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lunedì 12 settembre 2016

Campi Flegrei - Il progetto geotermico Scarfoglio... di MalKo



Pozzuoli (Campi Flegrei) - macellum


Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha in corso di valutazione d’impatto ambientale (VIA), un progetto di sfruttamento geotermico per la produzione di energia elettrica da realizzarsi nella località Scarfoglio (Campi Flegrei), a ridosso del vulcano Solfatara nella zona Pisciarelli di Pozzuoli. Motore del sistema dovrebbero essere le caldissime acque del sottosuolo vulcanico.

La documentazione a corredo della richiesta di autorizzazione ha avuto una partnership scientifica istituzionale per molti versi riconducibili all’Osservatorio Vesuviano (INGV), che dovrebbe essere la struttura di garanzia per le problematiche vulcaniche in Campania. Una situazione per molti versi discutibile, perché se la commissione ministeriale ambientale dovesse respingere il progetto Scarfoglio per motivi precauzionali a fronte dell’incolumità pubblica, metterebbe in seria difficoltà l’immagine dell’Osservatorio Vesuviano che, poco indirettamente, ha espresso invece parere di fattibilità del progetto, minimizzando i rischi indotti dalle trivellazione e dalla reiniezione dei fluidi operativi nel sottosuolo.

Anche noi abbiamo inviato le nostre osservazioni al Ministero dell’Ambiente, rimarcando la necessità che determinati rischi si accettano e si respingono anche in ragione delle alternative possibili. Se Le energie geotermiche sono rinnovabili vuol dire che saranno a disposizione della collettività per migliaia di anni. Quindi, se dovesse subentrare una fame di energia che potrebbe mettere in ginocchio la nostra società iper tecnologica e post industriale, allora i rischi dovuti alle trivellazioni e alla pratica di reiniezione gioco forza diventerebbero accettabili, addirittura auspicabili. Oggi però, non ci sono queste condizioni, perché a muovere questo progetto al momento è solo un business industriale…

Abbiamo chiesto al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano, un’analisi dei fattori che a suo giudizio rendono improponibile le attività geotermiche nell’area calderica flegrea. Il noto vulcanologo ci ha consentito di accedere alle osservazioni che ha sviluppato e inviato al Ministero dell’Ambiente. Ve le proponiamo qui di seguito, anche se in una forma riassuntiva.

<< Nella zona dove è stato presentato un progetto d’installazione di un impianto geotermico, ovvero nell’area epicentrale Solfatara – Pisciarelli nei Campi Flegrei, si è avuto recentemente uno sciame sismico di circa 45 scosse con ipocentri superficiali e a bassa magnitudo. Il 7 ottobre del 2015, eventi sismici analoghi indussero non pochi residenti ad abbandonare le proprie abitazioni, così come in alcune scuole i dirigenti scolastici decisero di evacuare i plessi a loro affidati.    

Una ricerca pubblicata sulla rivista Nature- Scientific Reports nell'agosto del 2015 dal dott. Luca D'Auria e altri ricercatori INGV e CNR, ad oggetto le deformazioni del suolo avvenute tra il 2012 e 2013, ha dimostrato come in detto periodo si sia verificata probabilmente una risalita di magma fino a circa 3 Km. dalla superficie, proprio al di sotto di una zona che potremmo definire centrale della caldera flegrea.

Tale risultato ha evidenziato la scarsa rilevabilità della possibile risalita di corpi magmatici dal profondo, ma anche un’analoga e oggettiva difficoltà a individuare nell’attualità le intrusioni già esistenti, nonostante si disponga di un sistema di monitoraggio areale di una certa efficienza. Quindi, non conoscendo la posizione e l’estensione delle protuberanze magmatiche eventualmente presenti a bassa profondità nell'area di Agnano - Pisciarelli, risulta alquanto sconsigliabile procedere con attività di trivellazioni, onde evitare di innescare indesiderati processi perturbativi nella zona calderica anche di tipo esplosivo.

L’area di Agnano – Pisciarelli (Scarfoglio), è strategica e prioritaria per il monitoraggio geofisico e geochimico della caldera attiva dei Campi Flegrei, soprattutto perché esiste un database ultradecennale di tutto rispetto dei dati di monitoraggio del super vulcano flegreo, che sarebbe il caso di non alterare con valori e misure che sarebbero compromesse nella loro naturalità dai processi di trivellazione, emungimento e reiniezione dei fluidi caldi prelevati dal sottosuolo.

Un database di queste dimensioni è indubbiamente e particolarmente utile per valutazioni di ordine scientifico sulla pericolosità vulcanica, grazie a comparazioni da cui potrebbero discendere indicazioni scientifiche circa i livelli di allerta da assegnare all’area, ai fini dell’attuazione dei piani di salvaguardia delle popolazioni esposte. D’altra parte bisogna anche annotare che la realizzazione di un database come questo quale frutto di una ultradecennale attività di monitoraggio, ha richiesto l’investimento di ingenti risorse pubbliche, tanto umane quanto materiali. 

La realizzazione di uno stabilimento industriale che emunge fluidi caldi (180° C.) dal sottosuolo per poi reiniettarli orientativamente nel bacino di prelievo, renderebbe praticamente indistinguibile, nel caso dovessero presentarsi eventi simici, la differenziazione tra origine naturale o indotta di questi fenomeni in tutti i casi pericolosi. L’incertezza determinerebbe pure implicazioni di natura giuridica nella individuazione delle responsabilità, qualora dovessero riscontrarsi malauguratamente danni a persone o a beni pubblici e privati. 

Il vulcano Solfatara - Pozzuoli (Campi Flegrei)
Le criticità naturali insite nella caldera flegrea, sono altresì aggravate dalla perdurante assenza di piani di evacuazione per l'area dei Campi Flegrei, con un valore esposto destinato a salire perché parliamo di un contesto territoriale dove ancora manca un vincolo vulcanico che renda impossibile l’edificazione ad uso residenziale, alla stregua di quanto è già stato fatto per il Vesuvio con la legge regionale numero 21 del 2003.

Recentemente bisogna pure annoverare la risalita di fluidi fangosi all'interno del pozzo di Bagnoli realizzato nell'area ex ITALSIDER nel 2012 e profondo 500 metri (CFDDP).  Il Commissario dell'Osservatorio Vesuviano, dott. Marcello Martini, ha dovuto disporre nel merito urgenti consulenze, senza escludere interventi di ottimizzazione del sito di perforazione nel senso della sicurezza.   

