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mercoledì 5 luglio 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: il piano di evacuazione? Da riscrivere... di MalKo


I vertici dell’INGV e dell’osservatorio vesuviano, insieme a dirigenti della protezione civile dipartimentale e regionale e prefettizia con l’aggiunta di qualche sindaco, si sono riuniti il 16 giugno 2023 all’auditorium di Bagnoli Futura a Napoli, per dar vita a un workshop scientifico a tema il rischio vulcanico nei Campi Flegrei. In tale assise è stato annunciato che saranno avviate opere per ampliare il sistema di monitoraggio della già attenzionata e “strumentalizzata” caldera flegrea, che, negli ultimi anni, tra frequenti terremoti a bassa energia e sollevamento del suolo e ancora notevoli emanazioni gassose a ridosso della Solfatara (Pisciarelli), continua a generare molte perplessità e timori nella popolazione che risiede in quella che indubbiamente è una zona rossa ad alta pericolosità vulcanica. Tant’è che il temibile super vulcano dal 2012 è in uno stato di unrest e quindi di allerta gialla che si protrae oramai da oltre dieci anni.

Il vice capo dipartimento della protezione civile, Titti Postiglione, ha dichiarato tra le altre cose, che:<< La partecipazione alla conferenza di oggi anche dei colleghi della Regione e della Prefettura di Napoli, dei Sindaci e tecnici della zona rossa flegrea, è testimonianza di un lavoro di squadra orientato alla prevenzione, che vede un impegno quotidiano in attività di aggiornamento della pianificazione, di formazione e di sensibilizzazione sul rischio”.

Il capo dell’INGV Carlo Doglioni, dal canto suo ha ricordato:<< che la caldera dei Campi Flegrei è oggetto di un monitoraggio continuo multi parametrico e l’attenzione dei ricercatori è massima per scorgere in ogni suo evento anche la più piccola variazione del sistema vulcanico>>.

Per il direttore dell’osservatorio vesuviano, Mauro Antonio Di Vito:<<Il workshop di oggi rappresenta sicuramente un punto fermo da cui partire sempre più velocemente e meglio per il monitoraggio, lo studio e le ricerche sui nostri vulcani ma, soprattutto, sulla caldera dei Campi Flegrei che è tra le più approfonditamente studiate al mondo e che offre spunti e prospettive notevoli per la comprensione della dinamica di vulcani in unrest>>.

In quest’incontro pare che si siano prefissati di individuare i percorsi per migliorare le tecniche e le tecnologie del monitoraggio, presumibilmente già finanziate, per valutare al meglio la pericolosità dei Campi Flegrei. Da questo punto di vista, già in altre occasioni pubbliche nel recente passato, è stata pubblicizzata la buona performance delle miracolose stazioni multi parametriche, che ci sembra di capire che saranno potenziate con altri avamposti da aggiungere a quelli esistenti, nei distretti vulcanici di Ischia, Campi Flegrei e Vesuvio. Tale sistema di rilevamento dati, che si avvale di acquisizione multipla dei valori geofisici e geochimici dallo stesso sito, necessita di posizionamenti poco disturbati dalle attività antropiche e in ogni caso ben collegati alla rete e ai sistemi di energia ausiliaria. Il sistema che integra e collega contemporaneamente le sale operative dell’INGV Roma, dell’osservatorio vesuviano (Napoli) e di quello etneo (Catania), consente di operare pure in memoria virtuale, lavorando su programmi e dati senza interferire con la rete che rimane nel mentre autonomamente gestibile e attiva.

Queste sale operative collegabili in videoconferenza, sembra che abbiano postazioni ubicate pure negli uffici dei dirigenti INGV e del dipartimento della protezione civile, probabilmente per consentire scambi di pareri sui dati visualizzabili da tutti in contemporanea. Presumibilmente questo sistema di collegamento in video e dati delle sale operative, è o sarà reso tra i più affidabili, senza che si corra il rischio di perdere il collegamento nei momenti magari cruciali come possono essere quelli a ridosso di una crisi vulcanica. Sicuramente le attività in videoconferenza, soprattutto nei momenti topici, è probabile che vengano registrate per dare esecuzione ad alcune direttive della presidenza del consiglio, circa la necessità di tracciare e mettere agli atti quello che si dice, che si valuta, così come tutte le decisioni assunte e da chi.

Per quanto riguarda il potenziamento della rete di monitoraggio in area vulcanica campana, si legge che sono state progettate e realizzate nuove stazioni valide per cogliere e registrare i valori sismo tiltmetrici e radonometrici, e che saranno installate in tre siti ubicati a Ischia, al Vesuvio e ai Campi Flegrei, ampliando così e notevolmente la possibilità di captare tra le altre cose, vari tipi di onde sismiche, comprese quelle che caratterizzano i tremori vulcanici. Per l’osservatorio vesuviano, l’utilizzo di stazioni multi parametriche dovrebbe migliorare la precisione del monitoraggio sismico e vulcanico, evitando per il futuro di fare delle figure barbine, come quella che il pregevole ente ha fatto in occasione del terremoto che si verificò a Ischia il 21 agosto del 2017: all’INGV-OV furono necessari quattro giorni per calcolare l’epicentro esatto del sisma, scatenando le critiche innanzitutto da parte di Enzo Boschi, ex presidente INGV, perché quell’epicentro lui l’aveva calcolato subito e a “mano”…

A fronte di cotanta strumentazione, rimane il dato incontrovertibile che l’acquisizione di valori anche multi parametrici e satellitari spinti al livello di apprezzamento micrometrico e molecolare, non risolve il problema della previsione dell’eruzione vulcanica. Quello dei vulcani infatti, è un sistema dinamico molto complesso, tanto che per azzardare una probabilità eruttiva occorrerebbe vagliare con attenzione i dati geofisici e geochimici che hanno caratterizzato innanzitutto le crisi pre eruttive e le eruzioni passate di ogni singolo apparato o distretto vulcanico, in modo da avere una base di partenza comparativa. Con l’Etna e con lo Stromboli, la previsione di eruzione è generalmente approcciabile, per la notevole quantità di dati acquisiti nel tempo su un buon numero di eventi; eruzioni che non solo sono state studiate nei dettagli, ma sono state pure vissute in prima persona dal personale INGV, che ha avuto la possibilità di acquisire pure sensazioni e sensibilità di sicura utilità valutativa. Questo non vale per i vulcani campani che rimangono, soprattutto nel flegreo, al di là delle indagini campali su prodotti protostorici, degli illustri sconosciuti… D’altro canto apprezzare il sollevamento di un millesimo di millimetro in un’area che si solleva a metri, non ha un eccezionale valore previsionistico in quella che è una zona già soggetta per il passato a crisi di tutto rispetto, che, oggi come allora, rimangono insondabili circa l'esito finale delle turbolenze sotterranee che si prestano a qualsiasi tipo di evoluzione. Ad aprile del 1984 fu consigliato a chi poteva di lasciare il centro storico di Pozzuoli, quello a ridosso del mare: terremoti e innalzamento incalzavano pericolosamente. Si fu a un passo dall’allarme generale… Poi passarono le ore e i giorni e tutto rientrò. Questi sono i Campi Flegrei, ma non sempre sarà così.

Un ulteriore incontro informativo sulla caldera dei Campi Flegrei si è tenuto a Pozzuoli il 3 luglio 2023. Erano presenti le massime autorità del dipartimento della protezione civile nazionale e del mondo scientifico a iniziare dall’osservatorio vesuviano e da altri centri di competenza, compreso ACaMIR, l’Agenzia Campana per la Mobilità, le Infrastrutture e le Reti. Ha relazionato pure il Direttore scientifico del Centro Studi Plinivs, chiarendo che la magnitudo massima che può liberarsi nei Campi Flegrei è di 4,5 con ipocentri a 2-4 chilometri di profondità. Con siffatti valori ha affermato l’esperto, il potenziale distruttivo è limitato. Il rappresentante del CNR-Irea invece, ha ricordato che sono 30 anni che effettuano osservazioni con radar interferometrici satellitari sui Campi Flegrei, ad ultimo utilizzando i satelliti Sentinel, confermando che la massima deformazione verticale si misura oggi come allora, al Rione Terra di Pozzuoli.



