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martedì 8 agosto 2017

Rischio Vesuvio: Torre del Greco comune svantaggiato?... di MalKo


Vesuvio: porto di Torre del Greco - foto Liguoro

Parlando del Vesuvio e del rischio eruttivo, gli argomenti di discussione vertono spesso sulla nuova zona rossa e su tutto ciò che ne concerne. Il tono discorsivo sui media qualche anno fa è stato di taglio ottimistico col mondo politico e istituzionale che ha dato per scontato la bontà di una pianificazione di emergenza che in realtà si basa su una possibilità statistica (eruzione VEI4), passata tra l’indifferenza generale a deterministica, con buona pace del principio di precauzione bruciato sull’altare poco nobile dei costi benefici. Un piano comunque che continua a mancare del suo annesso più importante che si chiama piano di evacuazione.

I comuni della vecchia zona rossa che ricadono territorialmente nella fascia costiera, non mostrarono particolare interesse alla nuova zonazione di pericolo, perché la loro posizione geografica è interamente addentro alla famigerata linea nera Gurioli, e quindi non accamparono alcun distinguo oppure obiezioni o rettifica.

La Regione Campania si è distinta per una decisa partecipazione alle dubbie operazioni di classificazione del territorio, in qualche caso sovrapponendosi addirittura al Dipartimento della Protezione Civile, che rimane comunque il soggetto principale e istituzionale di riferimento per la salvaguardia dei vesuviani.

Nelle mappe tematiche ufficiali, la linea nera Gurioli rappresenta il limite di scorrimento delle colate piroclastiche originate da una colonna eruttiva VEI4; colate che restano in assoluto e per virulenza distruttiva, il fenomeno più temuto in caso di ripresa dell’attività vulcanica.

Nelle carte diffuse dalla Regione Campania e dal Dipartimento della Protezione Civile, la linea nera Gurioli non è stata tracciata sul mare e, quindi, il segmento non è chiuso. In realtà tale omissione non è indicativa di assenza di pericolo da quel versante, non solo perché colate piroclastiche se ne contano così come quelle di fango, ma più verosimilmente non sono stati effettuati rilievi subacquei per definire i limiti di deposito dei prodotti vulcanici come invece è stato fatto sulla terraferma.

Le operazione di verifica in mare sono difficili, perché i materiali piroclastici riversatisi dal Vesuvio oltre il litorale, sono stati in larga parte dispersi e rimaneggiati dalle correnti marine e dai movimenti ondosi.

Per dare completezza alla linea Gurioli rendendola un cerchio asimmetrico (mappa a sinistra), abbiamo tracciato il prolungamento mancante sul mare, col solo scopo di rendere chiaro anche visivamente alle popolazioni costiere, che i fenomeni vulcanici pliniani e sub pliniani ebbero a sconquassare per grande parte pure il litorale. Quindi, se la linea nera evidenzia i punti di massimo scorrimento raggiunti dalle colate piroclastiche, sul mare ufficialmente non c’è linea non perché non ci siano stati flussi, ma molto più semplicemente non sono stati referenziati geograficamente sui fondali. Questo significa che purtroppo su tutto il territorio circoscritto dalla linea nera Gurioli, grava il pericolo delle nubi ardenti e dei lahar.

Le barche romane comandate da Plinio il Vecchio nel 79 d.C., non riuscirono ad attraccare nella zona tra Ercolano ed Oplonti, forse per il rigonfiamento dei fondali, o forse neanche ci provarono perché la nobildonna Rectina, mittente di una richiesta d’aiuto, si trovava verso Pompei. Il dubbio resta…

Un’altra tesi potrebbe rimandare ai flussi piroclastici e di fango la modifica batimetrica sotto costa. Per evitare le secche, può darsi che Plinio abbia preferito tirare al largo proseguendo la navigazione fino a Stabia col favore di vento in poppa, incappando comunque e dal traverso di Torre Annunziata, in una battente pioggia di cenere, pomici e lapilli.

Il Comune di Torre del Greco, tra i comuni vesuviani è forse quello che presenta aspetti di maggiore vulnerabilità, perché una consistente parte della popolazione dimora e orbita nell’area del porto che segna una posizione mediana rispetto al Vesuvio ancorchè stretto tra mare e vulcano. Tra l’altro l’area portuale è molto periferica rispetto all’intera area comunale, al punto da collocarsi a ridosso del comune di Ercolano.
Vesuvio - foto Andrew Harris
Se dovesse presentarsi una situazione di rischio pre eruttivo, cioè una condizione di allerta vulcanica di attenzione o di preallarme, l’attesa per i cittadini torresi risulterebbe particolarmente snervante. Tecnicamente parlando infatti, ritrovarsi tra mare e monte, comporterebbe e costringerebbe gli abitanti della città del corallo a procedere parallelamente alla linea di costa, per fuggire secondo logiche e direttrici ineluttabili (nord). In questo caso e con le autovetture o i bus, occorrerà procedere accodandosi ai fuggitivi di San Giorgio a Cremano, Portici ed Ercolano, rinforzando massicciamente le schiere di autoveicoli in fila che possono allontanarsi sull’unica arteria disponibile, cioè l’autostrada A3 Napoli – Salerno. Anche proseguendo a piedi non cambierebbe la logica del discorso, con l’unica differenza che s’impegnerebbero percorsi diversi da quelli autostradali.

E ancora, se nella parte orientale del Vesuvio è ancora possibile e auspicabile costruire bretelle di collegamento all’autostrada A30 Caserta – Salerno, come quella che si innesta dalla SS 268 al casello di Palma Campania, nel settore occidentale, cioè quello marittimo, l’indice di affollamento e di conurbazione è tale da rendere problematica qualsiasi nuova progettazione viaria.

In tutti i casi l’autostrada Napoli – Salerno rimane l’unica carreggiata da utilizzare per un esodo massivo delle popolazioni che si allontanano con autoveicoli. Impegnare la viabilità ordinaria per sfuggire dai perimetri della linea nera infatti, è sconsigliabile se non vietato nella fase di allarme, ancorchè infruttuoso se non si è appiedati…
Così come riportato appena 23 anni fa sul periodico i “Quaderni Vesuviani”, la via del mare nonostante la sua dipendenza dalle condizioni meteo marine, variabili ma raramente proibitive, può essere una eccezionale risorsa da tenere in debita considerazione per i comuni della fascia costiera qualora si debba evacuare precipitosamente.