Una vasta letteratura mondiale documenta i rischi connessi ad attività di trivellazione in generale. Tra i più comuni effetti osservati con questa pratica, segnaliamo gli inneschi di eventi sismici e sequenze sismiche, anche prolungate nel tempo, così come le esplosioni o eruzioni dei pozzi, con innesco di fuoriuscite di fluidi anche per lunghi periodi di tempo. Ed ancora processi di subsidenza del suolo, alterazioni delle falde acquifere ed eventi franosi dai rilievi circostanti. Per tali motivazioni, i siti di perforazione sono generalmente posti a distanza dai centri abitati, e in aree non interessate da strutture tettoniche attive.

Le mie perplessità non sono singolari e convergono anche con quelle dei colleghi dott. Giovanni Chiodini dell'INGV, prof.ssa Tiziana Vanorio dell'Università di Stanford USA e il prof. Franco Ortolani, già professore ordinario presso l'Università di Napoli Federico II. Similmente abbiamo segnalato la pericolosità delle trivellazioni in un’area vulcanica particolarmente dinamica come quella flegrea, dove vige tra le altre cose, lo stato di attenzione vulcanica.

Nel caso delle aree vulcaniche attive come quella in esame (Campi Flegrei), i rischi citati sono notevolmente amplificati dagli elevati valori di temperatura e pressione dei fluidi circolanti nel sottosuolo, titolari anche di un certo fattore chimico di tossicità, in un sistema circolatorio sotterraneo che potrebbe essere caratterizzato da intrusioni magmatiche abbastanza superficiali.

Nel computo delle complicazioni dovute alle trivellazioni in aree vulcaniche, segnaliamo sicuramente il vulcano di fango Lusi nell’isola di Giava. Altri esempi riguardano la caldera del Fogo (Sao Miguel Azzorre), dove da alcuni anni è esplose un pozzo durante una trivellazione profonda circa 600 metri; perforazioni crostali finalizzate alla realizzazione di un impianto geotermico. Questa esplosione è stata associata a sequenze sismiche, processi di fratturazione del suolo e nascita di nuovi campi fumarolici.  

Il vulcano Lusi: il fango invade il villaggio di Sidorajo - Fotografia di John Stanmeyer, National Geographic
Gli eventi esplosivi in campi geotermici associati a rapida decompressione e transizione di fase di fluidi ad alta pressione e temperatura, sono possibili nelle aree ad alto gradiente di temperatura, così come accennavamo in precedenza, e il sistema geotermico dei Campi Flegrei è ottimale da questo punto di vista, risultando quindi appetibile da un punto di vista industriale, inappetibile dal punto di vista della sicurezza di questa zona.

Per quanto riguarda invece, l'innesco di sequenze sismiche a seguito di attività di trivellazione, estrazione e reiniezione di fluidi, la problematica è ben documentata anche in aree non vulcaniche, in prossimità di strutture tettoniche attive, come ad esempio nei pozzi localizzati presso Basilea, in Oklahoma e in Olanda.

Dettagliate documentazioni, relative a sismicità indotta, emissioni gassose nocive, emissioni acustiche, e anche esplosioni idrotermali, sono registrate storicamente in tempi più recenti, in aree geotermiche anche di vulcani non attivi, come ad esempio nei siti italiani del Monte Amiata e di Larderello.

D'altra parte, nel progetto pilota " Scarfoglio", è prevista la possibilità di eventi sismici indotti, ma per tale area è noto come la magnitudo massima attesa possa superare il 4 grado Richter, e in tale zona può produrre danneggiamenti.  Il sito prescelto per le trivellazioni è all'interno dell'area epicentrale delle frequenti sequenze sismiche dei Campi Flegrei e dei maggiori terremoti registrati e avvertiti durante le crisi bradisismiche. In particolare, proprio per il rischio sismico, durante la crisi conclusasi nel 1985 fu decisa la totale evacuazione della popolazione di Pozzuoli, trasferita nel nuovo insediamento di Monterusciello.

Ricerche condotte dal sottoscritto, in collaborazione con altri colleghi dell'INGV e di altri istituti, pubblicate su riviste internazionali già alla fine degli anni 90 e negli anni successivi, dimostrano l'estrema instabilità dei sistemi geotermici, sotto l'effetto anche di minime perturbazioni termiche e meccaniche in profondità, con evoluzione imprevedibile e dagli effetti a volte assolutamente indesiderati. Tali condizioni possono essere indotte proprio dalle attività di trivellazione.

Le insufficienti conoscenze dell'assetto geologico-strutturale e termo-fluidodinamico dell’area calderica (Scarfoglio – Pisciarelli), dove dovrebbe collocarsi l’impianto per la produzione di energia elettrica sfruttando i fluidi caldi circolanti nel sottosuolo, in assenza di modelli robusti e affidabili sul comportamento di tali sistemi perturbabili dalle attività di trivellazione, rendono il progetto Scarfoglio rischioso per le comunità e in netto contrasto con il principio di precauzione.

Oltre ai rischi immediati, previsti tra l’altro da modelli di calcolo di processi termo - fluidodinamici in mezzi porosi, le modificazioni sostanziali che potrebbe interessare il sistema profondo, si potrebbero verificare anche a distanza di alcuni decenni.

Utilizzando i comuni programmi di calcolo per l'evoluzione di sistemi geotermici in caso di attività di estrazione di fluidi, si può infatti prevedere la generazione di una estesa modificazione di temperatura, pressione e regime di circolazione dei fluidi in un raggio di centinaia di metri, centrato presso la massima profondità del pozzo, in un periodo che va da alcuni anni a qualche decennio, a partire dall'inizio delle attività estrattive. Le conseguenze sull'ambiente derivanti da tali processi, sono del tutto imprevedibili.

