"L'eruzione del Vesuvio di 3800 anni fa e il villaggio preistorico di Nola. Intervista al Prof. Mastrolorenzo" di MalKo
A Nola (provincia di Napoli), rimasero davvero stupiti un po’ di anni fa, quando nello scavare un suolo dove erigere le fondazioni di un supermercato, rinvennero resti di un villaggio preistorico risalente all’età del bronzo antico, cioè circa 3800 anni fa. Le capanne erano state rinvenute all’interno di uno spiazzo con forni e recinti per animali: capre e probabilmente cavalli o asini. Suppellettili varie hanno lasciato intuire una vita svolta prevalentemente all’esterno, lì nell’aia, e all’interno dei ripari di legno, dove gli indigeni si proteggevano dalle intemperie e dalla notte.
Il villaggio fu seppellito letteralmente dalla più terribile eruzione del Vesuvio, nota come delle pomici di Avellino. Infatti, una coltre di lapillo pomiceo e successivamente una nube molto pervasiva formata da cenere e gas, “imbalsamarono” il vasto insediamento preistorico.
Il sito archeologico nasconde ancora altri manufatti dell’epoca del bronzo. Probabilmente vicino a questo agglomerato ve ne saranno altri che andrebbero cercati e riportati alla luce con un’accorta opera di scavo. Purtroppo, l’area archeologica attuale è stata invasa dalle acque e da smottamenti di terreno che forse hanno definitivamente distrutto ciò che la furia del vulcano aveva invece conservato. Per gli scavi archeologici si sa, non è un buon periodo…
Ciò che è stato rinvenuto in questo sito non lascia dubbi: la comunità antica fu colta dall’eruzione e lasciò frettolosamente la zona senza avere neanche il tempo di liberare le capre dai recinti. L’eruzione di circa quattromila anni fa fu potente come quella pliniana che distrusse Pompei. La differenza è da ricercarsi nella zona di accumulo dei materiali piroclastici. In questo caso, i depositi si formarono più a nord rispetto all’eruzione di Pompei.
Anche in quest’occasione facciamo appello alla gentile collaborazione del Professore Giuseppe Mastrolorenzo, che ringraziamo, per comprendere meglio i fenomeni dell’epoca.
Il villaggio fu seppellito letteralmente dalla più terribile eruzione del Vesuvio, nota come delle pomici di Avellino. Infatti, una coltre di lapillo pomiceo e successivamente una nube molto pervasiva formata da cenere e gas, “imbalsamarono” il vasto insediamento preistorico.
Il sito archeologico nasconde ancora altri manufatti dell’epoca del bronzo. Probabilmente vicino a questo agglomerato ve ne saranno altri che andrebbero cercati e riportati alla luce con un’accorta opera di scavo. Purtroppo, l’area archeologica attuale è stata invasa dalle acque e da smottamenti di terreno che forse hanno definitivamente distrutto ciò che la furia del vulcano aveva invece conservato. Per gli scavi archeologici si sa, non è un buon periodo…
Ciò che è stato rinvenuto in questo sito non lascia dubbi: la comunità antica fu colta dall’eruzione e lasciò frettolosamente la zona senza avere neanche il tempo di liberare le capre dai recinti. L’eruzione di circa quattromila anni fa fu potente come quella pliniana che distrusse Pompei. La differenza è da ricercarsi nella zona di accumulo dei materiali piroclastici. In questo caso, i depositi si formarono più a nord rispetto all’eruzione di Pompei.
Anche in quest’occasione facciamo appello alla gentile collaborazione del Professore Giuseppe Mastrolorenzo, che ringraziamo, per comprendere meglio i fenomeni dell’epoca.
1) Professor Mastrolorenzo, l’eruzione di Avellino di 3800 anni fa è una pliniana “sbilanciata” a nord?
In realtà l’eruzione pliniana cosiddetta delle “pomici di Avellino” comprende una prima fase da fallout (pioggia di cenere e lapilli) con dispersione in un ampio settore a nord-est del vulcano in direzione di Avellino, e una seconda fase di nubi ardenti (pyroclastic surge) che si propagarono a 360 gradi intorno al cratere con una prevalenza verso nord-ovest.
2) Le stratigrafie dei materiali eruttati qui a Nola, nel villaggio preistorico, che cosa “narrano”? Quali furono le sequenze eruttive?
