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domenica 27 marzo 2016

Rischio Vesuvio: Vesuvio vulcano gettonatissimo... di MalKo


L'impareggiabile Golfo di Napoli


Generalmente abbiamo la tendenza a ritenere che tutte le cose subiscano un invecchiamento.  Non sono pochi quelli che inquadrano il Vesuvio come un soggetto che abbia perso molte delle sue energie diciamo giovanili dopo tanti anni d’infuocata esistenza. In realtà i tempi geologici sono molto differenti da quelli umani… I rimescolamenti che avvengono nella parte superiore del mantello, tra l’altro in tempi insondabili e con meccanismi irregolari e variabili e forse compulsivi, provvedono a rinvigorire con nuovi fluidi a diversa composizione le sacche magmatiche da cui prendono linfa vitale i vulcani, che così si rigenerano, come le nostre cellule…

Un vulcano viene classificato estinto quando non si verifica un’eruzione da migliaia di anni… non è il caso del Vesuvio che sul panorama mondiale detiene ancora il primato mondiale del rischio vulcanico a causa della sua tempra esplosiva e della selvaggia conurbazione che lo avvolge e che ne fa una sorta di parco cittadino svettante tra i palazzi metropolitani.

Alcuni turisti non considerano saggio pernottare e soggiornare nella zona rossa Vesuvio neanche per qualche notte. Tant’è che il viaggiatore più timoroso preferisce allocarsi in quel di Sorrento, godendosi le forme del gigante che dorme dalle terrazze protese sul mare, omaggiato da odorose brezze dove primeggia il profumo dei fiori d’arancio.

La nostra caratteristica è quella di dare molta importanza alle cose materiali che possediamo e che non vogliamo perdere; diamo un senso all’attualità e al tangibile, al punto da ritardare qualsiasi valutazione in merito alle ipotesi di rischio che ci riguardano. Purtuttavia quando il pericolo si manifesta, generalmente ci sorprende sempre, e vorremmo privarci, ma solo nel momento della resa dei conti, di ogni cosa pur di salvare la pelle.

L’informazione allora non è sufficiente da sola a produrre scelte sensate senza l’aiuto di uno dei cinque sensi. La percezione del pericolo da parte dei sensi è la molla necessaria a farci produrre massicce dosi di adrenalina. Più sensi vengono stimolati tanto maggiore risulterà l’allerta.  Ad esempio, un sistema valido per ridurre il fenomeno dell’abusivismo edilizio potrebbe consistere nel mettere un apparecchio che produca volute di fumo all’interno della bocca eruttiva del Vesuvio. Nonostante l’artificiosità del meccanismo fumoso, il risultato in termini di deterrenza verrebbe comunque colto. Un altro esempio ci proviene dai consumatori di tabacco. Occorre la bronchite o l’affanno o peggio ancora una radiografia sospetta per farci gettare via il pacchetto di sigarette. In assenza di percezione diretta scrivere sulla confezione che il fumo uccide è quasi inutile…

Il secondo elemento che rema contro i principi di delocalizzazione della popolazione per sottrarsi dalla condizione di rischio vulcanico, sono gli opinionisti di verso contrario agli allarmisti. Sono quelli che decantano il Vesuvio alla stregua della beltà della natura che ci ha donato questo monte ricco di frutti e di storia e di suoli fertili da cui trarre pregiate albicocche e vino e pomodorini col pizzetto. La montagna non è solo rischio dicono, è anche opportunità, cultura, panorama, usanze, folklore: lasciate perdere i profeti di sventura che per qualche click in più sparano titoloni da sciagura imminente sul web, che vanno dalle trivellazioni spauracchio ai vulcani prossimi a divampare. Occorre più rispetto per il Vesuvio, affermano con sicumera… Tutto condivisibile, ma chiudere i discorsi secondo le regole del taralluccio e vino non porta un solo grammo di utilità alla prevenzione delle catastrofi.

Il Vesuvio allora viene tirato per la giacca dai catastrofisti e dai minimisti, dagli allarmisti e dagli imbonitori… e quando ci sono due fronti contrapposti, generalmente al centro rimane l’inerzia e l’indifferenza di un popolo che sonnecchia, un popolo di cicale.

Il nostro modus operandi di cittadino medio ci porta a prendere in considerazione tutte le cose che non vanno solo quando le tocchiamo con mano. Della sanità e delle sue disfunzioni ne prendiamo atto solo quando giungiamo nel nosocomio inefficiente per essere curati. I trasporti li scopriamo orribili solo quando prendiamo il treno di una linea ferroviaria che scopriamo avvezza alle soppressione delle corse (non solo la circumvesuviana…). Le ingiustizie istituzionali le riteniamo intollerabili solo quando ci riguardano. La burocrazia avvilente solo se chiediamo una licenza.  La commissione grandi rischi e i fatti dell’Aquila con lo strascico giudiziario che ancora persiste ci cala poco perché pensiamo erroneamente che sia un problema tutto locale… Praticamente il nostro agire verte sulla scorta dello stimolo che ci riguarda direttamente da vicino e in una misura dipendente dalla impellente necessità: diversamente, la nostra azione è tutta un pour parler

Prendete il caso dei Campi Flegrei. Il suolo si solleva; nella zona della Solfatara fuoriescono 3000 tonnellate al giorno di anidride carbonica; la temperatura dell’acqua ribollente è aumentata; in alcuni punti il magma si è intrufolato fino a 3 chilometri dalla superficie. Su tutta l’area vulcanica flegrea grava lo stato di attenzione in termini di allerta vulcanica. Elementi che possono essere indizi di pericolo o semplice ordinarietà per una terra vulcanica.  Non siamo in grado di dare un significato a questi fattori di vitalità di un sottosuolo ribollente, ovvero dei processi fisici e chimici che si intrecciano, si esaltano e poi com’è successo finora si acchetano nelle profondità, secondo logiche che nulla apportano alla previsione delle eruzioni.

