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mercoledì 10 maggio 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la caldera dei forse... di Malko

 

Nisida

Nei Campi Flegrei c’è timore per un certo intensificarsi degli eventi bradisismici e sismici con qualche evento in più e più avvertibile dalla popolazione, soprattutto nel comune di Pozzuoli che rimane il fulcro dell’unrest vulcanico. I responsabili regionali e nazionali della protezione civile, hanno sempre detto che non bisogna mai immaginare una situazione in cui si fugge con alle spalle l’eruzione che ci insegue… Premesso che i medesimi accedono alle notizie oltre “porte chiuse” rilasciate dalla commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, bisognerà, a prescindere, dargli credito. D’altra parte l’alternativa che rimane è avere una borsa pronta dietro la porta, in modo da prendere il largo nel momento in cui la nostra percezione segnala pericolo, con o senza il parere illuminato delle istituzioni competenti. Questo vale soprattutto per chi ha una casa grande o piccola al mare o in montagna o in campagna. Diversamente, bisognerà attendere la prima chiama del pre - allarme, dove lo Stato, per chi decide di andarsene prima dell'allarme generale, assicurerebbe con una tempistica sconosciuta, un contributo di autonoma sistemazione.

Il dato che purtroppo regna inequivocabilmente sovrano, è che siamo di fronte alla geologia dei forse… Forse il bradisismo è l’antefatto dell’eruzione; forse il sollevamento del suolo è strettamente legato agli acquiferi surriscaldati; forse è il magma che sale; forse la verità sta nel mezzo col magma che s’intrufola verso l’alto e l’acqua che scende in abundantia sfruttando le nuove fratturazioni nel basamento crostale locale: tutto è possibile, quindi nulla è certo.

A fronte dei forse, c’è la certezza che bisognerà fare il possibile per andare via prima dell’eruzione, magari improvvidamente rimanendo impegolati in un falso allarme. Guai a criticare il falso allarme però, perché è sempre meglio del mancato allarme. L’ideale sarebbe una previsione che anticipi almeno di tre giorni l’insorgenza di una eruzione: nulla ci porta ad escludere questo tipo di successo previsionale che all’occorrenza si auspica.

Il piano di emergenza e quindi di evacuazione, è stato da qualche mese aggiornato e le autorità di protezione civile si sono assunte l’impegno di spiegare alle popolazioni insediate nella caldera, cosa è cambiato di questo piano, e quali sono le istruzioni attuali per allontanarsi dal pericolo eruttivo attraverso nuovi percorsi.

I dirigenti Luigi D'angelo del DPC e Italo Giulivo della Regione Campania 

Quello che invece ci sembra strano da parte della commissione grandi rischi, e che, pur costituita da scienziati di alto livello, pur avendo per funzioni competenze anche dal punto di vista della prevenzione delle catastrofi, nessuno di loro apre bocca sulla mancata istituzione del divieto di costruire in senso residenziale nella zona rossa dei Campi Flegrei. Nel vesuviano si ebbe il coraggio di varare una legge anti cemento: la legge regionale 21/2003 a firma di Bassolino, che vieta qualsiasi costruzione ad uso abitativo nella zona rossa, per non incrementare il valore esposto in un ambito territoriale ad alta pericolosità vulcanica. Fu chiaro sull’argomento un ex assessore regionale alla protezione civile, noto ingegnere, che seguì l'asimmetrico allargamento amministrativo della zona rossa Vesuvio, che non ci sembra di totale garanzia per tutti. Questi disse che per rendere applicabili nei Campi Flegrei i disposti già varati per la zona rossa Vesuvio con la legge 21/2003, non bastava agire richiamando per similitudine la classificazione di territori ad alta pericolosità vulcanica per imporre divieti, bensì occorreva una legge ex novo mirata e ad vulcano… Nel frattempo, nel comune di Pozzuoli pare si licenzino sanatorie edilizie corredate dalle ricevute degli oboli versati, e da perizie tecniche attestanti che la costruzione da sanare non guasta il panorama ed è antisismica.  Una bella garanzia quella ottenuta con ferro e calcestruzzo, che non soddisfa però, tutte le esigenze di protezione connesse ad una zona vulcanica con abitati che saranno pure antisismici, ma posizionati all’interno della caldera del super vulcano, in mezzo a una quarantina di bocche monogeniche.

Occorre dire che la resistenza strutturale dei fabbricati alle sollecitazioni orizzontali e verticali provenienti dal sottosuolo, è molto importante in un’area sismica, ma la loro utilità non è onnicomprensiva, e cessa nel momento in cui si presenta l'evento eruttivo. Infatti, nei Campi Flegrei si temono, nel corso di una possibile eruzione, la formazione di nubi ardenti. Questo fenomeno insito nelle eruzioni esplosive, consiste in un flusso di gas e materiale magmatico di svariate misure espulse dal vulcano, che avanza anche per chilometri con una temperatura globale dell’ammasso che oscilla intorno ai 500° Celsius. Di conseguenza, la costruzione antisismica ci difende sì dalle scosse litosferiche, ma non da quei fattori dinamici e termici che rappresentano il pericolo principale legato alle nubi ardenti.  I trecento ercolanesi che trovarono rifugio in un magazzeno sulla spiaggia per proteggersi dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. furono raggiunti dalle nubi ardenti, che determinarono l’immediata evaporazione dei fluidi corporei e in più di qualche caso l’esplosione dei crani.