Il mare è una strada che consentirebbe con adeguati mezzi e infrastrutture, di alleggerire il traffico stradale, mettendosi così al riparo dal pericolo vulcanico percorrendo quelle poche miglia marine che separano i quartieri portuali, nel caso in questione di Torre del Greco, con il porto di Napoli. Cosa che non fu possibile invece agli ercolanesi nel 79 d.C., per mancanza d’imbarcazioni, ma anche perché rifugiandosi sulla spiaggia sotto alcuni fornici, mai avrebbero previsto di essere in un attimo mortalmente vaporizzati dalle travolgenti e roventi nubi ardenti da 350 gradi Celsius.

La possibilità che il fondale possa sollevarsi rendendo impraticabili i porti, è una condizione ascrivibile ai prodromi pre eruttivi, ma non repentina e certamente difficilmente riscontrabili durante la fase di attenzione e pre allarme.  La variazione delle batimetrie infatti, è un fenomeno già macroscopicamente avanzato, e dovrebbe potersi ascrivere esclusivamente a una fase di allarme vulcanico, e quindi senza popolazione sul posto oramai evacuata. Anche con voluminosi sollevamenti dei terreni o dei fondali, non ci sarebbero certezze matematiche sull’ineluttabilità dell’eruzione o sui tempi; purtuttavia in nessun caso il fenomeno potrebbe essere conciliabile con il dimoramento degli abitanti in loco.

Quando analizzammo la via del mare come risorsa strategica nel 2001, ci rendemmo immediatamente conto che poteva essere una possibilità con buoni margini di successo, perché nel Golfo di Napoli sono ordinariamente e normalmente in esercizio due tipi di battelli particolarmente utili in operazioni di rapido allontanamento: i catamarani e le monocarene. Trattasi di un naviglio veloce che ha di suo e come caratteristica principale oltre alla velocità, un basso pescaggio e una buona manovrabilità che non guastano nelle operazioni navali nei porti minori. Soprattutto sono imbarcazione permanentemente in servizio da e per le isole napoletane e quindi facilmente disponibili. Saranno proprio le brevi distanze da percorrere che favorirebbero una siffatta strategia emergenziale.

Gli equipaggi poi, hanno grande esperienza anche in condizioni estreme. Ognuno di questi traghetti potrebbe trasportare per ogni corsa e nel giro di pochi minuti, oltre 300 passeggeri in direzione porto di Napoli. Ovviamente lo sfruttamento di questa risorsa richiede la necessità di avere nei porti, oggetto di possibili operazioni marittime, un tratto di banchina conformata e attrezzata per l’attracco rapido di questi natanti. Bisogna poi contemplare viceversa, l’approdo torrese anche come centro di sbarco di eventuali aiuti provenienti non già da Miseno ma dal porto di Napoli.

Durante l’esercitazione Vesuvio 2001 tenutasi a Portici nell’omonimo anno, fu testata la via del mare come risorsa evacuativa alternativa per le popolazioni appiedate, utilizzando un traghetto veloce fatto giungere nel porto del Granatello (Portici). Seguimmo con attenzione le operazioni di attracco e imbarco e rimanemmo veramente meravigliati dalla rapidità della manovra e dalla velocità di crociera della monocarena, che alla partenza lasciò subito in coda tutti gli altri e pur veloci battelli d’appoggio.

I piani di emergenza e di evacuazione che tardano ad essere pubblicati sotto forma di vademecum, prevedono l’allontanamento della metà degli abitanti, circa 42.961 persone, da indirizzare alla stazione centrale di Napoli per imbarcarsi su convogli ferroviari con destinazione Lombardia.  Il trasporto da Torre del Greco a Napoli, avverrebbe tramite 1074 corse di autobus da effettuarsi in un massimo di 72 ore. Parliamo di circa 15 viaggi ora, cioè uno ogni 4 minuti… Con i traghetti veloci si arriverebbe invece alla stessa movimentazione di pubblico utilizzando nelle 72 ore disponibili un solo traghetto ogni mezzora e senza ingorghi.

L’amministrazione comunale di Torre del Greco dovrebbe forse appaltare all’esterno, così come ha fatto per il piano comunale di emergenza nel 2015, servizi di analisi e progettazione per pianificare una rivalutazione e ristrutturazione complessiva del porto nel senso della funzionalità delle banchine anche dal punto di vista della profondità dei fondali.

Nel 1989 l’esercitazione di protezione civile organizzata nell’area vesuviana simulando un terremoti di origine vulcanica, segnò l’insuccesso a causa dei traghetti carichi di mezzi e uomini del soccorso, che non poterono accedere nel porto pur provandoci, perché i fondali erano troppo bassi. Dovettero districarsi e dirigere su Torre Annunziata per poi proseguire sulla statale per Ercolano epicentro del sisma…

Per poter vivere con una certa serenità nel territorio vesuviano, occorre innanzitutto che sia bandita dalle genti l’indifferenza quale modus pensandi e operandi. Se non ci fosse stata l’indifferenza, non ci sarebbero stati venti anni di mancata sicurezza con una sopravvivenza legata forse alla clemenza geologica e non certo alla lungimiranza della politica.

venerdì 28 luglio 2017

Rischio Vesuvio: la realtà che brucia… di MalKo

Vesuvio e Somma: incendi fase iniziale - 2017

Attraverso gli incendi che hanno totalmente devastato la macchia mediterranea e le aree boscate del Vesuvio e del Monte Somma riducendo i rilievi a una pietra annerita dal fuoco, la popolazione circumvesuviana ha scoperto che le calamità ad ampio raggio d’azione, come l’incendio diffuso, minacciano case e abitanti senza distinzione di sorta. Serve poco a rinchiudersi tra le mura domestiche, pensando che il massiccio battente sia un netto confine col mondo esterno, e soprattutto ostacolo insormontabile alle energie incontrollate...

Come abbiamo sempre detto, la percezione del pericolo si avverte solo attraverso una ferrea cultura della prevenzione o grazie alla stimolazione di uno dei cinque sensi. Nell’ambito dei vari comitati spontanei sorti qua e là nell’area vesuviana per discutere di incendi e mancata prevenzione antincendio, l’analogia con il fuoco vulcanico non è stata colta, neanche dai politici che hanno guidato una moderata protesta concentrata sulla difesa preventiva del parco nazionale del Vesuvio, senza pensare che oltre alle piante ci sono migliaia di esseri umani che costellano il contorno vulcanico, ancorchè soggetti in caso di eruzione alla micidiale furia delle colate piroclastiche. 

Il pericolo vulcanico è sfuggente perché non si percepisce e non fa parte del bagaglio di esperienze dei vesuviani, soprattutto in riferimento alle eruzioni più dure. L’ultima quella del 1944, fu vissuta ai bordi della lava senza nessun timore per l’incolumità dei presenti…

Il fuoco, quello tradizionale fatto di fumo e fiamme che ha avvolto la vegetazione vesuviana, è stato percepito grazie alla vista e all’olfatto. L’organismo ha fiutato l’atavico pericolo e non sono stati pochi quelli che hanno cambiato aria nel vero senso della parola, riparando da amici e parenti ben lontani dalla linea di fuoco che si è estesa dal Vesuvio al Monte Somma.

