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martedì 12 dicembre 2017

Rischio Vesuvio: il piano d'emergenza... di MalKo


Il Vesuvio visto dal centro storico di Napoli

Il piano d’emergenza Vesuvio è un documento contenente tutte le istruzioni necessarie per consentire ai vesuviani, in caso di pericolo, di mettersi in salvo qualora l’arcinoto vulcano dovesse manifestare sintomi pre eruttivi. Trattandosi di un piano che prevede una sola tipologia di pericolo (eruzione), e un solo modo per difendersi (la fuga), possiamo ben donde dire che il piano di evacuazione è esso stesso il piano d’emergenza Vesuvio.

La nota dolente è che questo piano di evacuazione è ancora in una fase eufemisticamente parlando diciamo di studio da parte dei comuni e della Regione, e quindi non è ultimato, con buona pace del diritto alla sicurezza di centinaia di migliaia di vesuviani che neanche si sono accorti di questa gravissima omissione. Si tira a campare, e le orecchie si drizzano solo alla parola condono edilizio sussurrata dal possibilismo politico…

La calma geologica dura da settantatré anni, ma potrebbe interrompersi in qualsiasi momento. Le istituzioni ostentano sicurezza sull’argomento, puntando tutto sulla possibilità espressa dall’Osservatorio Vesuviano di cogliere con largo anticipo i segnali di una possibile eruzione del Vesuvio. Potrebbe essere auspicabilmente così, anzi probabilmente sarà così, purtuttavia dobbiamo segnalare per correttezza informativa, che non c’è un dogma sull’argomento e le dinamiche che riguardano il movimento del magma nella camera magmatica del Vesuvio o nelle profondità calderiche dei Campi Flegrei sono sostanzialmente sconosciute; quindi, non si sa con certezza quanto preavviso ci sarà dal momento in cui si coglieranno i sintomi dell’imminenza di un’eruzione e l’eruzione stessa, la cui intensità (VEI) rimarrà in ogni caso un dato impossibile da quantificare preventivamente ma solo al termine del fenomeno eruttivo.  

Come abbiano avuto modo di dire altre volte, il fatto che i distretti vulcanici del vesuviano e del Flegreo siano zone super monitorate, non aggiungono niente in termini di previsione dell’evento eruttivo. La moderna tecnologia messa in campo per misurare la chimica e la fisica di questi vulcani con una precisione mai raggiunta prima, offre dati in tempo reale ma nemmeno uno sul futuro imminente. L’esempio più lampante lo possiamo cogliere col bradisismo. Ammettiamo che il suolo s’innalzi ancora: grazie ai sofisticati e precisi sistemi di monitoraggio registriamo che lo spostamento verso l'alto è stato di un milionesimo di metro. Che importanza bisognerà dare a questa misura super precisa ancorché colta immediatamente, in questa parte del Pianeta dove sollevamenti e abbassamenti e degassamenti si contano a decine di centimetri e a tonnellate?

Il comunicato stampa diramato dal Dipartimento della Protezione Civile che l’8 dicembre 2017 ha innalzato il livello di allerta vulcanica dello Stromboli da base ad attenzione (lo stesso vigente ai Campi Flegrei) è molto istruttivo. Cogliendo il vento della prudenza, la nota dipartimentale di tutta saggezza rimbalzata sui media recita esattamente così:<< Occorre tener presente che alcune fenomenologie dello Stromboli sono del tutto imprevedibili e improvvise, pertanto anche quando il livello di allerta è “verde” il rischio non è mai assente e che, come per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste>>.

Livelli di allerta e responsabilità di emeanazione
L’imprevedibilità dei sistemi vulcanici dovrebbe quindi essere alla base della necessità di agire con la prevenzione per sottrarsi alla pericolosa incognita geologica: inedificabilità e delocalizzazione... Quando la parola prevenzione pur declamandola in tutte le lingue non viene compresa o semplicemente ignorata, ed è il nostro caso, bisogna allora puntare tutto su un sistema capace di svuotare  e molto rapidamente i luoghi che circondano il Vesuvio o quelli che affondano nella depressione calderica flegrea in modo che nessun abitante permani in loco facendosi cogliere dall'eruzione.
Secondo i calcoli degli strateghi della protezione civile nazionale e regionale, i circa 700.000 abitanti della zona rossa Vesuvio o i 550.000 della zona rossa flegrea, verrebbero evacuati all'occorrenza nel giro di 48 ore su 72 ore disponibili.
Una grossa sfida che a livello mondiale non ha eguali. Questa metodologia di salvaguardia però, deve fare i conti con alcune incognite molto importanti superate nell’ambito della pianificazione solo dalla verve ottimistica dei pianificatori che, in qualche passaggio, a leggere bene sono  di vero azzardo.  Le vulnerabilità del piano d’emergenza Vesuvio si evidenziano già in prima battuta con la scelta dell’eruzione di riferimento. Senza un’intensità eruttiva campione infatti, non sarebbe stato possibile tracciare i limiti della zona rossa da evacuare.

La commissione grandi rischi ha quindi individuato un’eruzione VEI4 similmente subpliniana quale evento di riferimento per il piano Vesuvio. La linea nera Gurioli è un segmento curvilineo che definisce intorno al Vesuvio i limiti di massimo scorrimento delle colate piroclastiche nell’ambito delle passate eruzioni di tipo VEI 4. Tale linea è utilizzata nell'attualità per rimarcare la zona ad alta pericolosità vulcanica. 
C'è anche la "linea" Cosenza però, tutta politica, che ha preferito mantenere i contorni precedenti per evitare polemiche coi comuni a proposito dell’inedificabilità.  Apparentemente un allargamento quindi; peccato che ad ovest si sia stati minimi e ad est addirittura teneri con le cittadine di Scafati e Poggiomarino che ancora edificano  allegramente con tanto di licenza edilizia, pur avendo l'obbligo della fuga in caso di allarme vulcanico...

Pianta del Vesuvio e linea nera Gurioli.

Il grosso problema di fondo è che nessun scienziato al mondo può escludere che la prossima eruzione del Vesuvio possa essere di una dirompenza VEI 5, cioè simile a quella che distrusse Pompei ed Ercolano nel 79 d.C. Trattandosi di una eruzione energeticamente parlando ben 10 volte superiore a una VEI 4, i territori su cui dilagherebbero i flussi piroclastici sarebbero molto più estesi in danno di una gran fetta di popolazione provinciale non titolare di misure preventive di allontanamento. Ogni eruzione poi, non è mai simile alle precedenti, caratterizzandosi per fenomenologie e territori investiti, tant’è che le eruzioni più importanti assumono un nome prima ancora che un’intensità. Una maggiore prudenza, era quindi d’obbligo…

Il secondo elemento di vulnerabilità del piano di evacuazione sono i tempi di preallarme eruttivo. La struttura di monitoraggio affidata all’Osservatorio Vesuviano riuscirà a cogliere tutti i segnali prodromi dell’eruzione e ad emettere un bollettino di massima allerta nei tempi giusti per non ingenerare un falso allarme ma neanche un mancato allarme? Obtorto collo bisogna fidarsi di questa organizzazione periferica dell’INGV, nonostante abbia dato prova di modesta precisione nella localizzazione epicentrale e nella profondità del fuoco del terremoto verificatosi a Casamicciola Terme il 21 agosto del 2017. Sono occorsi alcuni giorni all’ente vulcanologico per correggere i dati errati diramati a ridosso dell’evento ischitano… Giorni a disposizione potrebbero non esserci in caso di una crisi vulcanica, e una siffatta disorganizzazione in un momento topico per la salvezza dei cittadini, sarebbe una vera catastrofe.

