"Il Vesuvio come il Merapi? Intervista al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo" di MalKo
Nel panorama mondiale dei vulcani più pericolosi, intendendo con questo soprattutto quelli a ridosso di abitati, il vulcano indonesiano Merapi occupa un posto di tutto rispetto. Il 26 ottobre 2010 dall’isola di Giava ha fatto sentire la sua potenza sotto forma di eruzione e sviluppo di nubi ardenti pericolosissime per le popolazioni residenti. A oggi, purtroppo, si contano circa trecento morti e 200 mila sfollati.
L’attività eruttiva del Merapi, il cui nome significa montagna di fuoco, presenta fenomeni eruttivi di tipo pliniano e sub pliniano. Sarà proprio questa caratteristica a riportarci come accostamento all’attività passata del Vesuvio, e ad allargare il campo delle similitudini con l’arcinoto vulcano partenopeo, anche sulla scorta dei decessi avvenuti tra la popolazione che non ha seguito l’ordine di evacuazione lanciato dalle autorità locali. I soccorritori, infatti, si sono trovati di fronte a scene per molti versi affini a quelle che i calchi di gesso di Pompei ci rimandano drammaticamente e come testimonianza della famosa e terribile eruzione pliniana del Vesuvio nel 79 d.C. In questa che sembra una Pompei asiatica, diversi abitanti sono stati sorpresi nel sonno dalle nubi ardenti e si registrano vittime anche nel villaggio di Argomulyo, a diciotto chilometri di distanza dal vulcano.
Per capire bene queste similitudini, chiediamo come sempre al gentilissimo Professor Giuseppe Mastrolorenzo un contributo scientifico.
Per capire bene queste similitudini, chiediamo come sempre al gentilissimo Professor Giuseppe Mastrolorenzo un contributo scientifico.
a) L’eruzione del Merapi iniziata il 26 ottobre 2010 a quale tipologia eruttiva deve ascriversi?
E’ un’eruzione di tipo misto, effusivo-esplosivo, caratterizzata nella fase iniziale dallo sviluppo di un duomo lavico seguito dalla generazione di colonne eruttive di gas e cenere di altezza relativamente modesta, compresa tra 1 e 7 km, e dalla generazione di sequenze di nubi ardenti (pyroclastic surge and flow), che si sono propagate sulle pendici del vulcano ad elevata velocità e temperatura. Questa tipologia di eruzioni è ricorrente al Merapi e in altri vulcani alimentati da magmi di composizione dacitica ad alta viscosità, nei quali l’attività effusiva (colate laviche e duomi) si alterna a devastanti nubi di gas e cenere, che si propagano radialmente rispetto al cratere. Un’eruzione analoga si verificò nel 1902 al vulcano Montagna Pelee, nell’isola della Martinica, nelle Antille francesi, e provocò la distruzione totale della città di Saint Pierre con la morte dei suoi 30000 abitanti.
b) Professor Mastrolorenzo, quali affinità geologiche tra il Merapi e il Vesuvio?
Il Vesuvio e il Merapi sono entrambi strato-vulcani formati da una spessa successione di colate laviche e depositi piroclastici di cenere e lapilli, dovuti all’alternanza nel corso dei millenni di eruzioni esplosive, effusive e miste. Questi due vulcani differiscono invece nella composizione del magma: da fonolitica atefritica quella del Vesuvio, da riolitica a dacitica quella del Merapi. Quest’ultimo tipo, caratterizzato da una maggiore viscosità rispetto ai magmi vesuviani, in alcuni casi può portare alla formazione di colate laviche viscose che fluiscono lentamente formando una cupola lavica, mentre in altri casi può innescare un’elevata esplosività e, quindi, pericolosità, anche in presenza di modeste quantità di magma.
c) Il Merapi è vigilato e monitorato alla stregua del nostro Vesuvio?
Al Merapi esiste una rete di monitoraggio dell’attività sismica, delle deformazioni del suolo e delle anomalie magnetiche che, nel complesso, consente di seguire gli eventi precursori di un’eruzione.