Per le ragioni riportate e vista l'assoluta impossibilità previsionale teorica su quello che potrebbe succedere, tra l’altro una situazione non mitigabile neanche attraverso il monitoraggio delle attività previste nel programma geotermico da realizzare nel sito di Agnano Pisciarelli, le trivellazioni così come la reiniezione dei fluidi da attuarsi nell’area vulcanica flegrea, sono da considerarsi ad altissimo rischio, e quindi, da evitare nell'interesse comune.


venerdì 2 settembre 2016

Rischio Vesuvio: la situazione è tutta sotto controllo…di MalKo

Vesuvio in fiamme - agosto 2016

Le trasmissioni televisive e radiofoniche ma anche la maggioranza dei giornali e delle riviste pure scientifiche, prevedono un uso politicamente strategico e allineato del linguaggio mediatico, mettendo al primo posto il principio non scritto che la notizia innanzitutto non deve allarmare. Teoria molto cara ai prefetti…

Con queste premesse, difficilmente tali testate giornalistiche riusciranno a trattare nel senso più ampio del termine, argomenti particolarmente rilevanti come il rischio Vesuvio, perché nella nostra Penisola non è diffuso il giornalismo d’inchiesta che rimane una nicchia da terza serata. D’altra parte noi siamo il popolo dei tengo famiglia… Ne consegue che assistiamo sovente alla rappresentazione mediatica dei rischi esattamente come ce li propongono e ripropongono personaggi e strutture in posizione di potere o di comando, che utilizzano i media compiacenti come cassa di risonanza per minimizzare il pericolo e propagandare come il meglio del meglio le loro scelte tutte vertenti sul principio strategico bene occultato dei costi benefici, sfoderando ampio ottimismo a spese degli altri. Alla stampa e alla televisione allora, viene demandato il compito di propinare la messaggistica del “tutto a posto!”, palesando il pieno controllo della situazione da parte delle istituzioni tecniche e scientifiche del nostro Paese.

Questo modo arrendevole di fare giornalismo, aiuta solo a nascondere la verità, che invece dovrebbe essere buttata nuda e cruda al di là dello schermo televisivo, come pane quotidiano della democrazia partecipativa. Il giornalismo investigativo ha un ruolo contributivo cruciale per il sostentamento della democrazia e della libertà di espressione e di denuncia e di controllo della classe politica e dei boiardi istituzionali; certamente prevede lo scotto di qualche rinuncia in termini di simpatia e perdita di favori, a tutto vantaggio però, dei valori umani che, certo e capiamo, non fanno cassa.

Non sono pochi quelli che preferiscono essere il punto di riferimento degli addetti stampa delle varie segreterie dei vari enti e istituzioni e amministrazioni, pubblicando spesso solo veline compiacenti che il fax o le mail gli depositano direttamente sulla scrivania, poco ingombra e prevalentemente utilizzata a mo’ di poggiapiedi, in un contesto odoroso di caffè con l’aria condizionata che marcia a pompa…

Generalmente nel nostro Paese i pochi giornalisti che si danno al giornalismo d’inchiesta, non sempre riescono a centrare l’obiettivo principale che si propongono, cioè la divulgazione della verità, perché questa possono rivelartela solo fonti confidenziali o un grande lavoro investigativo, ma anche in questo caso è richiesta un’affannosa attività di ricerca delle prove documentali o testimoniali. La verità quindi è una primizia che giunge sulla scorta di conoscenze personali e poi particolari, ma soprattutto è il risultato ultimo dello studio e della comparazione di una moltitudine di documenti che vengono intrecciati e poi sovrapposti e poi verificati e poi incolonnati secondo schemi e metodi oggettivi e soggettivi, per essere poi offerti ai lettori sotto forma di new sui loro sofisticatissimi super computer tascabili, da cui non alzano lo sguardo perché oramai attaccati e ipnotizzati alla rete globale, che macina milioni di notizie al minuto sugli affari privati dei nostri pseudo amici. Ciò che scorre è già obsoleto...

Il giornalista di punta dicevamo, opera confrontando e incrociando dati scientifici e politici e amministrativi, scovando gli evasori della verità uno per uno. Il risoluto uomo della stampa o anche dei blog o dei programmi televisivi di denuncia sociale, alla fine riesce a individuare gli angoli più oscuri del sistema che ci governa e ci amministra e ci protegge in nome di una realpolitik non dichiarata, che non sempre coincide con i principi di libertà e di democrazia dei popoli…

Molti degli aspetti che regolano i processi legati ai rischi e alle emergenze e alla protezione civile e alla prevenzione e all’operatività e al terremoto e al pericolo vulcanico li conosciamo bene, e tentiamo ogni strada per divulgare questi argomenti che partono dalla scienza geologica e arrivano poi alla politica e alla tecnica operativa e alla sociologia e all’antropologia e alle istituzioni e alle università e agli enti pubblici e di volontariato, ecc.

Il rischio vulcanico deve fare i conti con una massa enorme di persone che cercano, generalizzando, la panacea della rassicurazione anche minimamente convincenti, e mal digeriscono una verità sbattuta in faccia che gli pone la necessità innanzitutto di pensare prima ancora che agire. La verità è uno strumento democratico di prevenzione dei rischi...

Un po’ di giorni fa guardavamo un filmato prodotto e mandato in onda da Rai New 24: “seduti sul vulcano”, a cura di Gerardo D’Amico. Dopo una decina di minuti sui generis, vediamo per la prima volta la Dott.ssa Francesca Bianco, la nuova direttrice dell’Osservatorio Vesuviano, che illustra ciò che rimandano gli schermi della sala di monitoraggio della sede INGV napoletana.

Il documentarista D’Amico passa poi alla domanda clou indicando in una gigantografia aerea l’urbanizzazione inusitata che circonda il Vesuvio: ma in caso di eruzione tutta questa popolazione che fa? La direttrice Bianco risponde senza un attimo di esitazione: c’è un piano d’emergenza e c’è un piano di evacuazione… La rapidità della mendace risposta, induce a ritenere possibile che esista un prontuario dell’informazione televisiva sul rischio vulcanico a cui tutte le istituzioni devono attenersi, secondo una scaletta scritta e riscritta da tempo, votata al concetto mediatico che insieme si con-vince…

Appena oltre e nello stesso filmato, il cauto ingegnere Italo Giulivo dirigente della protezione civile regionale Campania, afferma in contro tendenza, che si è in attesa che i comuni vesuviani e flegrei provvedano alla redazione e alla consegna dei piani comunali di protezione civile e nella fattispecie che i comuni “vulcanici” individuino a livello comunale la viabilità evacuativa. Un discorso quindi tutto al futuro…

Il 30 agosto 2016 invece, è la volta della trasmissione della La7 a proporci nell’ambito del programma “L’aria d’estate”, un superbo consigliere della Regione Campania per gli affari della protezione civile, dott. Aniello Di Nardo, che alla domanda del conduttore ad oggetto il Vesuvio: << zona rossa 672.000 persone: in quanto tempo riuscite ad evacuarle?>> Risponde così :<<in 72 ore! >>. Incalza allora l’intervistatore: << in coscienza lei ci crede?>> Risposta: << Il piano è fatto benissimo e ci credo>>. Nello stesso filmato e dopo qualche minuto, viene interpellato sempre l’Ing. Italo Giulivo con quest’altra domanda: << Quanto tempo ci vuole per testare il piano? Risposta:<< Sicuramente dei tempi lunghi…>>.