Non si può non notare che il workshop del 16 giugno 2023 è stato tenuto a Bagnoli, quartiere occidentale di Napoli, luogo simbolo della mancata prevenzione della catastrofe vulcanica, atteso che in questa zona rimangono in galleggiamento pre attuativo importanti progetti votati allo spazio libero, al verde e alla cultura, ma anche alla rigenerazione urbana, comprendente la realizzazione di magioni di pregevole fattura sull’ambitissimo fronte mare. In questo modo si aumenta il numero di residenti nella caldera, assestando un duro colpo a qualsiasi politica votata alla precauzione che intanto non c'è. Finché la politica non instaurerà il divieto di cementificare per scopi abitativi in un’area ad alta pericolosità vulcanica come quella flegrea, la parola prevenzione non è altro che un pourparler, un corpo vuoto votato alla propaganda. Anche i nuovi studi scientifici ampiamente pubblicizzati come quello dell’elasticità e inelasticità della crosta calderica mediamente superficiale, non apportano certezze, ma hanno il solo scopo di affiggere alla bacheca della scienza una ipotesi tra le tante, in attesa dell'eruzione che verrà, che potrebbe confermare o confutare le tesi prospettate che rimangono, ci sembra, eruzione o non eruzione, in un limbo di indeterminatezza …

Alle incertezze della scienza e alla incapacità politica di applicare regole di prevenzione, rimane allora la concretezza dell'azione amministrativa, organizzativa e operativa, votata in tempi di allarme vulcanico, a tutte le modalità per garantire un allontanamento possibilmente ordinato delle popolazioni a rischio dalla zona rossa flegrea (500.000 ab.). Il pragmatico professor Edoardo Cosenza, assessore alle infrastrutture, mobilità e protezione civile del comune di Napoli, forse è l’ispiratore di una gara pubblica per riscrivere i piani di evacuazione per la zona rossa dei Campi Flegrei. Il bando di gara recita testualmente: affidamento del servizio di redazione del piano di esodo comunale per il rischio vulcanico dei Campi Flegrei e delle attività connesse di informatizzazione, partecipazione, comunicazione, monitoraggio, con contestuale aggiornamento del Piano Comunale di Protezione Civile>>. Presumiamo che la riscrittura sia limitata alle municipalità partenopee, anche se l’interconnessione territoriale con il puteolano è di tutta evidenza, considerando tra l’altro, che non pochi cittadini di Pozzuoli attraverso l’evacuazione assistita dovrebbero recarsi all’imbarco dei treni veloci alla stazione centrale di piazza Garibaldi.

Alla domanda di un cittadino sul perché si sceglie di portare i puteolani alla stazione di Napoli e non a quella di Villa Literno, il rappresentante della società ACaMIR, ha risposto che la scelta di piazza Garibaldi è stata dettata dal fatto che è la stazione più vicina dove è possibile utilizzare i treni veloci. Da un punto di vista emergenziale, riteniamo che non sia una scelta saggia quella di indirizzare la popolazione verso Napoli, perché la necessità primaria è quella di garantire innanzitutto l’allontanamento in garanzia dalla zona rossa, e non la rapidità del trasporto attraverso un trasbordo nel luogo più caotico del capoluogo campano.

L’iniziativa del comune di Napoli di riscrivere i piani di evacuazione a fronte del rischio eruttivo ai Campi Flegrei, ci sembra di fondamentale importanza, soprattutto se il capace assessore alla protezione civile individua pure soluzioni viarie strategiche e magari da realizzare in un prossimo futuro. Il bando di gara per garantire un esodo disciplinato delle popolazioni esposte al rischio eruttivo attraverso valutazioni informatiche applicate ai trasporti, scadrà a fine luglio 2023. I tempi operativi per la stesura del nuovo piano saranno misurati in 18 mesi dal momento della firma del contratto. I piani saranno pronti nel 2025. Ci sembra alquanto strano che questa notizia non sia stata diffusa nel workshop di Bagnoli o in quello recentissimo di Pozzuoli. In entrambi i casi le autorità presenzianti avrebbero potuto anticipare questa notizia proveniente da palazzo San Giacomo (Comune di Napoli), magari spiegando pur se con qualche imbarazzo, i motivi che hanno spinto a varare una gara da 150.000 euro per riscrivere dei piani di evacuazione che tutti ritenevano scritti e riscritti da tempo.

La prevenzione del rischio vulcanico ci sembra nel nostro caso argomento beffardo, dimostrato pure dal capitolato di questa gara per la realizzazione dei piani di esodo, che nelle premesse all’art. 2, recita testualmente:<< Il sistema vulcanico flegreo, situato a nord-ovest della città di Napoli, è contraddistinto da una vasta area calderica caratterizzata dalla compresenza di numerosi crateri nonché dalla peculiare aleatorietà legata alla localizzazione delle bocche eruttive. Studi recenti, tuttavia, identificano all’interno della caldera flegrea due aree principali a maggiore probabilità di apertura di future bocche eruttive. L’area a massima probabilità è localizzata grossomodo nella zona di Astroni-Agnano, mentre la seconda area per valori di probabilità è localizzata in corrispondenza di Averno-Monte Nuovo. Accanto a ciò va considerata anche la possibilità di verificarsi di particolari fenomeni esplosivi, noti come esplosioni freatiche, in aree con intensa attività idrotermale (area Solfatara/Pisciarelli), o dove esistano significative disponibilità di acqua superficiale, quali ambienti lacustri (Agnano), laghi intra-craterici (Averno) e mare (Golfo di Pozzuoli)>>.

Chi ha promosso la necessità di riscrivere il piano di esodo (evacuazione) dei Campi Flegrei, con questa premessa, avrebbe dovuto avere alle spalle non poche iniziative volte a proporre innanzitutto una legge regionale che vieti in zona ad alta pericolosità vulcanica come quella flegrea, ulteriori insediamenti residenziali per limitare il numero di abitanti, quale misura necessaria per contenere il valore esposto e con esso la sostenibilità dei piani di evacuazione. Che si continui ad “accatastare” ancora gente su gente in quella che è la caldera di un super vulcano, ci sembra un’azione insensata anche in danno ai posteri che si ritroveranno a vivere dentro una calderopoli. Purtroppo l’impegno dell’amministrazione pubblica è sempre incentrato sulla post catastrofe e non sulla prevenzione della catastrofe che non paga in termini di consenso elettorale. Da tempo vige il concetto che si pensa più a quello che si costruisce che al dove lo si costruisce…

Rimane poi l’ulteriore interrogativo sul perché l’ufficio protezione civile del comune di Napoli ha sentito la necessità di bandire una gara per riscrivere i piani di evacuazione. Sono decenni che si pianifica. A marzo 2023 è stato riproposto pure un - aggiornamento della pianificazione di emergenza a fini dell’evacuazione cautelativa della popolazione dalla zona rossa dei Campi Flegrei – elaborato da ACaMIR. Ora il Comune di Napoli rimette tutto in discussione: perché?

Pragmaticamente, a fronte del lassismo nelle pratiche di prevenzione territoriali, le cosiddette autorità competenti si sono lanciate a peso morto sulla scienza, acchè tiri fuori dal cappello la panacea di tutte le emergenze vulcaniche: la previsione dell’evento, il vaccino capace di guarire dal virus della mancata prevenzione della catastrofe vulcanica. Purtroppo la scienza può solo tergiversare sulla capacità previsionale, esibendo una ingente strumentazione ubicata in tutta l’area occidentale di Napoli, tra l’altro un territorio sotto costante monitoraggio pure dei radar interferometrici satellitari. La precisione dei dati geofisici e geochimici è sicuramente importante, ma ancora di più sarebbero le soglie, i limiti oltre il quale è possibile dichiarare che il vulcano con quelle deformazioni, con quelle concentrazioni chimiche e con quei sussulti sismici, presenta dinamiche pre eruttive nel breve termine. Purtroppo le soglie non ci sono e saranno argomento che tratterà all’occorrenza in tutta fretta la commissione grandi rischi per il rischio vulcanico a porte rigorosamente chiuse, dopo aver sentito i portatori d'interessi a porte aperte...

