"Campi Flegrei Deep Drilling Project: intervista al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo" di MalKo
Da qualche anno, ma più ancora negli ultimi mesi, si parla e con una certa apprensione, del progetto scientifico di trivellazione profonda (Deep Drilling Project) ai Campi Flegrei. Si tratterebbe di una sorta di carotaggio spinto a quattro chilometri di profondità, da attuarsi nell’area ex italsider di Bagnoli. S’inizierebbe con un pozzo “pilota” di cinquecento metri, per poi avanzare in basso con una certa inclinazione.
Alcune importanti riviste scientifiche e diversi studiosi, hanno messo in guardia dal trivellare in un’area vulcanica attiva calderica, perché a loro dire si potrebbero innescare eruzioni o terremoti. Di parere opposto altrettanti autorevoli esponenti del mondo scientifico nazionale e internazionale, secondo cui la trivellazione non cagionerebbe nulla di che e, viceversa, porterebbe invece elementi nuovi utili per capire le dinamiche eruttive e il fenomeno del bradisisma caratteristico di quella zona.
Trattandosi di un’area densamente popolata, visto che si trova dentro e a ridosso della città di Napoli, le preoccupazioni sono tante perché per la martoriata cittadina partenopea un’eruzione sarebbe indubbiamente un fatto drammatico, che si sommerebbe agli innumerevoli problemi che già la attanagliano.
Da profani ovviamente, ci si chiede quali dinamiche potrebbe scatenare la perforazione. Tutti gli articoli scientifici che abbiamo scorso, non parlano dettagliatamente degli aspetti tecnico scientifici che sono alla base delle apprensioni, ma vanno subito alle conclusioni: allarme sì! Allarme no!
Pensiamo che il problema sia un tantino più complesso della bucatura di un palloncino… potrebbe ad esempio essere qualcosa di simile a un B.L.E.V.E. (Boiling Liquid Expanding Vapor Explosion), fenomeno noto soprattutto ai Vigili del Fuoco, perché esiste una certa casistica incidentistica nel ramo industrie e trasporti. Questo tipo di esplosione si verifica in spazi confinati contenenti liquidi surriscaldati. La sostanza passerebbe per riduzione di pressione, dovuto al cedimento fisico dell’involucro, a uno stato di vapore talmente velocemente da cagionare un’onda d’urto D’altro canto sappiamo pure che per molte sostanze esistono una pressione critica e una temperatura critica, come nel caso dell’acqua, dove il raggiungimento di questi valori limiti porterebbe l’intera massa a condizioni di totale vapore a pressioni enormi. Da altri concetti termodinamici invece, ricordiamo che forare un cilindro (di un motore) con un buco di sezione ridottissimo, non comporterebbe automaticamente un soffio a quell’ugello pari alla pressione massima che si genera nel cilindro stesso per effetto dello scoppio del combustibile. Lì però, le pressioni in gioco sono cicliche.
Alcune importanti riviste scientifiche e diversi studiosi, hanno messo in guardia dal trivellare in un’area vulcanica attiva calderica, perché a loro dire si potrebbero innescare eruzioni o terremoti. Di parere opposto altrettanti autorevoli esponenti del mondo scientifico nazionale e internazionale, secondo cui la trivellazione non cagionerebbe nulla di che e, viceversa, porterebbe invece elementi nuovi utili per capire le dinamiche eruttive e il fenomeno del bradisisma caratteristico di quella zona.
Trattandosi di un’area densamente popolata, visto che si trova dentro e a ridosso della città di Napoli, le preoccupazioni sono tante perché per la martoriata cittadina partenopea un’eruzione sarebbe indubbiamente un fatto drammatico, che si sommerebbe agli innumerevoli problemi che già la attanagliano.
Da profani ovviamente, ci si chiede quali dinamiche potrebbe scatenare la perforazione. Tutti gli articoli scientifici che abbiamo scorso, non parlano dettagliatamente degli aspetti tecnico scientifici che sono alla base delle apprensioni, ma vanno subito alle conclusioni: allarme sì! Allarme no!