All’effervescente governatore della Campania Vincenzo De Luca gli saranno fischiate le orecchie, tant’è che dalle pagine dei giornali con sicumera ha affermato che tra settembre e ottobre dovranno chiudersi i piani di evacuazione per il rischio Vesuvio e Campi Flegrei (Corriere del mezzogiorno 30/08/2016). Che cosa evacua allora il consigliere Di Nardo in 72 ore?

A fine agosto hanno scoperto che il comune di Pompei non ha un piano di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio (corriere del mezzogiorno 29/08/2016). Verità agghiacciante ma per chi? Il piano di evacuazione non ce l’ha nemmeno Torre del Greco, il paese mediano da 100.000 abitanti, ma neanche Boscoreale…  La cronaca dice che sono circa 135 i comuni campani che non hanno provveduto a stilare il piano di protezione civile comunale, e tra quelli che lo hanno prodotto bisognerà ancora verificare la bontà e la qualità del documento cartaceo di salvaguardia.

Campi Flegrei. Il sindaco di Pozzuoli Vincenzo Figliolia, nell’articolo riportato dalla testata giornalistica online ReportWeb.tV dichiara:<< Mai fino ad oggi era stato redatto un piano comunale di emergenza così dettagliato, né Pozzuoli aveva avuto un Centro Operativo Comunale come quello che abbiamo realizzato a Monterusciello: una struttura all’avanguardia, capace di servire anche di altri comuni…>>. Senza rendersi evidentemente conto di quello che dice aggiunge:<< Riguardo al Piano di allontanamento della popolazione-Rischio Vulcanico, o piano di esodo, come da direttive del Dipartimento della Protezione Civile, analogamente al Piano Vesuvio, l’aggiornamento di tale pianificazione è e resta di competenza della Regione Campania, su indicazioni e d’intesa col Dipartimento stesso…>>.  L’affermazione sembra sottintendere che Pozzuoli sta aspettando che il piano di evacuazione comunale glielo faccia la Regione…

Nelle storie che si inseguono e che stupiscono, annoveriamo pure quella narrata dal noto settimanale l’Espresso, che riferisce che all’interno del comitato operativo della Protezione Civile riunitosi per vagliare il da farsi in seguito al terremoto del 24 agosto, sieda Bernardo De Bernardinis, ex braccio destro di Bertolaso, che proprio a seguito di alcune inopportune rassicurazioni sul terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 venne condannato dalla corte aquilana. 

Nello stesso articolo ad oggetto il terremoto che ha devastato il centro Italia, viene riportato con una certa enfasi che:<<nel caos delle prime ore, si è rivelato fondamentale l'intervento dal cielo degli elicotteri dei pompieri>> che, trasportando squadre specializzate, hanno reso possibile il salvataggio di 215 persone estratte dai cumuli di macerie.

Quest’ultima notizia è in controtendenza con quella che proviene dal napoletano, dove è stato siglato un accordo, cioè un protocollo d’intesa tra il Parco Nazionale del Vesuvio e il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS). In caso di esigenze di soccorso e salvataggio nell’ambiente montano, forestale e pedemontano e impervio dell’arcinoto Vesuvio, bisogna formulare richiesta di aiuto digitando i numeri 331 4597777 a cui corrisponde l’utenza telefonica della organizzazione CNSAS campana. In assenza di risposta, bisogna procedere chiamando il primo dei soccorritori reperibili…

Il soccorso tecnico urgente in Italia fino a questo accordo doveva essere istituzionalmente assicurato su tutto il territorio nazionale, ad eccezione del mare, dai Vigili del Fuoco componendo il numero telefonico 115. La Regione Campania invece, con propria delibera n° 247 del 07/06/2016, riconosce nei volontari del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), i reali soggetti di riferimento da utilizzare per le azioni di salvataggio e recupero nel soccorso in montagna. Quindi un’operatività che va ben oltre il prestigioso circuito vesuviano.

Vigili  del Fuoco - Addestramento in montagna

Il Soccorso Alpino (CNSAS) riceve non solo finanziamenti di base, ma gli accordi prevedono un rapido rimborso delle spese a cura della Regione Campania per ogni intervento effettuato. I Vigili del Fuoco hanno in forza ai nuclei elicotteri personale specializzato per il soccorso in montagna e zone impervie (SAF), e tra l’altro intervengono entro pochi minuti dalla chiamata (115) e in ogni angolo dell’Italia Campania compresa.  C'è in gioco una extra territorialità? Qualcosa in termini economici e organizzativi e di garanzie per i cittadini non torna vero? La nostra impressione è che si confonda il ruolo istituzionale di un Corpo dello Stato con una organizzazione di volontariato che discende da un famoso Club Alpino.  

Vigili del Fuoco (SAF) - addestramento in montagna
I dirigenti dei Vigili del Fuoco avrebbero dovuto sobbalzare e tracciare un confine netto tra prerogative e competenze di un Corpo istituzionale dello Stato rispetto alle associazioni di volontariato. I Vigili del Fuoco danno a volte l'impressione che all'interno del Ministero dell'interno contino quanto Fantozzi davanti al mega direttore...ovviamente quando non ci sono emergenze.  Allora parliamo di rappresentatività altalenante...

martedì 23 agosto 2016

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: nel super vulcano il progetto geotermico Scarfoglio? ... di MalKo



Il vulcano Solfatara - Campi Flegrei - Pozzuoli

Nei Campi Flegrei a ridosso del vulcano Solfatara, dovrebbe sorgere una stazione geotermica finalizzata alla produzione di energia elettrica. Il progetto denominato Scarfoglio, è al vaglio del Ministero dell’Ambiente e prevede l’utilizzo di fluidi a media entalpia emunti dal sottosuolo del super vulcano flegreo.

