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venerdì 2 settembre 2016

Rischio Vesuvio: la situazione è tutta sotto controllo…di MalKo

Vesuvio in fiamme - agosto 2016

Le trasmissioni televisive e radiofoniche ma anche la maggioranza dei giornali e delle riviste pure scientifiche, prevedono un uso politicamente strategico e allineato del linguaggio mediatico, mettendo al primo posto il principio non scritto che la notizia innanzitutto non deve allarmare. Teoria molto cara ai prefetti…

Con queste premesse, difficilmente tali testate giornalistiche riusciranno a trattare nel senso più ampio del termine, argomenti particolarmente rilevanti come il rischio Vesuvio, perché nella nostra Penisola non è diffuso il giornalismo d’inchiesta che rimane una nicchia da terza serata. D’altra parte noi siamo il popolo dei tengo famiglia… Ne consegue che assistiamo sovente alla rappresentazione mediatica dei rischi esattamente come ce li propongono e ripropongono personaggi e strutture in posizione di potere o di comando, che utilizzano i media compiacenti come cassa di risonanza per minimizzare il pericolo e propagandare come il meglio del meglio le loro scelte tutte vertenti sul principio strategico bene occultato dei costi benefici, sfoderando ampio ottimismo a spese degli altri. Alla stampa e alla televisione allora, viene demandato il compito di propinare la messaggistica del “tutto a posto!”, palesando il pieno controllo della situazione da parte delle istituzioni tecniche e scientifiche del nostro Paese.

Questo modo arrendevole di fare giornalismo, aiuta solo a nascondere la verità, che invece dovrebbe essere buttata nuda e cruda al di là dello schermo televisivo, come pane quotidiano della democrazia partecipativa. Il giornalismo investigativo ha un ruolo contributivo cruciale per il sostentamento della democrazia e della libertà di espressione e di denuncia e di controllo della classe politica e dei boiardi istituzionali; certamente prevede lo scotto di qualche rinuncia in termini di simpatia e perdita di favori, a tutto vantaggio però, dei valori umani che, certo e capiamo, non fanno cassa.

Non sono pochi quelli che preferiscono essere il punto di riferimento degli addetti stampa delle varie segreterie dei vari enti e istituzioni e amministrazioni, pubblicando spesso solo veline compiacenti che il fax o le mail gli depositano direttamente sulla scrivania, poco ingombra e prevalentemente utilizzata a mo’ di poggiapiedi, in un contesto odoroso di caffè con l’aria condizionata che marcia a pompa…

Generalmente nel nostro Paese i pochi giornalisti che si danno al giornalismo d’inchiesta, non sempre riescono a centrare l’obiettivo principale che si propongono, cioè la divulgazione della verità, perché questa possono rivelartela solo fonti confidenziali o un grande lavoro investigativo, ma anche in questo caso è richiesta un’affannosa attività di ricerca delle prove documentali o testimoniali. La verità quindi è una primizia che giunge sulla scorta di conoscenze personali e poi particolari, ma soprattutto è il risultato ultimo dello studio e della comparazione di una moltitudine di documenti che vengono intrecciati e poi sovrapposti e poi verificati e poi incolonnati secondo schemi e metodi oggettivi e soggettivi, per essere poi offerti ai lettori sotto forma di new sui loro sofisticatissimi super computer tascabili, da cui non alzano lo sguardo perché oramai attaccati e ipnotizzati alla rete globale, che macina milioni di notizie al minuto sugli affari privati dei nostri pseudo amici. Ciò che scorre è già obsoleto...

Il giornalista di punta dicevamo, opera confrontando e incrociando dati scientifici e politici e amministrativi, scovando gli evasori della verità uno per uno. Il risoluto uomo della stampa o anche dei blog o dei programmi televisivi di denuncia sociale, alla fine riesce a individuare gli angoli più oscuri del sistema che ci governa e ci amministra e ci protegge in nome di una realpolitik non dichiarata, che non sempre coincide con i principi di libertà e di democrazia dei popoli…

Molti degli aspetti che regolano i processi legati ai rischi e alle emergenze e alla protezione civile e alla prevenzione e all’operatività e al terremoto e al pericolo vulcanico li conosciamo bene, e tentiamo ogni strada per divulgare questi argomenti che partono dalla scienza geologica e arrivano poi alla politica e alla tecnica operativa e alla sociologia e all’antropologia e alle istituzioni e alle università e agli enti pubblici e di volontariato, ecc.

Il rischio vulcanico deve fare i conti con una massa enorme di persone che cercano, generalizzando, la panacea della rassicurazione anche minimamente convincenti, e mal digeriscono una verità sbattuta in faccia che gli pone la necessità innanzitutto di pensare prima ancora che agire. La verità è uno strumento democratico di prevenzione dei rischi...

Un po’ di giorni fa guardavamo un filmato prodotto e mandato in onda da Rai New 24: “seduti sul vulcano”, a cura di Gerardo D’Amico. Dopo una decina di minuti sui generis, vediamo per la prima volta la Dott.ssa Francesca Bianco, la nuova direttrice dell’Osservatorio Vesuviano, che illustra ciò che rimandano gli schermi della sala di monitoraggio della sede INGV napoletana.

Il documentarista D’Amico passa poi alla domanda clou indicando in una gigantografia aerea l’urbanizzazione inusitata che circonda il Vesuvio: ma in caso di eruzione tutta questa popolazione che fa? La direttrice Bianco risponde senza un attimo di esitazione: c’è un piano d’emergenza e c’è un piano di evacuazione… La rapidità della mendace risposta, induce a ritenere possibile che esista un prontuario dell’informazione televisiva sul rischio vulcanico a cui tutte le istituzioni devono attenersi, secondo una scaletta scritta e riscritta da tempo, votata al concetto mediatico che insieme si con-vince…

Appena oltre e nello stesso filmato, il cauto ingegnere Italo Giulivo dirigente della protezione civile regionale Campania, afferma in contro tendenza, che si è in attesa che i comuni vesuviani e flegrei provvedano alla redazione e alla consegna dei piani comunali di protezione civile e nella fattispecie che i comuni “vulcanici” individuino a livello comunale la viabilità evacuativa. Un discorso quindi tutto al futuro…