Alcuni politici dell’opposizione hanno cavalcato le polemiche sorte anche sui media a proposito della mancata prevenzione antincendio, puntando l’indice contro la macchina regionale e la sua insipienza preventiva e operativa volta allo spegnimento delle fiamme. Il governatore però, ha spalle larghe…

La percezione del pericolo i vesuviani l’hanno vissuta attraverso le vampe e il fumo acre che ha avvolto lo sterminator Vesevo dalla cima alla bassa fascia pedemontana, costringendo i cittadini a barricarsi all’interno delle loro abitazioni patendo caldo e senso d’impotenza. Il fumo si è sprigionato dagli incendi che hanno carpito combustibile dalla fascia arborea di pini e ontani e castagni e robinie e rovere e macchia mediterranea. Fiamme striscianti nel sottobosco che hanno covato brace nelle radici rinsecchite degli alberi più vecchi. L’incedere degli incendi non ha risparmiato materiale plastico e scarti delle industrie tessili ed elettrodomestici sgangherati buttati in ogni loco. Il fumo a tratti molto acre, si è diffuso nell’aria scivolando poi silenzioso sulle case come cappa malevole, avvolgendole e ammorbandole.



Ben altri effetti si sarebbero registrati, se al posto della caligine a calare sull’abitato fossero stati i micidiali flussi piroclastici, col loro incedere distruttivo capace di carbonizzare qualunque cosa si fosse opposto e frapposto al loro cammino rapido e ferale. 


La situazione attuale di prevenzione del rischio vulcanico, a studiarne le carte, segna punti di spossante mediocrità. La stoffa di cui è fatto il piano di emergenza infatti, è di assoluta inconsistenza operativa, trattandosi di un prodotto dall’iniqua strategia, con il piano di evacuazione che segna un’impasse che non si riesce a superare nonostante il modello sempliciotto su cui sono basate aritmeticamente le partenze dei profughi all’occorrenza.


Il vulnus di questa pianificazione di emergenza in itinere, ha nelle sue fondamenta una premessa fallace che assegna a molti cittadini la salvezza solo se l’ordalia statistica resisterà col suo pronostico eruttivo. 

Il vaticinio INGV stabilisce che da qui ai prossimi due secoli circa, la massima intensità eruttiva che può scaturire dalle viscere del Vesuvio sarà di taglia sub pliniana, ovvero e secondo l’indice di esplosività vulcanica, una VEI4.

Ogni intensità eruttiva corrisponde in linea generale a una porzione di territorio che potrà essere investito dai fenomeni previsti per quella formula eruttiva. A un’eruzione VEI 4 corrisponderà un territorio VEI 4 che ne pagherà le pene… Ovviamente a un evento vulcanico di intensità VEI 5, cioè pliniano, corrisponderà un territorio ben più ampio che verrà devastato.


La morale che se ne ricava è che la pianificazione di emergenza prevede di fronteggiare al massimo un evento VEI 4 stabilendo che il piano di evacuazione debba spostare i soli vesuviani che popolano il territorio VEI 4 oggi classificato come zona rossa Vesuvio.

Nel caso in cui l’eruzione che dovesse malauguratamente presentarsi nel medio termine sia invece di intensità VEI 5, anche mettendo in pratica e con successo il piano di evacuazione nelle 72 ore previste, sarebbe una colossale catastrofe perché le colate piroclastiche andrebbero ben oltre i confini della zona VEI 4 portando morte e distruzione nella corona circolare dichiarata indenne.

Quali garanzie abbiamo che la prossima eruzione non sarà eccedente una VEI 4… Garanzie esclusivamente di taglio statistico! Infatti, il prospetto proposto dagli esperti dell’INGV, si basa sulle varie tipologie eruttive con una probabilità di accadimento condizionato misurato a partire dai 60 anni di quiescenza vulcanica.

Le due tabelle hanno pari dignità, purtuttavia gli esperti hanno optato per la tabella B onde procedere alla stesura del piano di emergenza col suo annesso più importante: il piano di evacuazione ancora in itinere. Scegliendo la tabella B, i tecnici del Dipartimento della Protezione Civile hanno inteso obliare l’accadimento pliniano ritenendo l’1% previsto più che improbabile. Il problema è che tra quasi due secoli possiamo confermare la bontà del prodotto statistico offertoci: non prima…

Il Gruppo di Lavoro – A - incaricato di studiare e riferire quale sia l’eruzione di riferimento da cui difendersi, ha indicato statisticamente una sub pliniana (VEI4); ipotesi avallata e condivisa dalla commissione grandi rischi - sezione rischio vulcanico - che ha ritenuto congruo il lavoro del Gruppo A introducendo solo la linea nera Gurioli come margine d’invasione dei flussi piroclastici.

La linea nera Gurioli indica i limiti di scorrimento de flussi
piroclastici in seno ad eventi eruttivi  VEI 4.
 
In altre parole, se dovesse verificarsi un’eruzione superiore a quella limite adottata nel piano d’emergenza attuale, cosa che nessuno può escludere, alcuni comuni non previsti nella zona rossa si ritroverebbero nell’inferno vulcanico alla mercé delle nubi ardenti.

Il cerchio rosso che abbiamo tracciato nella figura a lato, rappresenta secondo la nostra concezione delle garanzie ovvero secondo il principio di precauzione, la vera zona rossa da evacuare per potersi ritenere al sicuro dai peggiori fenomeni insiti in un’eruzione appena VEI4 accentuata.
Speriamo che i cittadini del vesuviano e del flegreo attraverso gli incendi boschivi che hanno imperversato e minacciato ampie fette del territorio campano, si siano resi conto che non si può affidare bovinamente alla politica e alle istituzioni, la sicurezza di un’intera plaga geografica che li comprende, senza seguirne criticamente le attività e le iniziative di previsione e prevenzione delle catastrofi.



mercoledì 7 giugno 2017

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: eruzione work in progress?... di MalKo



La Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei

A ovest della città di Napoli sorge il distretto vulcanico dei Campi Flegrei. Dall’altro lato, ad est, capeggia invece il Vesuvio. I due vulcani sono in vista l’uno dell’altro e ricadono geograficamente sullo stesso parallelo a 40° e 49’ di latitudine. La città di Napoli è posta quindi al centro di queste due aree vulcaniche che sono accomunate da un’unica grande camera magmatica che si sviluppa anche sotto la metropoli partenopea…

I Campi Flegrei non hanno un apparato montuoso ma solo brandelli collinari e semi collinari a volte rotondeggianti, che delimitano e punteggiano l’estensione geografica di un territorio forse sede del mitico vulcano Archiflegreo, sbriciolato nell’antichità da immani eruzioni fino alla condizione di caldera depressa, poi riempita da decine di bocche monogeniche che hanno proposto il loro vagito eruttivo molto spesso esplosivo respingendo in parte il mare.

