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sabato 8 dicembre 2018

Rischio Vesuvio: gli stoici del pericolo eruttivo... di MalKo


Vesuvio - Eruzione 1944
      
I recenti eventi sismici a bassa magnitudo che hanno interessato per giorni il complesso vulcanico del Somma – Vesuvio, hanno destato nel vesuviano una certa interessata curiosità più che preoccupazione, soprattutto per il protrarsi delle irrequietezze nel sottosuolo del vulcano più famoso del mondo.

Una parte della popolazione che vive alla base dell’arcinoto Vesuvio, percepisce il vulcano come una “montagna” che ha avuto certamente una sua furente giovinezza sancita dall’eruzione di Pompei del 79 d.C., con energie poi sfumate nel corso dei secoli con eventi energeticamente decrescenti fino all’ultima eruzione del 1944. 

I settantaquattro anni che ci separano da questa data, hanno rimosso nell’attuale generazione di giovani e meno giovani, il ricordo dei miti fenomeni vulcanici che si svilupparono in un contesto bellico portatore di molti e più pregnanti problemi: ovviamente in modo direttamente proporzionale alla distanza dall’apparato eruttivo.  Le colate di lava snodandosi molto lentamente nelle terre segnatamente vesuviane, non minacciarono direttamente i vesuviani, ma solo le loro case in modo molto localizzato e in tutti i casi senza intaccare la vicina Napoli.

Vesuvio 1944 - La lava a Terzigno

Neanche la generazione degli scienziati che oggi lavorano e studiano il Vesuvio hanno nel loro curriculum esperienze dirette circa l’osservazione e lo studio dell’andamento dei prodromi prima di un'eruzione. 

Le congetture degli studiosi dell’Osservatorio Vesuviano sono tutte di tipo analitico e tutte da confermare a proposito delle supposizioni che pure è necessario fare, ma occorrerebbe evitare toni da chi ha la situazione in pugno dal punto di vista della previsione delle eruzioni. La comparazione dei dati che si registrano con altri vulcani simili al Vesuvio, certamente aiuta ma non è sinonimo di equivalenza comportamentale dei sistemi magmatici, perché ogni apparato ha caratteristiche diverse, come diverse sono le innumerevoli variabili che entrano in gioco in una scienza, la geologia, che ha limiti esplorativi oggettivi e insormontabili, almeno nell'attualità.

Cosa abbia nel suo grembo il fantomatico Vesuvio nessuno lo sa. Questa crisi sismica che ha riguardato e caratterizzato prevalentemente gli ultimi trenta giorni, è stata definita dalla direttrice dell’Osservatorio Vesuviano assolutamente normale ancorchè rientrante in quegli episodi che periodicamente un vulcano attivo come il Vesuvio manifesta, senza per questo mutare la sua condizione di vulcano quiescente. 
Sono una consuetudine – ripete la Dott.ssa Francesca Bianco - l’insorgere di sciami a bassa magnitudo in questo distretto. Gli strumenti tra l’altro non indicano alcuna variazione dello stato di quiete del Vesuvio, tant’è che l’indice di allerta vulcanica ristagna sul colore verde (Base).

In realtà la stessa cosa la si diceva il 9 ottobre del 1999 quando una scossa di origine vulcanica abbastanza potente (3,6 M) da essere avvertita distintamente dai vesuviani, scatenò paure manifeste. Ne nacque pure una diatriba scientifica tra il Prof. Luongo e la direttrice Civetta, circa la necessità o meno di passare al livello di attenzione vulcanica. In quel periodo però, solo gli addetti ai lavori conoscevano la tavola di allerta con i rispettivi colori e significati. Tra l’altro inizialmente erano 7 i livelli con due di colore giallo: attenzione 1 e attenzione 2.  Su elementi scaturiti dall’esercitazione di protezione civile (Portici) - Vesuvio 2001 -, successivamente furono adottati 4 livelli per 4 corrispondenti fase operative.

La soluzione che adottò l’istituzione scientifica nel 1999 fu salomonica: nei fatti si accentuarono le osservazioni scientifiche ma senza dichiarare alcunché a una popolazione che non era assolutamente in grado di qualificare lo sconosciuto termine attenzione vulcanica, che poteva passare facilmente come allarme vulcanico…

Da un certo punto di vista gli eventi del ’1999 e quelli del ’2018 fanno scuola. Nel primo caso, ne fummo testimoni, si andò molto vicino a una situazione di panico perché i residenti percepirono direttamente il terremoto, e in qualche caso ci furono atteggiamenti molto vicini alla paura. In quel periodo più di qualcuno lasciò la zona rossa…  

Negli eventi di questi giorni invece, la maggior parte della popolazione è stata informata delle scosse sismiche che si susseguivano con frequenza, prevalentemente attraverso i media, spiccatamente i social e i giornali online. Quelli che hanno percepito i leggeri sommovimenti sono stati pochi. Questa condizione ha favorito un’apprensione veramente minima e sonni tranquilli quasi per tutti.  

Come abbiamo avuto modo di dire altre volte, all’occorrenza sarà proprio la percezione diretta che qualcosa stia cambiando nello status del Vesuvio, a minare la compostezza e l’efficacia delle operazioni di evacuazione della popolazione vesuviana. Diversamente, lo stato di allarme dichiarato dalle autorità governative senza che i cittadini avvertano i segnali ambientali di pericolo, favoriranno un esodo meno caotico e pericoloso.

Intanto i reportage giornalistici dalle falde del Vesuvio ci hanno proposto stoici personaggi che affermavano con grande sicumera di non aver paura della montagna buona, con cui condividono amorevolmente e da tanti anni, spazi e percorsi di vita. Premesso che il Vesuvio non ha amici ma neanche nemici, la realtà come sapete è tutt’altra.  

Generalmente quando il pericolo diventa qualcosa di molto più concreto di una sensazione o di una informazione, come può essere quella dettata dall’ambiente circostante che vibra e trema e oscilla e tuona, i freni inibitori del panico cedono in una misura anche legata al perdurare dello stimolo inusuale.  L’eroismo consiste nel governare la paura e l’istinto di sopravvivenza attraverso la contrapposizione di uno stimolo bilanciante ancora più grande, che può essere un alto ideale o il bene supremo che ci porta magari al sacrificio della nostra vita per salvarne altre.