Il terzo elemento di vulnerabilità è il piano di mobilità previsto per l’evacuazione dei vesuviani nella fase operativa di allarme vulcanico. L’organizzazione proclamata che si metterebbe in campo con autobus navette e treni e navi, ci sembra che sia tarata sul taglio dei grandi eventi piuttosto che sui grandi pericoli. La differenza consiste che nel primo caso la popolazione seguirebbe le indicazioni degli esperti in modo più o meno partecipativo, con ansie e angosce misurabili per le sole cose materiali che si lasciano in loco. Di fronte al pericolo manifesto invece, il panico si diffonderebbe sovrano, e tutti gli schemi fin qui elucubrati salterebbero miseramente in quella che potrebbe delinearsi come una grande corsa verso la salvezza.

Il panico è una diretta conseguenza della percezione fisica del pericolo. Alla fase di allarme, quando sarà, noi come ci arriveremo ed è una domanda: in una condizione di stress dettato da sintomi pre eruttivi percepibili direttamente dalla popolazione o l'allarme evacuativo coinciderà con fenomeni microscopici non avvertibili dagli abitanti? La riuscita del pacioccone piano di evacuazione così  stabilito nelle linee guida dalle autorità regionali e dipartimentali, avrà una possibilità di successo solo se il pericolo è dichiarato ma non percepito direttamente dalla popolazione magari attraverso i sussulti sismici.

In questa enormità stagnante fatta di approssimazione e ipocrisia, bisognerà pure che qualcuno faccia notare che non serve un piano Vesuvio di facciata per zittire quei pochissimi whistleblower del mondo scientifico e tecnico che puntano il dito contro le politiche di sicurezza fin qui adottate, e che tra l'altro sono ancora senza un risultato concreto nonostante siano trascorsi oltre venti anni dai buoni propositi.
Il piano di evacuazione Vesuvio ma lo stesso vale per quello dei Campi Flegrei, deve essere uno strumento non basato sull’ottimismo circa le condizioni geologiche e ambientali pre eruttive, così come non può essere utile immaginare una collettività consenziente e pronta ad eseguire alla lettera le istruzioni dettate da uno Stato, generalizzando, criticato e francamente poco efficace  su tutti i fronti istituzionali. Il piano Vesuvio deve essere spartano e convincente...

Come esperti di soccorso possiamo solo dire che se l’allarme dovesse cadere in un momento di diretta percezione del pericolo eruttivo, i 500 e passa autobus previsti da e per la zona rossa rappresenteranno un vero disastro strategico operativo.
Secondo la pianificazione in itinere, la metà della popolazione di Torre del Greco, paese sfavorito per posizione geografica mediana,  dovrebbe lasciare la cittadina attraverso un servizio navetta da 1074 corse: più o meno 22 autobus ogni ora. Gli sfollati attenderebbero il trasporto nelle aree di attesa… Aree di attesa ci sembra una terminologia che, in un quadro di allarme vulcanico, suona leggermente comica…

venerdì 10 novembre 2017

Rischio Vesuvio: chi ci salverà? ...di MalKo

Il Vesuvio

Le peggiori fenomenologie vulcaniche che hanno caratterizzato le dinamiche eruttive del Vesuvio nell’arco di alcune decine di secoli, certamente non sono state contemplate direttamente dalla nostra generazione smartfonica. Il Vesuvio nell’immaginario collettivo sembra consolidarsi come quel vulcano buono che un po’ di tempo fa consentiva di cuocere le patate nella cenere. Un tubero fumante da offrire ai forestieri che si avventuravano in quota fino ai margini della lava incandescente, che offriva un senso di avventura ai turisti che affollavano la metropoli partenopea.

Nel 1787 anche Goethe, nel gran tour italico, rimase affascinato tanto dalla città di Napoli quanto dal Vesuvio, lanciandosi per tre volte lungo i pendii per arrivare sulla sommità dello Sterminator Vesevo, onde ammirare direttamente la lava pulsante che caratterizzava con grosse volute di vapore alcuni anfratti della famosa montagna.

Le immagini o i filmati che ci offrono una testimonianza abbastanza ampia dei fenomeni eruttivi del 1944, cioè dell'ultima eruzione, ci presentano scene di palazzi abbattuti dalle inesorabili colate laviche e i carri stracolmi di masserizie che si allontanano mogi dal fronte del fuoco. Intanto gli aerei americani allineati sul campo d’aviazione ubicato tra Terzigno e Poggiomarino, vennero anch’essi martoriati dalla pioggia di cenere e lapilli probabilmente perché non fecero in tempo a decollare quando il vento cambiò direzione irrorandoli di pietrisco...
Aeroporto Terzigno - 1944 -
Nelle vecchie pellicole si notano quasi sempre spettatori che osservano il movimento lentissimo e strisciante della lava, che avveniva alla stregua delle salvifiche processioni con San Gennaro in testa.

La straordinaria eruzione pliniana del 79 d.C. invece, cataclisma che seminò lutti e sventura in una plaga letteralmente sconquassata dalla potente eruzione, è fuori dalla portata percettiva dei vesuviani e degli interessi della politica e delle istituzioni che non allarmano. Un evento quello pliniano, che tutti conoscono indirettamente grazie all’area archeologica di Pompei, ma che ritengono sostanzialmente irripetibile perché appartenente al passato millenario che non torna, e quindi alla leggenda come il mito di Atlantide.

Che non ci si dovesse preoccupare per un'eruzione pliniana lo diceva spesso l’ex assessore regionale alla protezione civile della regione Campania, che non riteneva utile nelle pratiche di prevenzione delle catastrofi dare spazio ad eventi con tempi di ritorno troppo lunghi. Sovente tirava in ballo e con una battuta il diluvio universale, da cui, diceva, non ci possiamo difendere soprattutto se non ci si chiama Noè… Quindi perché evocarlo?

Questa filosofia ad excludendum non ha aiutato moltissimo il principio di precauzione consentendo all’organizzazione dipartimentale sostenuta dalla commissione grandi rischi e alla stessa Regione Campania di condividere la scelta dello scenario eruttivo di riferimento tarato sul medio evento, cioè su un indice di esplosività VEI 4 (sub pliniano). Il primo risultato è stato quello di consentire ai cittadini di Scafati e di Poggiomarino ubicati in zona rossa 2 (quella dell’aeroporto appena citato), di continuare a edificare palazzi con regolare licenza edilizia.