Nel frattempo sappiamo che tra i Campi Flegrei e il Vesuvio c’è un’unica grande camera magmatica. Ci dicono poi che alcuni chilometri al largo del porto di Napoli il fondo marino si è ingobbito a causa della pressione dell’anidride carbonica (anche qui!) che preme e sfugge dai fondali portandosi in superficie sotto forma di bollicine. I ricercatori ora dovranno scoprire cosa c’è al di sotto della sabbia inseguendo a ritroso proprio quelle bollicine di CO2 indubbiamente appartenenti a un magma insito a un’ignota profondità… Tutto questo cambia qualcosa?

La realtà che può piacere o non piacere è che viviamo su un lago di magma sotterraneo dai contorni indefiniti. Sappiamo pochissimo dei processi che regolano i moti ascendenti e discendenti del magma e delle sue chimiche e delle sue densità che evidentemente cambiano con l’apporto di lingotti litosferici da fondere e nuova crosta che emerge espandendosi dalle dorsali. Non sappiamo l’incidenza delle spinte delle zolle che sgomitano così come non sappiamo in concreto la rotazione terrestre in che modo partecipa nel complesso degli equilibri che plasmano il nostro Pianeta con sollecitazioni anche esterne ad esso come l’attrazione lunisolare e magari le tempeste spaziali. La nostra personale convinzione è che indubbiamente i distretti vulcanici campani hanno una loro storia geologica che rappresenta nel complesso un semplice e breve canovaccio su cui si formulano ipotesi sull’andamento futuro del sistema. Bisogna considerare una certa percentuale di indeterminatezza da assegnare a questi processi. Questo significa che dobbiamo approcciare il problema della sicurezza vulcanica tenendo presente il fatto che così come la Terra non passa mai per lo stesso punto, anche le eruzioni non saranno mai una pedissequa ripetizione di quelle passate, e non solo perché cambiano gli scenari ambientali di superficie…

Senza aggravare i concetti di pericolo esistenti e senza voler introdurre nuove logiche, teniamo presente che l’eruzione pliniana è la massima conosciuta (VEI5), cosa ben diversa dalla massima attesa (VEI4) che gli scienziati pronosticano nel breve e medio termine; bisognerebbe anche dire che le due eruzioni non inquadrano la massima possibile (VEI?), in quanto in ragione delle incognite esistenti, il valore massimo di un’eruzione è ancora oggi un’incognita matematica.


Queste congetture sulla tipologia eruttiva servono solo a far capire che l’argomento è ancora un campo apertissimo dove non esistono determinismi. Così come bisogna leggere bene le nostre considerazioni finali che sono semplicemente di imponderabilità tant’è che non scartiamo affatto la possibilità che la prossima eruzione del Vesuvio possa essere simile a quella del 1906 se non inferiore, e non necessariamente una pliniana o una sub pliniana.
I ragionamenti fatti finora portano allora a una sola ed unica conclusione. L’accettazione di un rischio deve essere un fattore di miglioramento della nostra società. Poniamoci pure nelle logiche non dichiarate dei costi benefici, purché si riordini il territorio e si impostino condizioni migliori di vita per le generazioni future. Non sfidiamo oltremodo la natura… Accettare il rischio bovinamente come stiamo facendo è un insulto all’intelligenza, e un crimine contro noi stessi prima ancora che contro la nostra stessa società, tra l'altro oggi più che mai caratterizzata da piccoli e grandi egoismi...