I piani di evacuazione per un siffatto pericolo vulcanico, dovrebbero essere di semplice interpretazione ed esecuzione, partendo dal principio che anche il meno colto o il meno provveduto di mezzi elettronici fissi e portatili, sappia con una certa precisione cosa fare all’occorrenza. La dirigente del comune di Pozzuoli ha spiegato la bontà del sistema evacuativo comunale, chiarendo che per evacuare alla proclamazione dell’allarme, bisognerà aspettare il turno zonale orario. Nella fattispecie del discorso, accedendo al webgis sul portale del comune di Pozzuoli, si ottiene, inserendo via e numero civico, quando evacuare. Nell’esempio utilizzato dalla responsabile, è uscito la turnazione di allontanamento alla 29esima ora. Occorre precisare che per capire esattamente a che ora andarsene, giocoforza bisogna calcolare 29 ore contandole dopo le 12 ore dalla proclamazione dell’allarme… Ma in queste prime 12 ore è possibile andarsene gambe in spalla ?

                                                                      di Vincenzo Savarese

                                                             

 






venerdì 16 giugno 2023

Rischio Vesuvio: la zona gialla... di Malko


 

Per parlare della zona gialla Vesuvio, occorre premettere che l’eruzione massima adottata per la stesura dei piani di emergenza è di media intensità (sub pliniana), e che i venti in quota soffiano prevalentemente verso est. Con questi presupposti, è stato preventivato la possibilità che oltre alle municipalità della zona rossa 1 (R1), i comuni di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati, che insieme formano la zona rossa 2 (R2), possano essere investiti da una massiccia pioggia di cenere e lapilli con accumuli sui tetti piani anche di notevoli spessori. Con questa prospettiva di carichi accidentali tutt’altro che irrisori, non si può escludere, soprattutto se la pioggia imbibisce il materiale accumulatosi appesantendolo, che si verifichi lo sprofondamento dei solai di copertura, soprattutto in danno dei fabbricati più datati, che potrebbero cedere rovinosamente su quelli sottostanti che a loro volta e per somma dei carichi, sprofonderebbero ulteriormente e fino al piano terra.

La zona rossa 2 (R2), pur avendo come pericolo la pioggia di cenere e lapilli e presumibilmente non le micidiali colate piroclastiche associate invece alla R1, ha una colorazione rossa e non gialla, perché è soggetta alla stregua della zona rossa 1, all’evacuazione preventiva e totale degli abitanti, qualora dovesse palesarsi la minaccia eruttiva. 

Zona rossa 1, zona rossa 2, zona gialla



Il fall out di materiale piroclastico sciolto che andrebbe a ricadere come dicevamo, molto probabilmente e per ampio angolo a est del Vesuvio, avrebbe una intensità fenomenologica rapportata alla distanza dal centro eruttivo, alla velocità del vento che assottiglierebbe la scia dispersiva, oltre naturalmente alla quantità di materiale piroclastico eruttato. Quindi, oltre al pericolo di crollo dei tetti, nella rossa 2, occorre tener presente che potrebbe verificarsi oscurità, perdita di orientamento, probabile spegnimento dei motori, difficoltà di transito su gomme e a piedi, e il possibile blocco delle porte che aggettano sul piano stradale. Inoltre, la cenere aspersa in atmosfera, creerebbe fastidio alla respirazione con irritazione alla gola e agli occhi soprattutto in danno di vecchi e bambini, per la componente vetrosa e acida contenuta nelle polveri vulcaniche: Plinio il vecchio morì per questo motivo sulle spiagge di Stabia nel 79 d.C.  In siffatte condizioni sarebbe proibitivo qualsiasi intervento aereo di soccorso a mezzo elicotteri, perché in un ambiente pervaso dalla cenere, i motori (turbine) cesserebbero di funzionare, così come il forte potere abrasivo del prodotto siliceo strierebbe pure il plexiglas o anche altre trasparenze della cabina di pilotaggio dei velivoli, portando la visibilità a una condizione critica per la sicurezza del volo. Anche gli autoveicoli potrebbero subire il blocco dei motori per intasamento dei filtri, e in tutti i casi la circolazione su alcune diecine di centimetri di cenere e lapilli sarebbe ugualmente problematica soprattutto per i veicoli a dure ruote e per le auto e mezzi pesanti, ancor di  più in una condizione di traffico caotico e di insofferenza all'attesa.



Nella zona gialla, quella oltre zone rosse con estensione asimmetrica, così come si evidenzia facilmente dalla cartina, non è prevista all’occorrenza e in prima battuta una evacuazione preventiva, ma è una opzione quest'ultima che gli esperti intendono attuare dopo aver valutato con eruzione in corso i settori maggiormente vulnerabili su cui precipita la maggior parte dei lapilli e della cenere scagliati in aria dal vulcano e veicolata dal vento.  Le valutazioni che dovrebbero essere velocissime, perchè veloce è la velocità di deposito dei piroclasti,  verrebbero assicurate dal dipartimento della protezione civile, che si avvarrebbe della consulenza della commissione grandi rischi, e di una direzione di comando e controllo operativo (DiComac) per l'attuazione delle direttive. 

Tecnicamente parlando però, l’opzione di valutare con eruzione in corso i settori della zona gialla da evacuare, dovrebbe presupporre come condizione indispensabile che le popolazioni ubicate in zona rossa siano già state evacuate. Diversamente, l’organizzazione emergenziale potrebbe imballarsi immediatamente, per le diverse condizioni di urgenza e di strategia che caratterizzano i territori rossi e gialli della plaga vesuviana. Anche nel flegreo sussiste la stessa condizione strategica basata sulla certezza della previsione di eruzione, che scientificamente invece, rimane perlopiù incerta...

La zona gialla, composta da 63 comuni, è evincibile dalla mappa contenuta in questo articolo, che riporta i limiti territoriali delle varie comunità interessate. Nella stessa cartina è riportata pure la curva di isocarico, una curva chiusa che circoscrive l’area dove è possibile che sui tetti possa accumularsi un deposito di cenere e lapilli anche superiore ai 30 centimetri, e quindi prossimo o superiore al peso di 300 chilogrammi al metro quadrato. In caso di eruzione, il vulcano proietterebbe in alto i prodotti piroclastici per alcune decine di chilometri, con quelli meno pesanti che diverrebbero preda dei venti e trasportati per distanze anche di migliaia di chilometri. Le ceneri micrometriche infatti, permanendo in aria per lungo tempo, potrebbero provocare nei casi di massima diffusione del prodotto, transitorie variazioni climatiche.

Nella zona rossa 1, quella che circonda e racchiude il cratere sommitale del Vesuvio, tutte le manifestazioni vulcaniche possono concentrarsi a iniziare dalle micidiali nubi ardenti; ma anche lahar, lave e poi le intense precipitazioni di cenere e lapilli e altri tipi di scorie più o meno pesanti, tra le quali pure le bombe vulcaniche. Nella zona rossa 1 non è possibile portare soccorso con eruzione in corso.