Nella resistenza…nella resilienza al vulcano, non c’è nulla di tutto questo. Offrire il petto non già alle pallottole ma alla colata piroclastica, non avrebbe nulla di eroico, e non si passerebbe alla storia come Leonida alle Termopili, solo perché cenere e lapilli oscurerebbero il cielo… Gli stoici allora dovrebbero dire la verità, cioè -  non abbiamo un altro posto dove andare e soprattutto finché è possibile non vogliamo allontanarci dal teatro delle nostre radicate abitudini perché tutto sommato il Vesuvio dal nostro punto di vista è una imperturbabile montagna minimamente vitale, ma non per questo percepiamo pericoli e in tutti i casi il monte ci darebbe il tempo di scappare -.

Vesuvio - 1944


Gli stoici del vesuviano in realtà sono intervistati da molte televisioni con intervistatori che si fanno dire da costoro esattamente quello che già sanno che diranno. In altri casi invece, gli intervistati segnalano il fatalismo della loro condizione di “esposti”, della serie il destino ci ha messi su questa ruota territoriale esponendoci a dei rischi, che accettiamo nella consapevolezza delle incognite esistenti abitando in questi luoghi pericolosi. Versione rispettabile…

Lo stoico viene sempre preso con le molle però, e quindi è meno pericoloso mediaticamente di quelli che dall’alto di pulpiti a maggior incidenza persuasiva, dicono che gli strumenti non segnalano variazioni allarmanti. Occorre dire che il mutismo dello strumento per sua natura non allarma, bensì registra: è l’uomo che può allarmare o chetare. Certo, sapere che c’è un accordo di riservatezza tra chi ha gli strumenti in mano e chi dovrà decidere di diffondere l’allarme, non facilita l’instaurarsi di un rapporto di fiducia, visto che si censura il diritto alla conoscenza. Anche in questo caso, sono in pochissimi a conoscere l’esistenza di questi accordi…

Ancora più micidiali sono quelli sempre di collocazione istituzionale o pseudo tale, che dicono che un’eruzione è rilevabile almeno un mese prima, grazie ai formidabili strumenti iper tecnologici ben collocati su ampio raggio, che sono capaci di cogliere ogni piccolo cambiamento nel sottosuolo profondo vulcanico...

Dal nostro punto di vista un po’ pragmatico invece, ogni sciame sismico rappresenta un grosso punto interrogativo, perché la presenza e la persistenza dei sussulti crostali e litosferici non è decifrabile in seno ad un vulcano, e soprattutto non sono prevedibili le intensità dei sismi che potrebbero ancora ripresentarsi come continuità del fenomeno, con esiti magari imprevedibili e indesiderati. La sequenza sismica può interrompersi dopo alcune ore o giorni o settimane, così come può continuare magari per mesi e al rialzo, e non ci sono strumentazioni che hanno il dono della preveggenza dando un significato certo ai valori colti in automatico, anche dal punto di vista della temporalità del fenomeno. La scienza può e dovrebbe solo dire nel merito: per il momento la situazione indicata dai valori strumentali non sembra evolversi verso una condizione diversa dalla quiescenza di base…

In quest’ottica, la lezione che ci proviene dal terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, dovrebbe essere alquanto formativa. In qualsiasi modo la si voglia girare, la riunione di esperti che si riunì nel capoluogo abruzzese pochi giorni prima del forte sisma, a prescindere dal livello di responsabilità personale, escluse che la sequenza di terremoti a bassa energia che si protraeva da mesi in quella zona, potesse poi sfociare in un terremoto ad alta magnitudo. Purtroppo la previsione ad excludendum così formulata dal consesso di esperti, appena una settimana dopo si rivelò fallace: la catastrofe sismica si abbatté su uomini e cose, seguita poi da una spirale di polemiche mai completamente sopite.

l comunicati allora dovrebbero essere maggiormente calzanti alle incognite e ai risultati fin qui raggiunti dalla scienza, per non ricalcare gli antefatti dell’Aquila dove qualcuno per distinguersi volle essere più rassicurante di altri.

Questa ed altre crisi sismiche, che si focalizzano più o meno sempre nello stesso punto, cioè nell’area del condotto centrale del Vesuvio, che dovrebbe essere anche il luogo maggiormente cedevole alle insufflazioni di fluidi e magma, deve essere seguita, e sicuramente lo è, con molta attenzione dal mondo scientifico ma anche dalla popolazione, che ricopre con molta partecipazione il ruolo di mero terminale delle informazioni istituzionali. I cittadini non dovrebbe essere un elemento astratto a cui dar conto solo quando il grande manovratore decide che è arrivato il momento di muovere le leve che lo riguardano…

Vesuvio 1944 - la lava distrugge case


L’autorità scientifica qualche volta e con fastidio chiama in causa i blogger e i social, rei di allarmismo ingiustificato. Viceversa, da alcuni blogger, partono note contrarie che accennano a un eccessivo manifesto ottimismo dell’autorità, perché mancano quei presupposti scientifici incontrovertibili e rigorosi per aspergere certezze. Magari ci sarebbe maggiore serenità se i dati di monitoraggio del vulcano venissero pubblicati online in tempo reale.  

I Sindaci neanche provano ad entrare in questo dibattito e ringraziano caldamente, perché in questo piccolo scambio di vedute utile a concentrare l’attenzione su aspetti diversi dalle loro dirette e fondamentali competenze in tema di sicurezza, possono continuare nel loro collaudato e sostanziale atteggiamento da pesce in barile, almeno fino a quando non dovranno affrontare un primo livello di allerta coi cittadini che batteranno alla loro porta per sapere, fagotti in mano, se devono o non devono lasciare la zona rossa

Vesuvio 1944 - Aeroporto Terzigno/Pompei -
 Bombardiere americano bombardato dalla cenere e dai lapilli dell'eruzione.


domenica 2 dicembre 2018

Rischio Vesuvio: apprensione nel vesuviano... di MalKo


Vesuvio


Da un po' di tempo il Vesuvio sembra vivere una certa irrequietezza sismica anche se a bassa magnitudo. Il dato che sembra emergere da questi moderati sussulti non è comprensibile e classificabile da parte delle autorità scientifiche, che possono emettere solo comunicati della serie è un vulcano quiescente ma pur sempre attivo, e quindi che ci sia attività sismica rientra nella normalità delle cose.

Che sia normale o anormale in realtà lo possiamo constatare a distanza di tempo, analizzando gli sviluppi dei precursori che possono pluralizzarsi e acuirsi, o viceversa riassopirsi fino a valori strumentali minimi e classici per la condizione di base.

