadini si riverserebbero contemporaneamente sulle arterie prescelte secondo le loro logiche di aggiramento degli ostacoli e primeggiatura nell’assicurarsi il transito ai nodi stradali più critici, e altri che ben difficilmente aspetterebbero un autobus alla fermata o al terminal… 

Il secondo nodo che cozza con le logiche e con le strategie di un serio piano di evacuazione è anche un altro: prevedere di spostare addirittura la metà dei cittadini di Pozzuoli con autobus verso la stazione di piazza Garibaldi (Napoli), è una vera stravaganza operativa degna delle filosofie del carteggiare. La stazione di Napoli rientra nell’area gialla, in una misura abbastanza promiscua alla zona rossa flegrea; una zona quella gialla, dove atti del governo avvertono del pericolo rappresentato dalla caduta di cenere e lapilli. 

Parliamo di un fenomeno, quella della pioggia dei piroclastiti, che si manifesta da subito con l’insorgere  dell’eruzione, ed ha un incremento di deposito pari a circa 15 centimetri ora o forse più. In queste condizioni la parte della popolazione napoletana stretta tra la zona rossa e la stazione centrale di Napoli compreso il comprensorio, probabilmente ricadrà interamente in zona rossa 2, cioè da evacuare alla stregua della zona rossa flegrea che conosciamo. Teoricamente non si dovrebbero mandare gente e bus in un agglomerato urbano che dovrebbe essere classificato come zona altrettanto rossa da evacuare alla diramazione dell’allarme. Questa osservazione di taglio operativo potrebbe essere confutata solo dall’autorità scientifica, probabilmente la commissione grandi rischi, che dovrà definire quale parte della zona gialla dovrà essere considerata rossa ai fini dell’evacuazione preventiva. Francamente le autorità scientifiche stanno tardando troppo a pronunciarsi, cagionando grosse lacune nei carteggi operativi che ci sembrano tanto teorici per non dire altro…






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