Pensiamo che il problema sia un tantino più complesso della bucatura di un palloncino… potrebbe ad esempio essere qualcosa di simile a un B.L.E.V.E. (Boiling Liquid Expanding Vapor Explosion), fenomeno noto soprattutto ai Vigili del Fuoco, perché esiste una certa casistica incidentistica nel ramo industrie e trasporti. Questo tipo di esplosione si verifica in spazi confinati contenenti liquidi surriscaldati. La sostanza passerebbe per riduzione di pressione, dovuto al cedimento fisico dell’involucro, a uno stato di vapore talmente velocemente da cagionare un’onda d’urto D’altro canto sappiamo pure che per molte sostanze esistono una pressione critica e una temperatura critica, come nel caso dell’acqua, dove il raggiungimento di questi valori limiti porterebbe l’intera massa a condizioni di totale vapore a pressioni enormi. Da altri concetti termodinamici invece, ricordiamo che forare un cilindro (di un motore) con un buco di sezione ridottissimo, non comporterebbe automaticamente un soffio a quell’ugello pari alla pressione massima che si genera nel cilindro stesso per effetto dello scoppio del combustibile. Lì però, le pressioni in gioco sono cicliche.
Professor Mastrolorenzo, questa storia della perforazione dei Campi Flegrei è un tantino complessa, soprattutto per quanto riguarda l’allarme per l’eventuale rischio di esplosione…
La fisica delle esplosioni di gas o vapore in aree vulcaniche (Gas and steam-blast eruptions) è ampiamente trattata nella letteratura scientifica. Semplici calcoli di bilancio energetico portano a conclusioni preoccupanti per le elevate energie in gioco e l’imprevedibilità di sistemi come quello geotermico dei Campi Flegrei, altamente disomogeneo in termini petrografici e chimico-fisici, tanto in senso orizzontale che verticale ed esplorato per lo più con indagini indirette.
Pertanto il comportamento del sistema, in caso di applicazione di una perturbazione esterna quale una perforazione, risulta intrinsecamente non prevedibile. Semplicisticamente si tende a ritenere che esista sempre una proporzionalità tra l’energia applicata a un sistema e le modificazioni osservate: ma non sempre è così. In alcuni sistemi, e la perforazione potrebbe appartenere a questa categoria, piccole sollecitazioni possono produrre grandi effetti.
In vulcanologia e geofisica, uno dei problemi di maggiore interesse è quello della propagazione dei processi di fratturazione, in relazione agli stress meccanici e termici applicati. Nel caso dei vulcani non esiste ancora una teoria universalmente valida che spieghi come inizi un’eruzione, ma certamente l’innesco di un processo di fratturazione della crosta superficiale, rappresenta il primo stadio della risalita del magma verso la superficie.
Già in passato ho trattato l’argomento della termo fluidodinamica dei Campi Flegrei ed ho segnalato la pericolosità connessa alla presenza di fluidi in condizioni critiche o super critiche in roccia porosa, quali possibile causa di innesco di esplosioni freatiche o eruzioni esplosive. Tali rischi ovviamente non devono essere sottovalutati.
Pertanto il comportamento del sistema, in caso di applicazione di una perturbazione esterna quale una perforazione, risulta intrinsecamente non prevedibile. Semplicisticamente si tende a ritenere che esista sempre una proporzionalità tra l’energia applicata a un sistema e le modificazioni osservate: ma non sempre è così. In alcuni sistemi, e la perforazione potrebbe appartenere a questa categoria, piccole sollecitazioni possono produrre grandi effetti.
In vulcanologia e geofisica, uno dei problemi di maggiore interesse è quello della propagazione dei processi di fratturazione, in relazione agli stress meccanici e termici applicati. Nel caso dei vulcani non esiste ancora una teoria universalmente valida che spieghi come inizi un’eruzione, ma certamente l’innesco di un processo di fratturazione della crosta superficiale, rappresenta il primo stadio della risalita del magma verso la superficie.