Nell’arco di tre periodi diversi, sono stati espulsi da questo singolare distretto grandi quantità di materiale piroclastico anche a grandi distanze. L’ultima eruzione del 1538 ha segnato la quiescenza macroscopica dell’area, segnata comunque dal fenomeno anche recente e perdurante del bradisismo flegreo, che non sembra mettere tutti gli scienziati d’accordo circa la genesi di un suolo particolarmente irrequieto. In tutti i casi appare inoppugnabile il collegamento con la fonte energetica rappresentata dal calore magmatico sottostante…

Pochi giorni fa è stata formulata una teoria circa le intrusioni magmatiche che caratterizzano l’area flegrea; una tesi secondo la quale il magma insinuatosi fino a pochi chilometri dalla superficie si sia raffreddato dopo aver dato “spettacolo” e apprensione col suo calore oggi disperso…

Macellum - Pozzuoli - Campi Flegrei
Il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, è tra i massimi conoscitori della geochimica dei Campi Flegrei.

Dott. Chiodini, secondo una recente tesi il magma che sembra si sia infiltrato fino a basse profondità nel sottosuolo flegreo, pare possa datarsi e ascriversi alle crisi bradisismiche degli anni 70’ e 80’: è così?

C’è dibattito su questo. Io sono d’accordo con questa interpretazione: altri autori affermano che quel magma si sia già solidificato….

Che ci sia stata un’intrusione magmatica sembra un dato su cui concorrono con qualche distinguo un po’ tutte le tesi. Nel merito possiamo confermarlo questo dato ed ancora conosciamo l’estensione, ovvero le dimensioni di questa protuberanza magmatica insinuatasi nei territori flegrei?

Che nel 1983/1984 ci sia stata una intrusione di magma è un dato su cui concordano la maggior parte dei ricercatori (se non tutti). Si pensa ad un volume di magma relativamente piccolo, dell’ordine di 0,1 Km3.

Dott. Chiodini, se di intrusione magmatica si tratta, il fenomeno è da attribuirsi prevalentemente alla possente spinta magmatica o a una scarsa resistenza della coltre crostale che in questi luoghi è aggredita da una chimica e da una temperatura che ne minano la resistenza? Una Sua recente teoria…

Immagino che la recente teoria a cui fa riferimento sia il lavoro pubblicato nel Dicembre 2016 nella rivista Nature Communications. In quel lavoro consideriamo quanto è avvenuto dopo il 2000. Per quello che riguarda, la crisi del 1983/1984 e la intrusione magmatica che l’ha causata, posso solo dirle come elemento di riflessione che a quelle profondità (4 km) la temperatura è molto elevata. D’altra parte nella zona di massima deformazione non si osservano terremoti a profondità più grandi. E’ la stessa zona dove si ipotizza una intrusione datata di alcuni secoli, quella che ha generato probabilmente e in qualche modo l’evento eruttivo di Monte Nuovo (1538). Ne sappiamo poco, ma in quella zona e a quelle profondità le rocce potrebbero avere un comportamento ‘plastico’ e non rigido.

Se la caldera flegrea è stata sede di alcune decine di bocche eruttive monogeniche, quest’intrusione potrebbe corrispondere a una nuova bocca o a una bocca eruttiva precedente…

Credo che la zona di Pozzuoli col tratto di mare adiacente sia una zona di accumulo di magma… Nel 1538 la deformazione inizialmente era su questa zona, poi si spostò prima dell’eruzione verso ovest, dando così origine all’ultimo evento riscontrato nei Campi Flegrei: quello appunto di Monte Nuovo.

La Solfatara e la fumarola di Pisciarelli con i suoi possenti sintomi di degassazione non è detto che sia la parte più vulnerabile all’ascesa del magma in superficie. La Solfatara è una sorta di camino, una specie di collettore zonale, ma il magma non è certo che segua la strada dei vapori.


Porto di  Pozzuoli (Campi Flegrei) - L'agglomerato del Rione Terra
La geochimica fino a che punto riesce a dare risposte sulle dinamiche magmatiche che interessano un fondo calderico come i flegrei?

Noi abbiamo interpretato le variazioni osservate alle fumarole della Solfatara come un processo di depressurizzazione del magma. Ora, secondo me, il magma sta rilasciando fluidi in maggiore quantità ed arricchiti in H2O perché si sta appunto depressurizzando. Penso che l’evento che ha causato questo processo sia in realtà collegabile alle migliaia di terremoti registrati nel 1983/1984 che hanno in qualche modo aperto il sistema alla risalita dei fluidi che, rilasciati dal magma, starebbero riscaldando le parti più superficiali della caldera.

Dott. Chiodini, i dati geochimici e geofisici flegrei cosa segnalano… cosa raccontano nell’odierno?

In sintesi e nell’insieme uno spostamento della crisi verso le zone più superficiali della caldera.

Un po’ di anni fa effettuammo un lavoro ad oggetto i dissesti statici nel napoletano infiltrandoci nei condotti acquedotto del sottosuolo di Napoli. Dissesti molto spesso originati dalle caratteristiche del tufo giallo che perde la sua resistenza statica fino al 40% una volta imbibito… La possente struttura tufacea su cui poggia la città di Napoli trova pari caratterizzazione nell’area flegrea?

Il sottosuolo di Napoli - Centro storico -  San Carlo all'Arena
Quello che diciamo nel lavoro che citava prima, riferendoci a lavori specifici fatti da colleghi stranieri, è che il tufo giallo se sottoposto a riscaldamento diminuisce la sua resistenza meccanica.

Un sottosuolo anche profondo rimaneggiato dalla chimica delle acque e dalle temperatura elevate potrebbe consentire una rapida risalita del magma, magari senza acquistare una veemenza particolarmente dirompente? In altre parole, un’eruzione nel flegreo può essere anche rapida ma contenuta negli effetti? 

A questa domanda è difficile dare una risposta. Credo che nel caso di una futura eruzione l’attuale fase di elevato degassamento possa attenuarne gli effetti dirompenti. Ma gli effetti comunque bisogna relazionarli anche e in gran parte alle quantità totali di magma coinvolgibili in un’eventuale eruzione….

In che modo si può migliorare la sorveglianza vulcanica dell’area flegrea?

