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martedì 15 marzo 2016

Rischio Vesuvio FAQ 3. Piano di evacuazione assente! di MalKo




Vesuvio visto da sud


Nel 1986 una relazione dell’Osservatorio Vesuviano mise in guardia la Prefettura di Napoli circa la necessità che si approntasse un piano di evacuazione per proteggere gli abitanti della plaga vesuviana dal pericolo vulcanico dettato dall’arcinoto Vesuvio.
La Prefettura inviò alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell’Interno una nota in cui si caldeggiava la necessità di istituire una commissione che a tempo pieno si dedicasse alla problematica del rischio vulcanico. Diciamo che nel 1986 iniziò ufficialmente l’iter burocratico istituzionale per tentare di mettere in sicurezza i circa settecentomila cittadini del vesuviano.
La Protezione Civile supportata per la parte scientifica dalla Commissione Grandi Rischi, nel 1988 chiese al Gruppo Nazionale per la Vulcanologia (GNV) del CNR, di indicare i possibili scenari eruttivi che bisognava attendersi se il Vesuvio avesse posto fino alla sua quiescenza nel breve-medio termine.  Una prima relazione giunse nel 1990
Nel 1989 fu effettuata un’esercitazione di protezione civile ipotizzando un evento sismico di origine vulcanica con epicentro nell’abitato di Ercolano. L’esercitazione fu un disastro, al punto che la Prefettura di Napoli scrisse il 07.12.1989 ai competenti Ministeri, che in assenza di programmazione e interventi tecnicamente validi, le 700.000 mila persone dimoranti nell’area vesuviana, in caso di eruzione vulcanica non avrebbero avuto alcuna via di scampo.
Il 05.09.1991 il Ministero per il coordinamento della Protezione Civile istituì una commissione incaricata di stabilire le linee guida per la valutazione del rischio connesso a un’eventuale eruzione del Vesuvio: linee sostanzialmente finalizzate alla pianificazione d’emergenza. Il rapporto finale di detta commissione giungerà al Ministero il 04.10.1992.
Con nota del 29.06.1993, la Prefettura di Napoli sollecitò le autorità di Protezione Civile acché si formasse una commissione incaricata di redigere nel più breve tempo possibile un piano di evacuazione dell’area vesuviana.
Il 09.08.1993 il Sottosegretario di Stato alla Protezione Civile istituì la commissione incaricata di redigere un piano d’emergenza a fronte di una possibile eruzione del Vesuvio. Il folto consesso tecnico scientifico si insediò il 24.09.1993 stabilendo quelle famose linee guida su cui procedere.
Visto la complessità delle operazioni di pianificazione dell’emergenza vulcanica, il Sottosegretario in data 09.03.1994 emanò un decreto di proroga dei lavori fino al 30.04.1995, approvando il 13.06.1994 un ulteriore finanziamento per le varie attività della commissione per un totale di 1.303.469.870 di vecchie lire. Al 1995 si ascrive la prima bozza di piano d’emergenza.
La commissione incaricata di redigere il piano adottò come scenari di riferimento quelli indicati nella relazione scritta dal gruppo vulcanologico (199o), successivamente integrata da un aggiornamento datato febbraio 1998 a firma del Prof. Roberto Santacroce.
Il piano d’emergenza dicono che fu riassemblato nel 2001 e aggiornato nel 2007 dopo la sopravvalutata esercitazione MESIMEX (2006). In realtà decreti e aggiornamenti vari si succederanno nel tempo, e dal piano di emergenza si strappano e si aggiungono pagine ma sempre all’interno delle strutture di competenza, cioè nei cassetti delle scrivanie, rendendo evidente l’unico dato certo per quanto sconcertante e inoppugnabile, cioè che a 30 anni di distanza dalle prime segnalazioni di rischio incombente, il piano di evacuazione invocato dall’Osservatorio Vesuviano nel 1986, a tutt’oggi (marzo 2016), è ancora in itinere…