Bisogna comunque ribadire che i sistemi di monitoraggio al Merapi, come al Vesuvio e in altri vulcani attivi a livello mondiale, consentono di rilevare l’esistenza di modificazioni in profondità nel sistema magmatico, ma non possono fornire alcuna informazione sulla durata dei precursori e sul tipo e sull’entità dell’eruzione. Pertanto, in termini di mitigazione del rischio, affinché un sistema di monitoraggio risulti utile è necessario che esso sia sempre supportato da un adeguato piano di emergenza. Ovviamente è anche necessario che già dal primo manifestarsi dei fenomeni precursori le autorità competenti assumano rapidamente una decisione sul da farsi, valutando subito la necessità o meno di evacuare l’area a rischio definita preventivamente a cura dell’autorità scientifica.
Bisogna comunque ribadire che i sistemi di monitoraggio al Merapi, come al Vesuvio e in altri vulcani attivi a livello mondiale, consentono di rilevare l’esistenza di modificazioni in profondità nel sistema magmatico, ma non possono fornire alcuna informazione sulla durata dei precursori e sul tipo e sull’entità dell’eruzione. Pertanto, in termini di mitigazione del rischio, affinché un sistema di monitoraggio risulti utile è necessario che esso sia sempre supportato da un adeguato piano di emergenza. Ovviamente è anche necessario che già dal primo manifestarsi dei fenomeni precursori le autorità competenti assumano rapidamente una decisione sul da farsi, valutando subito la necessità o meno di evacuare l’area a rischio definita preventivamente a cura dell’autorità scientifica.
d) Le morti registrate in questa eruzione sono da addebitarsi a una sottovalutazione della pericolosità delle nubi ardenti?
Certamente tra i fattori alla base del disastro deve essere considerata la sottovalutazione del rischio associato alla generazione e al passaggio di nubi piroclastiche. Infatti, benché nei primi giorni dell’eruzione fosse stata predisposta un’evacuazione, l’area considerata a rischio era stata limitata a circa 10 km dal centro eruttivo. Una valutazione decisamente ottimistica su quello che sarebbe stato il limite massimo di propagazione delle nubi ardenti. Tale decisione si è rilevata invece fatale per molti, perché durante le fasi più intense dell’evento, i pyroclastic surge ad alta temperatura hanno causato vittime entro un raggio anche superiore a 17 km dal vulcano. Questa sottovalutazione iniziale ha reso necessaria una disperata operazione di modifica del piano di evacuazione a eruzione in corso.
A tale proposito, da molti anni in numerose ricerche scientifiche condotte in collaborazione con altri colleghi, nonché in convegni e interviste rilasciate a mass-media nazionali e internazionali, ho richiamato l’attenzione sulla paradossale pericolosità dell’attuale piano di emergenza Vesuvio. Ho evidenziato, infatti, come lo scenario sub-pliniano, attualmente adottato dalla Protezione Civile su indicazione della Commissione Grandi Rischi, sia totalmente inadeguato in caso di un evento pliniano comunque possibile al Vesuvio. Infatti, ricerche condotte dal mio gruppo e da altri, hanno dimostrato l’elevata probabilità di un evento pliniano e la sua estrema pericolosità. Un’eventualità che metterebbe a rischio almeno 3 milioni di persone che vivono entro un raggio di circa 20 km dal vulcano. Nell’attuale piano di emergenza è prevista invece, l’evacuazione preventiva dei soli 600.000 abitanti compresi nella zona rossa limitata in questo caso ad un raggio inferiore ai 10 km dal vulcano.
Appare evidente come l’attuale situazione al Vesuvio sia del tutto simile a quella che si è purtroppo drammaticamente sperimentata nella recente eruzione del Merapi. È opportuno quindi, un’immediata revisione dell’organizzazione dell’intero sistema di gestione del rischio vulcanico nell’area vesuviana che, come denunciato in alcune interrogazioni parlamentari, non è stato in grado di porre in atto l’indispensabile adeguamento del piano di emergenza a fronte delle evidenze scientifiche.