Vesuvio: bomba vulcanica ricoperta dal lichene Stereocaulon vesuvianum

                                                               di Vincenzo Savarese
                                                             





lunedì 5 giugno 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: si "gioca" al buio? di MalKo

La bocca del Vesuvio


Anche nel nostro democraticissimo Paese, nel merito del rischio eruttivo legato al Vesuvio e ai Campi Flegrei, non sono pochi quelli che si appellano agli utenti del web, affinché le informazioni che intendono reperire e riproporre online sul pericolo vulcanico, debbano essere solo quelle diffuse dalle istituzioni competenti.  In altre parole, è netta la sensazione che le notizie che devono circolare devono essere preferibilmente uni canale e soprattutto non devono stigmatizzare o criticare le strategie governative di tutela fin qui adottate. Queste ci sembrano  inoppugnabilmente  zoppe di prevenzione, e fragili operativamente parlando. Tant’è…  

Nei mesi un po’ “ballerini”, litosfericamente parlando, che precedettero il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, un tecnico dei laboratori di fisica del Gran Sasso, Giampaolo Giuliani, allarmò la popolazione profetizzando sulla base della concentrazione di radon che metodicamente misurava, l’arrivo di un sisma a forte intensità entro una settimana. La previsione creò apprensioni nella popolazione, e infastidì non poco la compagine governativa del fare. In quel periodo la protezione civile di Bertolaso, vero deus ex machina del governo Berlusconi, era impegnata e non poco anche su cose non attinenti calamità ed emergenze, come l’organizzazione del G8 alla Maddalena.

Dal centro romano, pensarono di acchetare le preoccupazioni degli aquilani inviando precipitosamente la commissione grandi rischi nel capoluogo abruzzese che, il 31 marzo del 2009, in un veloce e aperto consesso escluse che i frequenti sismi potessero precludere la strada a un terremoto a forte energia. Sembra che gli accademici arrivarono lì non tanto per indagare e valutare la pericolosità sismica, ma piuttosto per stroncare scientificamente e istituzionalmente Giuliani, reo di generare preoccupazioni che si traducevano in continui appelli del sindaco Cialente al dipartimento di Bertolaso, per ottenere  pareri se non istruzioni sul da farsiIl tecnico del centro di ricerca astroparticellare intanto, dopo la riunione degli esperti fu denunciato da Guido Bertolaso per procurato allarme.

La storia delle catastrofi sismiche ci ha consegnato all’indomani del terremoto dell’Aquila, una commissione grandi rischi, massima espressione scientifica del nostro Paese, letteralmente azzoppata. Del collegio facevano parte 6 luminari, che supportarono con mezze frasi e silenzi Bernardo De Bernardinis, il settimo della gita, vice capo dipartimento della protezione civile, che lasciò intendere la sera del 31 marzo 2009 in una conferenza stampa, quest'ultima forse vero obiettivo della missione, che non c’erano particolari motivi di allarme e che il perdurare della moderata sismicità avrebbe addirittura evitato l’accumulo di grosse e pericolose energie.  

Purtroppo, il terremoto, quello forte, nonostante le rassicurazioni si presentò il 6 aprile 2009 mietendo 309 vittime: all’Aquila andò di scena in una settimana la farsa e il dramma…  Nel libro “Tranquilli” di Alberto Orsini, è riportata la testimonianza dell’esperto dell’INGV, il dirigente di ricerca Marzocchi, che ebbe a dichiarare alcune cose importanti soprattutto se le si attualizzano:<< ancora oggi studiando quella sequenza sismica, ha ammesso, non riesco a vederci niente di differente rispetto a tante altre che ci sono state anche dopo e che non hanno portato a eventi come quelli dell’Aquila>>. Su un'altra domanda Marzocchi ammette: << purtroppo, impariamo molto solo dopo questi tipi di disastri. Un dovere etico è cercare di acquisire il maggior numero di informazioni quando succedono>>. Il ricercatore dell'INGV, è stato uno degli esperti che ha elaborato statistiche per assegnare percentuali probabilistiche alla tipologia eruttiva delle future eruzioni che verranno nel vesuviano e nel flegreo. In ultima analisi, da queste valutazioni si è poi giunti alla determinazione dell’eruzione di riferimento (media), e quindi alla vastità delle zone rosse attuali. 

Statistica stile eruttivo Campi Flegrei


Gli scienziati della commissione grandi rischi furono condannati per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia. Furono poi assolti negli altri due gradi di giudizio, ad eccezione di De Bernardinis, vero compagno B, che non riuscì a scrollarsi di dosso una condanna a due anni. Il solerte vice capo dipartimento infatti, fu giudicato colpevole perché in quei frangenti esercitava un ruolo operativo e non consultivo come quello degli scienziati. Il vice di Bertolaso fu ritenuto responsabile della fallace informazione, avendo i giudici trovato il nesso causale tra le sue rassicurazioni e i circa 30 decessi causati dal violento sisma. Il mondo scientifico allora, come dicevamo, avendo un ruolo prettamente consultivo, risultò a prescindere non colpevole, anche perché a posteriori si confutò che non c’era il carteggio necessario per classificare quella riunione come un reale consesso della commissione grandi rischi. Una commissione fasulla insomma… che tra l'altro dibattette a porte aperte mentre per le decisioni occorrono le porte chiuse, come ci ha ricordato due anni fa il referente attuale della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, vantando nell’intervista anche l’imparzialità del consesso scientifico... 

Dal 2009 in poi,  la stampa e i media in generale, si schierarono prevalentemente contro il tribunale dell’Aquila, per aver condannato la commissione grandi rischi, rea secondo i togati, di aver fornito imprecise, incomplete e contraddittorie informazioni sulla pericolosità dell'attività sismica. Le parole d’ordine dei supporters della commissione furono sempre le stesse: non si prevede un terremoto e non si attacca la scienza come si fece con Galilei… In realtà il contendere sorse proprio sulla inoppugnabile verità che i terremoti non si prevedono: ma a furor di logica vale anche il concetto che non si possono escludere.

In alcuni procedimenti civili tenutisi nelle aule di giustizia dell'Aquila, una giudice dichiarò corresponsabili 24 vittime del terremoto che usarono una condotta ritenuta irresponsabile, attardandosi a permanere nelle abitazioni dopo un paio di scosse più intense del solito. La Presidenza del Consiglio dei ministri in tutti i casi e di contro, è stata chiamata a risarcire i familiari di alcune decine di caduti, perché queste rinunciarono a mantenere abitudini prudenziali, in ragione delle rassicurazioni che furono improvvidamente date nella conferenza stampa del 31 marzo 2009.

C’è da chiedersi, in caso di catastrofe vulcanica e a proposito dei risarcimenti, che pesi e che misure verrebbero presi per il vesuviano e il flegreo sulle costruzioni difformi o abusive, anche alla luce dei fatti dell’Aquila e aggiungiamo di Ischia. Per il Vesuvio e come più volte abbiamo ricordato, c’è un’apposita legge (L. Reg. Campania 21/2003) che classifica la zona rossa come ad alta pericolosità vulcanica, e che vieta in questo perimetro la costruzione di fabbricati ad uso abitativo, così come ogni altro intervento sull’edificato capace di aumentare il numero dei residenti nell’omonima plaga. All’interno della zona rossa flegrea invece, lo Stato incredibilmente pur classificando la caldera come zona ad alta pericolosità vulcanica, non ha imposto divieti all’urbanizzazione, e quindi all’aumento del numero dei residenti. Quale futuribile giustizia civile nelle zone rosse?

Nei Campi Flegrei i cittadini preoccupati dal potenziale rischio eruttivo, dal bradisismo e dai sismi che in parte ne derivano, sono stati rassicurati in qualche misura dalla compagine operativa del dipartimento della protezione civile, così come dall’omologo ufficio regionale. I due uffici infatti, hanno escluso qualsiasi evacuazione - con eruzione alle spalle – dando così per certa la previsione dell’eventuale evento vulcanico in tempo utile per mettersi in salvo. Alla stregua dei fatti dell'Aquila, tali rassicurazioni in quanto operative e in analogia a quelle profferite quattordici anni fa da De Bernardinis, sono valutabili probabilmente pure sotto vari profili se dovessero malauguratamente rivelarsi fallaci. 