Secondo le procedure scientifiche, se più parametri di monitoraggio vulcanico presentano anomalie rispetto ai valori definibili di base, lo stato di allerta vulcanica viene portato a un livello di attenzione (vedi tabella sottostante), alla stregua di quanto è stato fatto per i Campi Flegrei. Lo stato di allerta vulcanica al Vesuvio, è bene ricordarlo, al momento è a un livello verde (Base).

I Livelli di Allerta Vulcanica.

In tutti i casi la sola anomalia sismica pare non sia sufficiente per far scattare l’automatismo scientifico verso una condizione di attenzione. Quindi, sarebbe interessante sapere se gli altri parametri (temperatura fumarole; composizione gas fumarolici; deformazioni dei suoli; ecc.) mantengono in questo periodo e nell’attualità, valori di tutta tranquillità. Occorre attendere il bollettino mensile…

Quello che ci chiediamo spesso, a proposito della scala dei livelli di allerta, è il perché occorre che debbano variare almeno due parametri per passare allo stato di attenzione (giallo). Semmai dovesse permanere una condizione accentuata e perdurante di sciami sismici e tremori simici con un’incidenza al rialzo, che si fa, si aspetta il mutamento di un altro valore che potrebbe non esserci per dichiarare lo stato di attenzione vulcanica? Il Vesuvio non è una depressione: è una montagna…

Occorre poi dire che l’accordo di riservatezza stipulato dall’Osservatorio Vesuviano con il Dipartimento della Protezione Civile a proposito della trasmissione dei dati geofisici e geochimici ad oggetto il Vesuvio, non è rassicurante.  
Ai cittadini bisogna poi dire: non focalizzatevi solo sul mondo scientifico a proposito della vostra sicurezza, perché ci sono dei limiti di insondabilità oggettivi del sottosuolo profondo che oggi non è possibile superare.

Avete mai pensato invece, che in superficie a proposito della incolumità ci sono responsabilità precise che ricadono sul Sindaco quale autorità di protezione civile? Il Vostro sindaco sta facendo il suo dovere a proposito del rischio Vesuvio? La risposta è affermativa se rispondete a queste domande senza tentennamenti:

  1. Conoscete i contenuti del piano d’emergenza comunale a fronte del rischio Vesuvio?
  2. Conoscete le aree di attesa dove tutti coloro non provvisti di mezzi di locomozione devono attendere i Bus regionali per allontanarsi?
  3.  Conoscete l’ubicazione delle aree d’incontro che vi riguardano?
  4. Conoscete i punti di prima accoglienza e la regione di destinazione a cui siete legati per le clausole di gemellaggio?
  5. Conoscete i vostri diritti legati all’informazione corretta e puntuale che deve esservi assicurata dal Sindaco?
  6. Conoscete i dispositivi di viabilità locale a fronte di un’evacuazione totale dei territori comunali?
  7. Conoscete l’ubicazione del cancello da varcare per potersi immettere sulla viabilità principale di allontanamento?
  8. Sapete quello che potete fare se viene dichiarato lo stato di pre allarme?

Gli eventi sismici di origine vulcanica che hanno caratterizzato questi ultimi giorni, potrebbero essere semplici sommovimenti di riassestamento ad oggetto il sottosuolo vulcanico. Se sarà qualcosa di diverso ce ne accorgeremo nei prossimi giorni, settimane o mesi. Chi vive in area vulcanica non può permettersi né di allarmarsi oltre misura ma neanche di assumere un atteggiamento di indifferenza. Bisogna essere sereni e attenti e documentarsi e avere le idee chiare,anche a proposito dei diritti come quello alla sicurezza che oggi forse non è garantito…

Zona rossa Vesuvio: comprende tutti i comuni che devono evacuare in caso di allarme vulcanico.



martedì 13 novembre 2018

Pericolo Vesuvio: si prevede di prevedere... di MalKo

Vesuvio e l'orlo calderico del Monte Somma visti da est


Quando si dimora in un’area vulcanica quiescente, come può essere il Vesuviano o il Flegreo, l’insorgere di terremoti accresce il desiderio di documentarsi: il maglio litosferico per quanto snobbabile cattura sempre attenzione, perché a differenze delle anomalie geochimiche piuttosto puntiformi, i sussulti sono percepiti direttamente dalle popolazioni. Scettici e meno scettici allora, per sedare un minimo d’ansia o di curiosità, cercano sul web notizie sulla possibilità eruttiva, magari accedendo a siti alla dagospia, contenenti, a cura di presunti beninformati, le verità più nascoste su quello che la natura ha in serbo nel sottosuolo…

Occorre dire in proposito, che il sentire comune parte dalla convinzione che le autorità non dicono e né tantomeno diranno la verità sulla reale pericolosità del Vesuvio o del super vulcano flegreo, per non scatenare il panico. Effettivamente la tendenza governativa è quella di non generare paure, tant’è che il Dipartimento della Protezione Civile ha stilato un protocollo d’intesa con l’Osservatorio Vesuviano, che prevede la trasmissione dei dati geochimici e geofisici ad oggetto i vulcani napoletani, secondo procedure di riservatezza tanto più stringenti quanto maggiori saranno le perplessità del mondo scientifico sul reale stato di allerta vulcanica. Sarà il Dipartimento poi, a valutare tempi e modi per notiziare i sindaci e le popolazioni, qualora il progredire dello stato di irrequietezza dei vulcani dovesse assurgere a livelli preoccupanti.

Sull’argomento possiamo affermare con una certa sicurezza, che in realtà sussiste un fattore di oggettiva insondabilità su quello che succede nelle viscere dei due distretti vulcanici in questione, ma lo stesso vale anche per l’isola d’Ischia, un luogo che oltre alla bellezza racchiude come contrappasso un concentrato di problematiche di ordine naturale, come il rischio sismico e quello idrogeologico che si sommano a quello vulcanico ancora poco esplorato.

Gli scienziati possono quindi diffondere i dati strumentali che riguardano i parametri di monitoraggio dei vulcani, magari accompagnandoli con il loro motivato parere che sarà inevitabilmente corredato dai forse, ma nessuna previsione sul lungo periodo è possibile trarre oggi dalla tecnologia strumentale, e qualsiasi azzardo in tal senso difficilmente verrebbe avallato dalle istituzioni competenti. I terremoti isolati o a sciami, nel flegreo ma ultimamente anche nel vesuviano, non sono una rarità, e a cosa preludano, ancorchè si profilano da un sottosuolo ribollente, è impossibile accertarlo.