L’eruzione di taglia pliniana (VEI 5), nei documenti scientifici ufficiali è stata ritenuta poco probabile ma mai obliabile come invece ha fatto la politica. Non c’è una sola nota redatta dagli esperti che la cancelli. Tant’è che i relatori hanno scritto nel documento plenario ad oggetto gli scenari di rischio, che nel breve e medio termine il Vesuvio potrebbe produrre un’eruzione di tipo stromboliano o al massimo di taglia sub pliniana, ma non possiamo escludere, aggiungono congelando il precedente assunto, che il livello energetico possa essere di taglia superiore a quelli fin qui ipotizzato.  Mani avanti insomma...
Statistica eruttiva Vesuvio su due archi di tempo.
Incredibili sono i silenzi del mondo scientifico in generale e dell’INGV in particolare, che nulla hanno fatto e detto circa la magica sparizione dell’eruzione di taglia pliniana dalle carte della politica. Lapidario fu la sintesi espressa da un recente direttore dell’Osservatorio Vesuviano, che ebbe a dire che loro non si occupano di sicurezza e di allarmi ma solo di ricerca e monitoraggio, e quindi non entrano in dibattiti che competono al Dipartimento della Protezione Civile. Ergo, le uniche denunce sull’argomento a tutela di una distratta popolazione, provengono da uno sparuto gruppo di esperti che a contarli si utilizzano poche dita di una sola mano.

Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’INGV, è l’indice di questa mano, tra l’altro oggetto qualche anno fa, di attenzioni amministrative disarmanti, per aver avallato tesi che non escludono il pericolo pliniano e la città di Napoli dalle conseguenze di una possibile per quanto remota eruzione VEI 5. Teorie che comportarono minacce per procurato allarme per mano di Guido Bertolaso, all’epoca deus ex machina del dipartimento della protezione civile.

Qualche anno fa ci fu pure chi ebbe a ridire in risposta a una critica circa l’assenza di un piano di emergenza per fronteggiare un’eruzione pliniana, che sarebbe stato utile anche una pianificazione per fronteggiare un meteorite che piomba nel centro di Roma: ma non c’è un tale piano!   L’esempio naturalmente voleva essere un paradosso sarcastico...  Intanto diciamo subito che ci sono studi anche su quest’argomento ma non certo da parte del Dipartimento della Protezione Civile italiana che non ha razzi e missili e testate esplosive per deviare o disintegrare fuori dall’orbita terrestre i macigni in arrivo che sbucano dallo spazio.  Diversamente, il primo passo per difendersi dai massi che piombano dal cielo è quello di individuare con il maggior anticipo possibile un meteoroide in rotta di collisione con la Terra. Poi, occorrerebbe affidarsi ai calcoli matematici per scappare dal punto stimato d’impatto, con la speranza che le conseguenze fisiche del tremendo botto non colpiscano le popolazioni presumibilmente in fuga magari da regione a regione.

Le incognite che regolano questo rischio proveniente dallo spazio, non consentono di produrre in anticipo un piano di emergenza per i meteoriti perché non siamo in condizione di dare al pericolo (P) una quantizzazione energetica che è assolutamente variabile per composizione e massa e velocità dei bolidi. Elementi di assoluta indeterminatezza che non ci consentono di assegnare una magnitudo al fenomeno che potrebbe anche comprendere un mega asteroide che spazzerebbe totalmente la vita dal Pianeta. Il meteorite quindi, non c'entra niente col Vesuvio di cui si conoscono invece le coordinate geografiche (40° 29’ N – 14° 26’ E) e la massima magnitudo (VEI5) espressa nell’arco di una millenaria esistenza, così come i limiti di territorio (zona rossa) su cui s’infrangerebbero le fenomenologie vulcaniche più deleterie per la vita umana… Come si evince, la differenza c’è…

Per cercare qualche determinatezza nel discorso del rischio vulcanico, alla direttrice dell’Osservatorio Vesuviano inviammo una lettera certificata con richiamo al freedom of Information Act (FOIA), dove chiedevamo se corrispondesse a verità che una eruzione pliniana fosse da escludere nel prossimo futuro perché manca magma a sufficienza nella camera superficiale del Vesuvio. Affermazione quest'ultima di grande importanza strategica, riportata tra l’altro nel documento scientifico redatto dal gruppo di lavoroA”. Un’equipe di esperti nominata dal Dipartimento della Protezione Civile per offrire ai tecnici dipartimentali e regionali lo scenario di riferimento su cui attagliare la relativa pianificazione d’emergenza carente a tutt'oggi e come sapete del piano di evacuazione.

La dirigente dell'INGV - OV direttrice Bianco, non ha trovato tempo per rispondere come non lo trovò parimenti l’ex direttore Martini, nonostante sia stato tra i firmatari del documento in questione.

Intanto le eruzioni del Vesuvio, secondo le analisi petrografiche effettuate sui minerali espulsi durante l’evento del 79 d.C., sono avvenute con materiale magmatico asceso direttamente dalla camera magmatica ubicata allora come nell’attualità, a circa 10 chilometri di profondità.  In assenza di risposte chiarificatrici, si potrebbe pensare che la nota sulla camera superficiale sia un assist alla famosa politica ad excludendum.

L’Osservatorio Vesuviano è anche quella istituzione scientifica che in occasione del terremoto di Ischia del 21 agosto 2017 ebbe bisogno di alcuni giorni per indicare la posizione esatta dell'epicentro del sisma, inizialmente dato a nord, in mare e lontano dalla costa. Si scoprì poi che la localizzazione esatta era sotto i piedi degli abitanti di Casamicciola Terme, così come segnalarono alcuni esperti in diretta televisiva analizzando semplicemente i danni che si riscontrarono sull’isola. Se l’errore epicentrale fosse stato sbilanciato verso est, si sarebbe dovuta attivare la commissione grandi rischi perché l’evento si collocava al di sotto dei Campi Flegrei che già gode di un livello di allerta gialla: con un sussulto da 4.0 si sarebbe dovuto seriamente valutare il passaggio a una fase operativa di pre allarme…

Alcuni accademici hanno rumoreggiato su questo svarione che segue e anticipa una serie di perplessità sull’organizzazione interna dell’istituto napoletano dell’INGV. Tra l’altro incomincia ad essere noto a una platea sempre più ampia che i dati di monitoraggio dei vulcani napoletani ricavati dall’Osservatorio Vesuviano non possono essere forniti in tempo reale alle popolazioni. Infatti, c’è un’esclusiva contrattuale che prevede l’invio dei valori strumentali corredati da note ad oggetto Vesuvio e Campi Flegrei e Ischia, in prima battuta al dipartimento della protezione civile. E solo successivamente pare che possano essere immessi sul mercato dell’informazione libera in favore dei sudditi…

In questi giorni il corriere del mezzogiorno ha pubblicato la notizia che un certo numero di costose attrezzature di monitoraggio giacciono inutilizzate in un deposito dell’Osservatorio Vesuviano. Altri media recitano il contrario. In un altro articolo ancora viene pubblicato un pourparler telefonico tra due tecnici della sede dell’Osservatorio Vesuviano (INGV): non si capisce bene se trattasi di una intercettazione, ma la discorsiva abbraccia temi delicati come l'efficienza del sistema di vigilanza e i dati di monitoraggio che a loro dire e a proposito dei Campi Flegrei, non vengono commentati nella loro reale gravità...  C’è anche una preoccupante allusione al discusso progetto geotermico di Serrara Fontana.  Un progetto tra l’altro ancora al vaglio del Ministero dell’Ambiente che intanto ha archiviato con buona pace di tutti l‘ipotesi di un impianto pilota geotermico a Scarfoglio (Pozzuoli). L’idea proposta prevedeva di perforare il ventre della Solfatara e carpire calore dai fluidi caldi che poi sarebbero stati reiniettati in profondità… la provvida archiviazione e non bocciatura ha salvato i promoters anche istituzionali che si sono spesi moltissimo per la geotermia nel flegreo e più in generale sulle trivellazioni.