Già in passato ho trattato l’argomento della termo fluidodinamica dei Campi Flegrei ed ho segnalato la pericolosità connessa alla presenza di fluidi in condizioni critiche o super critiche in roccia porosa, quali possibile causa di innesco di esplosioni freatiche o eruzioni esplosive. Tali rischi ovviamente non devono essere sottovalutati.
Trattandosi di un progetto internazionale perchè i Campi Flegrei?
I Campi Flegrei furono proposti alcuni anni fa dal dott. Giuseppe De Natale dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), in quanto area vulcanica attiva di particolare interesse scientifico anche a causa dell’elevata pericolosità oltre che per la possibilità di installazioni di centrali geotermiche. Il progetto discusso in ambito ICDP nel 2009 fu approvato con il parziale finanziamento dell’INGV. L’inizio delle perforazioni, rinviato varie volte, era previsto per lo scorso mese di ottobre, ma è stato sospeso a causa dell’allarme lanciato a livello internazionale circa i rischi connessi all’effettuazione di perforazioni profonde in un’area densamente popolata e ad alto rischio sismico e vulcanico. La sospensione fu imposta dal Sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino che, quale autorità comunale di protezione civile, inoltrò una richiesta di intervento al Dipartimento della Protezione Civile per la valutazione della pericolosità connessa appunto all’esperimento. Lo scorso ottobre, in una riunione a Roma, presso la sede del dicastero della Protezione Civile, fu sancita la necessità di ulteriori verifiche sulla sicurezza da parte di una commissione di esperti per rilasciare l’eventuale autorizzazione alla trivellazione. Da allora, tutte le attività risultato ferme.
La zona di Bagnoli è stata scelta per gli spazi a disposizione?
La scelta dell’area di Bagnoli come sede operativa del progetto di perforazione profonda fu proposta già nelle prime battute. L’area che rientra nel perimetro industriale dell’ex stabilimento ILVA, in corso di bonifica e risistemazione da parte del consorzio Bagnoli futura, geologicamente si trova al bordo sud-orientale della caldera flegrea delimitato dalla collina di Posillipo.
D’internazionale oltre al progetto ci sono anche gli allarmi per una possibile ripresa eruttiva o sismica cagionata appunto da un’eventuale trivellazione profonda…
L’allarme lanciato da alcuni ricercatori su diverse testate scientifiche internazionali e sui media italiani e stranieri, e ancora da parlamentari attraverso interrogazioni, riguarda appunto il rischio sismico e vulcanico che le operazioni di trivellazione potrebbero creare, quando le trivelle attraverseranno il sistema idrotermale con temperature e pressioni elevatissime. E’ stato inoltre segnalato il rischio d’innesco di eventi eruttivi nel caso di attraversamento di serbatoi magmatici superficiali. A tale proposito ricerche recenti hanno ipotizzato la possibile iniezione di magma a bassa profondità, durante le recenti crisi bradisismiche.
Un altro rischio potrebbe derivare dalle attività di perforazione per la possibilità che siano dispersi o rimaneggiati prodotti inquinanti probabilmente presenti nel sottosuolo dove fino a un ventennio fa erano funzionanti le acciaierie di Bagnoli e la eternit. Critiche sostanziali hanno riguardato anche gli eventuali insediamenti industriali per lo sfruttamento dell’energia geotermica, che sarebbero incompatibili con un’area soggetta a riconversione con una destinazioni d’uso votata alla ricerca, alla cultura e alle attività ricreative.
Un altro rischio potrebbe derivare dalle attività di perforazione per la possibilità che siano dispersi o rimaneggiati prodotti inquinanti probabilmente presenti nel sottosuolo dove fino a un ventennio fa erano funzionanti le acciaierie di Bagnoli e la eternit. Critiche sostanziali hanno riguardato anche gli eventuali insediamenti industriali per lo sfruttamento dell’energia geotermica, che sarebbero incompatibili con un’area soggetta a riconversione con una destinazioni d’uso votata alla ricerca, alla cultura e alle attività ricreative.