Il 30 agosto 2016 invece, è la volta della trasmissione della La7 a proporci nell’ambito del programma “L’aria d’estate”, un superbo consigliere della Regione Campania per gli affari della protezione civile, dott. Aniello Di Nardo, che alla domanda del conduttore ad oggetto il Vesuvio: << zona rossa 672.000 persone: in quanto tempo riuscite ad evacuarle?>> Risponde così :<<in 72 ore! >>. Incalza allora l’intervistatore: << in coscienza lei ci crede?>> Risposta: << Il piano è fatto benissimo e ci credo>>. Nello stesso filmato e dopo qualche minuto, viene interpellato sempre l’Ing. Italo Giulivo con quest’altra domanda: << Quanto tempo ci vuole per testare il piano? Risposta:<< Sicuramente dei tempi lunghi…>>.

All’effervescente governatore della Campania Vincenzo De Luca gli saranno fischiate le orecchie, tant’è che dalle pagine dei giornali con sicumera ha affermato che tra settembre e ottobre dovranno chiudersi i piani di evacuazione per il rischio Vesuvio e Campi Flegrei (Corriere del mezzogiorno 30/08/2016). Che cosa evacua allora il consigliere Di Nardo in 72 ore?

A fine agosto hanno scoperto che il comune di Pompei non ha un piano di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio (corriere del mezzogiorno 29/08/2016). Verità agghiacciante ma per chi? Il piano di evacuazione non ce l’ha nemmeno Torre del Greco, il paese mediano da 100.000 abitanti, ma neanche Boscoreale…  La cronaca dice che sono circa 135 i comuni campani che non hanno provveduto a stilare il piano di protezione civile comunale, e tra quelli che lo hanno prodotto bisognerà ancora verificare la bontà e la qualità del documento cartaceo di salvaguardia.

Campi Flegrei. Il sindaco di Pozzuoli Vincenzo Figliolia, nell’articolo riportato dalla testata giornalistica online ReportWeb.tV dichiara:<< Mai fino ad oggi era stato redatto un piano comunale di emergenza così dettagliato, né Pozzuoli aveva avuto un Centro Operativo Comunale come quello che abbiamo realizzato a Monterusciello: una struttura all’avanguardia, capace di servire anche di altri comuni…>>. Senza rendersi evidentemente conto di quello che dice aggiunge:<< Riguardo al Piano di allontanamento della popolazione-Rischio Vulcanico, o piano di esodo, come da direttive del Dipartimento della Protezione Civile, analogamente al Piano Vesuvio, l’aggiornamento di tale pianificazione è e resta di competenza della Regione Campania, su indicazioni e d’intesa col Dipartimento stesso…>>.  L’affermazione sembra sottintendere che Pozzuoli sta aspettando che il piano di evacuazione comunale glielo faccia la Regione…

Nelle storie che si inseguono e che stupiscono, annoveriamo pure quella narrata dal noto settimanale l’Espresso, che riferisce che all’interno del comitato operativo della Protezione Civile riunitosi per vagliare il da farsi in seguito al terremoto del 24 agosto, sieda Bernardo De Bernardinis, ex braccio destro di Bertolaso, che proprio a seguito di alcune inopportune rassicurazioni sul terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 venne condannato dalla corte aquilana. 

Nello stesso articolo ad oggetto il terremoto che ha devastato il centro Italia, viene riportato con una certa enfasi che:<<nel caos delle prime ore, si è rivelato fondamentale l'intervento dal cielo degli elicotteri dei pompieri>> che, trasportando squadre specializzate, hanno reso possibile il salvataggio di 215 persone estratte dai cumuli di macerie.

Quest’ultima notizia è in controtendenza con quella che proviene dal napoletano, dove è stato siglato un accordo, cioè un protocollo d’intesa tra il Parco Nazionale del Vesuvio e il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS). In caso di esigenze di soccorso e salvataggio nell’ambiente montano, forestale e pedemontano e impervio dell’arcinoto Vesuvio, bisogna formulare richiesta di aiuto digitando i numeri 331 4597777 a cui corrisponde l’utenza telefonica della organizzazione CNSAS campana. In assenza di risposta, bisogna procedere chiamando il primo dei soccorritori reperibili…

Il soccorso tecnico urgente in Italia fino a questo accordo doveva essere istituzionalmente assicurato su tutto il territorio nazionale, ad eccezione del mare, dai Vigili del Fuoco componendo il numero telefonico 115. La Regione Campania invece, con propria delibera n° 247 del 07/06/2016, riconosce nei volontari del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), i reali soggetti di riferimento da utilizzare per le azioni di salvataggio e recupero nel soccorso in montagna. Quindi un’operatività che va ben oltre il prestigioso circuito vesuviano.

Vigili  del Fuoco - Addestramento in montagna

Il Soccorso Alpino (CNSAS) riceve non solo finanziamenti di base, ma gli accordi prevedono un rapido rimborso delle spese a cura della Regione Campania per ogni intervento effettuato. I Vigili del Fuoco hanno in forza ai nuclei elicotteri personale specializzato per il soccorso in montagna e zone impervie (SAF), e tra l’altro intervengono entro pochi minuti dalla chiamata (115) e in ogni angolo dell’Italia Campania compresa.  C'è in gioco una extra territorialità? Qualcosa in termini economici e organizzativi e di garanzie per i cittadini non torna vero? La nostra impressione è che si confonda il ruolo istituzionale di un Corpo dello Stato con una organizzazione di volontariato che discende da un famoso Club Alpino.  