·        Cos’è il piano di emergenza?
Il piano d’emergenza è un documento che generalmente viene redatto dall’autorità preposta alla salvaguardia dei cittadini che, nel caso di una scuola s’identifica nel direttore didattico, in una fabbrica col datore di lavoro e in un comprensorio comunale con il Sindaco. Nel nostro ordinamento quando i rischi e gli scenari prospettati travalicano i territori comunali o comunque si prospetta la necessità di una mobilitazione nazionale per rispondere all’emergenza, il Dipartimento della Protezione Civile assume un ruolo leader d’indirizzo e coordinamento delle varie strutture e amministrazioni dello Stato che a diverso titolo sono coinvolte o coinvolgibili. Quella del Vesuvio, come abbiamo avuto modo di dire più volte, è l’unica pianificazione che in Italia si fregia del titolo di piano nazionale.
Il primo elemento che funge da premessa al piano d’emergenza, è l’individuazione dei pericoli. Nel caso del Vesuvio, il piano d’emergenza prende in considerazione un solo ed unico e grande fattore di rischio: l’eruzione. Non valuta altri rischi! Se la scienza avesse la possibilità di prevedere con certezza il tipo di eruzione, probabilmente il piano d’emergenza conterrebbe più scenari di rischio e, quindi, più soluzioni tecniche per difendere la popolazione dal pericolo vulcanico. Se avessimo la possibilità di prevedere il tipo di eruzione, probabilmente riusciremmo a prevedere anche quando avverrà l’eruzione: purtroppo questo traguardo che attiene le sconosciute profondità terrestri, non è stato ancora raggiunto…
I livelli di allerta vulcanica contenuti nel piano di emergenza.
In assenza di qualsivoglia previsione, il piano d’emergenza dovrebbe svilupparsi sull’evento massimo conosciuto, nel nostro caso invece, è stato elaborato sulla scorta della massima eruzione statisticamente preventivabile nel breve-medio termine che, come abbiamo visto nella FAQ numero 1, è un’eruzione d’intensità VEI 4 similmente sub pliniana.
Attraverso le energie ipotizzabili per un’eruzione VEI 4, è stata determinata la zona (rossa) su cui si abbatterebbero le fenomenologie vulcaniche peggiori, costituite in primis dai flussi piroclastici. Dalle nubi ardenti non c’è difesa che tenga, e l’unica possibilità di salvezza consiste nell’abbandonare, nel nostro caso attraverso una massiccia evacuazione, la zona a rischio prima dell’eruzione.
I tipi di eruzione rapportati al fenomeno dei flussi piroclastici
Quindi, il piano di emergenza Vesuvio doveva essere un tutt’uno con questo fondamentale annesso chiamato piano di evacuazione. Se mancano le istruzioni per evacuare, il piano di emergenza rimane un’accozzaglia di notizie anche tecnicamente interessanti ma senza senso, o se volete, senza alcuna utilità operativa.
Nelle scuole, negli ospedali, sulle navi e aerei e fabbriche e musei e tribunali, sono affisse piantine a colori in cui sono evidenziati i percorsi di fuga per raggiungere un luogo sicuro. Quelle piantine in realtà sono il piano di evacuazione sintetizzato a tutto vantaggio degli ospiti, gli utenti, i degenti, i visitatori o i viaggiatori occasionali a cui non interessa il piano di emergenza (un malloppo di carte), bensì semplicemente il percorso evacuativo per mettersi in salvo all’occorrenza. Navi e aerei  prima della partenza, devono spiegare ai passeggeri in che modo si evacua l’aeromobile o il transatlantico e non l’organizzazione di bordo…
Classico schema di piano d'evacuazione
Vedete questa piantina affissa ad oggetto lo schema d’evacuazione forse di uno studio professionale? Ebbene, sotto forma di stradario dovrebbe essere posta parimenti all’ingresso dei comuni vesuviani, perché anche il visitatore occasionale o il turista deve sapere quali sono i percorsi da seguire all’occorrenza a piedi o in auto per allontanarsi dal pericolo.
Nell’area vesuviana non c’è mai stato un piano di evacuazione, ma solo un piano di emergenza che racchiude come più volte detto tutte le notizie scientifiche e organizzative e tecniche. Per anni l’equivoco tra piano di emergenza e piano di evacuazione ha tratto in inganno tutti, anche se tra questi tutti bisognerebbe distinguere quelli che hanno rassicurato in buona fede e quelli che sull’equivoco ci hanno marciato e campato a lungo e altri ancora, anche di ruolo istituzionale, che sull’argomento hanno mantenuto uno stretto e rigoroso riserbo.
Le istituzioni competenti ancora nell’odierno giustificano questi ritardi  incolpando l’inerzia dei predecessori secondo il collaudato sistema dello scaricabarile.
L’attuale consulente della protezione civile regionale, Dott. Nello Di Nardo, ha affermato in una conferenza stampa che non bisogna far polemiche con le passate gestioni, ma dobbiamo impegnarci al massimo per recuperare il tempo perduto e ammodernare adeguatamente la complessa macchina della Protezione Civile campana. Cominceremo in primavera, dopo oltre dieci anni di paralisi, con le esercitazioni intercomunali da effettuarsi nelle zone vulcaniche a rischio …
Un’altra redditizia giustifica agli inadempimenti istituzionali l’hanno individuata negli scenari eruttivi che cambiano, mentre in realtà nessuna rivoluzione ha percorso gli atti scientifici, tanto più se la zona rossa ad alta pericolosità vulcanica è addirittura risultata meno vasta della precedente, con l’eruzione di riferimento che rimane come prima una sub pliniana.
La struttura nazionale di coordinamento, leggasi Dipartimento della Protezione Civile, non si capisce perché di fronte all’annosa inadempienza dei municipi troppo impegnati con le pratiche di condono edilizio, non abbia operato in surroga o commissariando, atteso che il diritto alla sicurezza è imprescindibile e inalienabile.
Nel 2014 grazie ad alcuni fondi europei, sono stati elargiti ai 550 comuni della Regione Campania 14 milioni di euro per finanziare la messa a punto del piano di protezione civile comunale. La massima cifra è stata destinata ai comuni ricadenti in zone vulcaniche.
Entro il 31 dicembre 2015 ogni municipio campano avrebbe dovuto presentare il piano di protezione civile comunale e, quindi, quelli in area vesuviana anche i piani di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio. La nota stonata in questa faccenda dei piani che ci lascia molto perplessi, è il ricorso di alcune municipalità a gare pubbliche per affidare a professionisti e studi associati esterni, il gravoso compito della stesura di tale documento che andava soffertamente elaborato dai manager comunali. Eppure qualche anno fa sono stati pubblicizzati e tenuti corsi di formazione per i tecnici comunali addetti alla protezione civile in area vulcanica proprio per la compilazione dei piani d'emergenza. Abbiamo provato a chiedere maggiori ragguagli al dirigente regionale alla protezione civile Ing.  Italo Giulivo, purtroppo non ha mai ritenuto doveroso rispondere…
Intanto bisogna pure dire che anche importantissime trasmissioni televisive e radiofoniche di punta, così come alcune note riviste scientifiche, hanno celebrato e celebrano ancora oggi la bontà del piano d’emergenza quale strumento di tutela dei cittadini vesuviani.
Ad ogni buon conto, anche il migliore dei piani di evacuazione non esiste se non è conosciuto dagli utenti cittadini. Occorrono quindi vademecum che dovranno essere consegnati ad ogni famiglia del vesuviano. Senza informazione capillare la bontà del piano di evacuazione potrebbe essere compromessa, perché basta un solo autoveicolo che marcia nella direzione sbagliata a far saltare la delicata e stretta viabilità che caratterizza i comuni vesuviani.
Mappa di classificazione dei bisogni dei cittadini
Nel vademecum dovranno essere riportate oltre alla strategia evacuativa, ovvero mappe a colori indicanti percorsi e aree d'interesse, anche quelle notizie di prima utilità, tipo:
  • In che modo saprò a quale livello di allerta vulcanica ci troviamo?
  •  Nella fase di preallarme le scuole saranno aperte?
  •  Se vado via durante il preallarme sarò giustificato al posto di lavoro?
  • Nella fase di preallarme se decido di andare via a quanto ammonta il contributo    di autonoma sistemazione?
  • Dove deve portarsi chi non ha un mezzo di locomozione?
  • Se si passa dal preallarme all’allarme durante la notte chi mi avverte?
  • Se vado via a quale numero telefonico posso segnalare la mia partenza o richiedere informazioni?
  •  Ecc.…
La strategia informativa è determinante e dovrà basarsi sicuramente sulle possibilità offerte dal web, ma soprattutto è di vitale importanza la collaborazione di volontari selezionati e formati che distribuiranno i vademecum porta a porta e risponderanno alle domande dei cittadini. Già: i cittadini, non dovrebbero essere sudditi ma titolari di qualche diritto, come quello di essere informati. Ovviamente come sempre succede, i primi canali informativi dovranno essere i luoghi di aggregazione ad iniziare dalle scuole, dove fino ad oggi esperti di rischio vulcanico hanno raccontato... cos'hanno raccontato?