L’origine dei terremoti vulcanici appartiene ai dinamismi litosferici di cui il magma insinuandosi dal profondo rappresenta un aspetto sicuramente caratterizzante, accumulandosi nella o nelle camere magmatiche, secondo ritmi sconosciuti e non lineari, che non consentono di decifrare in anticipo i cambiamenti, con l’amalgama incandescente che si riassesta, a volte diramandosi orizzontalmente e altre volte ancora spingendosi verso l’alto sotto forma di intrusione fermandosi ad alcuni chilometri dalla superficie.

Nel 1984 nei Campi Flegrei i terremoti si contarono a migliaia e il sollevamento del suolo si misurava a decine di centimetri: dopo un allarmismo generalizzato vicinissimo all’allerta rossa, la situazione retrocesse a un livello di quiete.  Bisogna dire però, che nel 1984 il bradisismo era considerato un fenomeno abbastanza localizzato e a sé stante, e il timore maggiore per le autorità scientifiche era l’incalzare dei terremoti e quindi la statica dei fabbricati. Quegli stessi fenomeni, nell’odierno, avrebbero comportato una diversa valutazione della situazione e, nella migliore delle ipotesi, sarebbe stato diramato lo stato di pre allarme vulcanico…

Quindi, salterellando nella rete si potranno al massimo carpire dei punti di vista senza alcuna certezza sui tempi che mancano al ripresentarsi di un’eruzione, ed è tutto frutto della statistica l'individuazione della tipologia massima eruttiva che in futuro dovrà essere fronteggiata, con indici di intensità destinati ad aumentare col trascorre del tempo.

Nel campo vulcanico non si può fare gossip, e a ogni sciame sismico o altra anomalia geochimica e geofisica, peggio ancora se accoppiate, si trattiene un po' il fiato, alla stregua del rimescolamento dei 5 dadi in un bicchiere: prima ancora di un valore, piaccia o non piaccia siamo in presenza di una grande incognita…

Il secondo elemento riguarda il piano d’emergenza, ovvero di evacuazione, a cui non si presta attenzione un po’ perché ancora non c’è, e un po’ perché non si crede nella disciplina dei conterranei nei frangenti di pericolo.

Anche in questo caso, nel sentire comune è diffusa la consapevolezza che in caso di necessità a prevalere sarà l’anarchia comportamentale, dove ognuno presumibilmente e sul momento di massimo allarme, elaborerà autonomamente la strategia migliore per allontanarsi, secondo percorsi che riterrà in quel momento maggiormente efficaci per mettersi al sicuro senza badare al prossimo.

Ovviamente per poter raggiungere il successo evacuativo in una condizione diffusa di affollamento veicolare, è necessario anticipare l’antagonista che poi è il vicino di casa, i condomini del palazzo, la gente del rione e del quartiere e la popolazione comunale: ci si muoverà con audacia e forse arroganza, per guadagnare in strada e ad ogni incrocio la pole position.

Per schierarsi per primi in posizione di partenza, è necessario muoversi senza indugi e conoscere la viabilità ma anche le strategie su cui è stato costruito l’impalco del piano d’emergenza: non conoscere il territorio e le regole penalizza enormemente. Innanzitutto bisogna entrare nelle logiche dei livelli di allerta vulcanica che contraddistinguono una scala a diversa pericolosità. Bisogna poi tenere presente, come già accennavamo in precedenza, che l’evacuazione si basa su concetti probabilistici, della serie prevediamo di prevedere.

Anche il passaggio da un livello all’altro è assolutamente imprevedibile come tempistica, cosa tra l’altro solo recentemente chiarita dal Dipartimento della Protezione Civile. I passaggi di livello potrebbe caratterizzarsi per il salto di un colore: ad esempio da attenzione ad allarme, o permanere a un medesimo livello per anni, come succede ai Campi Flegrei, dove lo stato di attenzione fu dichiarato nel 2012 e persiste ancora oggi. In sei anni occorre dirlo, i dubbi su cosa bolla nella caldera flegrea sono tutti intatti e ben custoditi nell’enigmatico sottosuolo chilometrico.

Per capire bene alcuni dei concetti espressi in precedenza, bisogna partire dal presupposto che il piano di evacuazione è tarato su un tempo di 72 ore, perché le autorità dipartimentali e regionali prevedono di prevedere almeno 3 giorni prima l’approssimarsi di un’eruzione. Se dovesse fallire la previsione nel senso del mancato allarme o anche del ritardato allarme, le prime problematiche da affrontare sarebbero da ressa e panico diffuso, in un contesto ambientale caotico e violento, a cui potrebbero aggiungersi effetti meccanici dovuti all’eruzione che presumibilmente incalzerebbe col passare delle ore. In un contesto di questo genere si dubita sulla tenuta dei meccanismi dell’ordine pubblico, e ancora sullo schema generale e locale dell’impianto evacuativo che potrebbe saltare per motivi di disobbedienza civile. Un meccanismo quello dell’evacuazione, che in tutti i casi ancora non c’è…

Livelli di allerta vulcanica e fasi operative.

Viceversa, il falso allarme che è anche la condizione più probabile e in alternativa anche la più auspicabile, non prevede danni causati dall’eruzione, ma potrebbero esserci quelli eventualmente generati dal movimento repentino e massivo delle popolazioni. In altre parole, a fare la differenza, sarà come sempre e come capita in tutti i frangenti di pericolo reale o percepito, il comportamento delle masse.

Il comportamento della popolazione è certamente favorito o comunque fortemente condizionato dai sintomi pre eruttivi capaci di attivare gli organi sensoriali, la cui funzione è anche quella di indurre comportamenti di sopravvivenza per sfuggire a fenomeni magari incomprensibili. Viceversa, un allarme rosso diramato in un contesto di normalità ambientale, cioè con calma geologica apparente senza fenomenologie in atto, indurrebbe probabilmente ansia nei cittadini ma non immediatamente panico, soprattutto in assenza di comportamenti inconsulti che in frangenti di pericolo c’è la tendenza ad imitare.