La sorveglianza che viene fatta oggi è già a un ottimo livello. Quello che manca non è la sorveglianza ma la ricerca. La gente spesso sopravvaluta le nostre capacità di ‘sorvegliare’ un vulcano. Nel caso dei Campi Flegrei, ad esempio, bisogna tenere presente che non abbiamo mai misurato quello che accade prima di una eruzione.

L’unico modo per cercare di capire cosa potrà succedere e quali sono i processi in corso, è quello di assicurare una interazione tra il sistema di sorveglianza con delle ricerche scientifiche mirate. Penso che servono più cervelli che studiano il problema, piuttosto che ulteriori strumenti di monitoraggio del vulcano.

 
Strumentazione scientifica di monitoraggio - Vulcano Solfatara - Pozzuoli

L’Osservatorio Vesuviano sarebbe saggio che spostasse la collocazione dei suoi uffici e sala di monitoraggio nelle retrovie del fronte vulcanico? 

Secondo me sì. Sarebbe opportuno che la struttura che sorveglia e gestisce la rete dei sensori posti sul vulcano sia ubicata al di fuori di quelle zone che verrebbero evacuate qualora dovesse rendersi necessario diramare un allarme vulcanico….

Ringraziamo il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per averci illustrato con chiarezza la situazione attuale dei Campi Flegrei.

Il quadro complessivo che possiamo farci nelle conclusioni circa la situazione di pericolosità vulcanica esistente ai Campi Flegrei, è quello di una condizione complessiva che suggerisce grande attenzione ai processi magmatici che avvengono nel comprensorio terracqueo di Pozzuoli e per largo raggio. Qualche nodo scientifico incomincia a sciogliersi ma rimane una situazione molto complessa dettata anche dalla mancanza di comparazione scientifica con gli eventi eruttivi e pre eruttivi del passato.

Nei Campi Flegrei la popolazione esposta al pericolo vulcanico conta 550.000 abitanti. Nella caldera flegrea l’organizzazione della sicurezza dovrebbe avere precise strategie e idee molto chiare sul da farsi all’occorrenza. Non è sufficiente dare visibilità e risalto a chi rassicura oltre misura: le popolazioni non necessitano di massicce dosi di valeriana mediatica. Alle popolazioni bisogna assicurare il diritto all’informazione, perché la democrazia passa anche attraverso la conoscenza della realtà che ci circonda.

Alle incertezze della previsione vulcanica, si potrebbero contrapporre le certezze della prevenzione come metodo per mitigare le catastrofi: disciplina che nessuno persegue e che molti eludono. Mentre gli scienziati si confrontano con qualche distinguo sui temi vulcanici, la politica e le amministrazioni locali e nazionali sono invece concentrate sulle cubature cementizie da calare sulla ex spianata industriale di Bagnoli (Campi Flegrei), attraverso una cabina di regia che tutti reclamano. C’è pure chi appalesa in quest’area geologicamente attenzionata la possibilità di accedere all’affare energetico trivellando per il geotermico lì dove la crosta è più gonfia e satura di fluidi caldi…

La parola d’ordine allora è il business, in barba a tutti i gufi catastrofisti che pensano di vivere nell’epoca dei dinosauri coi vulcani  sbuffanti ed eruttanti…

giovedì 25 maggio 2017

Vesuvio: camera magmatica sopra o sotto?... di MalKo


Cratere del Vesuvio con vista Capri

Un vulcano è possibile definirlo come una spaccatura nella crosta terrestre da dove fuoriescono generalmente e in modo discontinuo, materiali gassosi, liquidi e solidi ad alta temperatura. Le cause alla base del trasferimento dei prodotti magmatici dall’interno del Pianeta e fino alla superficie terrestre attraverso varie tipologie eruttive, sono oggetto di studio con formulazioni di teorie tutte corredate dall’incertezza scientifica, perché i fenomeni eruttivi generalmente non sono continui, e in alcuni casi sono intervallati da secolari quiescenze. Fenomeni tra l’altro, che traggono origine dal sottosuolo chilometrico, quello non direttamente esplorabile…

Certi vulcani in termini di manifestazioni eruttive sono più rari dell’apparizione della cometa di Halley che solca i cieli mediamente ogni 76 anni… Nessuno degli scienziati oggi in servizio permanente effettivo all’Osservatorio Vesuviano ha mai visto un’eruzione dell’arcinoto Vesuvio o del super vulcano dei Campi Flegrei o dirompenze sull’isola d’Ischia. Quindi, la maggior parte delle disquisizioni scientifiche ad oggetto i vulcani napoletani, gioco forza devono trattare la scienza delle eruzioni e le sue innumerevoli variabili analiticamente, magari gettando lo sguardo su altri vulcani in attività come quelli ubicati sulle nostre isole meridionali oppure in altre parti del mondo.

I vulcani “stranieri”, per genesi e comportamenti e storie e contesti, sono completamente diversi l’uno dall’altro: non parliamo della forma, bensì del DNA geologico, frutto di fusioni e rifusioni e mescolamenti del magma, che avvengono nella parte superiore del mantello che assorbe prodotti in ascesa dal profondo, fondendone altri dalla suola litosferica.

La camera magmatica è forse l’elemento più importante di un vulcano, ancorchè dislocata a profondità variabile dai 3 ai 10 chilometri: è qui che ristagna la pasta ignea ad elevata temperatura e pressione ben insinuata nelle rocce incassanti. Se dovesse aumentare la spinta magmatica verso la superficie o, viceversa, dovesse essere minata la resistenza della crosta terrestre in un determinato punto sotto pressione, come sembra prospettarci il Dott. Chiodini per i Campi Flegrei, l’eruzione sarebbe inevitabile.

Alcune congetture sulla tipologia eruttiva e sulle varie manifestazioni vulcaniche ad oggetto il Vesuvio, sono state fatte dal Gruppo di lavoro “A” messo insieme un po’ di anni fa dal Dipartimento della Protezione Civile: una sorta di conclave costituito da scienziati per tracciare gli scenari eruttivi della prossima eruzione dell’arcinoto vulcano semmai dovesse verificarsi un’eruzione nel medio termine. Al massimo un’eruzione VEI 4 (sub pliniana) hanno sentenziato gli esperti: giudizio poi avallato dalla commissione grandi rischi. D’altra parte, nella relazione del Gruppo A si evidenzia a sostegno della tesi VEI 4, che nella camera magmatica superficiale del Vesuvio non c’è magma a sufficienza per una eruzione VEI 5, cioè una pliniana come quella che distrusse nel 79 d.C. Pompei, Ercolano e Stabia.