Vigili del Fuoco (SAF) - addestramento in montagna
I dirigenti dei Vigili del Fuoco avrebbero dovuto sobbalzare e tracciare un confine netto tra prerogative e competenze di un Corpo istituzionale dello Stato rispetto alle associazioni di volontariato. I Vigili del Fuoco danno a volte l'impressione che all'interno del Ministero dell'interno contino quanto Fantozzi davanti al mega direttore...ovviamente quando non ci sono emergenze.  Allora parliamo di rappresentatività altalenante...

martedì 23 agosto 2016

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: nel super vulcano il progetto geotermico Scarfoglio? ... di MalKo



Il vulcano Solfatara - Campi Flegrei - Pozzuoli

Nei Campi Flegrei a ridosso del vulcano Solfatara, dovrebbe sorgere una stazione geotermica finalizzata alla produzione di energia elettrica. Il progetto denominato Scarfoglio, è al vaglio del Ministero dell’Ambiente e prevede l’utilizzo di fluidi a media entalpia emunti dal sottosuolo del super vulcano flegreo.

Il progetto pilota prevede l’installazione degli impianti nella contrada denominata appunto Scarfoglio, limitrofa alla zona di Pisciarelli. Quest’ultima è sede di importanti fenomenologie di vulcanesimo ancorché di massiccia degassificazione di anidride carbonica che ascende in superficie dal ribollente sottosuolo vulcanico.

La società Geoelectric S.r.l. ha scelto questo sito proprio per la presenza di fluidi termali molto caldi rinvenibili già dopo alcune centinaia di metri di profondità. Propositrice del progetto in esame, la Geoelectric ha riproposto al Ministero dell’Ambiente e della Tutale del Territorio e del Mare, quale istituzione competete per la valutazione d’impatto ambientale (VIA), alcuni aggiornamenti progettuali volontari, evidentemente per contrastare le note ostative provenienti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT). Quest’ultimo dicastero lamenta difformità circa l’utilizzo delle aree vincolate e una carenza di progettualità di ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, quale dato di una certa importanza, ai Beni Culturali sembra abbiano a temere la micro sismicità indotta dalle attività di perforazione e da quelle di reiniezione in profondità delle acque termali. Una micro sismicità che potrebbe minare, dicono, il patrimonio archeologico dell’area…

I Campi Flegrei si connotano all’interno di una grande caldera afferente all’omonimo super vulcano. A tutt’oggi si caratterizza per alcune fenomenologie di rilievo, tra le quali il bradisismo ascendente e la rilevazione di picchi di magma fino a tre chilometri dalla superficie, oltre naturalmente una certa attività sismica anche a sciami. Questi ed altri elementi, hanno contribuito a dichiarare lo stato di attenzione vulcanica per l’area calderica flegrea, perché i parametri geofisici e geochimici rilevati presentano delle discordanze rispetto a quelli base di riferimento.
Stazione sismica Osservatorio Vesuviano - Campi Flegrei (Pozzuoli)
La società Geoelectric S.r.l. avvalendosi anche di esperti istituzionali dell’INGV e della società AMRA, ebbe a presentare nel mese di maggio 2015 questo progetto che prevede la realizzazione di un impianto pilota a ciclo binario per la produzione di energia elettrica. Le modalità di funzionamento dell’impianto prevedono il prelievo dei fluidi geotermici a circa 180° C. emungendoli dal sottosuolo a mille metri di profondità. Il fluido bollente viene quindi indirizzato in uno scambiatore di calore dove cede energia termica. In questo processo di scambio, i fluidi bollenti perdono parte della loro temperatura iniziale, e vengono quindi reiniettati nel serbatoio geologico profondo, dove riacquisteranno la loro temperatura iniziale, magari un po’ più in là del punto di prelievo. Questo circolo virtuoso non prevede interscambi con l’ambiente esterno o emissione di vapore nell’atmosfera. Da un punto di vista impiantistico e dell’inquinamento quindi, appare buono…

Il problema della nostra contrarietà al progetto, è il luogo dove quest’impianto pilota vuole collocarsi: cioè in una caldera dove vige un primo livello di allerta vulcanica e addirittura in un punto territoriale particolarmente stressato dalle forze endogene che operano incessanti nel sottosuolo flegreo, a prescindere se sono da ascrivere a intrusioni magmatiche o a fattori idro termali o più verosimilmente un connubio fra le due componenti che rendono il suolo puteolano per niente immobile.

Sarà proprio nel tufo a strati che le trivelle dovrebbero perforare cinque pozzi in totale, di cui tre di prelievo dei fluidi caldi che sono il motore del sistema geotermico e due di reiniezione nel serbatoio geologico d’origine. Al di là degli aspetti amministrativi sollevati dal ministero dei beni culturali, rimane l’incognita della micro sismicità indotta che anche se derivante da modeste fratturazioni,queste potrebbero favorire un disequilibrio nei dinamismi che pregnano il sottosuolo. Secondo lo studio dell’AMRA, il problema dei micro sismi dovrebbe essere alquanto contenuto e limitato a una distanza orizzontale di qualche chilometro dalla testa dei pozzi. L’AMRA si spinge oltre rendendo noto che il sottosuolo flegreo nei primi due chilometri a causa dell’elevata fratturazione è da ritenersi praticamente asismico.

Il problema principale è che certe conclusioni scientifiche comprendono anche dei pareri opposti provenienti dalle apprensioni di alcuni scienziati e tecnici che sollevano dubbi sulla innocuità della pratica di trivellazione e di reiniezione dei fluidi.

Le perplessità tutte scientifiche non si sono avvalse di una consulenza o di un vaglio da parte dell’Osservatorio Vesuviano che si fregia del titolo di Centro di Competenza circa i vulcani campani, perché tale struttura oggi non può definirsi terza sull’argomento in quanto ha contribuito in una certa misura a supportare le relazioni scientifiche a favore della società Geoelectric, corroborate nel merito da apposite conferenze a tema.

Tutti i pozzi che servono all’impianto pilota dovrebbero raggiungere la profondità di mille metri cadauno… Le domande che quindi galleggiano ancora nell’aria sono queste: cosa significa in termini di rischio perforare i contrafforti di base del vulcano Solfatara? Quali equilibri potrebbero compromettere le perforazioni a ridosso della località Pisciarelli? Le perforazioni accentuerebbero e in che misura il degassamento da anidride carbonica già massiccio in quella zona? Quali effetti avrebbe il fenomeno di sollevamento o abbassamento del suolo sull’impianto industriale una volta realizzato?  

