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domenica 28 ottobre 2018

Rischio Vesuvio e comitati scientifici...di MalKo

Il Vesuvio da Napoli 


Il Vesuvio, specialmente nell’ultimo periodo con l’insorgere di alcuni sciami sismici localizzati all’interno dell’apparato vulcanico, ha suscitato attenzione ma solo in quella piccola fetta di popolazione che, in qualche misura, vive la plaga vesuviana con ansia, e quindi, seppur alla lontana, tenta di seguire le problematiche legate al rischio Vesuvio. La grande massa dei vesuviani invece, il pericolo lo intravede più che nella natura, nell’incertezza sociale: nell’area vesuviana non si progetta il futuro e si vive il presente senza badare all’imponderabile…

Eppure non c’è nessuno pronto a giurare che il Vesuvio abbia trovato la sua pace geologica: di conseguenza e fino a prova contraria, prima o poi il vulcano si cimenterà in una eruzione che sarà tanto più violenta quanto maggiore sarà il periodo di quiescenza che l’ha preceduta: su questo gli scienziati sono tutti d’accordo.

Come i terremoti che di tanto in tanto sferzano la catena appenninica, anche le eruzioni sono l’aspetto eclatante e pirotecnico di una Terra dinamica, che, se da un lato produce a volte rilasci di energia molto violenti, d’altra parte è proprio il dinamismo terrestre che ci consente la biodiversità e la nostra stessa esistenza, che dovrà necessariamente svilupparsi tra le pieghe pericolose di un Pianeta in perenne auto rigenerazione…

Per poter pianificare le azioni necessarie per la salvaguardia dei vesuviani in caso di ripresa eruttiva del Vesuvio, è stato necessario procedere innanzitutto alla definizione di uno scenario eruttivo di riferimento, e quindi di una taglia eruttiva da cui far discendere le varie zone pericolose (rossa 1, rossa 2, zona gialla, zona blu).

Le riflessioni e le deduzioni e le scelte operate dal mondo scientifico e istituzionale, confluite nell’assunzione di un’eruzione media da porre a base degli scenari eruttivi futuri, contengono elementi necessariamente di approssimazione nella elaborazione di teorie volte a contabilizzare “l’economia” complessiva di carico e scarico magmatico dalla camera o dalle camere sotterranee, con stadi di deposito intermedi a volte chiamati in causa senza precisazioni di sorta.

Nel 1990 il prof. Franco Barberi nella pubblicazione “Scenari eruttivi del Vesuvio”, stimava un volume di magma tra i 50 e i 100 milioni di metri cubi ubicato a 8 -10 Km. di profondità. La stima fatta nel 1998 dal prof. Roberto Santacroce invece, tocca i 200 milioni di metri cubi di magma insinuatisi, secondo il ricercatore, nella camera magmatica del Vesuvio dopo l’eruzione del 1944.

Nel 2012 Il dott. Giovanni Macedonio e il dott. Marcello Martini, coordinatori del Gruppo di lavoro “A”, hanno stimato in 200 - 800 milioni di metri cubi di magma la massa incandescente presente nel sottosuolo vulcanico.  I due ricercatori vennero incaricati dal Dipartimento della Protezione Civile di produrre una relazione ad oggetto “Scenari eruttivi e livelli di allerta vulcanica per il Vesuvio”.
Nel documento elaborato si accenna alle tomografie sismiche effettuate per carpire i segreti dell’arcinoto monte, dove emergerebbero evidenze che lasciano supporre la presenza di un serbatoio di fusi o fluidi magmatici in una matrice porosa, con dimensioni orizzontali di circa 20 Km per 20 Km, ad una profondità di 8-10 Km. Le dimensioni verticali di questa superficie sotterranea di 400 Kmq. mancano del tutto: probabilmente per difficoltà oggettive dei metodi di prospezione sismica. Su questi aspetti si può solo teorizzare alla lontana quindi, ma senza nessun elemento di attendibilità numerica certificata. Non è da escludere che attraverso muografie dell’apparato vulcanico, si riuscirà nel prossimo futuro, a determinare con buona precisione l’ubicazione e i volumi di magma stipati nel sottosuolo.

Come accennavamo in precedenza, la relazione del Prof. Franco Barberi del Gruppo Nazionale di Vulcanologia (GNV), ebbe a indicare per il Vesuvio, che l’eruzione da introdurre per stabilire gli scenari eruttivi nel breve e medio termine, spaziava da ultra stromboliana tipo 1906 o, nella peggiore delle ipotesi, sub pliniana tipo 1631.

Il Prof. Roberto Santacroce confermò il dato precedentemente indicato dal collega: l’eruzione massima attesa nel breve e medio termine sarebbe stata al massimo una sub pliniana, alla stregua di quella che sconvolse l’area vesuviana nel 1631. Santacroce ebbe pure ad inserire nello scenario complessivo di pericolo la zona blu.

Il gruppo di lavoro “A” invece, formato in larga parte da ricercatori dell’INGV, ebbe ad introdurre il concetto di classificazione delle eruzioni per indice di esplosività vulcanica (VEI), e non per similitudini con eventi del passato che hanno un nome o una data e una loro storia eruttiva caratterizzante.