sabato 12 marzo 2016

Rischio Vesuvio: FAQ 2 - La zona rossa... di MalKo



Ercolano e il Vesuvio

     
Per poter comprendere quali siano state le logiche scientifiche e amministrative che sono state tenute fin qui in debito conto per tracciare i confini della zona rossa Vesuvio, dobbiamo partire da alcune premesse:
·       La zona rossa deve identificare il territorio vulcanico dove le fenomenologie che possono scaturire da un’eruzione rappresentano una grave minaccia per la popolazione esposta.
·       ll territorio ad alta pericolosità vulcanica è quello che convenzionalmente viene indicato come suscettibile ad essere invaso dai flussi piroclastici. 
·       I flussi piroclastici sono la manifestazione più temibile di un’eruzione esplosiva. Trattasi di una sorta di valanga composta dai prodotti magmatici espulsi dal vulcano, che si accompagnano a un miscuglio di gas e vapore acqueo.  I flussi piroclastici hanno temperature molto elevate che possono raggiungere finanche i 1000° Celsius. Durante le eruzioni esplosive del Vesuvio, le temperature dei flussi piroclastici al termine della loro corsa hanno lasciato segnare tra, Pompei, Pollena ed Ercolano, valori oscillanti tra i 300° e i 600° C.   Anche la velocità di queste colate è notevole, al punto che è stato determinato in pochi minuti il tempo necessario a un flusso piroclastico per percorrere i pendii vulcanici fino al mare.
·       La capacità di percorrenza dei flussi piroclastici in senso orizzontale, una volta che questi hanno raggiunto il mare o la parte pianeggiante della plaga vesuviana, è legata a una serie di fattori, tra cui l’altezza della colonna eruttiva che ha certamente una sua correlazione con l’indice di esplosività vulcanica (Volcanic Explosivity Index).
Avendo a disposizione il dato di partenza, cioè l’eruzione massima di riferimento che nel nostro caso le autorità hanno stabilito in linea con le intensità sub pliniane (VEI4), la Commissione Grandi Rischi ha trovato utili elementi nella relazione scientifica della Dott. Lucia Gurioli, ad oggetto i limiti di deposito dei flussi piroclastici nel vesuviano. Il compendio è stato analizzato, adattato e adottato.
Il lavoro campale della ricercatrice consiste nell’aver fissato sulla carta i limiti di corsa dei flussi piroclastici geo referenziandoli. Unendo questi punti sono venute fuori delle linee che rappresentano graficamente il massimo scorrimento delle correnti piroclastiche, distinte per frequenza eruttiva. Nel nostro caso la linea nera identifica le massime distanze raggiunte dai flussi in seno a eruzioni a media frequenza come quelle d’intensità VEI 4.
Vesuvio - La linea nera Gurioli è una linea chiusa che indica la zona ad
alta pericolosità vulcanica,cioè quella soggetta ai flussi piroclastici.