Le sequenze stratigrafiche rinvenute in decine di affioramenti in tutto il territorio vesuviano, nolano e napoletano, descrivono la tipica successione eruttiva e di deposito del classico evento pliniano del Somma-Vesuvio. All’inizio si sviluppò una colonna convettiva di cenere e gas che raggiunse un’altezza di circa 35 km nella stratosfera, dando così luogo a una intensa pioggia di cenere e lapilli che si depositarono al suolo secondo l’effetto direzionale dei venti dominanti. Questa fase dell’eruzione in genere dura poche ore e può determinare accumuli di cenere e lapilli particolarmente consistenti, che possono raggiungere spessori anche di qualche decina di metri in prossimità del vulcano con una tendenza ovviamente decrescente dipendente dalla distanza dalla bocca eruttiva.
Questa prima fase è seguita da una successione di collassi della colonna eruttiva che producono flussi piroclastici di gas, cenere e blocchi ad alta temperatura e velocità (pyroclastic flows and surge). Questi si propagano lungo i fianchi del vulcano raggiungendo distanze anche di 20 km. Durante il loro cammino producono devastazione del territorio e morte per impatto, soffocamento e shock termico, delle persone e degli animali investiti. I depositi di cenere che, questi flussi lasciano al suolo, consistono in strati spessi da decine di metri presso il cono fino a pochi centimetri nelle zone più distanti.
Questa prima fase è seguita da una successione di collassi della colonna eruttiva che producono flussi piroclastici di gas, cenere e blocchi ad alta temperatura e velocità (pyroclastic flows and surge). Questi si propagano lungo i fianchi del vulcano raggiungendo distanze anche di 20 km. Durante il loro cammino producono devastazione del territorio e morte per impatto, soffocamento e shock termico, delle persone e degli animali investiti. I depositi di cenere che, questi flussi lasciano al suolo, consistono in strati spessi da decine di metri presso il cono fino a pochi centimetri nelle zone più distanti.
3) Il Somma-Vesuvio dell’epoca che altezza aveva e quanto questa influisce sulle distanze percorse dalle nubi ardenti?
I dati disponibili non consentono di ricostruire l’altezza del Somma Vesuvio prima dell’eruzione delle Pomici di Avellino, ma in base ad alcuni indizi ed in particolare al profilo topografico del cono, alcuni autori in passato hanno ipotizzato che avesse un altezza dell’ordine dei 1800 - 2000 metri. Tuttavia, queste ipotesi non possono essere confermate da verifiche oggettive. L’altezza di un vulcano può contribuire alla distanza di propagazione dei flussi piroclastici in quanto la sommità di un vulcano costituisce la quota minima di partenza del flusso diretto verso valle. Analogamente a quanto succede nel caso di rottura di dighe o frane, la propagazione di liquidi e detriti raggiunge distanze tanto maggiori quanto più elevata è la quota di origine del fenomeno. Nel caso delle eruzioni vulcaniche esplosive, è comunque prevalente l’altezza di collasso della colonna eruttiva, che in genere è molto superiore a quella della bocca craterica, ed è appunto questo il fattore principale che condiziona la distanza di propagazione dei flussi al suolo.
4) La popolazione del villaggio scappò precipitosamente per paure ancestrali o reali dovute alla furia dell’eruzione?
Le evidenze che abbiamo rinvenuto nei vari scavi archeologici dimostrano che la fuga dai villaggi avvenne molto probabilmente poco dopo l’inizio dell’eruzione. Nel villaggio del Bronzo Antico di Nola, oggi totalmente distrutto per l’incuria, rilevai la presenza d’impronte umane, su un substrato fangoso, riempite dai primi livelli di pomice sottili che testimoniavano l’inizio della fase di fallout. E’ quindi probabile che nelle prime ore dell’eruzione, mentre si sviluppava l’enorme colonna stratosferica che oscurò totalmente il cielo tra boati e fulmini, gli abitanti dei villaggi dovettero domandarsi quale fosse la direzione di fuga più vantaggiosa per attuare la loro evacuazione spontanea già all’inizio della pioggia di cenere e lapilli.
5) I resti umani o animali rinvenuti a Nola sono stati utili per capire le cause di morte, alla stregua di quanto è stato fatto per Pompei ?
L’unica evidenza di resti umani, che è anche il primo ritrovamento di vittime di un’eruzione preistorica, sono i due scheletri che abbiamo rinvenuto a San Paolo Belsito nel 1995, alla base dello strato di lapilli dello spessore di circa 1 metro. Questi resti appartenevano a una donna di circa venti anni e a un uomo di oltre quarant’anni che, sfortunatamente, si trovarono proprio sull’asse di maggiore intensità della pioggia di cenere e lapilli, vedendosi così preclusa qualsiasi possibilità di fuga. Questa evidenza dovrebbe rappresentare un monito per le autorità responsabili della realizzazione del piano di emergenza, che nell’attuale versione rischia di esporre centinaia di migliaia di persone residenti nella “zona gialla” alla stessa sorte delle due sfortunate vittime di S. Paolo Belsito.