Proprio pochi mesi prima dell’eruzione del Merapi, con il mio gruppo di ricerca avevamo pubblicato i risultati di uno studio sull’eruzione di Pompei del 79 DC e sulle vittime che l’evento causò. Dimostrammo che l’esposizione all’alta temperatura e non il soffocamento, come erroneamente ritenuto in precedenza, fu la causa principale di morte dei pompeiani. Studiando le vittime del Merapi, dal materiale fotografico disponibile, è risultato evidente come le loro posture siano del tutto simili a quelle impresse nei calchi di Pompei, tanto da farci ritenere il disastro del Merapi una nuova Pompei.
Nel mese di ottobre 2010, quando ha avuto inizio l’eruzione del Merapi, la testata scientifica Journal of Geophysical Research ha pubblicato un lavoro mio e della vulcanologa Lucia Pappalardo dell'Osservatorio Vesuviano, su tutti gli scenari eruttivi possibili al Somma Vesuvio. Nel merito esponemmo i risultati delle più avanzate simulazioni numeriche su base vulcanologica, richiamando l’attenzione mondiale dei ricercatori e delle autorità, sulla necessità dell’adozione dello scenario massimo atteso per la stesura dei piani d’emergenza, come unica possibilità di garantire la sopravvivenza della popolazione a rischio in caso di evento vulcanico esplosivo. Abbiamo dimostrato, infatti, come qualsiasi altra scelta ottimistica, costituisca non solo una limitazione all’efficacia dell’intervento preventivo di tutela ma anche una causa ulteriore di rischio per la infondata percezione di sicurezza che trasmette alla collettività.
A tale proposito, da molti anni in numerose ricerche scientifiche condotte in collaborazione con altri colleghi, nonché in convegni e interviste rilasciate a mass-media nazionali e internazionali, ho richiamato l’attenzione sulla paradossale pericolosità dell’attuale piano di emergenza Vesuvio. Ho evidenziato, infatti, come lo scenario sub-pliniano, attualmente adottato dalla Protezione Civile su indicazione della Commissione Grandi Rischi, sia totalmente inadeguato in caso di un evento pliniano comunque possibile al Vesuvio. Infatti, ricerche condotte dal mio gruppo e da altri, hanno dimostrato l’elevata probabilità di un evento pliniano e la sua estrema pericolosità. Un’eventualità che metterebbe a rischio almeno 3 milioni di persone che vivono entro un raggio di circa 20 km dal vulcano. Nell’attuale piano di emergenza è prevista invece, l’evacuazione preventiva dei soli 600.000 abitanti compresi nella zona rossa limitata in questo caso ad un raggio inferiore ai 10 km dal vulcano.
Appare evidente come l’attuale situazione al Vesuvio sia del tutto simile a quella che si è purtroppo drammaticamente sperimentata nella recente eruzione del Merapi. È opportuno quindi, un’immediata revisione dell’organizzazione dell’intero sistema di gestione del rischio vulcanico nell’area vesuviana che, come denunciato in alcune interrogazioni parlamentari, non è stato in grado di porre in atto l’indispensabile adeguamento del piano di emergenza a fronte delle evidenze scientifiche.
Proprio pochi mesi prima dell’eruzione del Merapi, con il mio gruppo di ricerca avevamo pubblicato i risultati di uno studio sull’eruzione di Pompei del 79 DC e sulle vittime che l’evento causò. Dimostrammo che l’esposizione all’alta temperatura e non il soffocamento, come erroneamente ritenuto in precedenza, fu la causa principale di morte dei pompeiani. Studiando le vittime del Merapi, dal materiale fotografico disponibile, è risultato evidente come le loro posture siano del tutto simili a quelle impresse nei calchi di Pompei, tanto da farci ritenere il disastro del Merapi una nuova Pompei.