La commissione grandi rischi, dicevamo, ha ritenuto idonea la linea nera Gurioli per determinare i confini della zona rossa ad alta pericolosità vulcanica, valutando poi, che lo stesso segmento possa essere considerato anche quale limite d’invasione dei lahar, ulteriore fenomeno vulcanico consistente in colate di fango travolgenti. Occorre precisare, per chiarezza informativa, che il lavoro della Dott. Gurioli era finalizzato a stabilire dei limiti di deposito e non dei limiti di pericolo…

Comunque, il Dipartimento della Protezione Civile mettendo insieme l’eruzione di riferimento (VEI4) e la congruità della linea nera Gurioli come limite d’invasione dei flussi piroclastici, ha poi analizzato un’ulteriore rapporto scientifico ad oggetto il fenomeno di ricaduta dei prodotti piroclastici espulsi dal vulcano. Questi ultimi, consistenti in cenere e lapilli, oltre a martellare la zona Gurioli e circondario, avrebbero una particolare incidenza anche a distanza da questo settore, secondo un’intensità di deposito dipendente oltre che dall’eruzione, dalla direzione e dall’intensità dei venti dominanti in quel momento.
Il rapido appesantimento dei tetti non strutturati per i sovraccarichi accidentali, comporterebbe lo sprofondamento dei medesimi con effetto domino sui solai sottostanti. Purtroppo il problema della pioggia di cenere e lapillo che afflisse immediatamente le popolazioni di Pompei nel 79 d.C., alla stregua determinerebbe anche oggi gravi problemi alla respirazione. Da tener presente inoltre, lo spegnimento dei motori e l’impercorribilità delle strade dove si vedrebbe crescere a vista d'occhio il livello dei depositi al suolo e di contro calare rapidamente la visibilità .
Eruzione Vesuvio 1944 - Il campo di volo di Terzigno fu preda della pioggia di cenere e
 lapilli che oltre a distruggere gli aerei americani rese  la pista inservibile.

L’aereo americano che vedete in figura (1944), come altri, per un rapido mutamento della direzione dei venti non fece in tempo a decollare dal campo di volo di Terzigno, rimanendo bloccato e bombardato dalla pioggia di lapilli.
Le precipitazioni di cenere e lapillo e i lahar, sono un pericolo con cui bisognerà confrontarsi anche in caso di eruzione stromboliana violenta (VEI 3). Al di fuori della zona rossa, i territori ubicati ad est del Vesuvio, ovvero, i comuni di Poggiomarino, Palma Campania, San Gennaro Vesuviano e Scafati, sono stati ricompresi nella zona rossa da evacuare, così come sancisce una direttiva governativa comprensiva di mappa (sottostante), a firma del presidente Letta.

La zona rossa da evacuare comprendente i comuni e le municipalità indicate
nell'allegato 1 della direttiva del presidente del consiglio del 14.02.2014

Sentite cosa dice questo documento al primo punto:<< L’area da sottoporre ad evacuazione cautelativa per salvaguardare le vite umane dagli effetti di una possibile eruzione, soggetta ad alta probabilità d’invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) e di crollo delle coperture degli edifici per importanti accumuli di depositi di materiali piroclastico (zona rossa 2), ed individuata complessivamente quale zona rossa, comprende i territori dell’allegato 1 che costituisce parte integrante del presente provvedimento.
In linea di massima l’impressione che se ne ricava induce a pensare che sia stato fatto un buon lavoro di pianificazione alquanto garantista. Purtroppo non è così, perché ci sono delle incomprensioni e soprattutto delle alchimie della politica e anche della scienza che tentiamo con grosse difficoltà di spiegare.

Vesuvio - Nella figura soprastante a colori, vedete la zona gialla, la curva di isocarico
dei 300 Kg/mq. ,la zona rossa 1 e la zona rossa 2.
La mappa che vedete appena in alto a colori è identica a quella precedente in grigio. Mentre nel documento presidenziale si parla nella sostanza di una zona rossa complessiva, i documenti più di dettaglio, evidenziano come la zona rossa in realtà comprenda l’unione di due distinte zone rosse: rispettivamente la zona rossa 1 (R1) e la zona rossa 2 (R2). Le due zone come recita la direttiva Letta, in caso di allarme vulcanico devono essere evacuate.
Sulla zona rossa ad alta pericolosità vulcanica (R1), cioè quella invadibile dai flussi piroclastici, grava la legge regionale Campania n°21 del 2003 che vieta qualsiasi tipo di edificazione a uso residenziale. Per non rendere tutta la zona rossa oggetto di questa legge anti cemento, la Regione accogliendo le proteste dei sindaci super allarmati, non per il Vesuvio, no…no… ma per la legge 21/2003, ha operato una diversa classificazione della zona rossa 2 che è stata semplicemente appellata  zona vulcanica pericolosa. L’assenza dell’aggettivo alta consente di non applicare al settore R2 i disposti della legge 21/2003 sull’inedificabilità totale, nonostante si tratti di comuni ubicati in zona rossa da evacuare in caso di allarme vulcanico ancorché zone che con il tempo saranno fagocitate dalla zona rossa ad alta pericolosità vulcanica ( pliniana), destinata implacabilmente ad allargarsi.
Per farla breve, nelle zone classificate R2, anche a un metro dalla linea nera Gurioli, si continuano a costruire allegramente fabbricati ad uso residenziale in barba a qualsiasi elementare regola di prevenzione.
Area vesuviana - le zone dove è possibile costruire residenze abitative.