Il Gruppo di lavoro presentò quindi una relazione, dove sostanzialmente si riconfermava ancora una volta che lo scenario eruttivo massimo atteso di riferimento per i piani d’emergenza, doveva essere di taglia VEI4. In realtà le conclusioni anche in questo caso concordano con l’evento proposto da Barberi, la cui relazione del 90’ ci sembra che rappresenti ancora oggi il solco principale entro cui tutti gli altri ricercatori istituzionalmente consultati si sono mossi.

Nella relazione a sostegno di questa tesi, il maggiore contributo congetturale sembra racchiuso nelle statistiche probabilistiche elaborate dal dott. Marzocchi (INGV). Il ricercatore ha presentato due tabelle, frutto di comparazioni mondiali fra vulcani simili al Vesuvio, che partono entrambe da un limite temporale inferiore fissato su un tempo di quiescenza di 60 anni: la tabella A però, non ha un limite superiore, mentre la tabella B stabilisce un tetto fissato a 200 anni. 

L’ex assessore regionale alla protezione civile, il Prof. Edoardo Cosenza, alla presentazione romana della nuova zona rossa, riferì che nell’odierno la probabilità di un’eruzione pliniana era dello 0,5%. La scelta quindi, era caduta sulla tabella B…


La tabella A si differenzia enormemente dalla tabella B, esclusivamente per la probabilità statistica assegnata all’eruzione pliniana (VEI5): nell’ordine proposto abbiamo una probabilità dell’11%, mentre nel caso della tabella B la percentuale assegnata è dell’1%. Se si fosse adottata la tabella A, il piano nazionale d’emergenza Vesuvio doveva essere, obtorto collo, tarato sull’eruzione massima conosciuta (VEI5) e non su quella massima attesa (VEI4).

Il gruppo di lavoro “A”, ebbe ad addurre le seguenti motivazioni per argomentare l’adozione della tabella B:

1) L’eruzione VEI4 ha una probabilità condizionata di accadimento di poco inferiore al 30%.
2) L’eruzione VEI 4 corrisponde a una ragionevole condizione di rischio accettabile, considerato che l’eruzione pliniana ha un indice probabilistico dell’1% per i prossimi 140 anni.
3) I dati geofisici non rivelano la presenza di una camera magmatica superficiale con volume sufficiente a generare un’eruzione pliniana.
4) Lo scenario VEI4 copre anche lo scenario VEI3 e le problematiche alluvionali.

Il punto 3 ci sembra discutibile, perché il Prof. Raffaele Cioni, membro della commissione grandi rischi, in una sua relazione scientifica ebbe a sancire dallo studio dei cristalli rinvenuti nei reperti petrologici, che l’eruzione pliniana del 79 d.C. attinse magma direttamente dalla camera magmatica ubicata a 8 – 10 chilometri di profondità: per intenderci, quella dei 20 Km per 20 Km, di cui non si conoscono le dimensioni verticali e quindi i contenuti per quanto stimati di magma…

I due ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano citati in precedenza, giudicano un rischio accettabile quello di adottare come salvaguardia progettuale una eruzione (VEI4). In realtà si tratta di media ponderata del pericolo vulcanico, dove il peso è statistico, perchè un’analisi del rischio comporta multidisciplinarietà di valutazioni che vanno ben oltre il dato puramente scientifico.

La Commissione Grandi Rischi (CGR), organo scientifico consultivo del dipartimento di protezione civile, presieduto nel 2012 per il rischio vulcanico dal Prof. Vincenzo Morra, dopo aver esaminato le tesi formulate dai vari comitati scientifici, concordò con le conclusioni del gruppo di lavoro “A”: cioè avallò la VEI 4 come taglia dell’eruzione massima di riferimento da adottare per la stesura dei piani d’emergenza.


La CGR non menzionò la statistica della tabella B, ma l’eruzione pliniana (VEI5) non è mai più comparsa nei documenti di pianificazione d’emergenza Vesuvio: in altre parole è stata totalmente obliata dalle carte ma anche dai media…  Per capire se la comunità scientifica ha ponderato bene questa scelta relativa all’eruzione di riferimento, dobbiamo aspettare l’anno 2150
In realtà tutte le disquisizioni ad oggetto la taglia eruttiva dell’eruzione che verrà, interessano poco i vesuviani della zona rossa 1, che in ogni caso e a prescindere dovranno evacuare il settore altamente pericoloso e devono quindi attenersi a regole di prevenzione.

Chi dovrebbe dire ai cittadini che dimorano contiguamente alla zona rossa che un'eruzione pliniana è dieci volte superiore a un'eruzione sub pliniana, e i suoli che oggi bordano la zona rossa e che in tutta fretta vengono consumati dall'edilizia residenziale potrebbero in futuro essere spazzati via? La prevenzione delle catastrofi, che nessuno attua, comporterebbe ampie fasce di rispetto dalla Linea nera Gurioli e una diversa organizzazione del territorio....

La Commissione Grandi Rischi ha tra i suoi compiti anche quello di indicare le misure preventive per difendere le comunità future dai grandi cataclismi; certamente le dimensioni della zona rossa pliniana sono enormi, ma non è detto che attraverso misure strutturali di prevenzione non si riesca a limitare i danni... Intanto chiarire questi aspetti è un dovere delle istituzioni politiche e scientifiche e istituzionali…



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