6) I prodotti di quell’eruzione fino a dove sono stati ritrovati in termini di distanza dal Vesuvio?
Le ceneri della fase del fallout hanno raggiunto anche diverse centinaia di chilometri di distanza dal vulcano; così come rinvenimenti ancora di diversi millimetri sono stati segnalati in Puglia. Le ceneri deposte dalle nubi ardenti sono invece state ritrovate fino a 20 km dal vulcano.
7) Un’eruzione tipo Avellino oggi è statisticamente improbabile visto la quantità di anni che ci separa da quegli eventi?
Sfortunatamente tutte le ricerche condotte fino a oggi hanno dimostrato l’intrinseca imprevedibilità delle eruzioni vulcaniche, almeno per quanto riguarda il lungo termine. In sintesi, è stato dimostrato che, nel caso di vulcani simili al Vesuvio, non è possibile prevedere l’entità e il tipo di eruzione che potrà verificarsi in futuro, sulla base della durata del periodo di riposo. D’altra parte per sistemi estremamente complessi come quelli vulcanici, l’applicazione di procedure statistiche risulta enormemente più inaffidabile e certamente più rischiosa rispetto ad altri sistemi che pure sono scarsamente prevedibili come ad esempio quelli economici.
In base all’attuale livello di conoscenza, si può affermare che, nel caso di ripresa dell’attività al Vesuvio, la probabilità di un’eruzione di tipo pliniano possa raggiungere il 20 per cento. Questo valore, seppure solo orientativo, è estremamente elevato in termini di pericolosità e mostra l’assoluta inadeguatezza dell’attuale piano di emergenza, basato invece su uno scenario molto inferiore. Questa gravissima carenza che ho denunciato in contesti scientifici ed è stata oggetto di interrogazioni parlamentari, pone la popolazione dell’area vesuviana e napoletana in una permanente condizione di grave rischio. Purtroppo, benché tutte le ricerche fino ad oggi condotte confermano tale situazione, la Protezione Civile e la Commissione Grandi Rischi non sono state in grado aggiornare adeguatamente il Piano di emergenza, che, di fatto, era già inadeguato nella sua prima stesura risalente al 1995.
In base all’attuale livello di conoscenza, si può affermare che, nel caso di ripresa dell’attività al Vesuvio, la probabilità di un’eruzione di tipo pliniano possa raggiungere il 20 per cento. Questo valore, seppure solo orientativo, è estremamente elevato in termini di pericolosità e mostra l’assoluta inadeguatezza dell’attuale piano di emergenza, basato invece su uno scenario molto inferiore. Questa gravissima carenza che ho denunciato in contesti scientifici ed è stata oggetto di interrogazioni parlamentari, pone la popolazione dell’area vesuviana e napoletana in una permanente condizione di grave rischio. Purtroppo, benché tutte le ricerche fino ad oggi condotte confermano tale situazione, la Protezione Civile e la Commissione Grandi Rischi non sono state in grado aggiornare adeguatamente il Piano di emergenza, che, di fatto, era già inadeguato nella sua prima stesura risalente al 1995.
8) Per la geologia e la vulcanologia quanto è importante il sito preistorico di Nola?
Certamente il ritrovamento del villaggio preistorico di Nola è stato determinante per la comprensione della catastrofe vulcanica e per la valutazione del rischio vulcanico che ci interessa. Personalmente ebbi l’opportunità di seguire la scoperta e lo scavo del sito e di acquisirne i dati necessari per lo la ricostruzione dei meccanismi eruttivi. Dai primi giorni segnalai ai responsabili istituzionali l’assoluta eccezionalità del ritrovamento che ne imponevano la preservazione integrale attraverso adeguati e prudenti interventi sul contesto bio-geoarcheologico locale. Purtroppo, una serie di circostanze, quali l’originaria destinazione dell’area alla costruzione di un supermercato, portarono gli archeologi alla decisione di scavare rapidamente per prelevare le suppellettili.
In pochi mesi quello che era il villaggio preistorico meglio preservato al mondo, fu ridotto a semplici ammassi di terreno, relitti delle strutture delle capanne totalmente sventrate, e oggi frequentemente sommerse dalla falda acquifera e ridotti a cumuli di fango.
A nulla valsero i miei interventi in articoli giornalistici e notiziari televisivi.