Il progetto pilota prevede l’installazione degli impianti nella contrada denominata appunto Scarfoglio, limitrofa alla zona di Pisciarelli. Quest’ultima è sede di importanti fenomenologie di vulcanesimo ancorché di massiccia degassificazione di anidride carbonica che ascende in superficie dal ribollente sottosuolo vulcanico.

La società Geoelectric S.r.l. ha scelto questo sito proprio per la presenza di fluidi termali molto caldi rinvenibili già dopo alcune centinaia di metri di profondità. Propositrice del progetto in esame, la Geoelectric ha riproposto al Ministero dell’Ambiente e della Tutale del Territorio e del Mare, quale istituzione competete per la valutazione d’impatto ambientale (VIA), alcuni aggiornamenti progettuali volontari, evidentemente per contrastare le note ostative provenienti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT). Quest’ultimo dicastero lamenta difformità circa l’utilizzo delle aree vincolate e una carenza di progettualità di ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, quale dato di una certa importanza, ai Beni Culturali sembra abbiano a temere la micro sismicità indotta dalle attività di perforazione e da quelle di reiniezione in profondità delle acque termali. Una micro sismicità che potrebbe minare, dicono, il patrimonio archeologico dell’area…

I Campi Flegrei si connotano all’interno di una grande caldera afferente all’omonimo super vulcano. A tutt’oggi si caratterizza per alcune fenomenologie di rilievo, tra le quali il bradisismo ascendente e la rilevazione di picchi di magma fino a tre chilometri dalla superficie, oltre naturalmente una certa attività sismica anche a sciami. Questi ed altri elementi, hanno contribuito a dichiarare lo stato di attenzione vulcanica per l’area calderica flegrea, perché i parametri geofisici e geochimici rilevati presentano delle discordanze rispetto a quelli base di riferimento.
Stazione sismica Osservatorio Vesuviano - Campi Flegrei (Pozzuoli)
La società Geoelectric S.r.l. avvalendosi anche di esperti istituzionali dell’INGV e della società AMRA, ebbe a presentare nel mese di maggio 2015 questo progetto che prevede la realizzazione di un impianto pilota a ciclo binario per la produzione di energia elettrica. Le modalità di funzionamento dell’impianto prevedono il prelievo dei fluidi geotermici a circa 180° C. emungendoli dal sottosuolo a mille metri di profondità. Il fluido bollente viene quindi indirizzato in uno scambiatore di calore dove cede energia termica. In questo processo di scambio, i fluidi bollenti perdono parte della loro temperatura iniziale, e vengono quindi reiniettati nel serbatoio geologico profondo, dove riacquisteranno la loro temperatura iniziale, magari un po’ più in là del punto di prelievo. Questo circolo virtuoso non prevede interscambi con l’ambiente esterno o emissione di vapore nell’atmosfera. Da un punto di vista impiantistico e dell’inquinamento quindi, appare buono…

Il problema della nostra contrarietà al progetto, è il luogo dove quest’impianto pilota vuole collocarsi: cioè in una caldera dove vige un primo livello di allerta vulcanica e addirittura in un punto territoriale particolarmente stressato dalle forze endogene che operano incessanti nel sottosuolo flegreo, a prescindere se sono da ascrivere a intrusioni magmatiche o a fattori idro termali o più verosimilmente un connubio fra le due componenti che rendono il suolo puteolano per niente immobile.

Sarà proprio nel tufo a strati che le trivelle dovrebbero perforare cinque pozzi in totale, di cui tre di prelievo dei fluidi caldi che sono il motore del sistema geotermico e due di reiniezione nel serbatoio geologico d’origine. Al di là degli aspetti amministrativi sollevati dal ministero dei beni culturali, rimane l’incognita della micro sismicità indotta che anche se derivante da modeste fratturazioni,queste potrebbero favorire un disequilibrio nei dinamismi che pregnano il sottosuolo. Secondo lo studio dell’AMRA, il problema dei micro sismi dovrebbe essere alquanto contenuto e limitato a una distanza orizzontale di qualche chilometro dalla testa dei pozzi. L’AMRA si spinge oltre rendendo noto che il sottosuolo flegreo nei primi due chilometri a causa dell’elevata fratturazione è da ritenersi praticamente asismico.

Il problema principale è che certe conclusioni scientifiche comprendono anche dei pareri opposti provenienti dalle apprensioni di alcuni scienziati e tecnici che sollevano dubbi sulla innocuità della pratica di trivellazione e di reiniezione dei fluidi.

Le perplessità tutte scientifiche non si sono avvalse di una consulenza o di un vaglio da parte dell’Osservatorio Vesuviano che si fregia del titolo di Centro di Competenza circa i vulcani campani, perché tale struttura oggi non può definirsi terza sull’argomento in quanto ha contribuito in una certa misura a supportare le relazioni scientifiche a favore della società Geoelectric, corroborate nel merito da apposite conferenze a tema.

Tutti i pozzi che servono all’impianto pilota dovrebbero raggiungere la profondità di mille metri cadauno… Le domande che quindi galleggiano ancora nell’aria sono queste: cosa significa in termini di rischio perforare i contrafforti di base del vulcano Solfatara? Quali equilibri potrebbero compromettere le perforazioni a ridosso della località Pisciarelli? Le perforazioni accentuerebbero e in che misura il degassamento da anidride carbonica già massiccio in quella zona? Quali effetti avrebbe il fenomeno di sollevamento o abbassamento del suolo sull’impianto industriale una volta realizzato?  

E’ di questi giorni la notizia apparsa sul sito Meteo Vesuvio di Giuseppe D’Aniello, che l’Osservatorio Vesuviano sta stanziando fondi urgenti per mettere in sicurezza la perforazione effettuata a Bagnoli (Campi Flegrei Deep Drilling Project), attraverso una super perizia affidata a un ingegnere esperto del ramo trivellazioni.