Comitato Operativo Protezione Civile - Roma -


La situazione nei Campi Flegrei è complessa, e in assenza di fattori deterministici, tutte le opzioni e le tesi legate al rischio vulcanico hanno diritto di accreditamento. Da un certo punto di vista tecnico, sussiste la necessità di lavorare anche sull'incertezza accorpando le varie ipotesi possibili. Quindi, in assenza di previsioni matematicamente inconfutabili, dobbiamo supporre tre possibilità di accadimenti nel merito del rischio vulcanico, almeno fino a quando non ci saranno congetture che lasciano prevalere una ipotesi sull’altra. Gli eventi sono allora così suddivisibili: 

  1. Abbiamo una probabilità del 33,33 % che nel flegreo venga diramato un falso allarme eruttivo. 
  2. Abbiamo una probabilità del 33,33 % che nel flegreo venga diramato con successo un allarme eruttivo in linea con i tempi necessari all’evacuazione. 
  3. Abbiamo una percentuale del 33,33% che nel flegreo si possa assistere a un mancato   allarme o più verosimilmente a un tardivo allarme eruttivo.

Possiamo riassumere generalizzando, che abbiamo il 66,66 % di probabilità di non essere coinvolti direttamente in un'eruzione, ma in una procedura evacuativa sì. Il Dipartimento della protezione civile invece, questa percentuale a torto o a ragione l'ha innalzata a valori prossimi al 100%.  

Prendendo in considerazione la terza ipotesi comprensiva del tardivo allarme, dobbiamo tener presente. a voler rimanere nel campo aritmetico, che siffatta eventualità, teoricamente,  comporterebbe un grave deficit quantificabile nell'esposizione involontaria di circa 8000 cittadini per ogni ora di ritardo evacuativo sulle 72 ore previste. Una soglia, questa dei tre giorni, che gli strateghi hanno calcolato analizzando i flussi di traffico dimensionati alla viabilità attuale. I piani di evacuazione ci sembrano assemblati con fragilità operative, come quelle che assegnano un orario per evacuare in auto o un orario per essere recuperati nelle aree di attesa da navette dicono comunali. Problema questo dell'evacuazione su appuntamento, che se non venisse rispettato all'occorrenza,  farebbe ricadere la responsabilità di un eventuale insuccesso evacuativo sulle spalle degli  evacuabili, e non sul sistema appunto aritmetico messo in campo puntando sulla certezza della non eruzione e della non percepibilità dei prodromi pre eruttivi. 

Criticità sono pure la mancata individuazione della zona rossa 2, così come la decisione di evacuare dal puteolano in direzione del centro di Napoli ci sembra azzardata, perchè la soluzione individuata richiederebbe ancora una volta la certezza della persistenza di una quiete vulcanica. Il successo del piano di evacuazione riteniamo che sarà sicuramente subordinato nella sua esecuzione, alla percezione da parte della popolazione dei prodromi pre eruttivi: se questi dovessero incalzare scoppierebbe il panico incontrollabile; se la popolazione riceverebbe l'ordine di evacuare ma senza che nulla verrebbe percepito dai sensi, l'allontanamento dal flegreo avverrebbe certamente con apprensione, ma sostanzialmente in una condizione moderatamente caotica ma forse gestibile…

Per il futuro sarà necessario forse mantenere vigile l’attenzione sul connubio  tra il mondo della scienza e la politica per non ripetere gli errori dell’Aquila: se la commissione grandi rischi si riunisce per decidere sulla protezione dei cittadini, assicuratevi in prima battuta che il numero degli accademici è legale e che gli atti cartacei siano in regola con timbri e firme. Il verbale va stilato al termine della riunione e non dopo l'evento calamitoso. Un ulteriore insegnamento ci proviene dai ruoli: rimanendo ai Campi Flegrei e al Vesuvio, l'osservatorio vesuviano, ente scientifico e di sorveglianza vulcanica, può esprimere pareri non vincolanti sulla pericolosità. Gli organi di protezione civile invece, e soprattutto il dipartimento della protezione civile, atteso che l'emergenza vulcanica come i piani di emergenza sono stati considerati di interesse nazionale, hanno piena responsabilità su quello che dicono e dispongono. I limiti di competenza li ha stabiliti con le sentenze la corte d'appello e di cassazione, lì all'Aquila... 

Marzocchi ha espresso il parere che le grandi catastrofi insegnano: nei Campi Flegrei l'ultima grande eruzione è anteriore al modesto evento del 1538: indi, valutati i tempi ultra secolari, nel flegreo si gioca e si decide al buio...

                                                               di Vincenzo Savarese
                                                             







mercoledì 10 maggio 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la caldera dei forse... di Malko

 

Nisida

Nei Campi Flegrei c’è timore per un certo intensificarsi degli eventi bradisismici e sismici con qualche evento in più e più avvertibile dalla popolazione, soprattutto nel comune di Pozzuoli che rimane il fulcro dell’unrest vulcanico. I responsabili regionali e nazionali della protezione civile, hanno sempre detto che non bisogna mai immaginare una situazione in cui si fugge con alle spalle l’eruzione che ci insegue… Premesso che i medesimi accedono alle notizie oltre “porte chiuse” rilasciate dalla commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, bisognerà, a prescindere, dargli credito. D’altra parte l’alternativa che rimane è avere una borsa pronta dietro la porta, in modo da prendere il largo nel momento in cui la nostra percezione segnala pericolo, con o senza il parere illuminato delle istituzioni competenti. Questo vale soprattutto per chi ha una casa grande o piccola al mare o in montagna o in campagna. Diversamente, bisognerà attendere la prima chiama del pre - allarme, dove lo Stato, per chi decide di andarsene prima dell'allarme generale, assicurerebbe con una tempistica sconosciuta, un contributo di autonoma sistemazione.

Il dato che purtroppo regna inequivocabilmente sovrano, è che siamo di fronte alla geologia dei forse… Forse il bradisismo è l’antefatto dell’eruzione; forse il sollevamento del suolo è strettamente legato agli acquiferi surriscaldati; forse è il magma che sale; forse la verità sta nel mezzo col magma che s’intrufola verso l’alto e l’acqua che scende in abundantia sfruttando le nuove fratturazioni nel basamento crostale locale: tutto è possibile, quindi nulla è certo.

A fronte dei forse, c’è la certezza che bisognerà fare il possibile per andare via prima dell’eruzione, magari improvvidamente rimanendo impegolati in un falso allarme. Guai a criticare il falso allarme però, perché è sempre meglio del mancato allarme. L’ideale sarebbe una previsione che anticipi almeno di tre giorni l’insorgenza di una eruzione: nulla ci porta ad escludere questo tipo di successo previsionale che all’occorrenza si auspica.

Il piano di emergenza e quindi di evacuazione, è stato da qualche mese aggiornato e le autorità di protezione civile si sono assunte l’impegno di spiegare alle popolazioni insediate nella caldera, cosa è cambiato di questo piano, e quali sono le istruzioni attuali per allontanarsi dal pericolo eruttivo attraverso nuovi percorsi.

I dirigenti Luigi D'angelo del DPC e Italo Giulivo della Regione Campania 

Quello che invece ci sembra strano da parte della commissione grandi rischi, e che, pur costituita da scienziati di alto livello, pur avendo per funzioni competenze anche dal punto di vista della prevenzione delle catastrofi, nessuno di loro apre bocca sulla mancata istituzione del divieto di costruire in senso residenziale nella zona rossa dei Campi Flegrei. Nel vesuviano si ebbe il coraggio di varare una legge anti cemento: la legge regionale 21/2003 a firma di Bassolino, che vieta qualsiasi costruzione ad uso abitativo nella zona rossa, per non incrementare il valore esposto in un ambito territoriale ad alta pericolosità vulcanica. Fu chiaro sull’argomento un ex assessore regionale alla protezione civile, noto ingegnere, che seguì l'asimmetrico allargamento amministrativo della zona rossa Vesuvio, che non ci sembra di totale garanzia per tutti. Questi disse che per rendere applicabili nei Campi Flegrei i disposti già varati per la zona rossa Vesuvio con la legge 21/2003, non bastava agire richiamando per similitudine la classificazione di territori ad alta pericolosità vulcanica per imporre divieti, bensì occorreva una legge ex novo mirata e ad vulcano… Nel frattempo, nel comune di Pozzuoli pare si licenzino sanatorie edilizie corredate dalle ricevute degli oboli versati, e da perizie tecniche attestanti che la costruzione da sanare non guasta il panorama ed è antisismica.  Una bella garanzia quella ottenuta con ferro e calcestruzzo, che non soddisfa però, tutte le esigenze di protezione connesse ad una zona vulcanica con abitati che saranno pure antisismici, ma posizionati all’interno della caldera del super vulcano, in mezzo a una quarantina di bocche monogeniche.