martedì 15 marzo 2016

Rischio Vesuvio FAQ 3. Piano di evacuazione assente! di MalKo




Vesuvio visto da sud


Nel 1986 una relazione dell’Osservatorio Vesuviano mise in guardia la Prefettura di Napoli circa la necessità che si approntasse un piano di evacuazione per proteggere gli abitanti della plaga vesuviana dal pericolo vulcanico dettato dall’arcinoto Vesuvio.
La Prefettura inviò alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell’Interno una nota in cui si caldeggiava la necessità di istituire una commissione che a tempo pieno si dedicasse alla problematica del rischio vulcanico. Diciamo che nel 1986 iniziò ufficialmente l’iter burocratico istituzionale per tentare di mettere in sicurezza i circa settecentomila cittadini del vesuviano.
La Protezione Civile supportata per la parte scientifica dalla Commissione Grandi Rischi, nel 1988 chiese al Gruppo Nazionale per la Vulcanologia (GNV) del CNR, di indicare i possibili scenari eruttivi che bisognava attendersi se il Vesuvio avesse posto fino alla sua quiescenza nel breve-medio termine.  Una prima relazione giunse nel 1990
Nel 1989 fu effettuata un’esercitazione di protezione civile ipotizzando un evento sismico di origine vulcanica con epicentro nell’abitato di Ercolano. L’esercitazione fu un disastro, al punto che la Prefettura di Napoli scrisse il 07.12.1989 ai competenti Ministeri, che in assenza di programmazione e interventi tecnicamente validi, le 700.000 mila persone dimoranti nell’area vesuviana, in caso di eruzione vulcanica non avrebbero avuto alcuna via di scampo.
Il 05.09.1991 il Ministero per il coordinamento della Protezione Civile istituì una commissione incaricata di stabilire le linee guida per la valutazione del rischio connesso a un’eventuale eruzione del Vesuvio: linee sostanzialmente finalizzate alla pianificazione d’emergenza. Il rapporto finale di detta commissione giungerà al Ministero il 04.10.1992.
Con nota del 29.06.1993, la Prefettura di Napoli sollecitò le autorità di Protezione Civile acché si formasse una commissione incaricata di redigere nel più breve tempo possibile un piano di evacuazione dell’area vesuviana.
Il 09.08.1993 il Sottosegretario di Stato alla Protezione Civile istituì la commissione incaricata di redigere un piano d’emergenza a fronte di una possibile eruzione del Vesuvio. Il folto consesso tecnico scientifico si insediò il 24.09.1993 stabilendo quelle famose linee guida su cui procedere.
Visto la complessità delle operazioni di pianificazione dell’emergenza vulcanica, il Sottosegretario in data 09.03.1994 emanò un decreto di proroga dei lavori fino al 30.04.1995, approvando il 13.06.1994 un ulteriore finanziamento per le varie attività della commissione per un totale di 1.303.469.870 di vecchie lire. Al 1995 si ascrive la prima bozza di piano d’emergenza.
La commissione incaricata di redigere il piano adottò come scenari di riferimento quelli indicati nella relazione scritta dal gruppo vulcanologico (199o), successivamente integrata da un aggiornamento datato febbraio 1998 a firma del Prof. Roberto Santacroce.
Il piano d’emergenza dicono che fu riassemblato nel 2001 e aggiornato nel 2007 dopo la sopravvalutata esercitazione MESIMEX (2006). In realtà decreti e aggiornamenti vari si succederanno nel tempo, e dal piano di emergenza si strappano e si aggiungono pagine ma sempre all’interno delle strutture di competenza, cioè nei cassetti delle scrivanie, rendendo evidente l’unico dato certo per quanto sconcertante e inoppugnabile, cioè che a 30 anni di distanza dalle prime segnalazioni di rischio incombente, il piano di evacuazione invocato dall’Osservatorio Vesuviano nel 1986, a tutt’oggi (marzo 2016), è ancora in itinere…