La mappa che vedete sopra, rappresenta il Vesuvio e il percorso della linea nera che identifica appunto la nuova zona rossa ad alta pericolosità vulcanica. Le casette in verde chiariscono dove si costruisce con licenza edilizia R2 compresa. Le casette di colore rosso invece, indicano i territori dove si applica totalmente la legge regionale 21/2003 (niente cemento) con qualche forzatura interpretativa, perché, come vedremo più avanti, il disposto legislativo regionale dovrebbe trovare applicazione  unicamente nei territori all’interno della linea nera (alta pericolosità) e non fuori da essa.
Spaccato dell'area vesuviana dove si evincono le discrepanze di trattamento amministrativo

Guardate questo spaccato ingrandito. Il comune di Boscoreale fece ricorso al TAR chiedendo che a quella parte di territorio ubicato oltre la linea nera Gurioli, quindi al di fuori della zona ad alta pericolosità vulcanica, venisse accordata la inapplicabilità della legge 21/2003. Il Tar diede ragione a Boscoreale ma la Regione Campania impugnò subito l’atto davanti al Consiglio di Stato vincendo il ricorso: sostanzialmente l’alta corte ritenne prudenziale che a Boscoreale si vietassero le costruzioni. Sentite cosa scrisse la Regione Campania tramite l'ufficio di avvocatura regionale :<< …la commissione grandi rischi… Ha definito detta linea nera (Gurioli N.d.R.)  di delimitazione della zona rossa 1 come il limite minimo della zona interessata dalla dispersione dei flussi piroclastici, ammettendo la possibilità di variabili non previste>>.

All’ex assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, occorrerebbe chiedere come mai il comune di Scafati, atteso tutte queste precauzioni e prudenze richiamate innanzi al Consiglio di Stato a cura della sua avvocatura, è stato giudicato senza colpo ferire fuori dalla zona rossa e senza nessuna delibera che dichiarasse o meno una volontà comunale di diversa riperimetrazione della zona rossa, come hanno dovuto fare invece la città di Napoli e i comuni di Poggiomarino, Nola, San Gennaro Vesuviano e Palma Campania.

Il nostro sospetto è che alla base della vera ragione per la quale la Regione Campania s’inalberò per la sentenza del TAR favorevole a Boscoreale, la si possa evincere dalle stesse carte giudiziarie che sono una miniera di verità. Sempre dagli atti regionali si legge:<<..il suddetto gruppo di lavoro (Gruppo di lavoro A N.d.R.) ha fatto riferimento a valutazioni puramente scientifiche, le quali sono il risultato di simulazioni basate su modelli matematici, che quindi non possono tenere conto di tutte le variabili eccezionali e non prevedibili presenti durante un’eruzione. Ciò posto, detti modelli matematici hanno portato a ridurre parzialmente la zona rossa 1 rispetto a quella già individuata nel 2001>>.

Se Boscoreale avesse vinto il ricorso, lo avrebbero vinto anche Pompei, Torre Annunziata e Somma Vesuviana  e Sant'Anastasia che erano in attesa:  l'inoppugnabile verità di una zona rossa minimale rispetto al passato sarebbe saltata subito all'occhio. Una considerazione quella della zona rossa più piccola della precedente che, a onore del vero, non ci sfuggì all’atto dell'orgogliosa presentazione dei nuovi scenari nella rinomata sede del Dipartimento della Protezione Civile.
Come si vede quindi, la zona rossa così com’è è una pericolosa interpretazione e interpolazione dei troppi interessi che gravano sull'area vesuviana. Le nostre considerazioni vanno nella direzione che l'attuale conformazione della zona pericolosa e le inique classificazioni amministrative, sono alla base di un cocktail micidiale che potrebbe, nelle pieghe di un tempo imperscrutabile,  portare a una catastrofe da cigno nero, perché le regole della prevenzione nel vesuviano non ci sono mai state o sono completamente obliate come il fantomatico piano nazionale che tarda ad arrivare.
Che dire poi della zona rossa 2, dove ancora oggi non siamo in grado di dire con certezza se si evacua interamente in caso di allarme come recita la direttiva Letta o si procede con evacuazione mirata in base alla resistenza dei tetti o alla direzione dei venti come scritto altrove e come  previsto nella prima stesura del piano d'emergenza (1995)... 
Con molta fatica arriveremo alla conclusione che forse è necessario formattare questo sistema di tutele che non genera sicurezza ma solo garanzie mediatiche in assenza di un giornalismo investigativo.
Nella prossima imperdibile FAQ, la FAQ numero 3, parleremo del piano di emergenza Vesuvio...