Il responsabile del progetto, dott. Giuseppe De Natale, assicura che non ci saranno pericoli perché si procederà sostanzialmente a tappe. La procedura offre garanzie?
La situazione si è rivelata alquanto complessa per la coesistenza di problematiche di natura scientifica, gestionale e amministrativa.
Benché secondo il responsabile del progetto i rischi sarebbero trascurabili, si è rivelata indispensabile una valutazione da parte di una autorità scientifica esterna. Ma è stato anche evidenziato che il Dipartimento della Protezione Civile, interpellato dal sindaco di Napoli, non potrebbe assolvere al ruolo di interlocutore privilegiato, in quanto si avvale per statuto della consulenza dell’INGV che è l’Ente proponente il progetto.
Di fatto, l’excursus amministrativo del piano di perforazione profonda, ha evidenziato la complessa problematica dell’assunzione di responsabilità nel caso di progetti scientifici o altri tipi di intervento su territori a rischio per la popolazione. In realtà, qualsiasi trivellazione profonda presenta un certo livello di rischio, perché attraversa sistemi ad altissima energia, con pressioni che possono raggiungere migliaia di atmosfere e temperature di diverse centinaia di gradi, con presenza di fluidi anche magmatici dal comportamento difficilmente prevedibile. A tale proposito basta ricordare il recente disastro ecologico nel Golfo del Messico. In quel caso la sottovalutazione del rischio ebbe conseguenze gravissime per l’inarrestabile flusso di petrolio dal fondo del mare. I danni furono ingenti per l’ambiente marino e quello costiero flagellati dalle chiazze di petrolio. L’incidente fu causato dall’inadeguatezza tecnologica messa in campo, tarata probabilmente rispetto a un’analisi dei rischi tutto sommato superficiale, nonostante le operazioni di perforazione fossero state eseguite da uno dei maggiori colossi internazionali del settore. Tuttavia, a patto di un’adeguata valutazione dei rischi e i benefici che devono essere conosciuti e accettati dalla collettività, l’esecuzione di perforazioni profonde in aree vulcaniche potrebbe essere giustificata come fonte di ulteriori informazioni scientifiche, se queste non sono disponibili e reperibili per altre vie.
In realtà già in epoca fascista e successivamente ad opera della società AGIP sono state effettuate trivellazioni profonde fino a tremila e duecento metri nei Campi Flegrei.
Come segnalato da alcuni tra i ricercatori più critici contro il progetto di perforazione a Bagnoli, tale precedente renderebbe non innovativo il progetto attuale e superflua ogni ulteriore indagine, sia per scopi scientifici, sia per fini legati allo sfruttamento dell’energia geotermica. Durante la campagna AGIP si sarebbero, infatti, manifestati rischi imminenti che avrebbero imposto la rapida chiusura dei pozzi. Per quanto riguarda invece le potenzialità di sfruttamento dell’energia geotermica ai Campi Flegrei, questa perse interesse perché i fluidi sotterranei all’analisi risultarono eccessivamente salini. In compenso attraverso il carotaggio furono acquisite dettagliate informazioni sulle caratteristiche geologiche del sottosuolo.
E’ evidente che i tempi sono cambiati e con essi la sensibilità alle questioni attinenti i rischi naturali e indotti dall’uomo. I ricercatori, le autorità e la popolazione, hanno oramai una consapevolezza su quello che è il diritto alla sicurezza, e, quindi, non è più possibile operare sul territorio in assenza di un’adeguata informazione su quelli che sono i rischi derivanti da particolari attività, anche se queste afferiscono alla ricerca.