·        Cos’è il piano di emergenza?
Il piano d’emergenza è un documento che generalmente viene redatto dall’autorità preposta alla salvaguardia dei cittadini che, nel caso di una scuola s’identifica nel direttore didattico, in una fabbrica col datore di lavoro e in un comprensorio comunale con il Sindaco. Nel nostro ordinamento quando i rischi e gli scenari prospettati travalicano i territori comunali o comunque si prospetta la necessità di una mobilitazione nazionale per rispondere all’emergenza, il Dipartimento della Protezione Civile assume un ruolo leader d’indirizzo e coordinamento delle varie strutture e amministrazioni dello Stato che a diverso titolo sono coinvolte o coinvolgibili. Quella del Vesuvio, come abbiamo avuto modo di dire più volte, è l’unica pianificazione che in Italia si fregia del titolo di piano nazionale.
Il primo elemento che funge da premessa al piano d’emergenza, è l’individuazione dei pericoli. Nel caso del Vesuvio, il piano d’emergenza prende in considerazione un solo ed unico e grande fattore di rischio: l’eruzione. Non valuta altri rischi! Se la scienza avesse la possibilità di prevedere con certezza il tipo di eruzione, probabilmente il piano d’emergenza conterrebbe più scenari di rischio e, quindi, più soluzioni tecniche per difendere la popolazione dal pericolo vulcanico. Se avessimo la possibilità di prevedere il tipo di eruzione, probabilmente riusciremmo a prevedere anche quando avverrà l’eruzione: purtroppo questo traguardo che attiene le sconosciute profondità terrestri, non è stato ancora raggiunto…
I livelli di allerta vulcanica contenuti nel piano di emergenza.
In assenza di qualsivoglia previsione, il piano d’emergenza dovrebbe svilupparsi sull’evento massimo conosciuto, nel nostro caso invece, è stato elaborato sulla scorta della massima eruzione statisticamente preventivabile nel breve-medio termine che, come abbiamo visto nella FAQ numero 1, è un’eruzione d’intensità VEI 4 similmente sub pliniana.
Attraverso le energie ipotizzabili per un’eruzione VEI 4, è stata determinata la zona (rossa) su cui si abbatterebbero le fenomenologie vulcaniche peggiori, costituite in primis dai flussi piroclastici. Dalle nubi ardenti non c’è difesa che tenga, e l’unica possibilità di salvezza consiste nell’abbandonare, nel nostro caso attraverso una massiccia evacuazione, la zona a rischio prima dell’eruzione.
I tipi di eruzione rapportati al fenomeno dei flussi piroclastici
Quindi, il piano di emergenza Vesuvio doveva essere un tutt’uno con questo fondamentale annesso chiamato piano di evacuazione. Se mancano le istruzioni per evacuare, il piano di emergenza rimane un’accozzaglia di notizie anche tecnicamente interessanti ma senza senso, o se volete, senza alcuna utilità operativa.
Nelle scuole, negli ospedali, sulle navi e aerei e fabbriche e musei e tribunali, sono affisse piantine a colori in cui sono evidenziati i percorsi di fuga per raggiungere un luogo sicuro. Quelle piantine in realtà sono il piano di evacuazione sintetizzato a tutto vantaggio degli ospiti, gli utenti, i degenti, i visitatori o i viaggiatori occasionali a cui non interessa il piano di emergenza (un malloppo di carte), bensì semplicemente il percorso evacuativo per mettersi in salvo all’occorrenza. Navi e aerei  prima della partenza, devono spiegare ai passeggeri in che modo si evacua l’aeromobile o il transatlantico e non l’organizzazione di bordo…
Classico schema di piano d'evacuazione
Vedete questa piantina affissa ad oggetto lo schema d’evacuazione forse di uno studio professionale? Ebbene, sotto forma di stradario dovrebbe essere posta parimenti all’ingresso dei comuni vesuviani, perché anche il visitatore occasionale o il turista deve sapere quali sono i percorsi da seguire all’occorrenza a piedi o in auto per allontanarsi dal pericolo.
Nell’area vesuviana non c’è mai stato un piano di evacuazione, ma solo un piano di emergenza che racchiude come più volte detto tutte le notizie scientifiche e organizzative e tecniche. Per anni l’equivoco tra piano di emergenza e piano di evacuazione ha tratto in inganno tutti, anche se tra questi tutti bisognerebbe distinguere quelli che hanno rassicurato in buona fede e quelli che sull’equivoco ci hanno marciato e campato a lungo e altri ancora, anche di ruolo istituzionale, che sull’argomento hanno mantenuto uno stretto e rigoroso riserbo.
Le istituzioni competenti ancora nell’odierno giustificano questi ritardi  incolpando l’inerzia dei predecessori secondo il collaudato sistema dello scaricabarile.
L’attuale consulente della protezione civile regionale, Dott. Nello Di Nardo, ha affermato in una conferenza stampa che non bisogna far polemiche con le passate gestioni, ma dobbiamo impegnarci al massimo per recuperare il tempo perduto e ammodernare adeguatamente la complessa macchina della Protezione Civile campana. Cominceremo in primavera, dopo oltre dieci anni di paralisi, con le esercitazioni intercomunali da effettuarsi nelle zone vulcaniche a rischio …
Un’altra redditizia giustifica agli inadempimenti istituzionali l’hanno individuata negli scenari eruttivi che cambiano, mentre in realtà nessuna rivoluzione ha percorso gli atti scientifici, tanto più se la zona rossa ad alta pericolosità vulcanica è addirittura risultata meno vasta della precedente, con l’eruzione di riferimento che rimane come prima una sub pliniana.
La struttura nazionale di coordinamento, leggasi Dipartimento della Protezione Civile, non si capisce perché di fronte all’annosa inadempienza dei municipi troppo impegnati con le pratiche di condono edilizio, non abbia operato in surroga o commissariando, atteso che il diritto alla sicurezza è imprescindibile e inalienabile.
Nel 2014 grazie ad alcuni fondi europei, sono stati elargiti ai 550 comuni della Regione Campania 14 milioni di euro per finanziare la messa a punto del piano di protezione civile comunale. La massima cifra è stata destinata ai comuni ricadenti in zone vulcaniche.
Entro il 31 dicembre 2015 ogni municipio campano avrebbe dovuto presentare il piano di protezione civile comunale e, quindi, quelli in area vesuviana anche i piani di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio. La nota stonata in questa faccenda dei piani che ci lascia molto perplessi, è il ricorso di alcune municipalità a gare pubbliche per affidare a professionisti e studi associati esterni, il gravoso compito della stesura di tale documento che andava soffertamente elaborato dai manager comunali. Eppure qualche anno fa sono stati pubblicizzati e tenuti corsi di formazione per i tecnici comunali addetti alla protezione civile in area vulcanica proprio per la compilazione dei piani d'emergenza. Abbiamo provato a chiedere maggiori ragguagli al dirigente regionale alla protezione civile Ing.  Italo Giulivo, purtroppo non ha mai ritenuto doveroso rispondere…
Intanto bisogna pure dire che anche importantissime trasmissioni televisive e radiofoniche di punta, così come alcune note riviste scientifiche, hanno celebrato e celebrano ancora oggi la bontà del piano d’emergenza quale strumento di tutela dei cittadini vesuviani.
Ad ogni buon conto, anche il migliore dei piani di evacuazione non esiste se non è conosciuto dagli utenti cittadini. Occorrono quindi vademecum che dovranno essere consegnati ad ogni famiglia del vesuviano. Senza informazione capillare la bontà del piano di evacuazione potrebbe essere compromessa, perché basta un solo autoveicolo che marcia nella direzione sbagliata a far saltare la delicata e stretta viabilità che caratterizza i comuni vesuviani.
Mappa di classificazione dei bisogni dei cittadini
Nel vademecum dovranno essere riportate oltre alla strategia evacuativa, ovvero mappe a colori indicanti percorsi e aree d'interesse, anche quelle notizie di prima utilità, tipo:
  • In che modo saprò a quale livello di allerta vulcanica ci troviamo?
  •  Nella fase di preallarme le scuole saranno aperte?
  •  Se vado via durante il preallarme sarò giustificato al posto di lavoro?
  • Nella fase di preallarme se decido di andare via a quanto ammonta il contributo    di autonoma sistemazione?
  • Dove deve portarsi chi non ha un mezzo di locomozione?
  • Se si passa dal preallarme all’allarme durante la notte chi mi avverte?
  • Se vado via a quale numero telefonico posso segnalare la mia partenza o richiedere informazioni?
  •  Ecc.…
La strategia informativa è determinante e dovrà basarsi sicuramente sulle possibilità offerte dal web, ma soprattutto è di vitale importanza la collaborazione di volontari selezionati e formati che distribuiranno i vademecum porta a porta e risponderanno alle domande dei cittadini. Già: i cittadini, non dovrebbero essere sudditi ma titolari di qualche diritto, come quello di essere informati. Ovviamente come sempre succede, i primi canali informativi dovranno essere i luoghi di aggregazione ad iniziare dalle scuole, dove fino ad oggi esperti di rischio vulcanico hanno raccontato... cos'hanno raccontato?