In caso di minaccia eruttiva allora, occorrerebbe proteggersi allontanandosi dall'area in anticipo sulle dirompenze ed è la migliore delle soluzioni; nell'impossibilità, occorrerebbe proteggersi in un bunker dal profilo aerodinamico arrotondato e chiuso sul fronte vulcano: una piccola apertura dal lato opposto per verificare se sussistono le condizioni per un cessato allarme. Fu proprio una costruzione simile, una prigione semi interrata, che salvò dagli effetti delle colate piroclastiche del vulcano la Pelèe in Martinica, il condannato Augusto Ciparis, anche se si ustionò gravemente.  I suoi 30.000 concittadini morirono tutti. Intanto pur volendo non possiamo cogliere il suggerimento che ci proviene dalla storia di Ciparis, in quanto non siamo in grado di determinare in anticipo che orientamento dare al bunker, perché nella caldera flegrea non c’è la certezza sul dove possa generarsi il punto eruttivo. Circa 3800 anni fa, in questo distretto, e non è stata l'unica volta, si aprirono due bocche eruttive a 5,4 chilometri di distanza l’una dall’altra: una pluralità che assomma i problemi ai forse.

I vulnus che accompagnano il piano di emergenza vulcanica ai Campi Flegrei, sono da ricercarsi pure nella mancata determinazione della zona rossa 2, cioè quella fuori portata delle nubi ardenti, ma in piena vulnerabilità alla pioggia di cenere e lapilli.

Zona Rossa 1: Nubi ardenti - Zona rossa 2: pioggia intensa cenere e lapilli -
Zona gialla: pioggia di cenere e lapilli.

Premesso che anche per i Campi Flegrei i venti dominanti in quota spirano generalmente verso est, tutto ciò che sta oltre la collina di Posillipo e per diversi chilometri, quindi parliamo di alcuni quartieri storici di Napoli, potrebbero essere "bombardati" massicciamente dai prodotti piroclastici sciolti emessi dalla o dalle bocche eruttive. I problemi dettati dalla cenere e dai lapilli, potrebbero essere molto seri intanto per i cittadini esposti che avrebbero necessità di ripararsi subito, e poi per alcune infrastrutture come il porto e la stazione ferroviaria centrale e l'aeroporto di Capodichino per dirne qualcuna, che andrebbero in tilt. Anche i palazzi sarebbero pericolosamente esposti, soprattutto quelli con carenze strutturali e tetti piani. Il pericolo avrebbe una sua intensità rapportata alla posizione del punto eruttivo e dalla taglia del fenomeno così come la direzione dei venti predominanti che soffieranno sui Campi Flegrei nel momento dell’insorgere del fenomeno, segnando i territori a rischio.

Ci sembra opportuno chiedere un parere al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore all'Osservatorio Vesuviano, che ringraziamo per il contributo.
Professore: il sottosuolo Flegreo è un concentrato di forse?

E' proprio così! Come evidenzio da anni, a fronte di raffinati modelli e interpretazione dei dati rilevati dai sistemi di monitoraggio e dagli studi vulcanologici e magmatologici, non disponiamo di alcuna certezza sull'assetto profondo e superficiale del sistema vulcanico dei Campi Flegrei, sulla sua possibile evoluzione e sui processi che possono condurre ad una eruzione. Il sistema vulcanico è intrinsecamente un sistema complesso, e come tale è un sistema imprevedibile.

Di fatto, anche se conoscessimo i valori di tutte le possibili variabili responsabili dell'evoluzione del sistema, non saremmo comunque in grado di prevedere un'eruzione; in realtà, a fronte dei notevoli sviluppi della ricerca, le nostre conoscenze sono ancora estremamente limitate, e la comunità scientifica dovrebbe segnalarlo.

I limiti della scienza dovrebbero essere sempre dichiarati alle collettività esposte a rischi, nel nostro caso eruttivo, per non indurle nell'infondata e pericolosa convinzione, che i vulcanologi conoscano adeguatamente lo stato del sistema e le sue modalità di evoluzione verso un'eruzione, analogamente a quello che succede in meteorologia, con gli esperti  che riescono il più delle volte a descrivere e prevedere il tempo atmosferico.

Per i Campi Flegrei, a parte le generiche descrizioni dell'eruzione del Monte Nuovo del 1538, non disponiamo di alcuna esperienza riguardo gli eventi eruttivi ed i fenomeni che li hanno preceduti, contrariamente ad altri contesti vulcanici come l'Etna o lo Stromboli.

Per l'estrema, possibile variabilità dei processi responsabili di un evento eruttivo, anche se disponessimo di dettagliate osservazioni su decine di eventi, la previsione risulterebbe comunque inaffidabile. Di fatto, come osservato in numerose eruzioni verificatesi nel mondo negli ultimi decenni, i successi nella previsione degli eventi, sia in termini temporali di tipologia e di scala, così come gli effetti associati, sono risultati scarsi. Le conseguenze sono state fughe disperate ed estensione delle zone rosse in corso di eruzione, come successe durante l'eruzione del Monte Merapi nel 2010. Piani di emergenza accurati ed esercitazioni con il coinvolgimento della popolazione, ci sembra al momento la strada da perseguire  per mitigare il rischio.

Ringraziamo il Professor Mastrolorenzo. 






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