Ora un problema fondamentale nella gestione del rischio nell’area flegrea è l’assenza di un piano di emergenza. E’ evidente, infatti, come la Protezione Civile o qualsiasi altra autorità non sarebbe in grado di approvare un intervento a rischio in assenza di una preventiva valutazione degli eventi possibili e, quindi, di piani di emergenza per il rischio sismico, vulcanico e ambientale. Allo stato attuale l’unico piano programmato risulta essere quello relativo al rischio vulcanico, ma seppur annunciato da circa un ventennio, è ancora in una fase di studio da parte della Commissione nazionale incaricata e nominata dal Dipartimento della Protezione Civile. A tale proposito e anche in considerazione dell’allarme scaturito dal progetto di perforazione nell’area di Bagnoli, ho in più circostanze sollecitato, senza riscontro, affinché il piano fosse divulgato e reso disponibile. D’altra parte il rischio nell’area flegrea è estremamente alto, come evidenziato dalle nostre mappe di pericolosità vulcanica, stilate per i vari scenari eruttivi possibili. Queste carte tematiche dovrebbero rappresentare la base di riferimento per la realizzazione del piano di emergenza.
Benché secondo il responsabile del progetto i rischi sarebbero trascurabili, si è rivelata indispensabile una valutazione da parte di una autorità scientifica esterna. Ma è stato anche evidenziato che il Dipartimento della Protezione Civile, interpellato dal sindaco di Napoli, non potrebbe assolvere al ruolo di interlocutore privilegiato, in quanto si avvale per statuto della consulenza dell’INGV che è l’Ente proponente il progetto.
Di fatto, l’excursus amministrativo del piano di perforazione profonda, ha evidenziato la complessa problematica dell’assunzione di responsabilità nel caso di progetti scientifici o altri tipi di intervento su territori a rischio per la popolazione. In realtà, qualsiasi trivellazione profonda presenta un certo livello di rischio, perché attraversa sistemi ad altissima energia, con pressioni che possono raggiungere migliaia di atmosfere e temperature di diverse centinaia di gradi, con presenza di fluidi anche magmatici dal comportamento difficilmente prevedibile. A tale proposito basta ricordare il recente disastro ecologico nel Golfo del Messico. In quel caso la sottovalutazione del rischio ebbe conseguenze gravissime per l’inarrestabile flusso di petrolio dal fondo del mare. I danni furono ingenti per l’ambiente marino e quello costiero flagellati dalle chiazze di petrolio. L’incidente fu causato dall’inadeguatezza tecnologica messa in campo, tarata probabilmente rispetto a un’analisi dei rischi tutto sommato superficiale, nonostante le operazioni di perforazione fossero state eseguite da uno dei maggiori colossi internazionali del settore. Tuttavia, a patto di un’adeguata valutazione dei rischi e i benefici che devono essere conosciuti e accettati dalla collettività, l’esecuzione di perforazioni profonde in aree vulcaniche potrebbe essere giustificata come fonte di ulteriori informazioni scientifiche, se queste non sono disponibili e reperibili per altre vie.
In realtà già in epoca fascista e successivamente ad opera della società AGIP sono state effettuate trivellazioni profonde fino a tremila e duecento metri nei Campi Flegrei.
Come segnalato da alcuni tra i ricercatori più critici contro il progetto di perforazione a Bagnoli, tale precedente renderebbe non innovativo il progetto attuale e superflua ogni ulteriore indagine, sia per scopi scientifici, sia per fini legati allo sfruttamento dell’energia geotermica. Durante la campagna AGIP si sarebbero, infatti, manifestati rischi imminenti che avrebbero imposto la rapida chiusura dei pozzi. Per quanto riguarda invece le potenzialità di sfruttamento dell’energia geotermica ai Campi Flegrei, questa perse interesse perché i fluidi sotterranei all’analisi risultarono eccessivamente salini. In compenso attraverso il carotaggio furono acquisite dettagliate informazioni sulle caratteristiche geologiche del sottosuolo.
E’ evidente che i tempi sono cambiati e con essi la sensibilità alle questioni attinenti i rischi naturali e indotti dall’uomo. I ricercatori, le autorità e la popolazione, hanno oramai una consapevolezza su quello che è il diritto alla sicurezza, e, quindi, non è più possibile operare sul territorio in assenza di un’adeguata informazione su quelli che sono i rischi derivanti da particolari attività, anche se queste afferiscono alla ricerca.