Cosa bolla realmente nel sottosuolo della caldera flegrea non è dato saperlo con certezza. I segnali colti dalle strumentazioni sono certamente preoccupanti e da tenere sotto stretto controllo. Occorre pure dire che gli strumenti per quanto sofisticati registrano i dati in tempo reale ma non come questi evolveranno un minuto dopo. Le apparecchiature quindi non prevedono le eruzioni, che è una pratica complicata e sovente imperfetta e che resta tutta nelle mani degli scienziati e a seguire in quelle del premier…

Secondo alcune teorie recenti, la coltre rocciosa e tufacea che ricopre la camera magmatica flegrea è stata intaccata dal calore, dalla chimica termale e dalle sollecitazioni fisiche dettate dal bradisismo. Questo significa che se gli strati litoidi che coprono il magma agissero come una sorta di porta tagliafuoco, ebbene la struttura di contenimento così provata potrebbe cedere in qualsiasi momento alle "fiamme" astenosferiche e più velocemente rispetto a una copertura monolitica indenne. Questa bassa resistenza potrebbe allora innescare più facilmente eruzioni ma di piccola taglia in ragione della cedevolezza? Impossibile prevederlo… il mondo della vulcanologia è ancora oggi costellato di forse.
Statistica eruttiva Campi Felgrei
Chi ci salverà dai vulcani non lo sappiamo… Il quadro generale è disarmante e non c’è una reale opinione pubblica che lamenti efficienza e chiarezza su questi grandi argomenti tra l’altro relegati erroneamente a un ambito regionale. La classe politica locale è tutta protesa ad accaparrarsi la proposta contenuta nel decreto Falanga che non è altro che un disposto di tolleranza dell’abusivismo edilizio anche in zona rossa.

I brontolii del pubblico si sono avuti con gli incendi boschivi al Vesuvio perché il fuoco era ben visibile come i fumi e le vampe nella boscaglia che in alcuni casi hanno lambito le case. Il fuoco vulcanico non si vede perché interrato come gli incubi, e quindi non si coglie la pericolosità che è un fattore assegnato alla percezione dei sensi o a una grande cultura della prevenzione che latita...

I piani di evacuazione del Vesuvio, paciocconamente e realisticamente appellati di allontanamento, così come quello dei Campi Flegrei sono ancora in itinere, mentre Ischia non compare neanche nel computo degli inadempienti perché manca ancora uno scenario di rischio. Terme e turismo intanto, diciamola tutta, non si conciliano con gli allarmi sismici e vulcanici…

In conclusione, per superare la china dell’indifferenza e della sfiducia e della inefficienza, occorre che l’Osservatorio Vesuviano, quale struttura di riferimento per il rischio vulcanico, intanto riprenda la sua autonomia e il suo ruolo di attenta sentinella vulcanica.  Occorre poi che si riporti ordine nell'organizzazione e che si valuti una sede diversa da quella ubicata all'interno del super vulcano flegreo.
La nomina del direttore deve essere sicuramente corroborata da alte competenze scientifiche, ma anche da un credo istituzionale volto a garantire ai cittadini l'imprescindibile diritto alla sicurezza, attraverso un operato che non lasci niente di intentato per evitare che un evento naturale, come un'eruzione vulcanica, possa trasformarsi in catastrofe.
A volte per raggiungere questo obiettivo, risulta necessaria mantenere una certa distanza dal mondo politico e  da quei poteri forti che fanno business...

lunedì 9 ottobre 2017

Rischio Vesuvio: zona rossa,abusi edilizi e il ddl Falanga... di MalKo





Napoli e il Vesuvio

Il fenomeno dell’abusivismo edilizio è sufficientemente esteso al punto da dare ad ogni cittadino che si propone di leggere minimamente il paesaggio che lo circonda, contezza diretta del fenomeno di fagocitazione del territorio da cemento residenziale.

In Campania il dato complessivo è numericamente impressionante, al punto da far profferire al governatore De Luca che non esistono cave a sufficienza per ospitare eventualmente i calcinacci delle demolizioni. Questa dismisura introduce alla riflessione che non ci sono stati neanche occhi a sufficienza per vedere e bloccare sul nascere la costruzione di migliaia di palazzi fuorilegge…

Nel vesuviano il fenomeno è talmente dilagante che in qualche paese la quantità di fabbricati abusivi sembra equivalere per numero i palazzi edificati con licenza edilizia. D’altro canto nella zona rossa Vesuvio classificata R1, vige la legge regionale 21/2003 che vieta la realizzazione di qualsiasi manufatto cementizio ad uso residenziale: misura assolutamente necessaria (come vedremo), per non aumentare il numero di abitanti nella plaga classificata a rischio eruttivo. Una sentenza del tribunale di Ottaviano non accordò a un ricorrente il diritto a edificare nonostante questi avesse una regolare licenza edilizia rilasciata antecedentemente al 2003. La motivazione fu chiara: in presenza di un rischio acclarato dalla scienza e dallo Stato non si può vantare alcun diritto retroattivo. Figuriamoci post 2003...

Il problema dei problemi in questo campo consiste proprio nell’ingente numero di abusi edilizi che costellano anche l’area vesuviana, con il dato tutt’altro marginale che le famiglie che si correlano ad ogni costruzione abusiva, alla fine costituiscono voti in abbondanza per garantire un grande risultato elettorale ai politici che reclamano una sanatoria premendo sulle direzioni partitiche e sui colleghi recalcitranti da indottrinare e convertire alla realpolitik: voto non olet!

Nessun sindaco oggi è nella condizione di abbattere “impunemente” un fabbricato abusivo a meno che l’immobile non appartenga a famiglie imbelli o l'opera cementizia fuorilegge è talmente appariscente o realizzata in un luogo veramente inaccettabile, che a lasciarla lì sarebbe controproducente per l'immagine di molti con sindaco in testa. Invero lo schiaffo è anche alla legalità che viene obliata sotto gli occhi delle letargiche autorità di polizia che non vedono neanche che sul Monte Somma incomincia a intravedersi a chilometri di distanza, qua e là qualche sbuffo di cemento che traspare tra la vegetazione in quota…

Sull’argomento abusivismo si registrano non pochi malumori, perché il decreto proposto dal senatore avv. Ciro Falanga, parlamentare che affonda il suo bacino di preferenze presumibilmente nel comprensorio torrese ubicato totalmente in zona rossa Vesuvio, prevede un certo indice di priorità degli abbattimenti delle costruzioni abusive, secondo logiche giuridiche  inveroconde che risparmierebbero alla fine i cosiddetti abusi di necessità.

In questo disegno di legge fortemente rimaneggiato dalle varie commissioni parlamentari perché improponibile nella sua stesura originale, è prevista la movimentazione delle poche ruspe che si riusciranno a finanziare, innanzitutto contro gli immobili di rilevante impatto ambientale o comunque costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico.