Se da un lato quindi sussistono le incognite previsionali legate a una possibile eruzione in uno qualsiasi dei distretti vulcanici napoletani, anche se a destare maggiori preoccupazioni occorre dirlo oggi è il flegreo,  i piani di evacuazione dell’area vesuviana e flegrea e anche ischitana, nonostante siano l’unico elemento di certezza in materia di salvaguardia su cui investire, non sono ancora pronti: mancano le istruzioni per utilizzare la viabilità locale e in alcuni casi, come nel vesuviano,  è ancora da definire l’allocazione dei centri operativi comunali (COM) o intercomunali (COMI) deputati alle funzioni viabilità, soccorso e ordine pubblico.

Il piano di evacuazione, è bene specificarlo, altro non è che la mediazione tra due impossibilità; cioè da un lato quella di spostare o contenere la furia vulcanica, e dall’altro quella di delocalizzare i 700.000 abitanti che popolano la plaga vesuviana. D’altra parte non è neanche possibile proteggere compartimentando la popolazione attraverso barriere protettive resistenti al fuoco e ai fumi dell’eruzione, perché le colate piroclastiche col loro carico di rocce che si staccano in quota e poi scorrono velocemente sul declivio vulcanico, hanno una potentissima azione dinamica di sfondamento e un’elevata temperatura che si conserverebbe per alcuni giorni negli ammassi piroclastici.  

Dicevamo mediazione, perché attraverso l’evacuazione preventiva si separa il pericolo (P) dal valore esposto (Ve) per una distanza (d) rapportata al tipo di eruzione, ma solo nel momento di massima allerta vulcanica, in modo da consentire alle popolazioni esposte di vivere il loro territorio fin quando è possibile.

Nel piano Vesuvio la distanza (d) è quella relativa all’eruzione massima attesa (VEI4) teorizzata e adottata e offertaci dai calcoli probabilistici e poi da indagini campali; questo spazio risulterebbe insufficiente se dovesse verificarsi un evento pliniano, la cui intensità eruttiva supererebbe di dieci volte l’eruzione massima attesa VEI4.
La distanza (d) è quella da interporre tra popolazione ed eruzione.
 Il piano di evacuazione ha questa finalità.
Certamente in caso di allarme i vesuviani prediligerebbero le autovetture per allontanarsi velocemente e diuturnamente, indirizzandosi verso le grandi arterie stradali, superando i cancelli che rappresentano una sorta di valvola di non ritorno presidiata dalle forze dell’ordine.

I cittadini che lo vorranno, all’occorrenza potranno abbandonare le zone rosse già nella fase di preallarme. Devono però sapere, che una volta attraversato il cancello di uscita non potranno più rientrare fino a quando il livello di allerta vulcanica non verrà riportato allo stato di attenzione. Il che non avverrebbe sul breve termine…

L’allarme vulcanico invece, prevede per tutti, residenti e soccorritori, di abbandonare la zona rossa nella sua interezza. Una zona che dopo l’eruzione verrebbe ri-presidiata dalle forze dell’ordine deputate all’anti sciacallaggio, mentre per il ritorno dei cittadini nelle aree evacuate si prospetterebbero tempi abbastanza lunghi, per consentire le difficili valutazioni della situazione post eruttiva dell’area, dei fabbricati e di tutti gli annessi strutturali e infrastrutturali connessi a un vivere civile.

In caso di eruzione, ritorneranno i vesuviani nel vesuviano? La governance ideologica che oggi regna sovrana nel mondo è tutta proiettata sull’economia: quindi, molto presumibilmente e contrariamente al principio di precauzione, sfruttando anche la forte tendenza e volontà reinsediativa degli sfollati, la plaga vesuviana ritornerebbe ad essere antropizzata a partire dai palazzi che hanno superato indenni la prova del fuoco: dipenderà molto dalla tipologia eruttiva che in un futuro, auspicabilmente lontanissimo, segnerà la morfologia dell’area. Dopo l'eruzione che verrà, occorreranno molti anni, ma si ritornerà alla situazione precedente, col familiare monte a farci ombra con un rinnovato pennacchio sommitale e una zona rossa fortemente ridotta, almeno per i primi 60 anni di quiete vulcanica...




domenica 28 ottobre 2018

Rischio Vesuvio e comitati scientifici...di MalKo

Il Vesuvio da Napoli 


Il Vesuvio, specialmente nell’ultimo periodo con l’insorgere di alcuni sciami sismici localizzati all’interno dell’apparato vulcanico, ha suscitato attenzione ma solo in quella piccola fetta di popolazione che, in qualche misura, vive la plaga vesuviana con ansia, e quindi, seppur alla lontana, tenta di seguire le problematiche legate al rischio Vesuvio. La grande massa dei vesuviani invece, il pericolo lo intravede più che nella natura, nell’incertezza sociale: nell’area vesuviana non si progetta il futuro e si vive il presente senza badare all’imponderabile…

Eppure non c’è nessuno pronto a giurare che il Vesuvio abbia trovato la sua pace geologica: di conseguenza e fino a prova contraria, prima o poi il vulcano si cimenterà in una eruzione che sarà tanto più violenta quanto maggiore sarà il periodo di quiescenza che l’ha preceduta: su questo gli scienziati sono tutti d’accordo.

Come i terremoti che di tanto in tanto sferzano la catena appenninica, anche le eruzioni sono l’aspetto eclatante e pirotecnico di una Terra dinamica, che, se da un lato produce a volte rilasci di energia molto violenti, d’altra parte è proprio il dinamismo terrestre che ci consente la biodiversità e la nostra stessa esistenza, che dovrà necessariamente svilupparsi tra le pieghe pericolose di un Pianeta in perenne auto rigenerazione…

Per poter pianificare le azioni necessarie per la salvaguardia dei vesuviani in caso di ripresa eruttiva del Vesuvio, è stato necessario procedere innanzitutto alla definizione di uno scenario eruttivo di riferimento, e quindi di una taglia eruttiva da cui far discendere le varie zone pericolose (rossa 1, rossa 2, zona gialla, zona blu).

Le riflessioni e le deduzioni e le scelte operate dal mondo scientifico e istituzionale, confluite nell’assunzione di un’eruzione media da porre a base degli scenari eruttivi futuri, contengono elementi necessariamente di approssimazione nella elaborazione di teorie volte a contabilizzare “l’economia” complessiva di carico e scarico magmatico dalla camera o dalle camere sotterranee, con stadi di deposito intermedi a volte chiamati in causa senza precisazioni di sorta.