Ora un problema fondamentale nella gestione del rischio nell’area flegrea è l’assenza di un piano di emergenza. E’ evidente, infatti, come la Protezione Civile o qualsiasi altra autorità non sarebbe in grado di approvare un intervento a rischio in assenza di una preventiva valutazione degli eventi possibili e, quindi, di piani di emergenza per il rischio sismico, vulcanico e ambientale. Allo stato attuale l’unico piano programmato risulta essere quello relativo al rischio vulcanico, ma seppur annunciato da circa un ventennio, è ancora in una fase di studio da parte della Commissione nazionale incaricata e nominata dal Dipartimento della Protezione Civile. A tale proposito e anche in considerazione dell’allarme scaturito dal progetto di perforazione nell’area di Bagnoli, ho in più circostanze sollecitato, senza riscontro, affinché il piano fosse divulgato e reso disponibile. D’altra parte il rischio nell’area flegrea è estremamente alto, come evidenziato dalle nostre mappe di pericolosità vulcanica, stilate per i vari scenari eruttivi possibili. Queste carte tematiche dovrebbero rappresentare la base di riferimento per la realizzazione del piano di emergenza.
(Come sempre al Professor Giuseppe Mastrolorenzo va il nostro ringraziamento per la grande e cortese collaborazione che ci assicura puntualmente a tutto vantaggio dei nostri lettori e dell’informazione scientifica su argomenti, tra l’altro, molto complessi e attuali).
Nel chiudere quest’articolo, vorremmo aggiungere come redazione alcune cose: innanzitutto siamo coscienti che una matrice di rischio è sempre insita nelle attività dell’uomo. Pur tuttavia se prendiamo ad esempio la conquista dello spazio, questa è iniziata col lancio di missili teleguidati. Poi di razzi con scimmiette e cani, e infine con l’uomo (la vita umana), che rappresenta il valore massimo da proteggere. Cosa vogliamo dire: che lì dove le incognite riempiono spazi importanti per la nostra tutela, la cautela dovrebbe essere sostanzialmente il modus operandi. Chi mastica sicurezza sa che un’operazione di questo genere potrebbe portare a situazioni se non di allarme, di preallarme. In altre parole potrebbe rendersi necessaria l’attuazione dei disposti del piano d’emergenza senza che l’emergenza si manifesti in termini energetici nella sua forma massima. Perché esistono le incognite. Magari semplicemente a scopo precauzionale, perché la perforazione di una sacca di vapore potrebbe produrre un boato o un appariscente soffione magari innocuo ma certamente preoccupante per la popolazione in ansia. Ovviamente è un esempio per capirci, anche se la tecnologia perforativa certamente non è agli albori.
La perforazione profonda in area calderica flegrea, che sicuramente vedrà per il prossimo futuro accesissimi dibattiti, dovrebbe essere trattata secondo le filosofie della prevenzione, visto che non è possibile operare di previsione. La prevenzione comporta tecniche di mitigazione del rischio, moderando il pericolo o il valore esposto (abitanti) o entrambi. In questo caso la minimizzazione del pericolo consisterebbe nell’adoperare tecniche ricognitive e perforative capaci di scegliere un percorso e contenere le massime pressioni ipotizzabili, all’occorrenza, ponendovi quindi rimedio. Un po’ più difficile è prevedere la fratturazione della crosta in profondità. L’esperimento in altre parole, dovrebbe avere la capacità di recedere in termini utili se i risultati di volta in volta dovessero scoraggiare.
Sempre per chiarire certi concetti, basti pensare che le industrie a rischio rilevante hanno l’obbligo di produrre un piano d’emergenza esterno e interno allo stabilimento, ivi compreso le procedure per diramare l’allarme. Se ricordiamo bene, le attività perforative sono regolamentate anche dalle direttive relative alla sicurezza e salute dei lavoratori nelle industrie estrattive per trivellazione, secondo di dettami del D.M. 25 novembre 1996 n° 624, attuazione della direttiva 92/91/CEE, pubblicato nella Gazz. Uff. 14 dicembre 1996. Questi disposti offrono un ottimo spunto per capire i problemi.