E’ di questi giorni la notizia apparsa sul sito Meteo Vesuvio di Giuseppe D’Aniello, che l’Osservatorio Vesuviano sta stanziando fondi urgenti per mettere in sicurezza la perforazione effettuata a Bagnoli (Campi Flegrei Deep Drilling Project), attraverso una super perizia affidata a un ingegnere esperto del ramo trivellazioni.

Nella perforazione del CFDDP ferma a 500 metri di profondità, pare siano ascesi dei fanghi che potrebbero innescare problematiche di sicurezza del sito. Bisogna allora capire cosa stia succedendo in quel condotto con una urgenza tale da costringere il commissario Martini, altro fautore del geotermico nei Campi Flegrei, a distrarre fondi dal progetto Monica (monitoraggio marino) per dirottarli in quel pertugio profondo da cui bisognava trarre auspici di monitoraggio supertecnologico nei Campi Flegrei. Una trivellazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità “baciando” il magma, ed invece si è fermata a 500 metri e con qualche problema a fronte di un rischio giurato iniziale pari a zero…

Secondo uno studio dell’AMRA, la problematica della micro sismicità legata alle perforazioni e reiniezione è minima, a causa degli strati crostali che nei primi due chilometri della zona vulcanica flegrea possono considerarsi asismici. Mentre le perforazioni non supererebbero i mille metri… Le note scientifiche stimano in una magnitudo non superiore a 3,2 l’energia massima che potrebbe scaturire eventualmente dai microsismi e comunque a breve distanza dalla testa dei pozzi. Se il Ministero della Cultura si preoccupa della micro sismicità in ordine alla tutela dei beni archeologici locali, occorrerebbe pure che qualcuno valuti il rischio complessivo che corre la popolazione puteolana e napoletana…
Pozzuoli - Macellum
Il sindaco di Pozzuoli quale autorità locale di protezione civile e il Sindaco di Napoli titolare amministrativo della città metropolitana, Luigi De Magistris, potrebbero, in ragione del loro ruolo istituzionale, chiedere un illustre parere alla commissione grandi rischi sezione rischio vulcanico, che è un organo consultivo in termini di previsione e anche di prevenzione del rischio vulcanico, ed è presieduta dal Prof. Vincenzo Morra. 

Da un punto di vista tecnico occorre precisare e dire che il rischio è un fattore insito in tutte le attività umane: il rischio zero quindi non esiste. Ma il rischio è anche un fattore che deve contemplare un altro importantissimo e fondamentale elemento che ci aiuta e decidere sul da farsi, e che si chiama alternativa. Il rischio è quindi un elemento non statico, mai esaustivo e variabile nel tempo e a seconda delle necessità che si presentano nella società.

Per meglio comprendere questo ragionamento portiamo un esempio che proponemmo in una dispensa didattica (1992) scritta per gli insegnanti. In alcuni paesi poveri, alcuni bambini poveri in qualche caso mangiano prodotti di scarto prelevati dalle discariche o dai bidoni delle immondizie entrando in competizione coi topi. Il rischio sanitario susseguente a una tale condizione di stremo, per la nostra cultura occidentale è inaccettabile, ma per quei malnutriti e scheletrici bambini, il rischio era più che accettabile in ragione dell’alternativa che era la morte per fame.

Oggi l’alternativa al geotermico è il solare e l’eolico e si spera presto di trarre energia dal moto delle onde. L’Italia non ha notevoli risorse di combustibili fossili, ma il gas ci sembra un’alternativa valida e perdurevole, fino a quando non si miglioreranno le rese delle energie rinnovabili o si scopriranno altre fonti energetiche di rilievo non inquinanti.

Il rischio che comportano le attività di trivellazioni in una zona vulcanica metropolitana, che dovrebbe attuarsi in un punto critico e stressato della caldera flegrea, in una condizione areale di attenzione vulcanica, col suolo che s’innalza seppur di poco ma di continuo,  non è giustificabile in assenza di una condizione di fame energetica.

D’altra parte la costruzione di un impianto geotermico richiede ben poco tempo rispetto ad esempio a una centrale nucleare dove occorrono molti anni per realizzarla e metterla in esercizio. E l’energia geotermica è comunque lì ad aspettarci qualora dovessimo avere questa famosa fame di energia. Ecco, i rischi che oggi rappresentano un ostacolo al geotermico, magari cambieranno in termini di accettabilità quando l’oro nero diminuirà tanto da diventare materia di appannaggio per pochi.

Nei Campi Flegrei le acque che circolano nel sottosuolo sono particolarmente calde. Addirittura il pozzo di San Vito con i suoi 400° Celsius ha il record di temperatura per un sistema geotermico. Purtroppo bisogna fare i conti con una zona che non ha le caratteristiche territoriali di Larderello in Toscana…

Valga allora il concetto che bisogna sì individuare le aree che hanno punti caldi interessanti e che possono quindi essere destinate allo sfruttamento geotermico (carta nazionale?), ma ovviamente l’analisi non deve riguardare solo gli aspetti geotermici del sottosuolo e quindi legati al profitto, ma anche quelli non meno importanti che riguardano la superficie abitata e le necessarie tutele ambientali e strutturali che la zona presenta.

Infatti, i fluidi caldi prelevati dal sottosuolo per uso geotermico, possono essere particolarmente inquinanti al punto da non poter essere riversati sui suoli in superficie per non contaminare le falde freatiche, così come in alcuni casi neanche le volute di vapore possono ritenersi indenni dal contenere sostanze inquinanti come l'arsenico.

Il sistema a "circuito chiuso" presentato da questa società proponente tecnicamente sembra valido. Occorrerebbe allora che si individuasse un sito periferico al vulcano flegreo, in una zona non particolarmente abitata e senza particolari strutture a rischio nelle vicinanze. Certo, le società investitrici nel geotermico vorrebbero il loro sito ideale in testa al punto più caldo della caldera. Ma come sembra stia succedendo in Basilicata, il business non può sempre avere la meglio in nome di un non meglio specificato progresso...







venerdì 29 luglio 2016

Etna e cenere vulcanica... di MalKo



Etna: 4 dicembre 2015 - eruzione dal cratere "voragine" - (Andronico)

Circa 66.000.000 di anni fa, un asteroide di poco più di 10 chilometri di diametro, piombò nell’attuale penisola dello Yucatan provocando un’immane catastrofe planetaria che costò ai dinosauri l’estinzione dal pianeta Terra.