 


domenica 6 marzo 2016

Rischio Vesuvio: le FAQ... di MalKo



Il sorvolo del Vesuvio


In moltissime pagine istituzionali diffuse sul web, ce ne sono quasi sempre alcune dedicate alle Frequently Asked Question (FAQ), cioè un elenco di risposte preconfezionate che soddisfano i quesiti maggiormente posti all’autore o al titolare del servizio o all’articolista che pubblica sul web. Diversamente le risposte possono essere anche frutto della previsione delle domande, in modo da soddisfare in anteprima e già all’atto della pubblicazione le curiosità o le perplessità dei lettori.
Il rischio Vesuvio è un fattore talmente di rilievo e talmente complicato e con tante inadempienze, che ben difficilmente troverete FAQ che vanno nella direzione della verità e della comprensione dell’argomento in tutte le sue sfaccettature. Per dare un contributo alla corretta informazione allora, indichiamo noi stessi delle domande e, quindi, delle risposte che si rifanno all’ufficialità degli enti amministrativi e delle istituzioni tecniche e scientifiche pertinenti, senza tralasciare le nostre considerazioni, in modo che il lettore abbia dalla sua elementi di comparazione su cui riflettere.

·        Che cos’è lo scenario eruttivo di riferimento?
Nel nostro caso lo scenario di riferimento è la tipologia eruttiva che la scienza, attraverso studi di vario genere, individua come l’evento vulcanico da cui bisognerà presumibilmente difendersi per il futuro.
Secondo alcuni scienziati dell’INGV che hanno trattato il problema, per i prossimi 128 anni e in assenza di novità scientifiche, l’eruzione di riferimento per il Vesuvio dovrebbe essere di stile stromboliano violento (VEI 3), o al massimo d’intensità similmente sub pliniana, ovvero con un indice di esplosività vulcanica pari a VEI 4. Sarà proprio quest’ultima tipologia eruttiva ad essere stata indicata, e quindi adottata per fissare gli scenari eruttivi su cui è stata poi incentrata la pianificazione nazionale d’emergenza per l’area vesuviana.

Per i meno esperti, un indice di esplosività vulcanica VEI 4, corrisponde grosso modo come tipologia all’eruzione del Vesuvio del 1631. Evento particolarmente violento, che sconvolse la plaga vesuviana, ma che non cagionò grossi  danni alla città di Napoli.

Lo scenario di riferimento è importantissimo perché partendo dal tipo di eruzione è possibile stabilire le fenomenologie vulcaniche da cui bisognerà difendersi e i territori probabilmente coinvolti e, quindi, quanti abitanti bisognerà preventivamente mettere in salvo.

Gli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), per individuare lo scenario eruttivo di riferimento hanno operato su basi statistiche probabilistiche. Potevano accettare i principi della distribuzione poissoniana che stabilisce stessa probabilità di accadimento ad eventi rari, invece si sono valutate due tabelle statistiche che prendono in esame fenomeni eruttivi su due diversi intervalli, analizzando rispettivamente un periodo di tempo tarato da 60 anni in su, senza un limite superiore, e una finestra temporale con un range da 60 a 200 anni (vedi schema sottostante).

Tabella Ae B delle probabilità eruttive in chiave percentuale.
Da notare che sia l’approccio concettuale della logica poissoniana che il compendio statistico con alla base i primi 60 anni di quiescenza e senza limiti in salita, includono l’eruzione pliniana come eruzione tutt’altro che da sottovalutare come evento possibile. Alla fine gli esperti hanno invece optato per la tabella B che vi mostriamo e  che contiene anche le percentuali statistiche assegnate ad ogni tipologia eruttiva, con quella pliniana scartata  per il suo 1% di probabilità…
Ovviamente il lettore avrà intuito che non esistono calcoli matematici ben definiti o strumenti particolari di analisi e di indagini per poter dire con certezza quale sarà la tipologia eruttiva della prossima eruzione del Vesuvio: il dubbio è un elemento comune anche ad altre pianificazioni d’emergenza. Per abbattere ogni incertezza, la prassi tecnica consolidata prevede a scopo precauzionale l’adozione  dell’evento massimo conosciuto come effettivo scenario d’emergenza. Nel nostro caso questo evento è facilmente individuabile nell’eruzione più famosa del mondo: quella pliniana del 79 d.C. che, con il suo indice di esplosività classificato VEI 5, sconquassò completamente l’area vesuviana, circa 2000 anni fa e ancora circa 4000 anni fa,  seppellendo intere città e villaggi che scomparirono letteralmente dalla geografia dei luoghi.

In realtà solo la politica può cancellare dall’elenco dei possibili scenari eruttivi un’eruzione pliniana, ma non la scienza, che in questo caso si è pronunciata attraverso un’esposizione analitica della commissione incaricata del piano d’emergenza denominata Gruppo A, che ha proposto nel 2012 uno scenario eruttivo (VEI4), praticamente identico a quello che propose nel 1995 la precedente commissione, che già a suo tempo indicò una sub pliniana quale eruzione massima attesa (EMA).