In ultima analisi, la ricerca scientifica non deve essere fermata, ma i rischi devono essere sempre misurati alle alternative disponibili. Esplorare una caldera è un fatto importante, anzi importantissimo, ma quella flegrea deve essere presa in considerazione solo se non si hanno altre caldere nel mondo, ubicate in zone a bassissima densità abitativa o deserte. Abbassando la quantità del valore esposto, infatti, il rischio rientrerebbe immediatamente in parametri accettabili.
La perforazione profonda in area calderica flegrea, che sicuramente vedrà per il prossimo futuro accesissimi dibattiti, dovrebbe essere trattata secondo le filosofie della prevenzione, visto che non è possibile operare di previsione. La prevenzione comporta tecniche di mitigazione del rischio, moderando il pericolo o il valore esposto (abitanti) o entrambi. In questo caso la minimizzazione del pericolo consisterebbe nell’adoperare tecniche ricognitive e perforative capaci di scegliere un percorso e contenere le massime pressioni ipotizzabili, all’occorrenza, ponendovi quindi rimedio. Un po’ più difficile è prevedere la fratturazione della crosta in profondità. L’esperimento in altre parole, dovrebbe avere la capacità di recedere in termini utili se i risultati di volta in volta dovessero scoraggiare.
Sempre per chiarire certi concetti, basti pensare che le industrie a rischio rilevante hanno l’obbligo di produrre un piano d’emergenza esterno e interno allo stabilimento, ivi compreso le procedure per diramare l’allarme. Se ricordiamo bene, le attività perforative sono regolamentate anche dalle direttive relative alla sicurezza e salute dei lavoratori nelle industrie estrattive per trivellazione, secondo di dettami del D.M. 25 novembre 1996 n° 624, attuazione della direttiva 92/91/CEE, pubblicato nella Gazz. Uff. 14 dicembre 1996. Questi disposti offrono un ottimo spunto per capire i problemi.
In ultima analisi, la ricerca scientifica non deve essere fermata, ma i rischi devono essere sempre misurati alle alternative disponibili. Esplorare una caldera è un fatto importante, anzi importantissimo, ma quella flegrea deve essere presa in considerazione solo se non si hanno altre caldere nel mondo, ubicate in zone a bassissima densità abitativa o deserte. Abbassando la quantità del valore esposto, infatti, il rischio rientrerebbe immediatamente in parametri accettabili.
(Nelle figure sottostanti le due carte di pericolosità redatte per i Campi Flegrei a cura del Prof. G. Mastrolorenzo e altri collaboratori)
La carta di pericolosità relativa alla dynamical overpressure (sovrappressione dinamica), rappresenta la pressione esercitata dalla nube ardente sull’unità di superficie. Per Valori superiori a 5 kPa iniziano i danni rilevanti alle strutture, mentre il valore degli abbattimenti va da 10 kPa a 25 kPa, a seconda dalla tipologia di edificio.
Oltre al rischio connesso alla pressione è da considerare l’estrema pericolosità associata all’alta temperatura delle nubi (fino a 600 ° C) che può essere mantenuta dalle nubi anche a distanze superiori ai 15 km dal centro eruttivo.
A fianco è evidenziata la carta di pericolosità relativa al fallout, cioè i depositi di ricaduta. E’ evidente come per tale tipo di fenomeni , l’intera città di Napoli , risulta esposta ad un elevatissimo valore di rischio.
Entrambe le mappe sono il risultato di combinazione di tutti gli eventi possibili ottenuti attraverso la simulazione numerica di migliaia di episodi eruttivi con diverse proprietà e valori di probabilità.
articolo pubblicato sulla rivista hyde park il 2 dicembre 2010.
RispondiEliminahttp://www.rivistahydepark.org/rischio-vesuvio-campania/%E2%80%9Ccampi-flegrei-e-progetto-di-perforazione-profonda%E2%80%9D-phlegraean-fielddeep-drilling-project-intervista-al-prof-giuseppe-mastrolorenzo-di-malko/