Nel mese di ottobre 2010, quando ha avuto inizio l’eruzione del Merapi, la testata scientifica Journal of Geophysical Research ha pubblicato un lavoro mio e della vulcanologa Lucia Pappalardo dell'Osservatorio Vesuviano, su tutti gli scenari eruttivi possibili al Somma Vesuvio. Nel merito esponemmo i risultati delle più avanzate simulazioni numeriche su base vulcanologica, richiamando l’attenzione mondiale dei ricercatori e delle autorità, sulla necessità dell’adozione dello scenario massimo atteso per la stesura dei piani d’emergenza, come unica possibilità di garantire la sopravvivenza della popolazione a rischio in caso di evento vulcanico esplosivo. Abbiamo dimostrato, infatti, come qualsiasi altra scelta ottimistica, costituisca non solo una limitazione all’efficacia dell’intervento preventivo di tutela ma anche una causa ulteriore di rischio per la infondata percezione di sicurezza che trasmette alla collettività.
e) Quanto tempo prima le autorità indonesiane hanno diramato l’ordine di evacuazione della popolazione residente intorno al vulcano?
Nel caso dell’eruzione del Merapi, i primi chiari fenomeni precursori si verificarono ai primi di settembre, mentre l’inizio dell’evento eruttivo anche se di entità molto limitata, fu segnalato il 12 settembre. L’ordine di evacuazione fu dato invece il 25 ottobre, oltre 40 giorni dopo l’inizio effettivo dell’eruzione e solo un giorno prima dell’inizio della fase esplosiva più intensa. Un’attesa cosi lunga per l’ordine di evacuazione non ha causato un disastro al Merapi solo per una circostanza fortunata… una decisione cosi azzardata in caso di eruzione al Vesuvio ,determinerebbe una catastrofe, poiché sarebbe ovviamente impossibile evacuare i milioni di abitanti dell’area a rischio in un brevissimo periodo.
f) Il Merapi come il Vesuvio rientra in un elenco ristretto per quanto riguarda la pericolosità vulcanica. Ma il vulcano più pericoloso del mondo qual’è?
Purtroppo, come ho già evidenziato in altre circostanze, sono proprio i nostri vulcani Vesuvio e Campi Flegrei a contendersi il titolo di vulcano più pericoloso al mondo. Questo ovviamente per quanto riguarda la normale attività vulcanica e gli effetti sul territorio a scala regionale (milioni di vite umane esposte). Per quanto riguarda le possibili catastrofi planetarie, eventi di cui si parla poco poiché trattasi di fenomeni con periodi di ritorno dell’ordine di centinaia di migliaia di anni, sicuramente fra i vulcani più pericolosi al mondo deve essere segnalata la caldera dello Yellowstone, nello stato del Wyoming (Stati Uniti), che 600000 anni fa ha prodotto una eruzione di migliaia di km3 di magma in pochi giorni, con gravi conseguenze sul clima a scala globale.
La figura a sinistra mostra uno schema della struttura profonda del Somma-Vesuvio.
I risultati di uno studio recente (Lucia Pappalardo and Giuseppe Mastrolorenzo, Earth and Planetary Science Letters 296 2010, 133-143),
indicano la presenza a circa 8 km di profondità di una estesa camera magmatica fonolitica (ricca di silice e gas), pronta ad alimentare una eventuale eruzione di qualsiasi tipologia eruttiva, non esclusa quella pliniana.
I risultati di uno studio recente (Lucia Pappalardo and Giuseppe Mastrolorenzo, Earth and Planetary Science Letters 296 2010, 133-143),
indicano la presenza a circa 8 km di profondità di una estesa camera magmatica fonolitica (ricca di silice e gas), pronta ad alimentare una eventuale eruzione di qualsiasi tipologia eruttiva, non esclusa quella pliniana.
La figura a destra invece, mostra l’immagine al
microscopio elettronico a scansione di un campione di ossa di vittima dell’eruzione di Pompei del 79 D.C..
In primo piano sono visibili le microfratture prodotte sulle ossa dal calore della nube ardente.
microscopio elettronico a scansione di un campione di ossa di vittima dell’eruzione di Pompei del 79 D.C..
In primo piano sono visibili le microfratture prodotte sulle ossa dal calore della nube ardente.
articolo pubblicato su hyde park il 2 gennaio 2011.
RispondiEliminahttp://www.rivistahydepark.org/rischio-vesuvio-campania/%E2%80%9Cmerapi-come-il-vesuvio-intervista-al-prof-giuseppe-mastrolorenzo%E2%80%9D-di-malko/