sabato 12 marzo 2016

Rischio Vesuvio: FAQ 2 - La zona rossa... di MalKo



Ercolano e il Vesuvio

     
Per poter comprendere quali siano state le logiche scientifiche e amministrative che sono state tenute fin qui in debito conto per tracciare i confini della zona rossa Vesuvio, dobbiamo partire da alcune premesse:
·       La zona rossa deve identificare il territorio vulcanico dove le fenomenologie che possono scaturire da un’eruzione rappresentano una grave minaccia per la popolazione esposta.
·       ll territorio ad alta pericolosità vulcanica è quello che convenzionalmente viene indicato come suscettibile ad essere invaso dai flussi piroclastici. 
·       I flussi piroclastici sono la manifestazione più temibile di un’eruzione esplosiva. Trattasi di una sorta di valanga composta dai prodotti magmatici espulsi dal vulcano, che si accompagnano a un miscuglio di gas e vapore acqueo.  I flussi piroclastici hanno temperature molto elevate che possono raggiungere finanche i 1000° Celsius. Durante le eruzioni esplosive del Vesuvio, le temperature dei flussi piroclastici al termine della loro corsa hanno lasciato segnare tra, Pompei, Pollena ed Ercolano, valori oscillanti tra i 300° e i 600° C.   Anche la velocità di queste colate è notevole, al punto che è stato determinato in pochi minuti il tempo necessario a un flusso piroclastico per percorrere i pendii vulcanici fino al mare.
·       La capacità di percorrenza dei flussi piroclastici in senso orizzontale, una volta che questi hanno raggiunto il mare o la parte pianeggiante della plaga vesuviana, è legata a una serie di fattori, tra cui l’altezza della colonna eruttiva che ha certamente una sua correlazione con l’indice di esplosività vulcanica (Volcanic Explosivity Index).
Avendo a disposizione il dato di partenza, cioè l’eruzione massima di riferimento che nel nostro caso le autorità hanno stabilito in linea con le intensità sub pliniane (VEI4), la Commissione Grandi Rischi ha trovato utili elementi nella relazione scientifica della Dott. Lucia Gurioli, ad oggetto i limiti di deposito dei flussi piroclastici nel vesuviano. Il compendio è stato analizzato, adattato e adottato.
Il lavoro campale della ricercatrice consiste nell’aver fissato sulla carta i limiti di corsa dei flussi piroclastici geo referenziandoli. Unendo questi punti sono venute fuori delle linee che rappresentano graficamente il massimo scorrimento delle correnti piroclastiche, distinte per frequenza eruttiva. Nel nostro caso la linea nera identifica le massime distanze raggiunte dai flussi in seno a eruzioni a media frequenza come quelle d’intensità VEI 4.
Vesuvio - La linea nera Gurioli è una linea chiusa che indica la zona ad
alta pericolosità vulcanica,cioè quella soggetta ai flussi piroclastici.

La commissione grandi rischi, dicevamo, ha ritenuto idonea la linea nera Gurioli per determinare i confini della zona rossa ad alta pericolosità vulcanica, valutando poi, che lo stesso segmento possa essere considerato anche quale limite d’invasione dei lahar, ulteriore fenomeno vulcanico consistente in colate di fango travolgenti. Occorre precisare, per chiarezza informativa, che il lavoro della Dott. Gurioli era finalizzato a stabilire dei limiti di deposito e non dei limiti di pericolo…

Comunque, il Dipartimento della Protezione Civile mettendo insieme l’eruzione di riferimento (VEI4) e la congruità della linea nera Gurioli come limite d’invasione dei flussi piroclastici, ha poi analizzato un’ulteriore rapporto scientifico ad oggetto il fenomeno di ricaduta dei prodotti piroclastici espulsi dal vulcano. Questi ultimi, consistenti in cenere e lapilli, oltre a martellare la zona Gurioli e circondario, avrebbero una particolare incidenza anche a distanza da questo settore, secondo un’intensità di deposito dipendente oltre che dall’eruzione, dalla direzione e dall’intensità dei venti dominanti in quel momento.
Il rapido appesantimento dei tetti non strutturati per i sovraccarichi accidentali, comporterebbe lo sprofondamento dei medesimi con effetto domino sui solai sottostanti. Purtroppo il problema della pioggia di cenere e lapillo che afflisse immediatamente le popolazioni di Pompei nel 79 d.C., alla stregua determinerebbe anche oggi gravi problemi alla respirazione. Da tener presente inoltre, lo spegnimento dei motori e l’impercorribilità delle strade dove si vedrebbe crescere a vista d'occhio il livello dei depositi al suolo e di contro calare rapidamente la visibilità .
Eruzione Vesuvio 1944 - Il campo di volo di Terzigno fu preda della pioggia di cenere e
 lapilli che oltre a distruggere gli aerei americani rese  la pista inservibile.

L’aereo americano che vedete in figura (1944), come altri, per un rapido mutamento della direzione dei venti non fece in tempo a decollare dal campo di volo di Terzigno, rimanendo bloccato e bombardato dalla pioggia di lapilli.
Le precipitazioni di cenere e lapillo e i lahar, sono un pericolo con cui bisognerà confrontarsi anche in caso di eruzione stromboliana violenta (VEI 3). Al di fuori della zona rossa, i territori ubicati ad est del Vesuvio, ovvero, i comuni di Poggiomarino, Palma Campania, San Gennaro Vesuviano e Scafati, sono stati ricompresi nella zona rossa da evacuare, così come sancisce una direttiva governativa comprensiva di mappa (sottostante), a firma del presidente Letta.