Secondo il Prof. Raffaele Cioni dell’INGV, tra l’altro membro della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, l’eruzione di Pollena del 472 ha marchiato i prodotti litoidi espulsi dal Vesuvio, lasciando impresso sulle rocce il segno di pressioni dell’ordine di cica 1000 bar. Cioè una pressione mille volte superiore a quella registrabile al livello del mare: compressioni riscontrabili a una profondità terrena di circa 4 - 5 chilometri…

Lo stesso Cioni però, rileva (Evidence for the shallowing of the Vesuvius reservoir in the upper crust over the last 20 kyr), che nell’analisi petrografica dei prodotti eruttati dal Vesuvio nell’eruzione pliniana del 79 d. C. e altre eruzioni particolarmente violente, si nota che il magma è assurto in superficie direttamente dalla camera magmatica più profonda, come quella attualmente dislocata a una profondità di circa 8 – 10 chilometri.

Il dato che ci sembra si possa cogliere allora è questo: il Vesuvio può attingere per le sue eruzioni da una camera magmatica pseudo superficiale quanto profonda, senza rendere necessario accumuli di magma intermedi, che pure potrebbe già esserci come punta di un iceberg incandescente, con spessori orizzontali non particolarmente estesi e quindi non evidenziabili nettamente dalla tomografia sismica.

D’altra parte un magma che ristagna più superficialmente dovrebbe essere un po’ più povero di elementi volatili. Quello che proviene dal profondo invece, ha una forza gorgogliante particolarmente dirompente: da pliniana insomma…

Lo studio del Prof. Cioni è forse un tantino in controtendenza con la relazione presentata dal Gruppo di lavoro A. In questo trattato scientifico infatti, viene dato come elemento rassicurante poco magma nella camera superficiale del Vesuvio...


Complesso Somma_Vesuvio visto da nord


Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo è un noto vulcanologo dell‘INGV – Osservatorio Vesuviano. Autore di alcune pubblicazioni di grande presa sul pubblico mondiale.

Prof. Mastrolorenzo, ha influenza la dislocazione della camera magmatica nelle dinamiche eruttive?

<< Innanzitutto è necessario precisare che tutte le ricerche relative alla identificazione di camere magmatiche sotto i vulcani attivi sono basate su approcci indiretti. Infatti, fatta eccezione per casi rarissimi, relativi ad antiche camere magmatiche solidificate e venute poi a giorno a seguito di processi di erosione, le camere magmatiche non sono rilevabili in modo diretto, e tuttalpiù possono essere intercettati dicchi magmatici nell’ambito di trivellazioni in vulcani attivi.

Nel caso del Vesuvio, dallo studio delle rocce eruttate durante i vari eventi eruttivi che hanno caratterizzato la storia del noto vulcano e da una serie di rilievi e analisi di natura geofisica utili per la comparazione dei dati, sono state ipotizzate le possibili localizzazioni in profondità dei sistemi magmatici responsabili delle eruzioni avvenute in passato, nonché delle zone anomale situate in profondità, quali possibili sedi di attuali camere magmatiche.

In particolare, ricerche condotte da me e dalla dott.ssa Lucia Pappalardo e da altri ricercatori nell'ultimo decennio, hanno evidenziato come le eruzioni sub-pliniane e pliniane del Vesuvio, nel corso degli ultimi ventimila anni siano derivate da camere localizzate a una profondità dell'ordine di circa otto chilometri.

Questo risultato è basato sullo studio dei minerali presenti nelle rocce espulse dal vulcano, e più in generale da particolari indicatori di pressioni pre eruttive che influenzano e favoriscono inclusioni vetrose (gocce di magma intrappolate nei cristalli prima e durante la risalita del magma) rilevabili all'interno dei materiali rocciosi che abbiamo raccolto in zona. Tutti elementi in accordo con le evidenze di strati ad alta temperatura e bassa rigidità risultante dalle indagini di tomografia sismica condotta negli scorsi decenni.

Circa i processi pre eruttivi e le possibili durate e tipologie dei fenomeni precursori che potrebbero accompagnare l'evoluzione delle camere magmatiche verso una possibile eruzione futura, dobbiamo limitarci a semplici ipotesi non verificabili per la mancanza di qualsiasi esperienza diretta in merito, e possiamo solo riferirci alle poche eruzioni di altri vulcani attivi direttamente osservate negli ultimi decenni.

Per tali motivi, è assolutamente doveroso che i vulcanologi dichiarino i loro limiti di conoscenza per non indurre le autorità e le popolazioni a rischio a ritenere che esistano metodi oggettivi e affidabili per la previsione dell’evento vulcanico, in termini sia temporali che di tipologia eruttiva di quello che sarà il futuro evento eruttivo>>.

Ringraziamo il Prof. Mastrolorenzo, primo ricercatore INGV – OV, per questa nota che lascia pochi dubbi interpretativi sull’ubicazione della camera magmatica del Vesuvio e sullo stato della previsione dell’evento vulcanico.

Quello che vorremmo ulteriormente segnalare in conclusione, è che l’attuale politica di prevenzione delle catastrofi vulcaniche, un argomento che ci riguarda molto da vicino, si basa su un modello statistico utilizzato come elemento di certezza deterministica, per tracciare limiti di pericolo addirittura geo referenziati con implicazioni nel campo dell’edilizia residenziale che non segue criteri di prudenza e delle strategie operative di emergenza molto discutibili soprattutto dal punto di vista dei territori classificati coinvolgibili nelle fenomenologie vulcaniche più disastrose.

Con questo non si vuole dire che la prossima eruzione del Vesuvio sarà certamente apocalittica, cioè pliniana in ambito metropolitano; vogliamo semplicemente dire che la vita umana non è un assemblaggio di tessuto vivente ricostruibile in un altro luogo e, quindi, l’umanità deve essere titolare di un qualche diritto di precauzione.

Allora la scienza deve essere in linea con la democrazia, senza essere serva sciocca dell’aristocrazia istituzionale che vuole popoli rabboniti e concilianti… Ogni singolo abitante che vive nelle aree vulcaniche, deve sapere i limiti della scienza e della tecnologia esplorativa. Deve sapere a cosa si può andare incontro permanendo in zona rossa, e deve avere contezza che lo Stato ha l’obbligo di garantire la sicurezza dei propri cittadini attraverso la redazione e l’adozione di un piano d’emergenza corredato da un piano di evacuazione, preferibilmente non mediatico o aritmetico.