Occorre dire che la resistenza strutturale dei fabbricati alle sollecitazioni orizzontali e verticali provenienti dal sottosuolo, è molto importante in un’area sismica, ma la loro utilità non è onnicomprensiva, e cessa nel momento in cui si presenta l'evento eruttivo. Infatti, nei Campi Flegrei si temono, nel corso di una possibile eruzione, la formazione di nubi ardenti. Questo fenomeno insito nelle eruzioni esplosive, consiste in un flusso di gas e materiale magmatico di svariate misure espulse dal vulcano, che avanza anche per chilometri con una temperatura globale dell’ammasso che oscilla intorno ai 500° Celsius. Di conseguenza, la costruzione antisismica ci difende sì dalle scosse litosferiche, ma non da quei fattori dinamici e termici che rappresentano il pericolo principale legato alle nubi ardenti.  I trecento ercolanesi che trovarono rifugio in un magazzeno sulla spiaggia per proteggersi dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. furono raggiunti dalle nubi ardenti, che determinarono l’immediata evaporazione dei fluidi corporei e in più di qualche caso l’esplosione dei crani.

In caso di minaccia eruttiva allora, occorrerebbe proteggersi allontanandosi dall'area in anticipo sulle dirompenze ed è la migliore delle soluzioni; nell'impossibilità, occorrerebbe proteggersi in un bunker dal profilo aerodinamico arrotondato e chiuso sul fronte vulcano: una piccola apertura dal lato opposto per verificare se sussistono le condizioni per un cessato allarme. Fu proprio una costruzione simile, una prigione semi interrata, che salvò dagli effetti delle colate piroclastiche del vulcano la Pelèe in Martinica, il condannato Augusto Ciparis, anche se si ustionò gravemente.  I suoi 30.000 concittadini morirono tutti. Intanto pur volendo non possiamo cogliere il suggerimento che ci proviene dalla storia di Ciparis, in quanto non siamo in grado di determinare in anticipo che orientamento dare al bunker, perché nella caldera flegrea non c’è la certezza sul dove possa generarsi il punto eruttivo. Circa 3800 anni fa, in questo distretto, e non è stata l'unica volta, si aprirono due bocche eruttive a 5,4 chilometri di distanza l’una dall’altra: una pluralità che assomma i problemi ai forse.

I vulnus che accompagnano il piano di emergenza vulcanica ai Campi Flegrei, sono da ricercarsi pure nella mancata determinazione della zona rossa 2, cioè quella fuori portata delle nubi ardenti, ma in piena vulnerabilità alla pioggia di cenere e lapilli.

Zona Rossa 1: Nubi ardenti - Zona rossa 2: pioggia intensa cenere e lapilli -
Zona gialla: pioggia di cenere e lapilli.

Premesso che anche per i Campi Flegrei i venti dominanti in quota spirano generalmente verso est, tutto ciò che sta oltre la collina di Posillipo e per diversi chilometri, quindi parliamo di alcuni quartieri storici di Napoli, potrebbero essere "bombardati" massicciamente dai prodotti piroclastici sciolti emessi dalla o dalle bocche eruttive. I problemi dettati dalla cenere e dai lapilli, potrebbero essere molto seri intanto per i cittadini esposti che avrebbero necessità di ripararsi subito, e poi per alcune infrastrutture come il porto e la stazione ferroviaria centrale e l'aeroporto di Capodichino per dirne qualcuna, che andrebbero in tilt. Anche i palazzi sarebbero pericolosamente esposti, soprattutto quelli con carenze strutturali e tetti piani. Il pericolo avrebbe una sua intensità rapportata alla posizione del punto eruttivo e dalla taglia del fenomeno così come la direzione dei venti predominanti che soffieranno sui Campi Flegrei nel momento dell’insorgere del fenomeno, segnando i territori a rischio.

Ci sembra opportuno chiedere un parere al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore all'Osservatorio Vesuviano, che ringraziamo per il contributo.
Professore: il sottosuolo Flegreo è un concentrato di forse?

E' proprio così! Come evidenzio da anni, a fronte di raffinati modelli e interpretazione dei dati rilevati dai sistemi di monitoraggio e dagli studi vulcanologici e magmatologici, non disponiamo di alcuna certezza sull'assetto profondo e superficiale del sistema vulcanico dei Campi Flegrei, sulla sua possibile evoluzione e sui processi che possono condurre ad una eruzione. Il sistema vulcanico è intrinsecamente un sistema complesso, e come tale è un sistema imprevedibile.

Di fatto, anche se conoscessimo i valori di tutte le possibili variabili responsabili dell'evoluzione del sistema, non saremmo comunque in grado di prevedere un'eruzione; in realtà, a fronte dei notevoli sviluppi della ricerca, le nostre conoscenze sono ancora estremamente limitate, e la comunità scientifica dovrebbe segnalarlo.

I limiti della scienza dovrebbero essere sempre dichiarati alle collettività esposte a rischi, nel nostro caso eruttivo, per non indurle nell'infondata e pericolosa convinzione, che i vulcanologi conoscano adeguatamente lo stato del sistema e le sue modalità di evoluzione verso un'eruzione, analogamente a quello che succede in meteorologia, con gli esperti  che riescono il più delle volte a descrivere e prevedere il tempo atmosferico.

Per i Campi Flegrei, a parte le generiche descrizioni dell'eruzione del Monte Nuovo del 1538, non disponiamo di alcuna esperienza riguardo gli eventi eruttivi ed i fenomeni che li hanno preceduti, contrariamente ad altri contesti vulcanici come l'Etna o lo Stromboli.

Per l'estrema, possibile variabilità dei processi responsabili di un evento eruttivo, anche se disponessimo di dettagliate osservazioni su decine di eventi, la previsione risulterebbe comunque inaffidabile. Di fatto, come osservato in numerose eruzioni verificatesi nel mondo negli ultimi decenni, i successi nella previsione degli eventi, sia in termini temporali di tipologia e di scala, così come gli effetti associati, sono risultati scarsi. Le conseguenze sono state fughe disperate ed estensione delle zone rosse in corso di eruzione, come successe durante l'eruzione del Monte Merapi nel 2010. Piani di emergenza accurati ed esercitazioni con il coinvolgimento della popolazione, ci sembra al momento la strada da perseguire  per mitigare il rischio.

Ringraziamo il Professor Mastrolorenzo. 

                                                          di Vincenzo Savarese

                                                             




lunedì 8 maggio 2023

Rischio Vesuvio: le zone rosse 1 e 2 e gialla e blu... di Malko

Vesuvio da sud




Un giorno di un futuro lontano o lontanissimo, il Vesuvio darà origine a una eruzione presumibilmente dal taglio esplosivo. Quanto potrà essere problematica questa eruzione la cui intensità può essere nell’odierno solo stimata, lo si può dedurre dall’ampiezza che gli scienziati hanno assegnato alla zona rossa. La zona rossa infatti, è quella parte di territorio vulcanico che dovrà essere sgomberato all’occorrenza e necessariamente da tutti gli abitanti prima che si manifestino possibili dirompenze esplosive, con l’invasione delle micidiali colate piroclastiche e la massiccia ricaduta di cenere e lapilli.