La zona rossa da evacuare comprendente i comuni e le municipalità indicate
nell'allegato 1 della direttiva del presidente del consiglio del 14.02.2014

Sentite cosa dice questo documento al primo punto:<< L’area da sottoporre ad evacuazione cautelativa per salvaguardare le vite umane dagli effetti di una possibile eruzione, soggetta ad alta probabilità d’invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) e di crollo delle coperture degli edifici per importanti accumuli di depositi di materiali piroclastico (zona rossa 2), ed individuata complessivamente quale zona rossa, comprende i territori dell’allegato 1 che costituisce parte integrante del presente provvedimento.
In linea di massima l’impressione che se ne ricava induce a pensare che sia stato fatto un buon lavoro di pianificazione alquanto garantista. Purtroppo non è così, perché ci sono delle incomprensioni e soprattutto delle alchimie della politica e anche della scienza che tentiamo con grosse difficoltà di spiegare.

Vesuvio - Nella figura soprastante a colori, vedete la zona gialla, la curva di isocarico
dei 300 Kg/mq. ,la zona rossa 1 e la zona rossa 2.
La mappa che vedete appena in alto a colori è identica a quella precedente in grigio. Mentre nel documento presidenziale si parla nella sostanza di una zona rossa complessiva, i documenti più di dettaglio, evidenziano come la zona rossa in realtà comprenda l’unione di due distinte zone rosse: rispettivamente la zona rossa 1 (R1) e la zona rossa 2 (R2). Le due zone come recita la direttiva Letta, in caso di allarme vulcanico devono essere evacuate.
Sulla zona rossa ad alta pericolosità vulcanica (R1), cioè quella invadibile dai flussi piroclastici, grava la legge regionale Campania n°21 del 2003 che vieta qualsiasi tipo di edificazione a uso residenziale. Per non rendere tutta la zona rossa oggetto di questa legge anti cemento, la Regione accogliendo le proteste dei sindaci super allarmati, non per il Vesuvio, no…no… ma per la legge 21/2003, ha operato una diversa classificazione della zona rossa 2 che è stata semplicemente appellata  zona vulcanica pericolosa. L’assenza dell’aggettivo alta consente di non applicare al settore R2 i disposti della legge 21/2003 sull’inedificabilità totale, nonostante si tratti di comuni ubicati in zona rossa da evacuare in caso di allarme vulcanico ancorché zone che con il tempo saranno fagocitate dalla zona rossa ad alta pericolosità vulcanica ( pliniana), destinata implacabilmente ad allargarsi.
Per farla breve, nelle zone classificate R2, anche a un metro dalla linea nera Gurioli, si continuano a costruire allegramente fabbricati ad uso residenziale in barba a qualsiasi elementare regola di prevenzione.
Area vesuviana - le zone dove è possibile costruire residenze abitative.

La mappa che vedete sopra, rappresenta il Vesuvio e il percorso della linea nera che identifica appunto la nuova zona rossa ad alta pericolosità vulcanica. Le casette in verde chiariscono dove si costruisce con licenza edilizia R2 compresa. Le casette di colore rosso invece, indicano i territori dove si applica totalmente la legge regionale 21/2003 (niente cemento) con qualche forzatura interpretativa, perché, come vedremo più avanti, il disposto legislativo regionale dovrebbe trovare applicazione  unicamente nei territori all’interno della linea nera (alta pericolosità) e non fuori da essa.
Spaccato dell'area vesuviana dove si evincono le discrepanze di trattamento amministrativo

Guardate questo spaccato ingrandito. Il comune di Boscoreale fece ricorso al TAR chiedendo che a quella parte di territorio ubicato oltre la linea nera Gurioli, quindi al di fuori della zona ad alta pericolosità vulcanica, venisse accordata la inapplicabilità della legge 21/2003. Il Tar diede ragione a Boscoreale ma la Regione Campania impugnò subito l’atto davanti al Consiglio di Stato vincendo il ricorso: sostanzialmente l’alta corte ritenne prudenziale che a Boscoreale si vietassero le costruzioni. Sentite cosa scrisse la Regione Campania tramite l'ufficio di avvocatura regionale :<< …la commissione grandi rischi… Ha definito detta linea nera (Gurioli N.d.R.)  di delimitazione della zona rossa 1 come il limite minimo della zona interessata dalla dispersione dei flussi piroclastici, ammettendo la possibilità di variabili non previste>>.

All’ex assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, occorrerebbe chiedere come mai il comune di Scafati, atteso tutte queste precauzioni e prudenze richiamate innanzi al Consiglio di Stato a cura della sua avvocatura, è stato giudicato senza colpo ferire fuori dalla zona rossa e senza nessuna delibera che dichiarasse o meno una volontà comunale di diversa riperimetrazione della zona rossa, come hanno dovuto fare invece la città di Napoli e i comuni di Poggiomarino, Nola, San Gennaro Vesuviano e Palma Campania.

Il nostro sospetto è che alla base della vera ragione per la quale la Regione Campania s’inalberò per la sentenza del TAR favorevole a Boscoreale, la si possa evincere dalle stesse carte giudiziarie che sono una miniera di verità. Sempre dagli atti regionali si legge:<<..il suddetto gruppo di lavoro (Gruppo di lavoro A N.d.R.) ha fatto riferimento a valutazioni puramente scientifiche, le quali sono il risultato di simulazioni basate su modelli matematici, che quindi non possono tenere conto di tutte le variabili eccezionali e non prevedibili presenti durante un’eruzione. Ciò posto, detti modelli matematici hanno portato a ridurre parzialmente la zona rossa 1 rispetto a quella già individuata nel 2001>>.