L’attenzione dei cingolati passerebbe poi agli immobili che per qualunque motivo costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità, con scelte prioritarie da concordare con le autorità amministrative preposte.

Il testo del disegno di legge si concentrerebbe alfine sugli immobili che sono nella disponibilità di soggetti condannati per i reati di associazione mafiosa o associazione criminale o di soggetti ai quali sono state applicate misure gravi di prevenzione personali, patrimoniali e amministrative.

Nell'ambito di ciascuna tipologia, pur tenendo conto delle caratteristiche territoriali dove sorge l’abuso, alcuni criteri decisionali dovranno privilegiare gli abbattimenti di immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati. In altre parole, se l’abuso edilizio riguarda una magione ordinariamente occupata bisogna andarci coi piedi di piombo…

La notizia che rimbalza nelle cronache, è che la discussione alla camera del decreto Falanga è rimandata di due settimane. Il testo infatti, che si prefigurava inizialmente come un cinico e furbo e mascherato condono edilizio, ancora non trova grandissima sponda parlamentare, perché lo Stato con questa proposta preannuncia bandiera bianca.

Non sono pochi quei parlamentari stimolati dai sindaci che auspicano l'approvazione del DL Falanga per accaparrarsi voti a sufficienza intanto nella prossima e vicina tornata elettorale, per fare il colpaccio alle spalle del prossimo futuro che perde “terreno sotto i piedi”.  Ci sarà poi tempo e modo per buttarla sul Trump di turno per garantirsi un’aureola di ambientalismo…

Con i pochi fondi a disposizione dicevamo, le ruspe dovrebbero puntare le costruzioni illegali ricadenti in zone salvaguardate da vincoli importanti. I legislatori però, forse come atto di gentilezza nei riguardi del primo firmatario della proposta di legge C.1994-B, hanno dimenticato di inserire nel disposto e tra i vincoli anche quello certificato di alta pericolosità vulcanica che grava interamente sulla zona rossa Vesuvio, composta da oltre venti comuni tra cui alcune municipalità napoletane.

zona rossa 1 e 2 - la zona ombrata intorno al cratere invece, corrisponde al territorio del parco nazionale Vesuvio.
Per chi non ha dimestichezza con la materia, la zona rossa Vesuvio ad alta pericolosità vulcanica è quella classificata R1: zona quest’ultima dove un documento dello Stato certifica che, in caso di ripresa dell’attività eruttiva, la zona potrebbe essere invasa dalle micidiali colate piroclastiche diversamente dette nubi ardenti. Le stesse valanghe fumanti che nel 79 d.C. calarono su Pompei ed Ercolano, vaporizzando con la loro elevatissima temperatura tutti gli ercolanesi che non riuscirono a fuggire dall’eruzione, mentre dei pompeiani ci restano solo i calchi.

Sotto la spinta di questa minaccia, la Regione Campania dicevamo, varò nel 2003 il DL regionale numero 21, che vieta qualsiasi costruzione capace di aumentare il numero di residenti nell’area vesuviana maggiormente a rischio: il rischio però, non è una costante immutabile con il tempo.

Esiste una formula che nella sua misura concettuale focalizza in che modo si crea una condizione di rischio esplicitando alcuni concetti che ci aiutano a inquadrare anche le problematiche di origine vulcanica, abusivismo compreso. R= P x Ve.

Per avere un fattore di rischio (R), è necessario che un pericolo (P), incomba su di un valore esposto (Ve) rappresentato nella sua forma più importante dalla vita umana.  Il rischio Vesuvio quindi, è dato dal pericolo eruttivo esplosivo quantificato oggi con una intensità eruttiva VEI 4 (sub pliniano), che grava almeno su 700.000 abitanti della plaga vesuviana.
E’ bene ricordare che tutti e due i fattori (P e Ve), non sono stabili nel tempo. Il pericolo (P) tende al rialzo con la quiescenza (t), tant’è che col passare degli anni il pronostico eruttivo si avvicina sempre di più a un’eruzione pliniana (VEI 5). In altre parole, per i residenti della zona rossa attuale, i decenni di pace geologica determinano un aumento del rischio non solo per l’intensità eruttiva pronosticabile, quanto per la distanza da percorrere per porsi fuori dalla portata delle colate piroclastiche.

Il numero di abitanti della plaga vesuviana può aumentare o diminuire a seconda delle politiche che si adottano anche sul fronte dell'abusivismo edilizio. Bisogna dare merito al presidente Bassolino che ebbe il coraggio di varare la legge regionale 21/2003 finalizzata a non aumentare il numero di abitanti grazie al blocco dell'edilizia. La lotta all'abusivismo era implicito nella norma, ovvero se non posso rilasciare licenze come posso assegnare condoni?...

Il numero di abitanti in zona rossa ha registrato qualche calo negli ultimi decenni nella parte super antropizzata di Portici e San Giorgio a Cremano, mentre in altre località il dato abitativo è piuttosto stabile o in aumento come ad esempio a San Giuseppe Vesuviano, Palma Campania o Nola. In tutti i casi bisognerebbe accendere i riflettori anche sull’implementazione degli stranieri che risiedono nella plaga vesuviana e sovente sono affittuari delle magioni abusive.

Mediamente quindi, possiamo dire che il numero di residenti nella zona rossa 1 è stabile, ma la crescita del pericolo eruttivo che marcia come dicevamo verso una intensità eruttiva VEI 5, ingloberà anno dopo anno nuovo territorio che sarà pericolosamente compromesso sommandosi all’attuale zona rossa 1 (R1). Da questo dato incontrovertibile, se ne ricava che anche la zona rossa 2 (R2) doveva essere preservata attraverso politiche residenziali di prevenzione delle catastrofi. L’attualità invece, lascia registrare che nella zona rossa 2 non c’è alcun vincolo vulcanico e si costruisce ancora con regolare licenza edilizia: esattamente come succede all'interno del super vulcano flegreo.

Atteso il fallimento di qualsiasi politica di delocalizzazione della popolazione vesuviana dall’area a maggior pericolo (R1), e la impossibilità di disinnescare o proteggersi dal pericolo eruttivo, bisogna convenire che per rendere il rischio Vesuvio nullo occorre agire sull’unico fattore che la formula R= P x VE  ci consente di manipolare: il valore esposto. In questo caso bisogna ridurre questo elemento a zero attraverso l’applicazione di un piano di evacuazione capace di spostare l’intera popolazione vesuviana a un limite di almeno 15 Km. dal centro eruttivo, tra l'altro in un tempo utile per sottrarsi alla furia del vulcano e dei suoi flussi piroclastici, ovvero dal suo indice di esplosività valutato con non poche critiche in VEI 4 invece che VEI 5.

Purtroppo e nonostante un battage pubblicitario di tutto rispetto, il piano di evacuazione non è ancora una realtà operativa. La strategia messa in campo dal dipartimento della protezione civile e dalla regione Campania, con le aree d’attesa comunali e poi quelle d’incontro extra comunali, rispecchia per linearità il termine con il quale coerentemente è stato appellato: piano di allontanamento. 