Nel 1990 il prof. Franco Barberi nella pubblicazione “Scenari eruttivi del Vesuvio”, stimava un volume di magma tra i 50 e i 100 milioni di metri cubi ubicato a 8 -10 Km. di profondità. La stima fatta nel 1998 dal prof. Roberto Santacroce invece, tocca i 200 milioni di metri cubi di magma insinuatisi, secondo il ricercatore, nella camera magmatica del Vesuvio dopo l’eruzione del 1944.

Nel 2012 Il dott. Giovanni Macedonio e il dott. Marcello Martini, coordinatori del Gruppo di lavoro “A”, hanno stimato in 200 - 800 milioni di metri cubi di magma la massa incandescente presente nel sottosuolo vulcanico.  I due ricercatori vennero incaricati dal Dipartimento della Protezione Civile di produrre una relazione ad oggetto “Scenari eruttivi e livelli di allerta vulcanica per il Vesuvio”.
Nel documento elaborato si accenna alle tomografie sismiche effettuate per carpire i segreti dell’arcinoto monte, dove emergerebbero evidenze che lasciano supporre la presenza di un serbatoio di fusi o fluidi magmatici in una matrice porosa, con dimensioni orizzontali di circa 20 Km per 20 Km, ad una profondità di 8-10 Km. Le dimensioni verticali di questa superficie sotterranea di 400 Kmq. mancano del tutto: probabilmente per difficoltà oggettive dei metodi di prospezione sismica. Su questi aspetti si può solo teorizzare alla lontana quindi, ma senza nessun elemento di attendibilità numerica certificata. Non è da escludere che attraverso muografie dell’apparato vulcanico, si riuscirà nel prossimo futuro, a determinare con buona precisione l’ubicazione e i volumi di magma stipati nel sottosuolo.

Come accennavamo in precedenza, la relazione del Prof. Franco Barberi del Gruppo Nazionale di Vulcanologia (GNV), ebbe a indicare per il Vesuvio, che l’eruzione da introdurre per stabilire gli scenari eruttivi nel breve e medio termine, spaziava da ultra stromboliana tipo 1906 o, nella peggiore delle ipotesi, sub pliniana tipo 1631.

Il Prof. Roberto Santacroce confermò il dato precedentemente indicato dal collega: l’eruzione massima attesa nel breve e medio termine sarebbe stata al massimo una sub pliniana, alla stregua di quella che sconvolse l’area vesuviana nel 1631. Santacroce ebbe pure ad inserire nello scenario complessivo di pericolo la zona blu.

Il gruppo di lavoro “A” invece, formato in larga parte da ricercatori dell’INGV, ebbe ad introdurre il concetto di classificazione delle eruzioni per indice di esplosività vulcanica (VEI), e non per similitudini con eventi del passato che hanno un nome o una data e una loro storia eruttiva caratterizzante.




Il Gruppo di lavoro presentò quindi una relazione, dove sostanzialmente si riconfermava ancora una volta che lo scenario eruttivo massimo atteso di riferimento per i piani d’emergenza, doveva essere di taglia VEI4. In realtà le conclusioni anche in questo caso concordano con l’evento proposto da Barberi, la cui relazione del 90’ ci sembra che rappresenti ancora oggi il solco principale entro cui tutti gli altri ricercatori istituzionalmente consultati si sono mossi.

Nella relazione a sostegno di questa tesi, il maggiore contributo congetturale sembra racchiuso nelle statistiche probabilistiche elaborate dal dott. Marzocchi (INGV). Il ricercatore ha presentato due tabelle, frutto di comparazioni mondiali fra vulcani simili al Vesuvio, che partono entrambe da un limite temporale inferiore fissato su un tempo di quiescenza di 60 anni: la tabella A però, non ha un limite superiore, mentre la tabella B stabilisce un tetto fissato a 200 anni. 

L’ex assessore regionale alla protezione civile, il Prof. Edoardo Cosenza, alla presentazione romana della nuova zona rossa, riferì che nell’odierno la probabilità di un’eruzione pliniana era dello 0,5%. La scelta quindi, era caduta sulla tabella B…


La tabella A si differenzia enormemente dalla tabella B, esclusivamente per la probabilità statistica assegnata all’eruzione pliniana (VEI5): nell’ordine proposto abbiamo una probabilità dell’11%, mentre nel caso della tabella B la percentuale assegnata è dell’1%. Se si fosse adottata la tabella A, il piano nazionale d’emergenza Vesuvio doveva essere, obtorto collo, tarato sull’eruzione massima conosciuta (VEI5) e non su quella massima attesa (VEI4).

Il gruppo di lavoro “A”, ebbe ad addurre le seguenti motivazioni per argomentare l’adozione della tabella B:

1) L’eruzione VEI4 ha una probabilità condizionata di accadimento di poco inferiore al 30%.
2) L’eruzione VEI 4 corrisponde a una ragionevole condizione di rischio accettabile, considerato che l’eruzione pliniana ha un indice probabilistico dell’1% per i prossimi 140 anni.
3) I dati geofisici non rivelano la presenza di una camera magmatica superficiale con volume sufficiente a generare un’eruzione pliniana.
4) Lo scenario VEI4 copre anche lo scenario VEI3 e le problematiche alluvionali.

Il punto 3 ci sembra discutibile, perché il Prof. Raffaele Cioni, membro della commissione grandi rischi, in una sua relazione scientifica ebbe a sancire dallo studio dei cristalli rinvenuti nei reperti petrologici, che l’eruzione pliniana del 79 d.C. attinse magma direttamente dalla camera magmatica ubicata a 8 – 10 chilometri di profondità: per intenderci, quella dei 20 Km per 20 Km, di cui non si conoscono le dimensioni verticali e quindi i contenuti per quanto stimati di magma…

I due ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano citati in precedenza, giudicano un rischio accettabile quello di adottare come salvaguardia progettuale una eruzione (VEI4). In realtà si tratta di media ponderata del pericolo vulcanico, dove il peso è statistico, perchè un’analisi del rischio comporta multidisciplinarietà di valutazioni che vanno ben oltre il dato puramente scientifico.

La Commissione Grandi Rischi (CGR), organo scientifico consultivo del dipartimento di protezione civile, presieduto nel 2012 per il rischio vulcanico dal Prof. Vincenzo Morra, dopo aver esaminato le tesi formulate dai vari comitati scientifici, concordò con le conclusioni del gruppo di lavoro “A”: cioè avallò la VEI 4 come taglia dell’eruzione massima di riferimento da adottare per la stesura dei piani d’emergenza.