Nella perforazione del CFDDP ferma a 500 metri di profondità, pare siano ascesi dei fanghi che potrebbero innescare problematiche di sicurezza del sito. Bisogna allora capire cosa stia succedendo in quel condotto con una urgenza tale da costringere il commissario Martini, altro fautore del geotermico nei Campi Flegrei, a distrarre fondi dal progetto Monica (monitoraggio marino) per dirottarli in quel pertugio profondo da cui bisognava trarre auspici di monitoraggio supertecnologico nei Campi Flegrei. Una trivellazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità “baciando” il magma, ed invece si è fermata a 500 metri e con qualche problema a fronte di un rischio giurato iniziale pari a zero…

Secondo uno studio dell’AMRA, la problematica della micro sismicità legata alle perforazioni e reiniezione è minima, a causa degli strati crostali che nei primi due chilometri della zona vulcanica flegrea possono considerarsi asismici. Mentre le perforazioni non supererebbero i mille metri… Le note scientifiche stimano in una magnitudo non superiore a 3,2 l’energia massima che potrebbe scaturire eventualmente dai microsismi e comunque a breve distanza dalla testa dei pozzi. Se il Ministero della Cultura si preoccupa della micro sismicità in ordine alla tutela dei beni archeologici locali, occorrerebbe pure che qualcuno valuti il rischio complessivo che corre la popolazione puteolana e napoletana…
Pozzuoli - Macellum
Il sindaco di Pozzuoli quale autorità locale di protezione civile e il Sindaco di Napoli titolare amministrativo della città metropolitana, Luigi De Magistris, potrebbero, in ragione del loro ruolo istituzionale, chiedere un illustre parere alla commissione grandi rischi sezione rischio vulcanico, che è un organo consultivo in termini di previsione e anche di prevenzione del rischio vulcanico, ed è presieduta dal Prof. Vincenzo Morra. 

Da un punto di vista tecnico occorre precisare e dire che il rischio è un fattore insito in tutte le attività umane: il rischio zero quindi non esiste. Ma il rischio è anche un fattore che deve contemplare un altro importantissimo e fondamentale elemento che ci aiuta e decidere sul da farsi, e che si chiama alternativa. Il rischio è quindi un elemento non statico, mai esaustivo e variabile nel tempo e a seconda delle necessità che si presentano nella società.

Per meglio comprendere questo ragionamento portiamo un esempio che proponemmo in una dispensa didattica (1992) scritta per gli insegnanti. In alcuni paesi poveri, alcuni bambini poveri in qualche caso mangiano prodotti di scarto prelevati dalle discariche o dai bidoni delle immondizie entrando in competizione coi topi. Il rischio sanitario susseguente a una tale condizione di stremo, per la nostra cultura occidentale è inaccettabile, ma per quei malnutriti e scheletrici bambini, il rischio era più che accettabile in ragione dell’alternativa che era la morte per fame.

Oggi l’alternativa al geotermico è il solare e l’eolico e si spera presto di trarre energia dal moto delle onde. L’Italia non ha notevoli risorse di combustibili fossili, ma il gas ci sembra un’alternativa valida e perdurevole, fino a quando non si miglioreranno le rese delle energie rinnovabili o si scopriranno altre fonti energetiche di rilievo non inquinanti.

Il rischio che comportano le attività di trivellazioni in una zona vulcanica metropolitana, che dovrebbe attuarsi in un punto critico e stressato della caldera flegrea, in una condizione areale di attenzione vulcanica, col suolo che s’innalza seppur di poco ma di continuo,  non è giustificabile in assenza di una condizione di fame energetica.

D’altra parte la costruzione di un impianto geotermico richiede ben poco tempo rispetto ad esempio a una centrale nucleare dove occorrono molti anni per realizzarla e metterla in esercizio. E l’energia geotermica è comunque lì ad aspettarci qualora dovessimo avere questa famosa fame di energia. Ecco, i rischi che oggi rappresentano un ostacolo al geotermico, magari cambieranno in termini di accettabilità quando l’oro nero diminuirà tanto da diventare materia di appannaggio per pochi.

Nei Campi Flegrei le acque che circolano nel sottosuolo sono particolarmente calde. Addirittura il pozzo di San Vito con i suoi 400° Celsius ha il record di temperatura per un sistema geotermico. Purtroppo bisogna fare i conti con una zona che non ha le caratteristiche territoriali di Larderello in Toscana…

Valga allora il concetto che bisogna sì individuare le aree che hanno punti caldi interessanti e che possono quindi essere destinate allo sfruttamento geotermico (carta nazionale?), ma ovviamente l’analisi non deve riguardare solo gli aspetti geotermici del sottosuolo e quindi legati al profitto, ma anche quelli non meno importanti che riguardano la superficie abitata e le necessarie tutele ambientali e strutturali che la zona presenta.

Infatti, i fluidi caldi prelevati dal sottosuolo per uso geotermico, possono essere particolarmente inquinanti al punto da non poter essere riversati sui suoli in superficie per non contaminare le falde freatiche, così come in alcuni casi neanche le volute di vapore possono ritenersi indenni dal contenere sostanze inquinanti come l'arsenico.

Il sistema a "circuito chiuso" presentato da questa società proponente tecnicamente sembra valido. Occorrerebbe allora che si individuasse un sito periferico al vulcano flegreo, in una zona non particolarmente abitata e senza particolari strutture a rischio nelle vicinanze. Certo, le società investitrici nel geotermico vorrebbero il loro sito ideale in testa al punto più caldo della caldera. Ma come sembra stia succedendo in Basilicata, il business non può sempre avere la meglio in nome di un non meglio specificato progresso...







venerdì 29 luglio 2016

Etna e cenere vulcanica... di MalKo



Etna: 4 dicembre 2015 - eruzione dal cratere "voragine" - (Andronico)

Circa 66.000.000 di anni fa, un asteroide di poco più di 10 chilometri di diametro, piombò nell’attuale penisola dello Yucatan provocando un’immane catastrofe planetaria che costò ai dinosauri l’estinzione dal pianeta Terra.

I dati che di recente sembrano emergere, indicano che il periodo tra il Cretaceo e il Terziario fosse caratterizzato anche da imponenti eruzioni vulcaniche che disseminarono nell’ambiente enormi quantità di cenere vulcanica che, sommandosi alla coltre già prodotta dall’asteroide, accrebbero fortemente il fenomeno delle repentine variazioni climatiche globali. Fu la fine per i grandi rettili e altre specie animali…

Molto probabilmente però, la cenere vulcanica produsse anche un effetto diretto sulla respirazione dei dinosauri, soprattutto se le polveri asperse in atmosfera contenevano, come si presuppone, una significativa percentuale di acido solforico. Un danno che ovviamente non risparmiò la vegetazione e i bacini acquiferi. Le ceneri vulcaniche, lo ricordiamo, sono composte prevalentemente da silicio, il secondo elemento che abbonda nella crosta terrestre dopo l’ossigeno.