I dati che di recente sembrano emergere, indicano che il periodo tra il Cretaceo e il Terziario fosse caratterizzato anche da imponenti eruzioni vulcaniche che disseminarono nell’ambiente enormi quantità di cenere vulcanica che, sommandosi alla coltre già prodotta dall’asteroide, accrebbero fortemente il fenomeno delle repentine variazioni climatiche globali. Fu la fine per i grandi rettili e altre specie animali…

Molto probabilmente però, la cenere vulcanica produsse anche un effetto diretto sulla respirazione dei dinosauri, soprattutto se le polveri asperse in atmosfera contenevano, come si presuppone, una significativa percentuale di acido solforico. Un danno che ovviamente non risparmiò la vegetazione e i bacini acquiferi. Le ceneri vulcaniche, lo ricordiamo, sono composte prevalentemente da silicio, il secondo elemento che abbonda nella crosta terrestre dopo l’ossigeno.

Il Dott. Daniele Andronico, ricercatore dell’INGV di Catania, è uno specialista di vulcani avendo a che fare con il maestoso Etna, un vulcano che non trova tregua geologica e che a volte diffonde ceneri nell’atmosfera bloccando il traffico aereo sull’aeroporto catanese. Approfittando della cortese disponibilità e competenza, rivolgiamo al Dott. Andronico alcune domande:

Quale fase eruttiva si caratterizza per l’emissione di cenere in atmosfera?
I prodotti vulcanici associati all’attività esplosiva vengono definiti genericamente piroclastiti o tefra. Sulla base delle loro dimensioni, i tefra vengono suddivisi in bombe (al di sopra di 64 mm), lapilli (tra 2 e 64 mm) e ceneri, termine con il quale indichiamo tutte quelle particelle vulcaniche inferiori ai 2 mm di diametro. L’emissione di cenere in atmosfera avviene quando l’attività esplosiva genera una colonna eruttiva composta da elementi piroclastici misti a vapore e gas vulcanici. La colonna eruttiva generalmente incorpora aria e si protende sopra il vulcano fino a quando ha forza a sufficienza. Quando la sua densità diventa uguale alla densità dell’aria circostante, la porzione sommitale della colonna inizia ad espandersi lateralmente secondo la direzione dei venti dominanti. Si forma così una nube vulcanica che si allunga fino a distanze di alcuni chilometri o decine di chilometri dall’apparato, con il materiale piroclastico che via via ricade a terra a iniziare dalle bombe, dai lapilli e dalle ceneri che sono le più leggere e si lasciano quindi trasportare lontano dal vento.

I vulcani delle Eolie sono troppo piccoli per produrre cenere in abbondanza?
Le isole che costituiscono l’arcipelago eoliano rappresentano la parte emersa di vulcani formatisi inizialmente in condizioni sottomarine. Basti pensare al vulcano Stromboli, la cui sommità raggiunge poco più di 900 m di altezza sebbene la base dell’edificio vulcanico si estenda sotto il livello del mare a una profondità di oltre 2000 metri.


Isole Eolie : scorcio panoramico aereo (MalKo)
La formazione di cenere non è associata alle dimensioni dei vulcani, bensì al tipo di attività eruttiva prevalente (esplosiva o effusiva). Alcuni vulcani delle Eolie sono noti per avere generato in passato eruzioni molto esplosive, e quindi anche quantità significative di ceneri in parte dilavata dai settori rocciosi emersi.

 La cenere è sostanzialmente silicio?
La composizione della cenere riflette la natura del magma che ha prodotto la cenere stessa. Quindi possiamo avere ceneri di composizione oscillante da “basica” ad “acida” con percentuali di SiO2 variabile dal 45 ad oltre il 65 %.
Su queste polveri vulcaniche esiste un’interfaccia di sostanze corrosive?

Non esistono molti studi in proposito… Coperture continue di ceneri possono comunque essere corrosive se non vengono rimosse specialmente dalle superfici metalliche. In questo caso, infatti, i gas che rivestono le particelle di ceneri potrebbero inglobarsi all’umidità atmosferica innescando reazioni acide alquanto corrosive.

E’ vero che più ancora delle ceneri è la quantità di acido solforico a produrre le variazioni climatiche schermando i raggi solari?

Durante le eruzioni esplosive, oltre ai tefra vengono emessi in atmosfera enormi quantità di SO2 (anidride solforosa o biossido di zolfo). Alcuni giorni dopo la sua emissione, il biossido di zolfo si trasforma in particella di acido solforico (H2SO4). Si è visto che questi “aerosol” possono stazionare nella stratosfera per periodi piuttosto lunghi (1-2 anni), durante i quali si disperdono negli strati atmosferici riducendo la penetrazione della luce solare e, quindi, causando un abbassamento parziale della temperatura sia a scala locale che talora su ampie regioni del mondo.

Nell’aprile del 1815, una violentissima eruzione del vulcano Tambora in Indonesia, produsse una variazione del clima su scala globale, tant’è che il 1816 viene ancora oggi ricordato come l’anno senza estate.

La vegetazione soffre per gli acidi o per la schermatura ai raggi solari prodotta dalla cenere che si deposita sulle foglie?
In base alla nostra esperienza, nell’area etnea le eruzioni non emettono quantità di cenere tali da schermare per lunghi periodi i raggi solari. Tuttavia, i raccolti di verdure a foglia larga e alcuni tipi di frutta, talvolta vengono parzialmente compromessi anche da una sottile coltre di cenere vulcanica (che ricordiamolo è molto abrasiva), perché sarebbe comunque necessaria un’accurata e costosa pulizia e lavatura dei prodotti vegetali prima di immetterli sui mercati. Operazione tra l’altro che potrebbe alterare lo strato esterno della frutta rendendola meno appetibile.