Le incongruenze di questo piano sono messe in evidenza platealmente dal comune di Nocera Inferiore (SA), che vede la sua stazione ferroviaria classificata come punto d’incontro per tre comuni vesuviani: Boscoreale, Boscotrecase e Torre Annunziata. Come se il comune di Nocera non fosse inserito nella zona gialla e fossero certificate previsioni di eruzione con diecine di giorni di anticipo... In qualità di esperti riteniamo che le perplessità espresse dal comune di Nocera siano più che fondate.
L'argomento come si vede è vastissimo. Vogliamo semplicemente concludere segnalando che sarebbe opportuno che nel disegno di legge Falanga venga introdotto anche il vincolo vulcanico, perché i limiti del parco nazionale Vesuvio sono di gran lunga inferiori rispetto all' estensione della zona rossa Vesuvio. Quindi non si dia per scontato che un vincolo vale l'altro... Un vincolo che tutela le piante o lo scavo archeologico, tra l'altro e senza sminuirne l'importanza, è diverso da quello che tutela la salvaguardia fisica degli esseri umani...

mercoledì 23 agosto 2017

Ischia: terremoto a Casamicciola... di MalKo




Lacco Ameno - Ischia

Un terremoto di magnitudo Md 4.0 si è manifestato il 21.08.2017 alle ore 20 e 57 minuti, in un punto a mare a nord dell’isola d’Ischia, ad una profondità di circa 5 chilometri: 20 le repliche a bassa energia.
La scossa di terremoto si è irradiata colpendo le cittadine di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio. La zona alta di Casamicciola è risultata quella maggiormente colpita con effetti devastanti sui fabbricati, soprattutto quelli datati o strutturalmente compositi e quindi a differente quanto inutile risposta antisismica.

I morti accertati sono due; gli sfollati alcune migliaia; i feriti sono invece 39 mentre si contano alcuni sopravvissuti estratti dalle macerie dopo ore di lavoro. Particolarmente delicate sono risultate le operazioni di salvataggio di 3 bambini, di cui uno di appena sette mesi; tutti salvatisi dalla caduta dell’intera palazzina dove abitavano, grazie forse al letto utilizzato come riparo o ad altri elementi fortuiti che ne hanno evitato lo schiacciamento. Il resto poi, lo hanno fatto gli instancabili Vigili del Fuoco.

il salvataggio operato dai Vigili del Fuoco a Ischia
L’isola d’Ischia conta normalmente circa 65.000 abitanti che diventano 250.000 nella stagione estiva. In questo periodo in casi eccezionali i servizi legati alle emergenze sono logicamente e localmente insufficienti, e i rinforzi devono giungere via mare. In questo caso grazie ai traghetti provenienti da Napoli che hanno garantito corse straordinarie notturne, per trasportare i Vigili del Fuoco e le forze dell’ordine, con le loro colonne di mezzi anche pesanti come camion, autogru e qualche autoscala.

mezzo VVF in partenza per Ischia


Le incertezze iniziali circa l'entità dell’energia sismica rilasciata dal terremoto in questione, ci sono sembrate eccessive. Un’intensità inizialmente stimata in 3.6 ha infatti indotto perplessità nel Prof. Enzo Boschi presente ai primi dibattiti televisivi, perché l’intensità Richter indicata dall’INGV sembrava minima in confronto agli effetti riscontrati sui fabbricati. Solo successivamente l'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha rettificato in 4.0 la Magnitudo durata (Md). In tutti i casi Il sistema di rilevamento EMSC e quello americano dell’USG hanno calcolato in 4.3 la magnitudo del terremoto che ha investito Ischia. Difformità anche nella profondità dell'ipocentro. L'anomalia potrebbe ricondurci forse a una carenza strumentale a corredo delle attività di monitoraggio sull'isola. Condizione da modificare subito nel senso della precisione, perché a fonte di una possibile crisi vulcanica, i dati che si acquisiscono devono essere necessariamente molto precisi.
Che Casamicciola abbia delle caratteristiche geologiche che amplificano le conseguenze distruttive di un terremoto, è un fatto arcinoto che non sembra però che abbia influenzato di molto la necessità di adeguare sismicamente i fabbricati soprattutto di vecchia fattura. Se il terremoto malauguratamente si fosse verificato in orario decisamente notturno, forse le conseguenze per le persone sarebbero state ancora più severe.
In un articolo del 2012, si legge della necessità di procedere a una macro zonazione sismica dell’isola d’Ischia, da arricchire poi da micro zonazioni almeno nei comuni di Casamicciola, Forio e Lacco Ameno.
L’effetto di amplificazione delle conseguenze sismiche sui fabbricati nella località di Casamicciola infatti, è una caratteristica che non doveva passare inosservata alle attività di pianificazione urbanistica, perché la zona è quella che borda un pilastro tettonico meglio conosciuto come Monte Epomeo. E l’isola d’Ischia ricade poi in un contesto ancora più grande che si chiama distretto vulcanico dei Campi Flegrei, dove gli eventi sismici non sono una rarità assoluta.  La caldera flegrea, non dimentichiamolo, è una località tra l’altro soggetta a un livello di allerta vulcanica di attenzione: condizione che introduce un aumento del rischio eruttivo non lontano dall'isola d'Ischia. E poco oltre andando verso oriente, c’è un Monte oggi annerito e incattivito dagli incendi boschivi che si chiama Vesuvio…
Le regole di elementare prudenza prevedevano e prevedono quindi di muoversi nel senso della prevenzione antisismica da applicare ai manufatti abitativi scartando completamente le zone dove la risposta sismica dei terreni è alterata.
D’altra parte l’isola sismovulcanica vede quadruplicato il numero dei residenti nel periodo estivo; il livello di rischio così s’impenna di molto per l’elevazione del valore esposto, cioè il numero di abitanti che popolano a dismisura anche quei luoghi a settentrione maggiormente sensibili alle sollecitazioni simiche.
Un altro elemento che ci lascia perplessi, è la presentazione del progetto di una centrale geotermica finalizzata alla produzione di energia elettrica da costruire nel tenimento isolano di Serrara Fontana. L’assenza di obiezioni da parte di alcune istituzioni competenti, propendono per una sottovalutazione del rischio sismico areale ma anche puntiforme. Tale proposta attualmente al vaglio (VIA) del Ministero dell’Ambiente, prevede trivellazioni oltre il chilometro di profondità per la realizzazione di pozzi emuntori, che nel sistema binario necessitano poi della pratica della reiniezione dei fluidi termali direttamente nel sottosuolo per il ripascimento della riserva idrica. Pratica che non è esente però, da una serie di rischi tra cui quello di produrre una certa sismicità indotta che mal si sposa con le caratteristiche del territorio ischitano.
A un esame obiettivo del territorio isolano, pratica che risulta molto agevolata da ricognizioni aeree, risulta evidente un carico antropico insopportabile, soprattutto lungo la costa che appare conurbata per lunghi tratti. Si parla poi di 27000 abusi edilizi alcuni dei quali minori, ma altri realizzati secondo logiche di eccessiva economia. Come soluzione al problema di vulnerabilità degli edifici, da più parti si evoca il libretto del fabbricato, per evidenziare la qualità e la resistenza delle costruzioni, soprattutto quelle non recenti che in tal modo dovrebbero essere oggetto di miglioramenti strutturali per essere in regola con la norma.
Il problema principale però, è che l’uomo pensa - più a quello che costruisce che al dove lo costruisce -. Un’amministrazione che propone di risolvere il problema degli abusi edilizi confiscando il fabbricato e trasformando il proprietario in inquilino, non ci sembra una mossa strategica per risolvere il problema delle tutele nella sua gravità di fondo. Sotto una frana o nella zona rossa Vesuvio o in un vallone erosivo di Ischia, che cosa risolverebbe un cotale provvedimento amministrativo o il libretto del fabbricato?
La splendida isola anticamente chiamata Pithecusa, con la sua conformazione tufacea presenta elementi naturalmente di fragilità geologica, estremizzati poi da forze irresistibili come lo possono essere quelle sismiche e vulcaniche. C'è poi il subdolo dissesto idrogeologico, che specialmente sui versanti occidentali erosi dagli elementi esogeni, portano con se i segni e il pericolo delle colate di fango e il distacco di massi dai versanti scoscesi.
Occorre che si provveda per il futuro a un attento utilizzo del suolo e del soprassuolo e anche del sottosuolo ischitano, dove sono vivi e ben sviluppati sistemi geotermici ad alta pressione, che sovrastano certamente una camera magmatica che sarebbe bene che venisse posta sotto la lente d’ingrandimento della comunità scientifica (INGV), onde offrire intanto uno scenario di riferimento fondamentale per l’elaborazione di un piano di emergenza e di evacuazione che oggi ancora manca.
Nel nostro disquisire, abbiamo accennato a un certo svantaggio territoriale di Torre del Greco, cittadina del vesuviano, perché stretta tra mare e vulcano. Qualora dovesse rendersi necessaria un'evacuazione a fronte del rischio Vesuvio, le attuali direttrici di allontanamento prevedono per i torresi percorsi secanti e di sovrapposizione ad altri fuggitivi vicini. Per gli ischitani la problematica è maggiore, e nessun comune può ritenersi geograficamente meglio posizionato rispetto ad altri, perché Ischia è un'isola e la porta d'uscita sono i porti...
Mentre è abbastanza chiara la vulnerabilità di Casamicciola e Lacco Ameno e Forio a fronte del pericolo sismico, non è chiara invece la mappa del rischio vulcanico. La logica indurrebbe a ritenere per conformazione e dimensioni dell’isola, che nessun luogo ischitano è scevro dal pericolo eruttivo. L'affermazione è necessariamente generica e aleatoria, probabilmente perché non ci sono studi specifici alla stregua di quanto è stato fatto per il Vesuvio e il super vulcano dei Campi Flegrei, attraverso l’individuazione dell’indice di esplosività vulcanica (VEI) di riferimento, e l'individuazione della zona rossa e poi gialla... Ecco: il nuovo capo della protezione civile Borrelli, potrebbe intanto commissionare l'individuazione dello scenario eruttivo di riferimento per l'isola d'Ischia.
 