Il Dott. Daniele Andronico, ricercatore dell’INGV di Catania, è uno specialista di vulcani avendo a che fare con il maestoso Etna, un vulcano che non trova tregua geologica e che a volte diffonde ceneri nell’atmosfera bloccando il traffico aereo sull’aeroporto catanese. Approfittando della cortese disponibilità e competenza, rivolgiamo al Dott. Andronico alcune domande:

Quale fase eruttiva si caratterizza per l’emissione di cenere in atmosfera?
I prodotti vulcanici associati all’attività esplosiva vengono definiti genericamente piroclastiti o tefra. Sulla base delle loro dimensioni, i tefra vengono suddivisi in bombe (al di sopra di 64 mm), lapilli (tra 2 e 64 mm) e ceneri, termine con il quale indichiamo tutte quelle particelle vulcaniche inferiori ai 2 mm di diametro. L’emissione di cenere in atmosfera avviene quando l’attività esplosiva genera una colonna eruttiva composta da elementi piroclastici misti a vapore e gas vulcanici. La colonna eruttiva generalmente incorpora aria e si protende sopra il vulcano fino a quando ha forza a sufficienza. Quando la sua densità diventa uguale alla densità dell’aria circostante, la porzione sommitale della colonna inizia ad espandersi lateralmente secondo la direzione dei venti dominanti. Si forma così una nube vulcanica che si allunga fino a distanze di alcuni chilometri o decine di chilometri dall’apparato, con il materiale piroclastico che via via ricade a terra a iniziare dalle bombe, dai lapilli e dalle ceneri che sono le più leggere e si lasciano quindi trasportare lontano dal vento.

I vulcani delle Eolie sono troppo piccoli per produrre cenere in abbondanza?
Le isole che costituiscono l’arcipelago eoliano rappresentano la parte emersa di vulcani formatisi inizialmente in condizioni sottomarine. Basti pensare al vulcano Stromboli, la cui sommità raggiunge poco più di 900 m di altezza sebbene la base dell’edificio vulcanico si estenda sotto il livello del mare a una profondità di oltre 2000 metri.


Isole Eolie : scorcio panoramico aereo (MalKo)
La formazione di cenere non è associata alle dimensioni dei vulcani, bensì al tipo di attività eruttiva prevalente (esplosiva o effusiva). Alcuni vulcani delle Eolie sono noti per avere generato in passato eruzioni molto esplosive, e quindi anche quantità significative di ceneri in parte dilavata dai settori rocciosi emersi.

 La cenere è sostanzialmente silicio?
La composizione della cenere riflette la natura del magma che ha prodotto la cenere stessa. Quindi possiamo avere ceneri di composizione oscillante da “basica” ad “acida” con percentuali di SiO2 variabile dal 45 ad oltre il 65 %.
Su queste polveri vulcaniche esiste un’interfaccia di sostanze corrosive?

Non esistono molti studi in proposito… Coperture continue di ceneri possono comunque essere corrosive se non vengono rimosse specialmente dalle superfici metalliche. In questo caso, infatti, i gas che rivestono le particelle di ceneri potrebbero inglobarsi all’umidità atmosferica innescando reazioni acide alquanto corrosive.

E’ vero che più ancora delle ceneri è la quantità di acido solforico a produrre le variazioni climatiche schermando i raggi solari?

Durante le eruzioni esplosive, oltre ai tefra vengono emessi in atmosfera enormi quantità di SO2 (anidride solforosa o biossido di zolfo). Alcuni giorni dopo la sua emissione, il biossido di zolfo si trasforma in particella di acido solforico (H2SO4). Si è visto che questi “aerosol” possono stazionare nella stratosfera per periodi piuttosto lunghi (1-2 anni), durante i quali si disperdono negli strati atmosferici riducendo la penetrazione della luce solare e, quindi, causando un abbassamento parziale della temperatura sia a scala locale che talora su ampie regioni del mondo.

Nell’aprile del 1815, una violentissima eruzione del vulcano Tambora in Indonesia, produsse una variazione del clima su scala globale, tant’è che il 1816 viene ancora oggi ricordato come l’anno senza estate.

La vegetazione soffre per gli acidi o per la schermatura ai raggi solari prodotta dalla cenere che si deposita sulle foglie?
In base alla nostra esperienza, nell’area etnea le eruzioni non emettono quantità di cenere tali da schermare per lunghi periodi i raggi solari. Tuttavia, i raccolti di verdure a foglia larga e alcuni tipi di frutta, talvolta vengono parzialmente compromessi anche da una sottile coltre di cenere vulcanica (che ricordiamolo è molto abrasiva), perché sarebbe comunque necessaria un’accurata e costosa pulizia e lavatura dei prodotti vegetali prima di immetterli sui mercati. Operazione tra l’altro che potrebbe alterare lo strato esterno della frutta rendendola meno appetibile.

A Catania e nelle zone limitrofe sono state riscontrate variazioni nella qualità delle acque ad uso potabile in superficie e nelle falde?
Ad oggi non mi risulta l’esistenza di studi sistematici che possano mettere in correlazione eventuali variazioni nella qualità (e quindi composizione) delle acque ad uso potabile a causa della dispersione della cenere vulcanica dell’Etna sull’ambiente circostante.

In concomitanza di eruzione con grande quantità di cenere vulcanica aspersa in atmosfera Le risultano difficoltà nei collegamenti radio?

I colleghi che gestiscono le reti di monitoraggio mi hanno riferito che durante l’attività esplosiva dell’Etna non sono state osservate evidenze in merito a questa problematica. In letteratura, tuttavia, vengono segnalate interferenze alle onde radio con effetti sull’operatività dei collegamenti sia radio che telefonici. Questi rari casi avvengono in occasione di eruzioni esplosive particolari, tali cioè da generare colonne eruttive contenenti grandi quantità di particelle di ceneri caricate elettricamente.