La proposta attuale è stata poi adottata con il placet definitivo della Commissione Grandi Rischi Settore Rischio Vulcanico, a cui spetta l’ultima parola. E’ a questa commissione, è bene ricordarlo, che competono tutte le decisioni scientifiche che hanno ad oggetto i vulcani.

La cosa che lascia alquanto perplessi, come vedremo nella prossima FAQ che riguarda la perimetrazione della zona rossa, è un certo fare deterministico delle istituzioni, rispetto a una situazione assolutamente di incertezza statistica.

Intanto risulta interessante un’annotazione del Prof. Giuseppe De Natale, ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano, a proposito dei tempi di ritorno delle eruzioni pliniane:<< non è possibile definire i tempi di ritorno di qualsivoglia tipologia di eruzione, per tutti i vulcani in generale ma in particolare per le eruzioni pliniane del Vesuvio. Il concetto stesso di tempo di ritorno presuppone una regolarità (periodicità) che non sussiste in generale per alcuna eruzione vulcanica. Per quanto riguarda poi le eruzioni pliniane del Vesuvio, quelle a noi note sono in numero talmente esiguo, che qualunque analisi statistica ha una significatività estremamente bassa>>. Affermazione piena di buon senso e alquanto in controtendenza alle decisioni del gruppo incaricato e alle conclusione della commissione grandi rischi…

Su questo argomento si sono spesi diversi esperti, tra cui l’ex assessore alla protezione civile regionale, Prof. Edoardo Cosenza, che ribatteva a chi contestava come Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, l’esclusione di una pliniana dalla rosa delle possibilità di accadimento, che se volessimo prendere sempre le catastrofi peggiori per pianificare le emergenze, per le alluvioni dovremmo allora tenere conto del diluvio universale… specialmente se non ci si chiama Noè!

Nel caso del Vesuvio, ripeteva, le matrici di possibilità sono 4 :

·        Eruzione senza evacuazione;

·        Eruzione con evacuazione;

·        Evacuazione senza eruzione;

·        Evacuazione con eruzione.

In realtà l’accademico professore perseguendo un fare assolutamente deterministico in luogo dello statistico, non ha considerato altre due possibilità, al netto della politica, che sono:

·        Eruzione VEI 5 con evacuazione VEI 4;

·        Eruzione VEI 5 senza evacuazione.

In entrambi i casi, una catastrofe immane, da cigno nero…

Per poter offrire ai lettori comparazioni che aiutano a riflettere, proponiamo l'esempio del terribile terremoto che sconquassò il Giappone l’11 marzo del 2011. Una scossa di magnitudo 9 Richter diede origine a uno tsunami che s’infranse contro la centrale di Fukushima creando un incidente nucleare di tutto rispetto.

I sistemi d’emergenza anti tsunami infatti, erano tarati per altezza delle acque non superiore ai 6,5 metri, mentre in questo caso le onde raggiunsero i 14 metri di altezza. C’è da dire che una scossa così forte non era mai stata registrata prima nel paese del Sol Levante. Nella ricostruzione della centrale nucleare, e quindi nei sistemi di difesa, si terrà conto di questi valori estremi seppur singolari o si manterranno i parametri di sicurezza preesistenti ? Ovviamente se è possibile si terrà in debito conto un evento 9 Richter e onde alte 15 metri…

Lo scenario VEI 4 è uno scenario di media mediata dalla politica in ragione dello stato dei luoghi e anche dell’economia che tiene in debito conto i parametri costi - benefici finanche nella difesa delle catastrofi. Tutte cose che intuiremo meglio nella prossima FAQ ad oggetto la famosa zona rossa Vesuvio...

Quello che desta disappunto e quindi generalizzando si contesta, è che i cittadini non possono essere trattati come sudditi non partecipativi delle scelte e quindi non informati su quello che succede e sulle decisioni che si adottano a cura della politica in un ordinamento rappresentativo. I cittadini sono titolari di qualche diritto, ma qui sembra che in questo mondo globalizzato ad avere  ragione è sempre e solo il biglietto verde...








giovedì 3 marzo 2016

Rischio Vesuvio:sui fondali del Golfo di Napoli un rigonfiamento da anidride carbonica...di Malko




La Nave oceanografica Urania mentre opera nel Golfo di Napoli - Foto G. Ventura

Sono passati pochi mesi dalla notizia che nei Campi Flegrei un’intrusione magmatica ha raggiunto i 3 chilometri dalla superficie creando grosse perplessità nel mondo scientifico e tecnico, per un fenomeno che potremmo definire una piccola mancata eruzione. Il 7 ottobre 2015 poi, 31 scosse di terremoto a bassa intensità crearono un ulteriore allarme nella cittadina di Pozzuoli, ma anche nel mondo istituzionale che nell’area flegrea ha dichiarato già da qualche anno lo stato di attenzione vulcanica dovuta al bradisismo e ad altri fenomeni connessi. Il magma asceso e poi espanso orizzontalmente, indubbiamente è un segnale di ardente vivacità del sottosuolo flegreo, come anche la notevole degassazione localizzata nella zona di Pisciarelli a ridosso della Solfatara.