martedì 8 agosto 2017

Rischio Vesuvio: Torre del Greco comune svantaggiato?... di MalKo


Vesuvio: porto di Torre del Greco - foto Liguoro

Parlando del Vesuvio e del rischio eruttivo, gli argomenti di discussione vertono spesso sulla nuova zona rossa e su tutto ciò che ne concerne. Il tono discorsivo sui media qualche anno fa è stato di taglio ottimistico col mondo politico e istituzionale che ha dato per scontato la bontà di una pianificazione di emergenza che in realtà si basa su una possibilità statistica (eruzione VEI4), passata tra l’indifferenza generale a deterministica, con buona pace del principio di precauzione bruciato sull’altare poco nobile dei costi benefici. Un piano comunque che continua a mancare del suo annesso più importante che si chiama piano di evacuazione.

I comuni della vecchia zona rossa che ricadono territorialmente nella fascia costiera, non mostrarono particolare interesse alla nuova zonazione di pericolo, perché la loro posizione geografica è interamente addentro alla famigerata linea nera Gurioli, e quindi non accamparono alcun distinguo oppure obiezioni o rettifica.

La Regione Campania si è distinta per una decisa partecipazione alle dubbie operazioni di classificazione del territorio, in qualche caso sovrapponendosi addirittura al Dipartimento della Protezione Civile, che rimane comunque il soggetto principale e istituzionale di riferimento per la salvaguardia dei vesuviani.

Nelle mappe tematiche ufficiali, la linea nera Gurioli rappresenta il limite di scorrimento delle colate piroclastiche originate da una colonna eruttiva VEI4; colate che restano in assoluto e per virulenza distruttiva, il fenomeno più temuto in caso di ripresa dell’attività vulcanica.

Nelle carte diffuse dalla Regione Campania e dal Dipartimento della Protezione Civile, la linea nera Gurioli non è stata tracciata sul mare e, quindi, il segmento non è chiuso. In realtà tale omissione non è indicativa di assenza di pericolo da quel versante, non solo perché colate piroclastiche se ne contano così come quelle di fango, ma più verosimilmente non sono stati effettuati rilievi subacquei per definire i limiti di deposito dei prodotti vulcanici come invece è stato fatto sulla terraferma.

Le operazione di verifica in mare sono difficili, perché i materiali piroclastici riversatisi dal Vesuvio oltre il litorale, sono stati in larga parte dispersi e rimaneggiati dalle correnti marine e dai movimenti ondosi.

Per dare completezza alla linea Gurioli rendendola un cerchio asimmetrico (mappa a sinistra), abbiamo tracciato il prolungamento mancante sul mare, col solo scopo di rendere chiaro anche visivamente alle popolazioni costiere, che i fenomeni vulcanici pliniani e sub pliniani ebbero a sconquassare per grande parte pure il litorale. Quindi, se la linea nera evidenzia i punti di massimo scorrimento raggiunti dalle colate piroclastiche, sul mare ufficialmente non c’è linea non perché non ci siano stati flussi, ma molto più semplicemente non sono stati referenziati geograficamente sui fondali. Questo significa che purtroppo su tutto il territorio circoscritto dalla linea nera Gurioli, grava il pericolo delle nubi ardenti e dei lahar.

Le barche romane comandate da Plinio il Vecchio nel 79 d.C., non riuscirono ad attraccare nella zona tra Ercolano ed Oplonti, forse per il rigonfiamento dei fondali, o forse neanche ci provarono perché la nobildonna Rectina, mittente di una richiesta d’aiuto, si trovava verso Pompei. Il dubbio resta…

Un’altra tesi potrebbe rimandare ai flussi piroclastici e di fango la modifica batimetrica sotto costa. Per evitare le secche, può darsi che Plinio abbia preferito tirare al largo proseguendo la navigazione fino a Stabia col favore di vento in poppa, incappando comunque e dal traverso di Torre Annunziata, in una battente pioggia di cenere, pomici e lapilli.