La commissione grandi rischi, organo scientifico che assicura la consulenza al dipartimento della protezione civile, ha ritenuto congrua la zona rossa scientifica circoscritta dalla linea nera Gurioli. Trattasi di un segmento curvilineo ricavato da indagini campali e che, circoscrivendo il vulcano, formalizza di fatto i punti di massima propagazione dei flussi piroclastici in seno alle passate eruzioni sub pliniane. Questa zona è stata poi ampliata amministrativamente ma non con logiche omogenee di protezione e di prevenzione della catastrofe vulcanica.

Linea nera Gurioli

Partendo dal principio che ciò che è successo nel passato può succedere anche nel futuro con un’eruzione inferiore o di pari intensità a quella di riferimento, il cammino dei flussi piroclastici potrebbe avvenire entro la linea nera che in ogni caso non può ritenersi un limite di sicurezza. Partendo da questa premessa, illustriamo le caratteristiche delle 4 zone di pericolo che interessano il Vesuvio.

Zona rossa 1. Ebbene la zona rossa 1 definita ad alta pericolosità vulcanica, è quella invadibile dalle colate piroclastiche. Queste si concretizzano nel momento in cui la colonna eruttiva collassa per perdita di spinta e per effetto della gravità precipita sui fianchi del vulcano, per poi continuare la corsa per chilometri, travolgendo e distruggendo ogni cosa al suo passaggio. La micidialità di questo fenomeno è racchiusa non solo nel dinamismo dell'ammasso, ma anche dalla temperatura di circa 500° C. che caratterizza il miscuglio roccioso e gassoso in movimento. Un certo numero di vittime dell’eruzione del 79 d.C. persero la vita per gli effetti meccanici delle colate e quindi mai più ritrovati. I circa 300 ercolanesi che trovarono rifugio in un magazzeno sulla spiaggia, furono raggiunti all’interno del ricovero dalla parte più leggera della valanga piroclastica, quella gassosa e pregna di sottile cenere, che a causa delle elevate temperature cagionò l’evaporazione istantanea dei fluidi corporei, che in taluni casi comportò l’esplosione dei crani e la rottura delle ossa per shock termico. Ecco: la linea nera rappresenta le distanze percorse dai flussi piroclastici riconducibili alle eruzioni sub pliniane che si verificarono nel passato: l’ultima nel 1631. A fronte di questo pericolo, in caso di allarme nella zona rossa 1 si procederà necessariamente all’evacuazione di tutti gli abitanti.

Zona rossa 2. Questa zona intermedia ubicata tra la zona rossa 1 e la zona gialla, si caratterizza perché in caso di eruzione verrebbe letteralmente "bombardata" da una intensa pioggia di cenere e lapilli con una intensità tanto maggiore quanto minore è la distanza dal centro eruttivo. Questi prodotti piroclastici si andrebbero a depositare sui tetti piani dei fabbricati posti sottovento al Vesuvio, determinando in molti casi lo sprofondamento del solaio di copertura e, con effetto domino, pure di quelli sottostanti.

Nel caso del Vesuvio, gli esperti hanno individuato la zona rossa 2 nei territori ubicati da est nord est a est sud est, oltre la zona rossa 1, perché la statistica dei venti dominanti indica in quella direzione il prevalente fluire ventoso che interessa e passa sulla vetta del vulcano. La zona rossa 2 riguarda i territori dei comuni di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati. In caso di allarme eruttivo, alla stregua della zona rossa 1, tutti i cittadini devono evacuare. Questo perché la cenere porta oscurità, arresto dei motori, problemi nei trasporti, ma principalmente irritazione agli occhi e difficoltà di respirazione soprattutto per vecchi e bambini. Gli ammassi di cenere e lapilli potrebbero bloccare pure l’apertura delle porte che si aprono sul piano stradale. D’altro canto anche i soccorritori tecnici e sanitari coi loro mezzi, avrebbero serie difficoltà a muoversi in questo settore con eruzione in corso.

Zona Gialla. La zona gialla è quella che circonda il Vesuvio oltre le zone rosse, e presenta estensioni molto variabili e particolarmente incidenti nel primo e secondo quadrante col vulcano come centro mappale. Trattasi di territori dove la pioggia di cenere e lapilli ha una intensità decrescente con l’aumentare della distanza dal centro eruttivo. La necessità di evacuare alcuni settori della zona gialla, sarebbe oggetto di valutazione da fare con eruzione in corso.  L’evacuazione non avverrebbe fuori dalla regione Campania, perché si presume che i cittadini allontanati rientrerebbero al termine dell’eruzione col ripristino di un minimo di servizi essenziali. I comuni interessati e caratterizzati dal colore giallo sono 63 e sono quelli riportati nella cartina sottostante.

 

Plaga vesuviana: pericoli e zone

Zona blu. La zona blu è quella parte di territorio della plaga vesuviana ubicata a nord del Vesuvio. Detta anche conca di Nola, in caso di eruzione in questo comprensorio appena depresso e rappresentato in figura coi confini comunali colorati in celeste, possono presentarsi fenomeni di alluvionamento diffuso con altezza delle acque che potrebbero superare i due metri. Tra l’altro la zona blu è pure zona gialla, e quindi la caduta di cenere favorirebbe l’impermeabilizzazione dei suoli, accrescendo la persistenza delle acque.

In conclusione, i flussi piroclastici o anche colate o nubi ardenti, sono un fenomeno che al Vesuvio caratterizzano eruzioni sub pliniane e pliniane. Gli esperti della commissione grandi rischi hanno escluso statisticamente e per i tempi di quiescenza, che possa concretizzarsi un’eruzione pliniana, e quindi non ci sono direttive per fronteggiare una siffatta calamità vulcanica qualora si materializzasse. Diciamo pure che lo stile eruttivo è l’incognita più grande che grava sui piani di emergenza, così come la previsione corta del momento dirompente…

Per quanto riguarda il fenomeno della pioggia di cenere e lapilli, questo è un pericolo insito in eruzioni di tipo ultra stromboliano (VEI3), sub pliniano (VEI4) e pliniano (VEI5). Il VEI è l’indice di esplosività vulcanica.

Non è da escludere che non sono particolarmente garantite le tre municipalità di Napoli: San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli, perché su un totale di 112.765 residenti, è prevista l’evacuazione in fase di allarme di soli 38.401 abitanti. Di fatto sarebbero quelli posizionati oltre linea nera verso il vulcano.  Lo stesso dicasi per il Comune di Volla che confina in modo tangente con la linea nera che non è un limite di pericolo. Il comune di Sarno per posizione geografica doveva rientrare nella zona rossa 2. Il Comune di Portici, Ercolano e Torre del Greco, sono quelli leggermente più svantaggiati in caso di evacuazione, perché in auto o anche a piedi, dovrebbero in tutti i casi muoversi in modo secante rispetto al Vesuvio.  Il piano di emergenza Vesuvio, è bene ricordarlo, è pur sempre una mediazione, frutto di logiche le cui filosofie si basano sulla probabilità statistica e sui concetti costi - benefici.

                                                            di Vincenzo Savarese
                                                             


martedì 2 maggio 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: somma di pericoli? di MalKo



Spianata di Bagnoli (Napoli)

                                                            

Nelle ultime settimane ai Campi Flegrei si è avvertita una certa recrudescenza degli eventi simici: molteplici ma a bassa intensità. I terremoti hanno generato  apprensione nella popolazione, e soprattutto in quei cittadini che seguono con motivato interesse l’evolversi dei fenomeni bradisismici: In tutti i casi senza allarmismi particolari. Del resto ci si abitua a tutto…

Nella settimana dal 17 al 23 aprile 2023, riferisce l’osservatorio vesuviano, nell’area dei Campi Flegrei sono stati localizzati 67 terremoti, di cui il più intenso è stato di Md 2,2. Il rigonfiamento dei suoli registrato alla stazione GPS del Rione Terra, è stato di circa 102 cm. a partire da gennaio 2011.  Per quanto riguarda i parametri geochimici invece, pare che non ci siano variazioni significative rispetto ai dati precedenti.