E’ di oggi invece la notizia che nel Golfo di Napoli a circa 2,5 chilometri a sud est di Posillipo, è stata evidenziata una sorta di gibbosità dei fondali marini che si protende per circa 15 metri verso l’alto, evidenziata dal fluire di bollicine la cui composizione ci rimanda a prodotti magmatici del mantello.

La scoperta è stata resa possibile grazie a una campagna oceanografica denominata SAFE 2014, coordinata da CNR (IAMC-IGG), INGV e Università di Firenze, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports-Nature .

Il Dott. Guido Ventura, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell’Istituto Ambiente Marino Costiero del CNR di Napoli, ha fatto parte dello staff scientifico che ha operato nel Golfo partenopeo, avvalendosi della nave Urania quale base mobile del monitoraggio dei fondali costieri. Grazie ad una gentile disponibilità del Dott. Ventura, approfittiamo dell’occasione per porgli alcune domande.

Dott. Ventura, nel progetto Safe 2014 quali tecniche di monitoraggio sono state utilizzate e quali sono state le zone esplorate?

Più che tecniche di monitoraggio in senso stretto, e cioè rilievi ripetuti più’ o meno frequentemente nel tempo, sono state utilizzate tecniche di prospezione sismica ed ecoscandaglio ad alta risoluzione; tecniche di campionamento e analisi dei gas e altre metodologie volte alla determinazione dei parametri fisico-chimici della colonna d’acqua. Abbiamo inoltre operato con un veicolo subacqueo teleguidato per catturare immagini, produrre filmati e campionare il fondo marino e i gas.
Golfo di Napoli - Attività di campionamento dei gas. Foto G. Ventura
 
Quali erano gli scopi della ricerca?

Lo scopo della ricerca era quello di identificare le emissioni gassose nel Golfo di Napoli. L'iniziativa scientifica è stata finanziata dal IAMC-CNR e si è svolta nel 2014 a bordo della nave Urania del CNR, nell’ambito di una campagna alla quale hanno partecipato anche ricercatori INGV e dell’Università di Firenze.

Esattamente cosa è stato scoperto?
E’ stato scoperto un rigonfiamento del fondo del mare di forma sub-circolare che copre circa 25 km, è alto 15 m ed è localizzato a profondità comprese tra i 100 e 170 m.   In quest'area abbiamo rilevato una trentina di punti di emissione attiva di gas, la cui composizione è simile agli elementi gassosi emessi dal Vesuvio e dai Campi Flegrei.

 Quali considerazioni bisogna fare a seguito di questa scoperta?

La struttura rilevata si è formata in seguito alla risalita di gas dalle profondità e non coinvolge, almeno attualmente, magma.  Per questa ragione il rigonfiamento non rappresenta una struttura vulcanica, ma solo una struttura di degassamento. Simili conformazioni sono generalmente associate alla risalita di metano: in questo caso, invece, è dovuta alla risalita di anidride carbonica. 

L’analisi delle emissioni gassose a cosa ci rimanda in termini di interpretazione dei dati acquisiti?

Le analisi dei gas ci indicano che la loro sorgente primaria è localizzata nel mantello a circa 20 km di profondità, ma, durante la risalita verso la superficie, questi gas si mescolano con altri di origine crostale correlabili a reazioni di decarbonatazione all’interno della crosta. Infatti, come ormai è noto da tempo, il basamento del Golfo di Napoli è costituito da carbonati (calcari).



(Golfo di Napoli) - Rilievo digitale del fondo marino oggetto della ricerca - Foto G. Ventura


Sarà necessaria un’ulteriore campagna esplorativa per arrivare ad una comparazione di dati di deformazione del fondale?

Stiamo valutando la possibilità di organizzare una nuova campagna per avere più informazioni sulla struttura ‘profonda’ di questo rigonfiamento. Ad oggi sappiamo solo che il gas risale lungo condotti verticali che si estendono almeno 100-200 m sotto il fondo del mare.

Il prossimo “cliente” da esplorare potrebbe essere il Golfo di Pozzuoli e il circondario dell’isola d’Ischia, in modo da avere un quadro di unione abbastanza completo della situazione sui fondali che caratterizzano i distretti vulcanici campani?
 
Su Ischia stiamo lavorando in questo periodo e abbiamo già una batimetria di dettaglio. Anche su Pozzuoli siamo a buon punto, ma comunque manca ancora una rilevazione mirata delle emissioni gassose. Ne conosciamo alcune, ma la zona non è stata coperta da rilievi in maniera sistematica.

L'isola d'Ischia - Foto G. Ventura
 Di recente nel Golfo di Pozzuoli con qualche "strisciata" anche del litorale vesuviano ha operato la nave Minerva uno che ha condotto delle prospezioni geologiche utilizzando la tecnica dell’airgun. Vi sono collegamenti tra il vostro lavoro e questa esplorazione dei fondali sempre made in CNR?
Le tecniche di ricerca sono le stesse e, nel caso specifico, sono sempre coordinate dall’IAMC- CNR.

Un ringraziamento al Dott. Guido Ventura, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell’Istituto Ambiente Marino Costiero del CNR di Napoli, per l'importante intervista che ci ha concesso.