Il Comune di Torre del Greco, tra i comuni vesuviani è forse quello che presenta aspetti di maggiore vulnerabilità, perché una consistente parte della popolazione dimora e orbita nell’area del porto che segna una posizione mediana rispetto al Vesuvio ancorchè stretto tra mare e vulcano. Tra l’altro l’area portuale è molto periferica rispetto all’intera area comunale, al punto da collocarsi a ridosso del comune di Ercolano.
Vesuvio - foto Andrew Harris
Se dovesse presentarsi una situazione di rischio pre eruttivo, cioè una condizione di allerta vulcanica di attenzione o di preallarme, l’attesa per i cittadini torresi risulterebbe particolarmente snervante. Tecnicamente parlando infatti, ritrovarsi tra mare e monte, comporterebbe e costringerebbe gli abitanti della città del corallo a procedere parallelamente alla linea di costa, per fuggire secondo logiche e direttrici ineluttabili (nord). In questo caso e con le autovetture o i bus, occorrerà procedere accodandosi ai fuggitivi di San Giorgio a Cremano, Portici ed Ercolano, rinforzando massicciamente le schiere di autoveicoli in fila che possono allontanarsi sull’unica arteria disponibile, cioè l’autostrada A3 Napoli – Salerno. Anche proseguendo a piedi non cambierebbe la logica del discorso, con l’unica differenza che s’impegnerebbero percorsi diversi da quelli autostradali.

E ancora, se nella parte orientale del Vesuvio è ancora possibile e auspicabile costruire bretelle di collegamento all’autostrada A30 Caserta – Salerno, come quella che si innesta dalla SS 268 al casello di Palma Campania, nel settore occidentale, cioè quello marittimo, l’indice di affollamento e di conurbazione è tale da rendere problematica qualsiasi nuova progettazione viaria.

In tutti i casi l’autostrada Napoli – Salerno rimane l’unica carreggiata da utilizzare per un esodo massivo delle popolazioni che si allontanano con autoveicoli. Impegnare la viabilità ordinaria per sfuggire dai perimetri della linea nera infatti, è sconsigliabile se non vietato nella fase di allarme, ancorchè infruttuoso se non si è appiedati…
Così come riportato appena 23 anni fa sul periodico i “Quaderni Vesuviani”, la via del mare nonostante la sua dipendenza dalle condizioni meteo marine, variabili ma raramente proibitive, può essere una eccezionale risorsa da tenere in debita considerazione per i comuni della fascia costiera qualora si debba evacuare precipitosamente.

Il mare è una strada che consentirebbe con adeguati mezzi e infrastrutture, di alleggerire il traffico stradale, mettendosi così al riparo dal pericolo vulcanico percorrendo quelle poche miglia marine che separano i quartieri portuali, nel caso in questione di Torre del Greco, con il porto di Napoli. Cosa che non fu possibile invece agli ercolanesi nel 79 d.C., per mancanza d’imbarcazioni, ma anche perché rifugiandosi sulla spiaggia sotto alcuni fornici, mai avrebbero previsto di essere in un attimo mortalmente vaporizzati dalle travolgenti e roventi nubi ardenti da 350 gradi Celsius.

La possibilità che il fondale possa sollevarsi rendendo impraticabili i porti, è una condizione ascrivibile ai prodromi pre eruttivi, ma non repentina e certamente difficilmente riscontrabili durante la fase di attenzione e pre allarme.  La variazione delle batimetrie infatti, è un fenomeno già macroscopicamente avanzato, e dovrebbe potersi ascrivere esclusivamente a una fase di allarme vulcanico, e quindi senza popolazione sul posto oramai evacuata. Anche con voluminosi sollevamenti dei terreni o dei fondali, non ci sarebbero certezze matematiche sull’ineluttabilità dell’eruzione o sui tempi; purtuttavia in nessun caso il fenomeno potrebbe essere conciliabile con il dimoramento degli abitanti in loco.

Quando analizzammo la via del mare come risorsa strategica nel 2001, ci rendemmo immediatamente conto che poteva essere una possibilità con buoni margini di successo, perché nel Golfo di Napoli sono ordinariamente e normalmente in esercizio due tipi di battelli particolarmente utili in operazioni di rapido allontanamento: i catamarani e le monocarene. Trattasi di un naviglio veloce che ha di suo e come caratteristica principale oltre alla velocità, un basso pescaggio e una buona manovrabilità che non guastano nelle operazioni navali nei porti minori. Soprattutto sono imbarcazione permanentemente in servizio da e per le isole napoletane e quindi facilmente disponibili. Saranno proprio le brevi distanze da percorrere che favorirebbero una siffatta strategia emergenziale.

Gli equipaggi poi, hanno grande esperienza anche in condizioni estreme. Ognuno di questi traghetti potrebbe trasportare per ogni corsa e nel giro di pochi minuti, oltre 300 passeggeri in direzione porto di Napoli. Ovviamente lo sfruttamento di questa risorsa richiede la necessità di avere nei porti, oggetto di possibili operazioni marittime, un tratto di banchina conformata e attrezzata per l’attracco rapido di questi natanti. Bisogna poi contemplare viceversa, l’approdo torrese anche come centro di sbarco di eventuali aiuti provenienti non già da Miseno ma dal porto di Napoli.

Durante l’esercitazione Vesuvio 2001 tenutasi a Portici nell’omonimo anno, fu testata la via del mare come risorsa evacuativa alternativa per le popolazioni appiedate, utilizzando un traghetto veloce fatto giungere nel porto del Granatello (Portici). Seguimmo con attenzione le operazioni di attracco e imbarco e rimanemmo veramente meravigliati dalla rapidità della manovra e dalla velocità di crociera della monocarena, che alla partenza lasciò subito in coda tutti gli altri e pur veloci battelli d’appoggio.

I piani di emergenza e di evacuazione che tardano ad essere pubblicati sotto forma di vademecum, prevedono l’allontanamento della metà degli abitanti, circa 42.961 persone, da indirizzare alla stazione centrale di Napoli per imbarcarsi su convogli ferroviari con destinazione Lombardia.  Il trasporto da Torre del Greco a Napoli, avverrebbe tramite 1074 corse di autobus da effettuarsi in un massimo di 72 ore. Parliamo di circa 15 viaggi ora, cioè uno ogni 4 minuti… Con i traghetti veloci si arriverebbe invece alla stessa movimentazione di pubblico utilizzando nelle 72 ore disponibili un solo traghetto ogni mezzora e senza ingorghi.

L’amministrazione comunale di Torre del Greco dovrebbe forse appaltare all’esterno, così come ha fatto per il piano comunale di emergenza nel 2015, servizi di analisi e progettazione per pianificare una rivalutazione e ristrutturazione complessiva del porto nel senso della funzionalità delle banchine anche dal punto di vista della profondità dei fondali.

Nel 1989 l’esercitazione di protezione civile organizzata nell’area vesuviana simulando un terremoti di origine vulcanica, segnò l’insuccesso a causa dei traghetti carichi di mezzi e uomini del soccorso, che non poterono accedere nel porto pur provandoci, perché i fondali erano troppo bassi. Dovettero districarsi e dirigere su Torre Annunziata per poi proseguire sulla statale per Ercolano epicentro del sisma…

Per poter vivere con una certa serenità nel territorio vesuviano, occorre innanzitutto che sia bandita dalle genti l’indifferenza quale modus pensandi e operandi. Se non ci fosse stata l’indifferenza, non ci sarebbero stati venti anni di mancata sicurezza con una sopravvivenza legata forse alla clemenza geologica e non certo alla lungimiranza della politica.