A Catania e nelle zone limitrofe sono state riscontrate variazioni nella qualità delle acque ad uso potabile in superficie e nelle falde?
Ad oggi non mi risulta l’esistenza di studi sistematici che possano mettere in correlazione eventuali variazioni nella qualità (e quindi composizione) delle acque ad uso potabile a causa della dispersione della cenere vulcanica dell’Etna sull’ambiente circostante.

In concomitanza di eruzione con grande quantità di cenere vulcanica aspersa in atmosfera Le risultano difficoltà nei collegamenti radio?

I colleghi che gestiscono le reti di monitoraggio mi hanno riferito che durante l’attività esplosiva dell’Etna non sono state osservate evidenze in merito a questa problematica. In letteratura, tuttavia, vengono segnalate interferenze alle onde radio con effetti sull’operatività dei collegamenti sia radio che telefonici. Questi rari casi avvengono in occasione di eruzioni esplosive particolari, tali cioè da generare colonne eruttive contenenti grandi quantità di particelle di ceneri caricate elettricamente.

 La popolazione catanese come affronta la ricaduta di cenere sulla città?
In generale la città di Catania è meno esposta a questo fenomeno di ricaduta della cenere, rispetto ai paesi etnei della fascia orientale del vulcano (per esempio, Giarre, Milo, Zafferana). I venti dominanti sopra il vulcano, infatti, soffiano con maggiore frequenza verso i quadranti orientali. Negli ultimi anni alcuni di questi paesi sono stati interessati dalla pioggia di materiale piroclastico più volte nel giro di poche settimane o addirittura di giorni. Ad esempio, tra luglio e ottobre 2011 abbiamo registrato ben 10 episodi di fontane di lava che hanno generato ricadute di tefra quasi esclusivamente sul fianco orientale del vulcano. I comuni hanno in carico le attività di rimozione e smaltimento della cenere. Per questo tipo di operazioni utilizzano spazzatrici meccaniche e soffiatori.

Comune di Fornazzo: rimozione meccanica della cenere dalle strade (Andronico)
L’effetto principale della cenere sugli aerei è dovuta all’abrasione della carlinga o alla vetrificazione del silicio sulle palette delle turbine?
I danni più importanti che possono avvenire quando un aeromobile incontra una nube di cenere vulcanica, sono senza ombra di dubbio l’abrasione dei vetri della cabina di pilotaggio con grave riduzione della visibilità in danno dei piloti. Verrebbe comunque abrasa tutta la carlinga e le turbine ingurgiterebbero silicio che potrebbe vetrificarsi in più punti con il rischio flam out in agguato.

Altri effetti indesiderati possono riguardare i sistemi elettronici soprattutto se la cenere riesce a insinuarsi nell’aeromobile attraverso le bocchette di aereazione e ventilazione.

 Intensità e direzione e limiti della cenere dispersa in atmosfera: in che modo si controllano questi parametri?

Esistono diverse metodologie e strumentazioni che permettono di osservare una nube di cenere vulcanica. In primo luogo sull’Etna esiste una rete di telecamere nel campo visibile e termico che trasmettono videoregistrazioni in tempo reale alla sala operativa di Catania: le immagini sono accessibili anche sul sito web INGV della sezione dell’Osservatorio Etneo. Inoltre, è possibile visionare immagini acquisite da strumenti a bordo di satelliti, particolarmente utili per individuare e seguire il percorso della nube in atmosfera.

Catania Fontanarossa
Radar anti cenere (DPC)
La direzione e quindi l’area di dispersione di una nube vulcanica, può essere simulata in qualsiasi momento grazie a molteplici modelli numerici che utilizzano anche dati previsionali su velocità e direzione dei venti a diverse quote sopra il vulcano. Infine, oggi sono disponibili anche nuove tecnologie “radar” e tecniche “lidar”, che consentono di acquisire informazioni sulla presenza di una nube e sulla concentrazione delle particelle vulcaniche in atmosfera.

A quale altezza massima avete riscontrato cenere vulcanica nell’atmosfera?

Durante le fontane di lava dell’Etna degli ultimi anni, le colonne eruttive hanno spesso raggiunto altezze intorno agli 8-9 km sul livello del mare. In occasione dei recenti episodi parossistici di dicembre 2015, il flusso di massa eruttata nell’unità di tempo è stato così elevato, che il tetto della colonna ha raggiunto i 14 km s.l.m., ovvero ha oltrepassato la tropopausa, cioè il limite fra troposfera e stratosfera che alle nostre latitudini si attesta intorno ai 12 km sul livello del mare. Questi valori sono senza dubbio rilevanti per l’Etna, ma va ricordato che durante le eruzioni di tipo pliniano (come quella del 79 d.C.), la colonna eruttiva del Vesuvio superò i 30 km di altezza.

Un’eruzione dell’Etna si differenzierebbe di molto in termini di produzione di cenere rispetto a un’eruzione del Vesuvio di pari intensità?
È una domanda interessante. In teoria, a parità di intensità (ovvero di flusso di massa eruttata nell’unità di tempo), la differenza in termini di magnitudo (ovvero volume di tefra emessi), dipenderebbe soltanto dalla durata dell’evento eruttivo. Ma il Vesuvio emette un magma più “acido” e con temperatura più bassa rispetto al magma basaltico dell’Etna; fattori questi, che dovrebbero favorire una maggiore capacità del Vesuvio a “frammentare” il magma in particelle fini.


Comune di S. Alfio: copertura diffusa di cenere e lapilli - (Andronico)

In caso di eruzione del Vesuvio Lei dovrebbe raggiungere l’Osservatorio Vesuviano per contribuire a monitorare la dispersione della cenere in atmosfera? Esistono accordi operativi in tal senso?

In caso di eruzione al Vesuvio, le altre sezioni INGV metterebbero a disposizione dell’Osservatorio Vesuviano competenze e professionalità interne, per monitorare e studiare le caratteristiche delle ceneri eruttate, elaborando simulazioni circa la propagazione della nube eruttiva e analisi sulla dispersione delle ceneri, ed altro ancora per gestire la crisi vulcanica.