L’elaborazione di politiche di prevenzioni delle catastrofi dovrebbero essere un disegno politico e istituzionale da porre al vaglio nelle campagne elettorali comunali e regionali e nazionali. Così come può concorrere alla sicurezza areale l’educazione civica delle future leve vesuviane e flegree e ischitane, secondo processi formativi che dovrebbero prevedere l’inoculazione di concetti che riguardano il territorio e il rispetto delle regole, che in un’area vulcanica potrebbe voler dire il concorso civile nella direzione della collettiva e futura sicurezza: “Venturi non immemor aevi ” ossia: “Pensiamo alle generazioni del tempo che verrà… (cartiglio Palazzo Cassano - Napoli -).

martedì 23 maggio 2017

Campi Flegrei: eruzione o non eruzione?... di MalKo



Campi Flegrei - Macellum di Pozzuoli -

In questi giorni a tenere banco sul rischio vulcanico ci hanno pensato i giornali che hanno riportato in prima pagina la notizia che, dallo studio - Progressive approach to eruption at CampiFlegrei caldera in southern Italy -, condotto dai ricercatori Christopher R. J. Kilburn, Giuseppe De Natale e Stefano Carlino, risulta che un’eruzione ai Campi Flegrei è più vicina del previsto.

Lo studio in questione pubblicato il 15 maggio 2017 sulla rivista Nature Communications, segue a distanza di tempo i primi allarmi lanciati dal geochimico dell’INGV Chiodini e altri (2012) dalle pagine di Geology - Early signals of new volcanic unrest at Campi Flegrei caldera? Insightsfrom geochemical data and physical simulations - e poi da Amoruso e Crescentini e altri, che nel 2014 con la loro ricerca Clues to the cause of the 2011–2013 Campi Flegrei caldera unrest,Italy, from continuous GPS data - orientativamente assegnavano una sorgente magmatica all'origine del sollevamento dei suoli flegrei.

C’è poi un’ulteriore studio di Chiodini -  Vandemeulebrouck ed altri del 15 marzo 2015 - Evidence ofthermal-driven processes triggering the 2005–2014 unrest at Campi Flegrei caldera -  dove si evidenzia un ruolo fondamentale del riscaldamento delle rocce causato da fluidi magmatici, quale fattore che indebolisce la resistenza degli strati tra magma e superficie.

In un altro lavoro ancora datato agosto 2015:<< Magma injection beneath the urban area of Naples: a new mechanism forthe 2012–2013 volcanic unrest at Campi Flegrei>>,  i ricercatori D’Auria e Pepe ed altri ipotizzano la presenza di magma a bassa profondità (3 Km) nel flegreo anche marino.

Significance of the 1982–2014 Campi Flegrei seismicity: Preexisting structures, hydrothermal processes, and hazard assessment è un ulteriore rapporto scientifico firmato da Di Luccio, Pino, Piscini e Ventura, pubblicato il 28 settembre del 2015, dove anche in questo caso si richiama un’intrusione magmatica nei suoli del bradisismo.

Magmas near the critical degassing pressure drive volcanic unresttowards a critical state, è un altro lavoro scientifico pubblicato da Chiodini e Paonita su Nature Communications il 20 dicembre del 2016, dove, in conclusione, si pone in rilievo ancora una volta e per i Campi Flegrei, un indirizzo geologico di criticità. 

Nel compendio scientifico - Space-weighted seismicattenuation mapping of the aseismic source of Campi Flegrei 1983–1984 unrest - di De Siena, Amoruso e altri pubblicato il 22 febbraio 2017, si ipotizza magma nella parte marina prospiciente Pozzuoli.

La relazione pubblicata su Nature Communications da Kilburn, De Natale e Carlino, ci sembra che evidenzi maggiormente e come elemento capace di indebolire la crosta flegrea, i movimenti meccanici dovuti al bradisismo, inteso come fenomeno destabilizzante dell’elasticità delle rocce che viene persa a favore di una maggiore fragilità complessiva della coltre crostale.

L’allarme eruzione di questi giorni dicevamo, è stato prevalentemente consumato a livello giornalistico e mediatico , in quanto l’attenzione della popolazione puteolana e napoletana non ha avuto un particolare picco di interesse alla faccenda, con De Natale che ha poi tranquillizzato in Italia e Kilburn invece, che pare abbia allarmato in Inghilterra…

Il Prof. De Natale al momento dell’ondata giornalistica allarmistica si trovava a un seminario a Rotterdam. E’ subito intervenuto cercando di chiarire il senso che si voleva dare alla ricerca pubblicata su Nature C. che non paventava un’eruzione vicina, rimandando al suo rientro in patria le spiegazioni del caso. Cosa che poi ha fatto intervenendo innanzitutto a un seminario assicurato dalla struttura comunale di Pozzuoli e dall’attento sindaco Figliolia a capo della municipalità dai terreni ballerini.

Tornando a fattori più generali, una caldera che ha visto imponenti eruzioni partorite nel corso dei millenni da circa una quarantina di bocche eruttive con fenomeni sussidiari di bradisismo negativo e positivo in suoli e sottosuoli pregni di liquidi e vapori soprassaturi con temperatura fra le più calde riscontrabili in Italia, sono tutti elementi che pongono e presentano all’investigatore scientifico, indizi di un tessuto crostale diciamo monoliticamente un tantino compromesso.

Un po’ tutti gli studi vanno nella direzione dell’indebolimento crostale ipotizzato ci sembra per primo da Chiodini. Una matrice magmatica sembra plausibile quale fonte di calore e di riscaldamento dei fluidi nel sottosuolo, anche se qualche lavoro scientifico va verso la direzione di un’intrusione magmatica presente sì nei primi chilometri, ma datata e in via di raffreddamento. Tutti i lavori scientifici concorrono con pari dignità a fare chiarezza sulla fragilità dei suoli flegrei e su cosa spinge dal basso, e quindi la proposta di Chiodini di invitare le massime autorità scientifiche mondiali a pronunciarsi su un eventuale stato pre eruttivo dei Campi Flegrei, ci sembra particolarmente sensata.

In questo panorama d’incertezza, c’è chi offre la certezza che procedendo nella trivellazione profonda dei suoli di Bagnoli verso il mare e fino a profondità dell’ordine dei 4000 metri, si riuscirà a prelevare campioni di rocce su cui “leggere” lo stato attuale della caldera flegrea incidendo così e positivamente sulla previsione del fenomeno eruttivo.

Bagnoli - Napoli
Senza entrare nel dibattito scientifico che non ci compete, entriamo con qualche argomentazione in quello tecnico e forse politico. Tutte le disquisizioni scientifiche sull’argomento flegreo sono corredate dall’incertezza e non potrebbe che essere così.