La CGR non menzionò la statistica della tabella B, ma l’eruzione pliniana (VEI5) non è mai più comparsa nei documenti di pianificazione d’emergenza Vesuvio: in altre parole è stata totalmente obliata dalle carte ma anche dai media…  Per capire se la comunità scientifica ha ponderato bene questa scelta relativa all’eruzione di riferimento, dobbiamo aspettare l’anno 2150
In realtà tutte le disquisizioni ad oggetto la taglia eruttiva dell’eruzione che verrà, interessano poco i vesuviani della zona rossa 1, che in ogni caso e a prescindere dovranno evacuare il settore altamente pericoloso e devono quindi attenersi a regole di prevenzione.

Chi dovrebbe dire ai cittadini che dimorano contiguamente alla zona rossa che un'eruzione pliniana è dieci volte superiore a un'eruzione sub pliniana, e i suoli che oggi bordano la zona rossa e che in tutta fretta vengono consumati dall'edilizia residenziale potrebbero in futuro essere spazzati via? La prevenzione delle catastrofi, che nessuno attua, comporterebbe ampie fasce di rispetto dalla Linea nera Gurioli e una diversa organizzazione del territorio....

La Commissione Grandi Rischi ha tra i suoi compiti anche quello di indicare le misure preventive per difendere le comunità future dai grandi cataclismi; certamente le dimensioni della zona rossa pliniana sono enormi, ma non è detto che attraverso misure strutturali di prevenzione non si riesca a limitare i danni... Intanto chiarire questi aspetti è un dovere delle istituzioni politiche e scientifiche e istituzionali…



domenica 21 ottobre 2018

Rischio Vesuvio:la conventio ad excludendum...di MalKo



Vesuvio da Torre Annunziata

Il Vesuvio è un famosissimo vulcano che per il passato ha dato vita a eruzioni di diversa intensità, anche di tipo esplosivo (pliniana), come quella che nel 79 d.C. devastò e seppellì le città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis: oggi siti archeologici d’importanza mondiale.

Quando un vulcano come il Vesuvio produce un’eruzione esplosiva, forma una colonna eruttiva che spara letteralmente in aria una gran quantità di prodotti piroclastici di varie misure, misti a gas e vapori, che possono raggiungere nelle tipologie pliniane anche i 30 Km. di altezza.


Da questa colonna scura e minacciosa che s’innalza nel cielo accompagnata da scariche elettriche, in genere e dopo poco, si staccano masse di prodotti che, ricadendo lungo i fianchi del vulcano, si trasformano in colate piroclastiche: una sorta di valanghe travolgenti, con ammassi che scorrono velocemente con temperature oscillanti tra i 300° e i 600° Celsius.
Alcune simulazioni hanno consentito di stimare in meno di dieci minuti il tempo occorrente a una colata piroclastica per raggiungere sul versante sud occidentale del Vesuvio il mare.

Pericolosissimi sono anche i lahar, cioè colate rapide, in questo caso di fango, che si sviluppano quando l’acqua espulsa dall’eruzione sotto forma di vapore, condensa e si mescola alla cenere vulcanica, scivolando impetuosamente lungo i valloni erosivi che segnano il monte, per poi dilagare a valle con impeto, dando così spazio agli alluvionamenti melmosi.

La terza e non meno pericolosa manifestazione vulcanica, è quella della pioggia di cenere e lapilli, che andrebbe a interessare soprattutto la zona posta sottovento al vulcano, con potenze di deposito inversamente proporzionali alla distanza dal cratere. La cenere, con la sua componente vetrosa, oltre a creare difficoltà alla respirazione e alla circolazione dei veicoli e velivoli, riduce anche la visibilità. Accumulandosi poi in gran quantità sui tetti non spioventi, potrebbe determinare lo sprofondamento dei solai di copertura e a seguire quelli di piano. Inoltre, gli accumuli di prodotti piroclastici nella parte più alta degli edifici, potrebbero rendere i fabbricati maggiormente vulnerabili alle oscillazioni indotte dai terremoti, a causa dell’anomalo sovrappeso in sommità.

Le lave si presentano raramente nelle eruzioni esplosive; in ogni caso non rappresenterebbero un problema per l’incolumità delle persone, ma solo per le case e altri manufatti che si trovano lungo il percorso. Tra l’altro i flussi lavici sono praticamente incontenibili e difficilmente deviabili.

La cartina che vi mostriamo in basso, evidenzia quelle zone vesuviane e provinciali a differente pericolosità, a iniziare da quella più problematica in assoluto: la zona Rossa 1 (R1). Trattasi della prima area concentrica all’apparato vulcanico, che può essere invasa dalle colate piroclastiche, dai surges piroclastici, dalle colate di fango, e inoltre il settore diventerebbe bersaglio di imponenti ricadute di blocchi, bombe e lapilli. 



La zona Rossa 2 (R2) invece, è quella parte del territorio vesuviano ubicata a est del cono vulcanico, dove, per effetto dei venti dominanti spiranti, secondo elementi statistici, prevalentemente in quella direzione, è maggiore il rischio di massiccia ricaduta di cenere e lapilli con tutti i problemi che ne concernerebbero per la sicurezza, la visibilità e la mobilità dei cittadini.

La zona gialla è quella parte piuttosto estesa del territorio esterno alla zona rossa nel suo complessivo, dove in caso di eruzione si concretizzerebbero problematiche da accumulo di cenere in una misura presumibilmente minore rispetto alla zona R2. In ogni caso le conseguenze per la popolazione sarebbero rapportate alla distanza dal centro eruttivo e dalla direzione e intensità del vento in quel momento. Eventuali provvedimenti cautelativi, secondo le strategie adottate dalle autorità competenti, andrebbero assunti durante l’eruzione, dopo che si sia avuta contezza del settore territoriale maggiormente coinvolto dalla pioggia di cenere e lapilli.

Nella foto sottostante, il campo d’aviazione americano di Terzigno durante l’eruzione del Vesuvio del 1944. La pioggia di piroclastiti rese impraticabile l’aeroporto e danneggiò seriamente gli aerei che non ebbero il tempo di decollare.