Un ringraziamento particolare al Dott. Daniele Andronico dell’INGV di Catania, per la chiarezza espositiva e per la cortese disponibilità a trattare alcuni aspetti vulcanici che caratterizzano il territorio della nostra Penisola.

Per concludere vogliamo aggiungere che nei piani d’emergenza Vesuvio la cenere vulcanica rappresenta uno degli aspetti di maggiore pericolosità dopo le colate piroclastiche, e per questo motivo nella pianificazione d’emergenza alcune cittadine vesuviane sono state ricomprese nella zona rossa di secondo livello (R2). La cenere vulcanica, dicevamo, ha un notevole potere abrasivo, conduce l’elettricità e non si diluisce nell’acqua. L’inalazione del prodotto vulcanico provocherebbe difficoltà respiratorie soprattutto a chi ha questa funzione vitale già compromessa; un altro importante inconveniente dovuto all'esposizione alla cenere, consisterebbe nell'irritazione delle parti molle e umide del corpo, come ad esempio gola ed occhi.
Vesuvio: zona rossa e gialla
Nella zona Rossa 2 del Vesuvio è bene ricordarlo, è prevista l’evacuazione totale della popolazione, che deve allontanarsi velocemente alla diramazione dell’allarme vulcanico. Non bisogna attendere l’eruzione per decidere quali settori territoriali evacuare, e non ci si ripara negli immobili dal tetto spiovente in attesa che questa passi. I cittadini vesuviani della zona rossa 2, possono allontanarsi dalle loro cittadine alla stregua e con le stesse modalità di quelli della zona rossa 1, già in fase di pre allarme vulcanico.

Un particolare ringraziamento al Dott. Daniele Andronico, vulcanologo dell'INGV Catania, per l'interessante intervista che ci ha concesso.

lunedì 25 luglio 2016

Rischio Vesuvio: qual'è l'eruzione attesa? ... di MalKo


Vesuvio: la pineta di Terzigno in fiamme

Per difendersi da un vulcano è innanzitutto necessario determinare l’area di ricaduta o di scorrimento dei prodotti vulcanici venuti alla luce dalle profondità del sottosuolo nel corso di tutte le eruzioni conosciute. La natura dei prodotti piroclastici che si rinvengono generalmente a strati, consente ai geologi di risalire oltre che alla data dell’eruzione, alla tipologia eruttiva e alle superfici territoriali su cui si sono abbattute le varie fenomenologie vulcaniche.

L’uomo dell’età dei metalli, se avesse avuto la conoscenza dei fenomeni naturali e dei principi fondamentali della prevenzione, si sarebbe dovuto insediare più o meno ai limiti dei prodotti piroclastici di un certo spessore. Avremmo così evitato la situazione attuale, dove l’ardente monte Vesuvio spicca tra una miriade di palazzi che gli pestano i piedi e lo sormontano e lo circondano. Il Vesuvio col tempo è stato assoggettato al titolo di vulcano metropolitano, come quello dei Campi Flegrei: quest’ultimo pur essendo strutturalmente diverso dal primo, presenta una vasta caldera alla stregua riempita immancabilmente e irrimediabilmente di case. Con l’urbanizzazione attuale, anche l’incendio che ha interessata in questi giorni la vegetazione vesuviana, ha creato non pochi disagi per il fumo che soprattutto di notte calava e stagnava sulle case.

I due vulcani dicevamo, ricadono così sotto la giurisdizione amministrativa metropolitana del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che da ex magistrato prima o poi dovrà chiedersi, ovvero chiedere al Dipartimento della Protezione Civile e ai comuni, come mai mancano ancora i piani di evacuazione a tutela delle popolazioni esposte al rischio eruttivo. Un pericolo quello vulcanico forse remoto, ma indubbiamente particolarmente devastante e soprattutto con dei tempi di crisi pre e post eruzione che possono essere anche molto lunghi, come ci suggerisce lo schema sottostante prodotto dall’USGS.

Tavola USGS
Il Vesuvio come sapete, è un vulcano che ha espresso per il passato varie tipologie eruttive molto dissimili tra loro, che vanno dall’eruzione dal taglio turistico con le patate cotte sotto la cenere, agli sconvolgimenti areali di grosso calibro (Avellino; Pompei), con interi villaggi e città devastate dai flussi piroclastici e seppellite dagli ammassi di cenere e lapilli. Fra i due poli estremi, ci sono poi le eruzioni intermedie (472;1631;1906...) che pure hanno sconquassato il litorale e l’entroterra del Golfo partenopeo…

Da quale eruzione dobbiamo allora difenderci? La commissione grandi rischi per il rischio vulcanico (CGR-SRV), prendendo in esame il lavoro della commissione incaricata di prefigurare gli scenari eruttivi quale premessa ai piani d’emergenza, ha sancito che le risultanze scientifiche raggiunte possono considerarsi in linea con l’attualità anche statistica e con il parterre scientifico precedente (1995), e che l’eruzione VEI 4 (sub pliniana), può quindi essere assunta come massima prefigurabile da qui ai prossimi 130 anni di quiescenza del Vesuvio (vedi tabella).
Tipologia eruttiva
VEI corrispondente
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 anni in su…
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 a 200 anni…
STROMBOLIANA VIOLENTA
VEI 3
65%
72%
SUB PLINIANA
VEI 4
24%
27%
PLINIANA
VEI 5
11%
1%
La linea nera Gurioli, novità introdotta dalla CGR-SRV, è stata ritenuta coerente come limite d’invasione delle colate piroclastiche insite nelle eruzioni VEI 4, e, quindi, il segmento nero circoscrive la zona ad alta pericolosità vulcanica
 
Vesuvio e area vesuviana: linea nera Gurioli

Non tutto è lineare però. In figura la zona “rosata” corrisponde alla vecchia classificazione della zona rossa. La linea nera invece, come detto circoscrive il perimetro scientifico dell’attuale zona rossa. La prima cosa che si nota è che tale zona di fatto è più stretta della precedente. Una notizia di questo genere sarebbe stata un tantino destabilizzante, soprattutto per i vecchi comuni costretti per anni all’astinenza cementizia.