Se Boscoreale avesse vinto il ricorso, lo avrebbero vinto anche Pompei, Torre Annunziata e Somma Vesuviana  e Sant'Anastasia che erano in attesa:  l'inoppugnabile verità di una zona rossa minimale rispetto al passato sarebbe saltata subito all'occhio. Una considerazione quella della zona rossa più piccola della precedente che, a onore del vero, non ci sfuggì all’atto dell'orgogliosa presentazione dei nuovi scenari nella rinomata sede del Dipartimento della Protezione Civile.
Come si vede quindi, la zona rossa così com’è è una pericolosa interpretazione e interpolazione dei troppi interessi che gravano sull'area vesuviana. Le nostre considerazioni vanno nella direzione che l'attuale conformazione della zona pericolosa e le inique classificazioni amministrative, sono alla base di un cocktail micidiale che potrebbe, nelle pieghe di un tempo imperscrutabile,  portare a una catastrofe da cigno nero, perché le regole della prevenzione nel vesuviano non ci sono mai state o sono completamente obliate come il fantomatico piano nazionale che tarda ad arrivare.
Che dire poi della zona rossa 2, dove ancora oggi non siamo in grado di dire con certezza se si evacua interamente in caso di allarme come recita la direttiva Letta o si procede con evacuazione mirata in base alla resistenza dei tetti o alla direzione dei venti come scritto altrove e come  previsto nella prima stesura del piano d'emergenza (1995)... 
Con molta fatica arriveremo alla conclusione che forse è necessario formattare questo sistema di tutele che non genera sicurezza ma solo garanzie mediatiche in assenza di un giornalismo investigativo.
Nella prossima imperdibile FAQ, la FAQ numero 3, parleremo del piano di emergenza Vesuvio...







 


domenica 6 marzo 2016

Rischio Vesuvio: le FAQ... di MalKo



Il sorvolo del Vesuvio


In moltissime pagine istituzionali diffuse sul web, ce ne sono quasi sempre alcune dedicate alle Frequently Asked Question (FAQ), cioè un elenco di risposte preconfezionate che soddisfano i quesiti maggiormente posti all’autore o al titolare del servizio o all’articolista che pubblica sul web. Diversamente le risposte possono essere anche frutto della previsione delle domande, in modo da soddisfare in anteprima e già all’atto della pubblicazione le curiosità o le perplessità dei lettori.
Il rischio Vesuvio è un fattore talmente di rilievo e talmente complicato e con tante inadempienze, che ben difficilmente troverete FAQ che vanno nella direzione della verità e della comprensione dell’argomento in tutte le sue sfaccettature. Per dare un contributo alla corretta informazione allora, indichiamo noi stessi delle domande e, quindi, delle risposte che si rifanno all’ufficialità degli enti amministrativi e delle istituzioni tecniche e scientifiche pertinenti, senza tralasciare le nostre considerazioni, in modo che il lettore abbia dalla sua elementi di comparazione su cui riflettere.

·        Che cos’è lo scenario eruttivo di riferimento?
Nel nostro caso lo scenario di riferimento è la tipologia eruttiva che la scienza, attraverso studi di vario genere, individua come l’evento vulcanico da cui bisognerà presumibilmente difendersi per il futuro.
Secondo alcuni scienziati dell’INGV che hanno trattato il problema, per i prossimi 128 anni e in assenza di novità scientifiche, l’eruzione di riferimento per il Vesuvio dovrebbe essere di stile stromboliano violento (VEI 3), o al massimo d’intensità similmente sub pliniana, ovvero con un indice di esplosività vulcanica pari a VEI 4. Sarà proprio quest’ultima tipologia eruttiva ad essere stata indicata, e quindi adottata per fissare gli scenari eruttivi su cui è stata poi incentrata la pianificazione nazionale d’emergenza per l’area vesuviana.

Per i meno esperti, un indice di esplosività vulcanica VEI 4, corrisponde grosso modo come tipologia all’eruzione del Vesuvio del 1631. Evento particolarmente violento, che sconvolse la plaga vesuviana, ma che non cagionò grossi  danni alla città di Napoli.

Lo scenario di riferimento è importantissimo perché partendo dal tipo di eruzione è possibile stabilire le fenomenologie vulcaniche da cui bisognerà difendersi e i territori probabilmente coinvolti e, quindi, quanti abitanti bisognerà preventivamente mettere in salvo.

Gli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), per individuare lo scenario eruttivo di riferimento hanno operato su basi statistiche probabilistiche. Potevano accettare i principi della distribuzione poissoniana che stabilisce stessa probabilità di accadimento ad eventi rari, invece si sono valutate due tabelle statistiche che prendono in esame fenomeni eruttivi su due diversi intervalli, analizzando rispettivamente un periodo di tempo tarato da 60 anni in su, senza un limite superiore, e una finestra temporale con un range da 60 a 200 anni (vedi schema sottostante).