1944 - Terzigno - Campo di volo americano "bombardato" dal Vesuvio


La zona blu comprende quei territori in zona gialla a nord del Vesuvio, altimetricamente classificabili depressi (conca di Nola), che in seguito all’eruzione potrebbero essere allagati e sommersi da oltre 2 metri d’acqua e fango. Non c’è ancora una chiara strategia operativa a difesa delle popolazioni che dimorano in zona blu, tra Acerra e Nola. L’entità del fenomeno comunque, avrebbe uno stretto rapporto con i depositi di cenere sottili capaci di impermeabilizzare i suoli. Anche in questo caso quindi, la direzione dei venti e l’entità della pioggia di cenere e lapilli condizionerebbe la vulnerabilità di questo settore, purtroppo in scarsa evidenza nei piani d’emergenza.

Un ulteriore elemento di pericolo intrinseco alle eruzioni, è dettato dai terremoti. Infatti, le eruzioni di solito sono precedute da sussulti sismici di tutto rispetto, con scosse e tremori che si manifesterebbero sia nella fase prodromica ma anche in modo piuttosto acuto durante l’eruzione.

La previsione delle eruzioni

Occorre subito dire che non è possibile prevedere sul lungo termine quando ci sarà un’eruzione del Vesuvio. A detta degli esperti, auspicabilmente i segnali geofisici e geochimici che si manifesteranno e anticiperanno l’approssimarsi del fenomeno eruttivo, possono essere immediatamente colti, grazie a una sorveglianza vulcanica diuturna, e potrebbero consentire di formulare, in una chiave probabilistica che andrebbe a perfezionarsi con il passare delle ore, una previsione corta o cortissima del fenomeno, cioè sul breve e brevissimo tempo. Nella fattispecie del discorso, possiamo parlare di ore, giorni e forse settimane.

Il tempo intercorrente tra l’insorgere degli indicatori di variazione dello stato di quiete del vulcano e la ripresa eruttiva, rimane quindi una incognita di fondamentale importanza per la componente tecnico politica deputata alla diramazione dell’allarme, e quindi alla salvaguardia delle popolazioni.

È opportuno precisare che la previsione anche corta come innanzi dicevamo, avrà sempre un taglio probabilistico e mai deterministico, perché la certezza dell’eruzione ci sarà data solo dall’effettiva e tangibile ripresa del fenomeno in tutta la sua virulenza energetica.

In altre parole, il rischio del mancato allarme o del falso allarme sono fattori che non è possibile azzerare in quello che è un ambito disciplinare scientifico (geologia) zeppo di incognite derivanti da un ambiente senza un orizzonte di visibilità, purtuttavia dinamico e in ogni caso inesplorabile direttamente dall’uomo. Le perforazioni hanno raggiunto con grande difficoltà i dieci chilometri di profondità che sono ben poca cosa rispetto a un raggio medio terrestre di 6370 km.

Prima di lanciare l’allarme eruzione quindi, anche alla luce della grande quantità di persone da mobilitare, bisognerà attendere qualcosa di più concreto delle prime avvisaglie di irrequietezza vulcanica, perché talune variazioni potrebbero essere sintomi di ripristino degli equilibri interni dell’apparato vulcanico, magari dettati da semplici sommovimenti o modeste intrusioni magmatiche in profondità.

D’altra parte le filosofie della sicurezza inducono ovviamente a ritenere maggiormente accettabile un falso allarme, anche se il medesimo non è scevro da rischi, perché metterebbe in moto un gran numero di cittadini, in un contesto ambientale fatto di assetti stradali modesti e non congeniali alla movimentazione rapida della popolazione vesuviana. Da questo punto di vista la fascia litoranea che è anche quella ad alta densità abitativa, presenta le maggiori criticità perché la popolazione è stretta tra mare e monte.

Va ricordato inoltre, che la diramazione dell’allarme eruzione non è a cura dell’autorità scientifica ma di quella politica ai massimi livelli (Presidenza del Consiglio).

La zona rossa sancita da un apposito decreto, è rappresentata dall’insieme delle zone R1 e R2 (vedi immagine sottostante): trattasi dell’area di totale evacuazione della popolazione, ma anche dei soccorritori in caso di allarme vulcanico. La differenza sostanziale tra le due zone non sono le modalità di allontanamento preventivo, ma la disomogeneità delle attività di prevenzione delle catastrofi...



 Le strumentazioni di monitoraggio vulcanico

Le strumentazioni ipertecnologiche e super sofisticate di monitoraggio del Vesuvio, gestite dall’Osservatorio Vesuviano (INGV), aiutano nella decifrazione dello stato del vulcano, ma non sono la soluzione dell’incognita previsionale. La tecnologia da terrestre a satellitare, serve ad anticipare la cattura dei sintomi di irrequietezza vulcanica, ma nessun strumento è in grado di dire a che cosa porteranno quelle variazione dei parametri vulcanici così precocemente captati dagli strumenti.

Una strumentazione di alto o altissimo livello infatti, può solo anticipare lo stato di attenzione vulcanica, ma non aiuta ad anticipare la valutazione sulla dichiarazione dello stato di allarme, che sarà un’azione decisionale complessa ma necessariamente tutta umana, presumibilmente frutto di pareri interdisciplinari e di analisi del rischio nella sua complessità.
 
Campi Flegrei - Solfatara - Strumentazioni di monitoraggio


A corredo del discorso, occorre segnalare pure un’ulteriore incognita di non poco conto che ha sparigliato i teoremi della prevenzione delle catastrofi collegate al Vesuvio. Nonostante riteniamo che sia auspicabilmente abbordabile la previsione corta del fenomeno eruttivo, in realtà nessuno è in grado di stabilire dai sintomi captati o anche percepiti direttamente dall’uomo, quale sarà la taglia eruttiva (VEI) dell’eruzione che verrà! Cioè quante energie diromperanno dal sottosuolo vesuviano... Nel caso del Vesuvio, che nella sua storia eruttiva annovera range di manifestazioni energetiche molto diverse fra loro (VEI3, VEI4 e VEI5), definire la portata dell’eruzione prima dell’eruzione è puro azzardo, soprattutto se teniamo presente che la differenza tra i vari indici di esplosività vulcanica è a progressione logaritmica.

La pianificazione d’emergenza ruota prima ancora che sull’eruzione di riferimento sulla poco citata previsione ad excludendum dell’eruzione massima conosciuta, che è una VEI5 (pliniana). Una teoria, quella dell’esclusione, non supportata da premesse deterministiche ma solo probabilistiche su un’analisi molto ridotta di dati disponibili.