Per ovviare a questo deliquio d’immagine garantista, la Regione Campania in accordo con il Dipartimento della Protezione Civile, ha deciso comunque di classificare con atto amministrativo, zona rossa (R1) anche le parti di territorio rosato che si trovano al di là della linea nera. Con questa trovata tutta politica, si è consentito alla precedente nomenclatura regionale e dipartimentale, di fregiarsi del titolo di più realisti del re, aumentando artificiosamente la zona ad alta pericolosità vulcanica, soprassedendo al conseguenziale vulnus giuridico, perché il principio di precauzione che poteva giustificare l'imposizione amministrativa, non ha trovato equa applicazione…

Infatti, il Comune di Boscoreale in ragione di queste discrepanze di trattamento, non accettò l’artificioso ingrandimento del perimetro ad alta pericolosità vulcanica (R1) che gli bloccava il cemento a uso residenziale, ricorrendo quindi al tribunale amministrativo regionale (TAR) che inevitabilmente, e non poteva fare altro, gli diede ragione. Il Consiglio di Stato invocato dalla soccombente e allarmatissima Regione Campania, bloccò ad horas la favorevole sentenza TAR sulla scorta del principio di pericolo in mora, ribaltandola poi e completamente dopo alcuni mesi, con citazioni di prudenza a sostegno dell’allargamento non in linea con le risultanze scientifiche….

L’iniquità di questa sentenza è data dalla piccola discrepanza offerta dal comune di Scafati, la cui parte territoriale di nord ovest, pur incuneandosi tra i territori di Boscoreale e Pompei sovrapponendosi alla linea nera, si è chiamato completamente fuori dalla prima fascia ad altissimo rischio vulcanico (R1). Nella zona R2 scafatese e poggiomarinese, si sfornano quindi palazzi e villette e case e fabbricati con regolare licenza edilizia. Un principio di cautela allora applicato per Boscoreale e Pompei ma disatteso per Scafati e Poggiomarino… La figura sottostante è sufficientemente e graficamente indicativa ed esplicativa.

Per tentare di uscire da questo pantano amministrativo che potrebbe essere arricchito da alcune disquisizioni sull’abusivismo edilizio, piaga apertissima e infetta, ritorniamo al discorso principale per capire da quale eruzione dobbiamo difenderci.

Per avere un metro di paragone, la nostra attenzione si è concentrata sul vulcano Mount St. Helens, nello stato di Washington, negli USA, per alcune caratteristiche simili al Vesuvio. Abbiamo chiesto all’U.S. Geological Survey quale statistica eruttiva è stata applicata al vulcano St. Helens per stabilire l’eruzione di riferimento circa la stesura dei piani d’emergenza. L’USGS ha risposto che <<non pubblicano statistiche e non usano le statistiche per l’elaborazione dei piani d’emergenza>>. Le nostre mappe di pericolo, hanno precisato, si basano sul mapping geologico delle precedenti eruzioni… Come dire: vanno sul concreto, sul tangibile…  Guardate lo schema sottostante:


Schematizzazione non in scala ad uso didattico
gli esperti dell’INGV hanno dichiarato con una probabilità condizionata di accadimento, che la prossima eruzione del Vesuvio, almeno per i prossimi 130 anni, sarà al massimo un evento dall’indice di esplosività VEI 4. I passi successivi però, hanno trasformato una probabilità in valore deterministico, tant’è che la linea nera Gurioli da limite di deposito ha assunto innaturalmente una funzione di limite di pericolo.

Fra 130 anni l’ottimistica scelta eruttiva operata dall’INGV e dal dipartimento della protezione civile, circa la zonazione R1 di altissimo rischio vulcanico, girerà l’angolo dei 200 anni... Una soglia indiscutibile che segnerà inevitabilmente la necessità di prendere giocoforza e seriamente in esame, anche statisticamente parlando (11%), la possibilità che una eruzione del Vesuvio possa avere uno stile pliniano (VEI 5).

I futuri territori invadibili dai flussi piroclastici di una pliniana (VEI5), sono quelli oltre la linea nera Gurioli per circa 10 chilometri. Una bella fetta di terreno dove continuano alacremente a erigere case e palazzi. In questo caso, lo Stato paradossalmente si ritrova in una condizione di produttore di rischio, magari proiettato nel futuro, ma pur sempre rischio con il quale bisognerà prima o poi misurarsi…

Il rischio vulcanico mediato su una VEI4, dovrebbe essere innanzitutto oggetto di informazione dettagliata per i cittadini. Il nostro parere è che in tal modo si consentirebbe in tempo di pace geologica a chiunque di esercitare il libero arbitrio circa l’accettazione o meno della residenza in area vulcanica. Intanto la classe politica dovrebbe elaborare piani di riordino territoriale e di costruzione di grandi assi viari a scorrimento veloce che consentano alla popolazione di allontanarsi in caso di pericolo vulcanico. Progetti che interessino e impegnino i prossimi 130 anni. Solo con queste premesse e promesse di opere mitiganti a vantaggio dei nostri figli, e nipoti e pronipoti, è moralmente proponibile l’accettazione del rischio pliniano.

La funzione principale della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, è quella di fornire pareri  di carattere tecnico scientifico al Capo Dipartimento della Protezione Civile, come quello sull’eruzione di riferimento. Questa commissione però, molti non lo sanno, dovrebbe parimenti indicare anche come migliorare la prevenzione del rischio vulcanico, senza badare al consenso della politica. Compito arduo, che risulterebbe maggiormente agevole se  si affiancasse nell'opera divulgativa e propositiva, anche qualche autorevole alleato come il pregevole Osservatorio Vesuviano (INGV). L'importante struttura di ricerca e sorveglianza dei vulcani, sembra un po' schiva a puntare il dito sull'assenza delle politiche di prevenzione areali, dando l'impressione invece, che preferisce  cimentarsi  sulle più neutre politiche energetiche e di sfruttamento del sottosuolo...  Con la nomina del nuovo direttore dell'Osservatorio Vesuviano, la sismologa Francesca Bianco, si spera in un cambiamento di passo che sia innanzitutto utile per la prevenzione delle catastrofi.