Con queste premesse, nel puteolano vige preoccupazione per il bradisismo inteso come fenomeno che potrebbe indurre danni ai fabbricati. Riteniamo che i problemi siano riconducibili per lo più a fessurazioni sulle pareti, e ove si presentassero dovrebbero essere largamente investigati, perché oltre al bradisismo, nel flegreo marcia di pari passo la sismicità anche se a bassa intensità. Questo vuol dire che in ultima analisi a quale dei due fenomeni naturali bisogna accollare le fessure che abbiamo individuato sul muro è difficile dirlo, anche se nella maggior parte dei casi la lesione dovrebbe essere riconducibile ai terremoti o ad assestamenti del terreno. Infatti, il bradisismo provoca sollevamento del suolo, ma non così puntiforme da generare asimmetrie ravvicinate e tali da indurre reazioni squilibrate sulle fondazioni dei palazzi. Anche se nella malaugurata ipotesi la "zolla" su cui grava l'edificio dovesse presentare una inclinazione, i possibili danni alle case potrebbero presentarsi ma a valori diversi dal millimetrico. In altre parole e chiarendo il concetto con un esempio, sollevando un tavolo al cui centro è posto un palazzo, quest'ultimo non dovrebbe subire alcun danno a prescindere dell'altezza che raggiunge il piano, purché quest'ultimo si mantenga entro certi limiti livellato. D'altra parte il sollevamento è talmente lento, da non generare neanche problemi di accelerazione o di repentinità dei dislivellamenti...

Per poter avere un quadro analitico dei livelli nell'area interessata dal bradisismo, sarebbe interessante conoscere le quote del terreno intorno al punto di massimo sollevamento del suolo (102 cm.), corrispondente al Rione Terra di Pozzuoli. Da qui bisognerebbe individuare con precise misurazioni, la curvilinea del livello dei 50 centimetri, la isoipsa, e poi quella dello zero, cioè i limiti della zona che non ha subito alcuna deformazione verso l’alto. Dati che dovrebbe poi essere riportati su carta, secondo le logiche delle isoipse topografiche. Probabilmente il disegno sottostante chiarisce meglio delle parole quello che abbiamo appena cercato di argomentare.




Nella zona flegrea e nello spazio coi satelliti, esistono strumentazioni particolarmente sensibili e precise al millimetro, che potrebbero offrire i risultati topografici appena auspicati. Le isoipse riportate su carta darebbero, rispetto alle immagini di rigonfiamento areale, la possibilità di focalizzare l’attenzione sulle caratteristiche della "gobba" bradisismica, e sui punti maggiormente esposti alle differenze di altezza, partendo dal principio topografiche che isoipse ravvicinate indicano un dislivello verticale più accentuato perchè spalmato su una minore distanza orizzontale. Nel nostro caso dovremmo parlare di valori veramente minimi: ma non abbiamo dati su cui ponderare una valutazione oggettiva… In altre parole se il palazzo non si trova col suo perimetro di base su due punti a differenti quote, difficilmente dovrebbe essere vulnerabile, soprattutto se le fondamenta non sono di vecchia fattura.

Per meglio capire il concetto, è da notare che in altri casi calamitosi, per esempio in una condizione di frana o alluvionamento dinamico, si possono creare addirittura vuoti parziali sotto le fondamenta di un casamento, con lo stabile che resisterebbe staticamente grazie alla tipologia della robusta fondazione,  generalmente a solaio rovescio o a platea armata, che distribuirebbe il carico sugli appoggi residui senza cedere nei tratti pensili. A rigor di logica allora, una casa realizzata secondo criteri antisismici, generalmente dovrebbe ben sopportare tanto un bradisismo accentuato, quanto i terremoti. D’altra parte gli esperti assicurano che di solito in area vulcanica le scosse telluriche sono di magnitudo non eccezionali, fatto salvi i sommovimenti registrabili in una fase pre eruttiva ed eruttiva. Fotografando l’attualità e la situazione, il rischio maggiore nel flegreo dovrebbe essere ancora una volta quello eruttivo. Con un bradisismo triplicato negli effetti, non si escluderebbe la dichiarazione dello stato di allarme, con l’evacuazione totale dei cittadini dalla zona rossa. Un po' diversi sono gli approcci ai servizi tecnologici come acqua e gas, perché hanno una continuità strutturale orizzontale, che li rende più vulnerabili alle crisi bradisismiche.

Il comune di Pozzuoli può darsi che abbia già assicurato l’apertura di un ufficio bradisismo in seno a quello di protezione civile, con tecnici deputati 24 ore su 24, in presenza o tramite la reperibilità, a garantire sopralluoghi a chi ne faccia richiesta, soprattutto dopo eventi sismici inusuali. Il coinvolgimento degli ordini professionali in chiave volontaria sarebbe auspicabile.

Il rischio eruttivo è quindi ben presente nel flegreo, con tutta la sua indeterminatezza, sia sul quando potrebbe presentarsi l’evento, sia con quale indice di esplosività vulcanica (VEI). A fronte di questi dubbi, il piano di emergenza che si traduce nel piano di evacuazione, dovrebbe essere l'unico strumento di salvaguardia influenzabile dalla politica, sia in termini operativi che preventivi. Un piano di evacuazione areale per essere efficace dovrebbe essere "autoportante" e con poche ma basilari istruzioni. L’attuale aggiornamento del documento fatto dalla regione Campania, non siamo riusciti a leggerlo tutto, perchè non particolarmente chiaro e quindi ci si perde tra le mappe. 

Una delle mappe a corredo dell'aggiornamento del piano di evacuazione della zona rossa flegrea


Per agevolare il compito dell'attento e civico cittadino allora, sarebbe il caso che l’autorità competente incominci a chiarire nelle prime pagine dell'aggiornamento, cosa è cambiato nelle procedure evacuative rispetto al modello precedente, e quali miglioramenti caratterizzano nell’odierno questa aggiornatissima pianificazione di emergenza. 

La nostra posizione sul piano di evacuazione continua a essere scettica,  soprattutto quando si parla di aree di attesa e orari (appuntamenti) per essere prelevati. Così come riteniamo di difficile esecuzione l’evacuazione con veicoli privati che devono rispettare orari di allontanamento: procedura che ha una sua logica per mantenere i flussi automobilistici costanti,  ma che potrebbe rivelarsi una strategia difficilmente attuabile in condizioni di panico diffuso, che s’innescherebbe, statene certi, se dovessero presentarsi prodromi pre eruttivi chiaramente avvertiti dalla popolazione, come boati e tremore sismico perdurante. Rimane poi il grosso problema della zona gialla contigua alla zona rossa, quella che si estende per i primi chilometri dal confine di alta pericolosità vulcanica, che sarebbe da evacuare parimenti per i notevoli volumi  di cenere e lapilli che ricadrebbero al suolo. Rimanendo nel merito della zona gialla, oggi ci sono discordanze sul da farsi, già  con la zona rossa 2 del Vesuvio: quella flegrea tra l'altro neanche è stata determinata... Il successo del piano di emergenza probabilmente si giocherà tutto sulla fase di preallarme...

Leggiamo da Terra Nostra News, che nella ex Chiesa di San Severo al Pendino di Napoli, si terrà dal 2 maggio 2023 e fino al 5,  il Workshop internazionale ‘Genesis and dynamics of large calderas: Campi Flegrei and Campanian Plain’. Un evento non sapremmo quanto importante, ma in tutti i casi è stato preannunciato dal Direttore della sezione di Napoli del CNR-ISMAR, che il Workshop servirà anche a mettere a punto un grande progetto di ricerca internazionale sulla caldera dei Campi Flegrei e sull’Ignimbrite Campana, attraverso studi crostali dettagliati, anche mediante perforazioni in terra ed in mare, da proporre per il finanziamento congiunto alle due Organizzazioni Internazionali ECORD-IODP ed ICDP…

                                                                                        di Vincenzo Savarese