Nel 2006, sulla prestigiosa testata scientifica PNAS (http://www.pnas.org/content/103/12/4366.full), in collaborazione con Lucia Pappalardo dell’Osservatorio Vesuviano, Pier Paolo Petrone del Museo di Antropologia dell’Università di Napoli Federico II e Michael Sheridan dell’università di Buffalo (USA), pubblicammo uno studio dell’eruzione delle Pomici di Avellino, basato sui vari siti archeologici rinvenuti, e inesorabilmente abbandonati alla distruzione. La nostra ricerca dimostrava, tra l’altro, la totale inadeguatezza del piano di emergenza e pose sotto i riflettori le carenze nell’operato della Protezione Civile e della Commissione grandi rischi.
Un anno dopo, a settembre del 2007, veniva pubblicato un dossier sulla testata National Geographic Magazine
(http://www.nationalgeographic.it/italia/2007/09/30/news/vesuvio-17517/)
che in milioni di copie, in decine di lingue raccontava il disastro vulcanico, nonché le gravissime carenze di gestione dei siti da parte delle Soprintendenze Archeologiche e la sottovalutazione del rischio da Parte della Protezione Civile.
La persistente sommersione sotto metri d’acqua di falda dei pochi resti del villaggio e la frana di una delle pareti dello scavo, verificatasi lo scorso mese di dicembre, hanno richiamato l’attenzione su un disastro archeologico che avevo già denunciato alcuni anni fa.
Ormai, quello che era il villaggio preistorico di Nola, recuperato e preservato integralmente da una disastrosa eruzione del Vesuvio, è ridotto a una piscina torbida con un fondo fangoso sul quale si elevano piccoli cumuli di terreno in via di totale disfacimento. (http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2011/01/14/foto/sott_acqua_la_pompei_della_preistoria-169197/1/)
In pochi mesi quello che era il villaggio preistorico meglio preservato al mondo, fu ridotto a semplici ammassi di terreno, relitti delle strutture delle capanne totalmente sventrate, e oggi frequentemente sommerse dalla falda acquifera e ridotti a cumuli di fango.
A nulla valsero i miei interventi in articoli giornalistici e notiziari televisivi.
Nel 2006, sulla prestigiosa testata scientifica PNAS (http://www.pnas.org/content/103/12/4366.full), in collaborazione con Lucia Pappalardo dell’Osservatorio Vesuviano, Pier Paolo Petrone del Museo di Antropologia dell’Università di Napoli Federico II e Michael Sheridan dell’università di Buffalo (USA), pubblicammo uno studio dell’eruzione delle Pomici di Avellino, basato sui vari siti archeologici rinvenuti, e inesorabilmente abbandonati alla distruzione. La nostra ricerca dimostrava, tra l’altro, la totale inadeguatezza del piano di emergenza e pose sotto i riflettori le carenze nell’operato della Protezione Civile e della Commissione grandi rischi.
Un anno dopo, a settembre del 2007, veniva pubblicato un dossier sulla testata National Geographic Magazine
(http://www.nationalgeographic.it/italia/2007/09/30/news/vesuvio-17517/)
che in milioni di copie, in decine di lingue raccontava il disastro vulcanico, nonché le gravissime carenze di gestione dei siti da parte delle Soprintendenze Archeologiche e la sottovalutazione del rischio da Parte della Protezione Civile.
La persistente sommersione sotto metri d’acqua di falda dei pochi resti del villaggio e la frana di una delle pareti dello scavo, verificatasi lo scorso mese di dicembre, hanno richiamato l’attenzione su un disastro archeologico che avevo già denunciato alcuni anni fa.
Ormai, quello che era il villaggio preistorico di Nola, recuperato e preservato integralmente da una disastrosa eruzione del Vesuvio, è ridotto a una piscina torbida con un fondo fangoso sul quale si elevano piccoli cumuli di terreno in via di totale disfacimento. (http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2011/01/14/foto/sott_acqua_la_pompei_della_preistoria-169197/1/)
In Figura sopra: Simulazione al computer dello scorrimento di una nube piroclastica simile a quella dell’eruzione di Avellino sull’attuale morfologia del Vesuvio. La scala di colori indica la forza di impatto della nube (sovrappressione dinamica) espressa in kPa.
articolo pubblicato su hyde park il 7 febbraio 2011.
RispondiEliminahttp://www.rivistahydepark.org/rischio-vesuvio-campania/%E2%80%9Cil-villaggio-preistorico-di-nola-e-l%E2%80%99eruzione-del-vesuvio-di-3800-anni-fa-intervista-al-professore-giuseppe-mastrolorenzo%E2%80%9D-di-malko/