Il quadro d’insieme a proposito del deep drilling project (CFDDP) inteso come progetto scientifico internazionale, intanto è stato inquinato in partenza da una certa euforia legata al geotermico piuttosto che alla scienza,  da una propaganda iniziale che accomunava CFDDP ed energia geoelettrica da produrre nell’area in un momento in cui il progetto geotermico Scarfoglio era scientificamente supportato direttamente o indirettamente dall’INGV, nonostante una certa contrarietà locale degli abitanti dettata anche da uno stato di attenzione vulcanica che non è regredito: anzi...

Riferire che il progetto di trivellazione profonda sia esente da rischi è molto azzardato perché dire flegreo significa dire area metropolitana di Napoli, ovvero 550.000 abitanti. Tentare di raggiungere il magma superficiale (4 km) interagendo attraverso le trivellazioni in strati rocciosi dichiarati nell’ultimo lavoro scientifico fragili, è francamente incomprensibile e forse sconsigliabile, anche perché bisognerà trapanare porzioni di territorio ad elevata temperatura e pressione dei fluidi in quello che è considerato da tutti, ripetiamo,  un territorio ballerino e non certo per propensione artistica.

I Campi Flegrei godono di un livello di allerta vulcanica tarato sullo stato di attenzione, che potrebbe essere forse poca cosa nelle condizioni di unrest attuale. Nessuno è in grado di dirlo però, e a dirla tutta, attualmente in termini di allerta vulcanica, si sta campando un po’ alla giornata sperando che gli strumenti di monitoraggio non virino al rialzo…

Il progetto di sfruttamento geotermico denominato Scarfoglio (Solfatara), è oggetto dal 2015 a Valutazione di Impatto Ambientale a cura della commissione tecnica ministeriale incaricata di decidere sulla fattibilità e innocuità del progetto. Commissione a cui sono giunte tutte le osservazioni possibili ad oggetto trivellazioni e reiniezione dei fluidi in quell’area calderica, con relazioni non favorevoli di Mastrolorenzo e Vanorio e Ortolani e altri. Il CFDPP non prevede reiniezioni, ma trivellazioni accentuate in area vulcanica agitata sì. Le valutazioni del Ministero dell’Ambiente quando saranno pronte porteranno quindi ulteriori e nuovi elementi su cui riflettere anche da questo punto di vista (trivellazioni).

Se la valutazione del rischio eruttivo fosse solo una competenza scientifica, la diramazione dello stato di pre allarme e allarme sarebbe lanciato all’occorrenza dal direttore dell’Osservatorio Vesuviano. Ma non è così. Per contratto il monitoraggio dei Campi Flegrei è affidato all’INGV – OV classificato - Centro di Competenza - per gli affari vulcanici, i cui bollettini, analisi e indagini, sono leggermente imbavagliati da una clausola di riservatezza imposta dal dipartimento della protezione civile che invece decide livelli e fasi di allerta vulcanica  in seno alla presidenza del consiglio.

tavola allerta vulcanica e livelli decisionali
Il rischio però, per sua natura, non è la valutazione di un solo fattore critico per quanto importante. Il rischio prevede l’analisi di più fattori fisici, geochimici, statistici, filosofici, giuridici, meteorologico, compreso il modello di società e i livelli di garanzia e di valore assoluti che si assegnano alle popolazioni, anche in nome del diritto europeo (CEDU) e di precauzione… Tutti gli elementi che possono condizionare le scelte confluiscono quindi sui tavoli politici fino al primo dei politici, a cui è demandata l’unica estrema risposta possibile al pericolo eruttivo manifesto, cioè la dichiarazione dello stato di allarme con evacuazione preventiva della popolazione esposta.

Non essendoci eruzioni pregresse di riferimento, non sappiamo se lo stato di preallarme e allarme saranno dichiarati quando i precursori vulcanici incominceranno ad essere un elemento percepibile da uno dei cinque sensi e direttamente dalla popolazione. In questo caso si scatenerebbe il panico e qualsiasi piano di allontanamento, termine per chiarire che si procede in assenza di panico ovvero di pericolo palpabile, fallirebbe già nei primi minuti.
Guardate la strategia evacuativa prevista nel piano di evacuazione del Vesuvio: 500 Bus per portare gente dall’interno del vesuviano, ad alcuni punti posti fuori dalla zona rossa come ad esempio il cortile della stazione Trenitalia di Nocera. 500 Bus attaccati l’uno all’altro formano una colonna di 6 chilometri. Infilare una “supposta” di 6 chilometri in un culo per quanto grande da elefante (zona rossa), è praticamente impossibile. Se la si spezzetta questa colonna, formerà alfine un tappo… Allora?

In Italia non siamo riusciti a sconfiggere mafia e camorra, a gestire il fenomeno migratorio, a risolvere il problema della corruzione, ad avere una giustizia giusta, ad avere forze di polizia che siano di prevenzione e non di constatazione, una sanità che non lascia indietro nessuno, un fisco equo, l'integrità dei parchi e del territorio anche marino invece trivellato. Non siamo riusciti a combattere l’evasione fiscale, a risolvere i conflitti con le banche, a varare una legge elettorale degna di questo nome, una buona scuola che sia davvero competitiva e creativa, a creare posti di lavoro, a non vedere più figli all'estero per sopravvivere, a sconfiggere il caporalato, a sconfiggere l’abusivismo edilizio, le caste, i vitalizi, auto blu, ecc. L’elenco potrebbe continuare per molto ancora...

Noi siamo forse la protezione civile più bella del mondo, dicono. Sicuramente la più costosa. In termini di pianificazione e di manipolazione mediatica delle realtà siamo al top: all’epoca di Bertolaso del piano di emergenza Vesuvio si diceva che ci era addirittura invidiato  all’estero, come affermavano con piglio d’orgoglio gli addetti dipartimentali: eppure l’invidiato piano nazionale Vesuvio, mancava come oggi del piano di evacuazione…una piccolezza.

In questo contesto di ampia democrazia non molto partecipata ma subita, cosa vi fa ritenere che l’organizzazione scientifica e tecnica e politica salverà milioni di persone dal rischio vulcanico flegreo, vesuviano o ischitano? L'attuazione di un piano aritmetico di evacuazione? Il piano con certe premesse fallirà, ma la colpa sarà addossata al popolo popolino in preda al panico... 
E dov'è la prevenzione delle catastrofi se sui suoli d Bagnoli, in piena caldera, si possono costruire ancora palazzi e palazzoni per la mancanza di una legge anti edilizia residenziale? E l'abusivismo di necessità vale anche in zona rossa ad alta pericolosità vulcanica? Bisogna essere davvero degli inguaribili ottimisti per credere nella salvezza proveniente da questo modello effimero di società... Speriamo solo che l’evacuazione non si traduca magari dovesse verificarsi nel periodo estivo ad alberghi pieni, in un imbarco degli sfollati sui treni verso l’estero, come la monnezza…