Tabella Ae B delle probabilità eruttive in chiave percentuale.
Da notare che sia l’approccio concettuale della logica poissoniana che il compendio statistico con alla base i primi 60 anni di quiescenza e senza limiti in salita, includono l’eruzione pliniana come eruzione tutt’altro che da sottovalutare come evento possibile. Alla fine gli esperti hanno invece optato per la tabella B che vi mostriamo e  che contiene anche le percentuali statistiche assegnate ad ogni tipologia eruttiva, con quella pliniana scartata  per il suo 1% di probabilità…
Ovviamente il lettore avrà intuito che non esistono calcoli matematici ben definiti o strumenti particolari di analisi e di indagini per poter dire con certezza quale sarà la tipologia eruttiva della prossima eruzione del Vesuvio: il dubbio è un elemento comune anche ad altre pianificazioni d’emergenza. Per abbattere ogni incertezza, la prassi tecnica consolidata prevede a scopo precauzionale l’adozione  dell’evento massimo conosciuto come effettivo scenario d’emergenza. Nel nostro caso questo evento è facilmente individuabile nell’eruzione più famosa del mondo: quella pliniana del 79 d.C. che, con il suo indice di esplosività classificato VEI 5, sconquassò completamente l’area vesuviana, circa 2000 anni fa e ancora circa 4000 anni fa,  seppellendo intere città e villaggi che scomparirono letteralmente dalla geografia dei luoghi.

In realtà solo la politica può cancellare dall’elenco dei possibili scenari eruttivi un’eruzione pliniana, ma non la scienza, che in questo caso si è pronunciata attraverso un’esposizione analitica della commissione incaricata del piano d’emergenza denominata Gruppo A, che ha proposto nel 2012 uno scenario eruttivo (VEI4), praticamente identico a quello che propose nel 1995 la precedente commissione, che già a suo tempo indicò una sub pliniana quale eruzione massima attesa (EMA).

La proposta attuale è stata poi adottata con il placet definitivo della Commissione Grandi Rischi Settore Rischio Vulcanico, a cui spetta l’ultima parola. E’ a questa commissione, è bene ricordarlo, che competono tutte le decisioni scientifiche che hanno ad oggetto i vulcani.

La cosa che lascia alquanto perplessi, come vedremo nella prossima FAQ che riguarda la perimetrazione della zona rossa, è un certo fare deterministico delle istituzioni, rispetto a una situazione assolutamente di incertezza statistica.

Intanto risulta interessante un’annotazione del Prof. Giuseppe De Natale, ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano, a proposito dei tempi di ritorno delle eruzioni pliniane:<< non è possibile definire i tempi di ritorno di qualsivoglia tipologia di eruzione, per tutti i vulcani in generale ma in particolare per le eruzioni pliniane del Vesuvio. Il concetto stesso di tempo di ritorno presuppone una regolarità (periodicità) che non sussiste in generale per alcuna eruzione vulcanica. Per quanto riguarda poi le eruzioni pliniane del Vesuvio, quelle a noi note sono in numero talmente esiguo, che qualunque analisi statistica ha una significatività estremamente bassa>>. Affermazione piena di buon senso e alquanto in controtendenza alle decisioni del gruppo incaricato e alle conclusione della commissione grandi rischi…

Su questo argomento si sono spesi diversi esperti, tra cui l’ex assessore alla protezione civile regionale, Prof. Edoardo Cosenza, che ribatteva a chi contestava come Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, l’esclusione di una pliniana dalla rosa delle possibilità di accadimento, che se volessimo prendere sempre le catastrofi peggiori per pianificare le emergenze, per le alluvioni dovremmo allora tenere conto del diluvio universale… specialmente se non ci si chiama Noè!

Nel caso del Vesuvio, ripeteva, le matrici di possibilità sono 4 :

·        Eruzione senza evacuazione;

·        Eruzione con evacuazione;

·        Evacuazione senza eruzione;

·        Evacuazione con eruzione.

In realtà l’accademico professore perseguendo un fare assolutamente deterministico in luogo dello statistico, non ha considerato altre due possibilità, al netto della politica, che sono:

·        Eruzione VEI 5 con evacuazione VEI 4;

·        Eruzione VEI 5 senza evacuazione.

In entrambi i casi, una catastrofe immane, da cigno nero…

Per poter offrire ai lettori comparazioni che aiutano a riflettere, proponiamo l'esempio del terribile terremoto che sconquassò il Giappone l’11 marzo del 2011. Una scossa di magnitudo 9 Richter diede origine a uno tsunami che s’infranse contro la centrale di Fukushima creando un incidente nucleare di tutto rispetto.

I sistemi d’emergenza anti tsunami infatti, erano tarati per altezza delle acque non superiore ai 6,5 metri, mentre in questo caso le onde raggiunsero i 14 metri di altezza. C’è da dire che una scossa così forte non era mai stata registrata prima nel paese del Sol Levante. Nella ricostruzione della centrale nucleare, e quindi nei sistemi di difesa, si terrà conto di questi valori estremi seppur singolari o si manterranno i parametri di sicurezza preesistenti ? Ovviamente se è possibile si terrà in debito conto un evento 9 Richter e onde alte 15 metri…

Lo scenario VEI 4 è uno scenario di media mediata dalla politica in ragione dello stato dei luoghi e anche dell’economia che tiene in debito conto i parametri costi - benefici finanche nella difesa delle catastrofi. Tutte cose che intuiremo meglio nella prossima FAQ ad oggetto la famosa zona rossa Vesuvio...

Quello che desta disappunto e quindi generalizzando si contesta, è che i cittadini non possono essere trattati come sudditi non partecipativi delle scelte e quindi non informati su quello che succede e sulle decisioni che si adottano a cura della politica in un ordinamento rappresentativo. I cittadini sono titolari di qualche diritto, ma qui sembra che in questo mondo globalizzato ad avere  ragione è sempre e solo il biglietto verde...