 La popolazione catanese come affronta la ricaduta di cenere sulla città?
In generale la città di Catania è meno esposta a questo fenomeno di ricaduta della cenere, rispetto ai paesi etnei della fascia orientale del vulcano (per esempio, Giarre, Milo, Zafferana). I venti dominanti sopra il vulcano, infatti, soffiano con maggiore frequenza verso i quadranti orientali. Negli ultimi anni alcuni di questi paesi sono stati interessati dalla pioggia di materiale piroclastico più volte nel giro di poche settimane o addirittura di giorni. Ad esempio, tra luglio e ottobre 2011 abbiamo registrato ben 10 episodi di fontane di lava che hanno generato ricadute di tefra quasi esclusivamente sul fianco orientale del vulcano. I comuni hanno in carico le attività di rimozione e smaltimento della cenere. Per questo tipo di operazioni utilizzano spazzatrici meccaniche e soffiatori.

Comune di Fornazzo: rimozione meccanica della cenere dalle strade (Andronico)
L’effetto principale della cenere sugli aerei è dovuta all’abrasione della carlinga o alla vetrificazione del silicio sulle palette delle turbine?
I danni più importanti che possono avvenire quando un aeromobile incontra una nube di cenere vulcanica, sono senza ombra di dubbio l’abrasione dei vetri della cabina di pilotaggio con grave riduzione della visibilità in danno dei piloti. Verrebbe comunque abrasa tutta la carlinga e le turbine ingurgiterebbero silicio che potrebbe vetrificarsi in più punti con il rischio flam out in agguato.

Altri effetti indesiderati possono riguardare i sistemi elettronici soprattutto se la cenere riesce a insinuarsi nell’aeromobile attraverso le bocchette di aereazione e ventilazione.

 Intensità e direzione e limiti della cenere dispersa in atmosfera: in che modo si controllano questi parametri?

Esistono diverse metodologie e strumentazioni che permettono di osservare una nube di cenere vulcanica. In primo luogo sull’Etna esiste una rete di telecamere nel campo visibile e termico che trasmettono videoregistrazioni in tempo reale alla sala operativa di Catania: le immagini sono accessibili anche sul sito web INGV della sezione dell’Osservatorio Etneo. Inoltre, è possibile visionare immagini acquisite da strumenti a bordo di satelliti, particolarmente utili per individuare e seguire il percorso della nube in atmosfera.

Catania Fontanarossa
Radar anti cenere (DPC)
La direzione e quindi l’area di dispersione di una nube vulcanica, può essere simulata in qualsiasi momento grazie a molteplici modelli numerici che utilizzano anche dati previsionali su velocità e direzione dei venti a diverse quote sopra il vulcano. Infine, oggi sono disponibili anche nuove tecnologie “radar” e tecniche “lidar”, che consentono di acquisire informazioni sulla presenza di una nube e sulla concentrazione delle particelle vulcaniche in atmosfera.

A quale altezza massima avete riscontrato cenere vulcanica nell’atmosfera?

Durante le fontane di lava dell’Etna degli ultimi anni, le colonne eruttive hanno spesso raggiunto altezze intorno agli 8-9 km sul livello del mare. In occasione dei recenti episodi parossistici di dicembre 2015, il flusso di massa eruttata nell’unità di tempo è stato così elevato, che il tetto della colonna ha raggiunto i 14 km s.l.m., ovvero ha oltrepassato la tropopausa, cioè il limite fra troposfera e stratosfera che alle nostre latitudini si attesta intorno ai 12 km sul livello del mare. Questi valori sono senza dubbio rilevanti per l’Etna, ma va ricordato che durante le eruzioni di tipo pliniano (come quella del 79 d.C.), la colonna eruttiva del Vesuvio superò i 30 km di altezza.

Un’eruzione dell’Etna si differenzierebbe di molto in termini di produzione di cenere rispetto a un’eruzione del Vesuvio di pari intensità?
È una domanda interessante. In teoria, a parità di intensità (ovvero di flusso di massa eruttata nell’unità di tempo), la differenza in termini di magnitudo (ovvero volume di tefra emessi), dipenderebbe soltanto dalla durata dell’evento eruttivo. Ma il Vesuvio emette un magma più “acido” e con temperatura più bassa rispetto al magma basaltico dell’Etna; fattori questi, che dovrebbero favorire una maggiore capacità del Vesuvio a “frammentare” il magma in particelle fini.


Comune di S. Alfio: copertura diffusa di cenere e lapilli - (Andronico)

In caso di eruzione del Vesuvio Lei dovrebbe raggiungere l’Osservatorio Vesuviano per contribuire a monitorare la dispersione della cenere in atmosfera? Esistono accordi operativi in tal senso?

In caso di eruzione al Vesuvio, le altre sezioni INGV metterebbero a disposizione dell’Osservatorio Vesuviano competenze e professionalità interne, per monitorare e studiare le caratteristiche delle ceneri eruttate, elaborando simulazioni circa la propagazione della nube eruttiva e analisi sulla dispersione delle ceneri, ed altro ancora per gestire la crisi vulcanica.

Un ringraziamento particolare al Dott. Daniele Andronico dell’INGV di Catania, per la chiarezza espositiva e per la cortese disponibilità a trattare alcuni aspetti vulcanici che caratterizzano il territorio della nostra Penisola.

Per concludere vogliamo aggiungere che nei piani d’emergenza Vesuvio la cenere vulcanica rappresenta uno degli aspetti di maggiore pericolosità dopo le colate piroclastiche, e per questo motivo nella pianificazione d’emergenza alcune cittadine vesuviane sono state ricomprese nella zona rossa di secondo livello (R2). La cenere vulcanica, dicevamo, ha un notevole potere abrasivo, conduce l’elettricità e non si diluisce nell’acqua. L’inalazione del prodotto vulcanico provocherebbe difficoltà respiratorie soprattutto a chi ha questa funzione vitale già compromessa; un altro importante inconveniente dovuto all'esposizione alla cenere, consisterebbe nell'irritazione delle parti molle e umide del corpo, come ad esempio gola ed occhi.
Vesuvio: zona rossa e gialla
Nella zona Rossa 2 del Vesuvio è bene ricordarlo, è prevista l’evacuazione totale della popolazione, che deve allontanarsi velocemente alla diramazione dell’allarme vulcanico. Non bisogna attendere l’eruzione per decidere quali settori territoriali evacuare, e non ci si ripara negli immobili dal tetto spiovente in attesa che questa passi. I cittadini vesuviani della zona rossa 2, possono allontanarsi dalle loro cittadine alla stregua e con le stesse modalità di quelli della zona rossa 1, già in fase di pre allarme vulcanico.

Un particolare ringraziamento al Dott. Daniele Andronico, vulcanologo dell'INGV Catania, per l'interessante intervista che ci ha concesso.